domenica 31 agosto 2014

L'ha detto...Fernando Pessoa


Fonte: Galeioscopio


Non amiamo mai nessuno. Amiamo solamente l'idea che ci facciamo di qualcuno. È un nostro concetto (insomma, noi stessi) che amiamo. Questo discorso vale per tutta la gamma dell'amore. 
 Fernando Pessoa

venerdì 29 agosto 2014

"Rosso caldo", Patrizia Rinaldi - Il realismo nella contemporaneità della tradizione...



Fonte: La voce dei venti


La difficoltà di descrivere questo lavoro risiede nel fatto che è un libro indiscutibilmente bello e, soprattutto, che, scavando a fondo, escono più temi di quelli che ci possa aspettare. Dopo aver letto alcune proposte campane e poi questo, posso dire sinceramente che i lavori di Patrizia dovrebbero essere di fatto un ingresso al mondo sfaccettato e complicato della Napoli contemporanea e alla letteratura regionale. Mistero, cultura e folklore si mischiano formando una trama avvincente che rende partecipi i lettori, non solo delle inchieste, ma anche delle vicende personali dei protagonisti.

Questo libro è solo l'ultimo della serie riguardante l'ispettore Blanca edito da E/O. Il questo l'ispettrice ipovedente si trova di fronte a illeciti di varia forma - truffe, omicidi, evasioni - e si confronta con i leitmotiv che sono i pilastri della tradizione e del presente: onore, famiglia, amore, passione, morte, spiriti. Nulla di particolarmente nuovo, vi starete dicendo, ma in effetti non è così. Quello che è sempre stato difficile capire della cultura campana è proprio che, le sfumature di determinati termini, non sono così intuibili come ci aspetterebbe. Se l'onore è qualcosa per cui morire o per cui combattere e la famiglia è il fondamento della società, diverso discorso si deve fare per la morte e per gli spiriti. Per spiegarlo prendo in prestito una definizione di Ruggiero Cappuccio in "Fuoco su Napoli":

[...]Vedi, era un mondo capace di curarsi dei piccoli rituali dell'esistere, perché non aveva fiducia in quelli grandi, quelli storici, quelli definitivi insomma. Napoli non ha mai creduto ai finali e quando lo ha fatto è stato per saggezza, diciamo per una finzione superiore. Questo sfizio greco di campare dipendeva dal fatto che la città aveva una frequentazione privilegiata con la morte, con la morte e tutti i suoi simili"
[...] "l'unica cosa che ti consente di distinguere fra le conoscenze e le amicizie e' indiscrezione. E Napoli con la morte e' sempre stata indiscreta, perchè Napoli con la morte, aveva fatto un'amicizia antica. La maggior parte delle indiscrezioni arrivava dai fantasmi e questi fantasmi venivano da tutte le categorie sociali."
"[...] il piacere di assistere all'apparizione è sempre accompagnato dalla paura di assistere all'apparizione stessa. [...] Qualche volta i fantasmi possono essere morti, ma altre volte possono essere vivi. Fantasma puo' essere un'intera storia che torna, in cui le voci reclamano un diritto, un verità[..]
Ecco, questa è la Napoli che, da turista privilegiata dall'aver amicizie campane, conosco io. Ed è quella che racconta fra le righe Patrizia Rinaldi, vestita di quel realismo, che è una vera e propria corrente letteraria dell'ultimo decennio, ma che non perde, nonostante questa sua aderenza al quotidiano, la vena di lirismo e di teatralità tipica della cultura tradizionale napoletana.

Blanca ha una figlia adottiva con la quale vive due rapporti conflittuali insieme: Ninì è nell'adolescenza e rifiuta di essere indirizzata e contestualmente è figlia di quella madre che è stata uccisa e di quel padre che Blanca ha fatto condannare per l'omicidio della moglie. Blanca, il suo capo e gli altri ispettori e appuntati devono sbrogliare la matassa intricata di tre cadaveri e un possibile unico filone d'indagine. Saranno tutti stati uccisi dalla stessa mano? Nonostante gli indizi piazzati ad arte è difficile anticipare una possibile fine ma, mentre ci si arriva, presi per mano dall'autrice si passa di casa in casa, da quella povera a quella ricca, si sentono odori , suoni che sono tipici di un mondo che pensiamo di conoscere e che invece si disvela ai nostri occhi sotto una forma nuova.

