mercoledì 15 giugno 2016

[Dal libro che sto leggendo] Esecuzioni a distanza


Picasso, "Massacro in Corea" (1951)
Fonte: Orazio Maria Valastro


Il libro di oggi fa parte della collana "Biblioteca minima" di Adelphi ed è veramente minimo nel formato, sono 84 pagine scritte fitte fitte, ma non è minimo nei contenuti. È un saggio che a tratti diventa vero e proprio racconto che si divide in due grandi aspetti contemporanei della guerra, da un lato c'è Russ Crane che fa parte dei tiratori scelti e che in gergo vengono chiamati i cecchini e dall'altro c'è un altro aspetto ovvero un futuro fatto di guerre di droni.

Così se da un lato c'è il limite dell'uomo che rivela un fattore limitante per i conflitti, ovvero il fattore umano, ci si presenta l'annullamento di questo problema con l'eliminazione dell'umano stesso dal conflitto. E l'ironia sta nel fatto che, queste tecnologie per migliorare hanno bisogno di esercizio e che non basta quello di simulazione, serve lavorare sul campo. E il campo è stato l'Afghanistan quello dove anche Russ ha combattuto, dove ha ucciso per difendersi e difendere il territorio e di cui porterà il ricordo tutta la vita.

Che tu lo faccia per lavoro o per semplice difesa personale uccidere è sempre un trauma da cui non si guarisce. È un po' come perdere un parente stretto, il dolore non se ne va, ma si impara a conviverci. Ecco Russ sa perfettamente che l'orrore che vede, dopo aver applicato tutti i regolamenti e i metodi di offesa imparati, non lo lasceranno. Ha solo imparato a conviverci. Un bel libro davvero che costa anche poco e ancor di meno in ebook visto che ora è in offerta a 2,99€!
Io non me lo lascerei scappare fossi in voi!
Buone letture,
Simona Scravaglieri




1


Subito fuori Austin, dove le coltivazioni si intensificano, la campagna diventa terra, solo terra, e la città, di colpo, sembra lontanissima. È proprio per questo che a Russ Crane piace. Crane non si chiama così, ma preferisce mantenere l’anonimato. È un tiratore scelto dell’esercito, cioè una persona seria che fa un lavoro serio, dal quale sono tuttavia attratti megalomani e psicopatici. Crane lo sa, e sa anche dove si nascondono: nelle fiere di armi, nei poligoni di tiro, nei recessi di Internet consacrati alla pornografia militare. Quello che invece loro non sanno è in che cosa consista esattamente il lavoro di un cecchino, e quali ripercussioni abbia sulla vita privata di chi lo svolge. Non che a Crane importi, chiaro. Vive, in una casa in mezzo ai campi, con una moglie e una figlia che studia da privatista. Austin gli dà sui nervi. Ma il problema non è tanto Austin, sono le città in genere. È un uomo tranquillo, senza pretese. Ha quarantasette anni, un paio di baffi grigi, e il grado di sergente maggiore nella Guardia Nazionale del Texas. Attualmente presta servizio come istruttore di tiro in una divisione di fanteria, occupandosi fra le altre cose di puntamento in situazioni di contatto ravvicinato. È piuttosto basso. Piuttosto tarchiato. Porta gli occhiali. In borghese preferisce girare con bermuda e maglietta, più un cappello da baseball che si toglie solo per dormire e fare la doccia. Siamo pur sempre in campagna. Sotto il cappello ha il tipico taglio tattico, quasi rasato ai lati, un po’ più lungo al centro. Tutto sembra tranne un guerriero, ma pare sia tipico dei guerrieri. Me lo ha fatto notare lui stesso, parlando di una specie di pagliaccio decisamente sovrappeso a fianco del quale si era spesso trovato a combattere. La prima volta era stato in Afghanistan, durante una violentissima imboscata su una strada allo scoperto. Crane aveva visto con i suoi occhi il soldato poggiare l’arma a terra e pescare dalla busta, in tutta calma, una presa di tabacco –per poi, con la stessa calma, rimettersi a sparare. «Finché non le vedi in azione, le persone non le capisci. Sembrano una cosa e sono l’esatto opposto. In genere quelli pieni di patacche, che a sentir loro spaccano il mondo, sono i primi a buttarsi in un fosso». Il riferimento a un certo reparto delle Forze Speciali penso fosse voluto.
Ogni tanto anche Crane si fa una presa di Copenhagen. Trascina leggermente le parole. Ha avuto il primo fucile, un calibro 22, a tredici anni. La sua idea di vacanza è caricare la famiglia su un pickup Ford F350 –un quattro per quattro diesel –e andarsene in Arizona, dove si trova la selvaggina migliore. La sua idea di pensione è invece sparire nel blu in Montana, o in Wyoming, e andarsene a caccia. Nel 2008 –dopo essersi fatto prima l’Iraq e poi l’Afghanistan –si è trasferito da queste parti per assumere l’incarico al comando di divisione. Appena ha visto la casa che stava per affittare, ha notato che aveva i muri spessi e che il suo unico collegamento con la strada era uno sterrato di circa 500 metri. In altre parole, impossibile avvicinarsi o allontanarsi senza essere visti: e, tra parentesi, senza entrare in un raggio di tiro ben delineato e sgombro. Per dare un’idea, 500 metri significa cinque campi da football juniores uno in fila all’altro. Significa anche una distanza superiore a quella in cui un fucile d’assalto M16, o una carabina a canne corte M4, garantiscono una certa precisione, ma entro la portata di fucili a percussione o semiautomatici dotati di mirino telescopico –da caccia o da guerra che siano. In casa, ai due lati della porta d’ingresso, Crane ne tiene parecchi. Non che tema un’aggressione. I fucili fanno semplicemente parte della sua vita. Quando vede i coyote avvicinarsi al campo dietro casa, gli spara. I coyote sono furbi. Hanno imparato che a più di 200 metri i coltivatori non li colpiscono, e così, almeno di giorno, si tengono alla larga da case e fienili. In questo caso però è una precauzione inutile. Dopo averli uccisi, Crane li infila in un sacco e li butta nell’immondizia.
Non ci prova nessun gusto. Uccidere coyote è una libera scelta, un modo di rendersi utile alla collettività. I vicini apprezzano. Di lui sanno pochissimo, ma pensano che averlo nei paraggi possa far comodo. Crane sostanzialmente è d’accordo. Mi ha detto che quasi tutti quelli che vivono nella zona sono bravi cristi, solo che se c’è in giro un lupo tendono a comportarsi come un branco di pecore. Lui, ha continuato, sarebbe il cane pastore, la creatura più adatta, per indole e addestramento, a intervenire. Eravamo seduti in cucina. Su una targa appesa alla parete si leggeva, IL FUTURO È LUMINOSO COME LE PROMESSE DEL SIGNORE. Crane: «Al mondo ci sono il Bene e il Male. Per questo vogliamo tanto combattere dalla parte giusta. Se vuoi sapere come la penso, io credo esistano persone malvagie, e credo che Dio abbia mandato sulla Terra altre persone capaci di ucciderle, così che il mondo possa vivere in pace. Davide prima di diventare re era un pastorello. I Filistei avevano con loro un gigante, Golia. E il Signore disse a Davide: “Sono al tuo fianco. Vai, e battiti”. Davide obbedì. E Golia finì morto stecchito, come Elvis Presley. Davide era un pastore, un re, un fedele del Signore. Ma prima di tutto era un guerriero. Dio lo sa che abbiamo bisogno di soldati. I soldati rientrano nel suo disegno».
Questo pezzo è tratto da:

Esecuzioni a distanza
William Langewiesche
Adelphi Edizioni, ed. 2011
Traduzione di Matteo Codignola
Collana "Biblioteca Minima"
Prezzo 7,00


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