La difficoltà sta proprio in questo, nel rendervi partecipi di questo bellissimo lavoro con parole che vorrei avere ma che, mio malgrado, non ho. Sono rimasta affascinata da questo romanzo dalla maestria che avevo già in parte visto nei racconti che la Rinaldi aveva fatto per alcune raccolte, ma questa serie, se è tutta così, è un'evoluzione superiore. L'altra difficoltà è quella di evitare di saltellare dicendo "È bellissimo!! È bellissimo!!! leggetelo e basta!!!" Perché non sarebbe onesto e non renderebbe l'onore dovuto ad un'autrice che, anche in questo caso, ha saputo dare ai suoi lettori l'ennesima prova del talento che la contraddistingue. 

Nel caso vi steste chiedendo qual'è la differenza fra il mio pensiero tra questo romanzo giallo e quello di mercoledì è molto semplice. In questo caso la prosa tocca punte di lirismo senza enfatizzarle e quindi la lettura è scorrevole. Non ci sono concetti ripetuti o descritti con un eccesso di metafore. Sono coloriti, come avviene proprio nel linguaggio orale campano, forse sarebbe meglio dire "quasi merlettati" ma non per abbellimento. Il napoletano vive di questi concetti espressi con metafore a volte estremamente ironiche ma non eccede in parole in più proprio perché, questo "abbellimento", ha già un suo peso e un suo spazio. Nell'altro caso, invece, la prosa serve a creare uno status, un momento e sopratutto a renderne il suo "peso specifico" della situazione che si sta descrivendo. Questa resa c'è, ma pervade troppo lo scritto, ed è questo che ne ne ha reso difficile la lettura.

Inutile dire che il libro è consigliatissimo e che m'è molto piaciuto (non so' se s'era capito!). 
Buone letture e buone ferie,
Simona Scravaglieri

Rosso caldo
Patrizia Rinaldi
Edizioni E/O, Ed. 2014
Collana "Dal mondo"
Prezzo 16,00€


Fonte LettureSconclusionate

mercoledì 27 agosto 2014

[Dal libro che sto leggendo] Gli eroi imperfetti


Fonte: Risparmio libro


In quest'ultimo periodo mi sono capitati due libri di cui mi è difficile parlare uno è questo e l'altro è un romanzo giallo - anche se le motivazioni per le quali è complicato raccontarveli sono diametralmente opposte!-. In questo caso il problema è di gusto personale. Oggettivamente in questo libro c'è una storia, ci sono anche dei personaggi perfettamente caratterizzati, c'è anche un "lato oscuro" per ogni personaggio che viene a galla man mano nella storia.

E allora che c'è che non va? Lo so che ve lo state chiedendo! Troppe parole. Non è che proprio abbia "nevicato" a casa Sgambati e che quindi si descriva la capocchia di uno spillo con venti pagine, è diverso qui il problema. Nel pezzo di introduzione c'è un paragrafetto dedicato alle "cose che si sono dette"; ecco è tutto così. Ed è sfiancante, almeno per me, leggere tutte queste ripetizioni che mi ricordano un altro libro simile, solo come scelta narrativa, "Settanta acrilico, trenta lana" che mi aveva altresì costretta a lunghe sessioni di lettura quasi "forzata". Entrambi i libri presi al netto di questo particolare sono validi e, in questo caso, capisco perché MinimumFax abbia deciso di far entrare nella sua scuderia Stefano Sgambati. Testo e anche, in parte, lo stile narrativo ricordano quelli sperimentali di Mc Sweeney's dove la proposta estremamente eterogenea porta a stili simili a questo o diametralmente opposto come avviene ne "La famiglia White" di cui vi parlerò più in là.

Quando ho dovuto assegnare una valutazione a questo libro ho scelto di fare una votazione i più possibile oggettiva e infatti ha preso 4 stelline su 5. Confido infatti sul mio sesto senso, ho sentito più volte parlare Sgambati in relazione a questo libro e credo che il narratore di questo lavoro era così perché il lavoro stesso lo richiedeva e che nel prossimo sarà un nuovo e diverso Sgambati. È una caratteristica degli scrittori quella di essere sempre uguali e diversi ogni volta che si immergono in una storia. Attenderò il prossimo per capire se mi sbaglio oppure no.

Buone letture e buone ferie,
Simona Scravaglieri


1. LA CENA 

Non ci potevamo credere.
Lo guardammo. Dentro agli occhi come se volessimo cercare il cervello. Era tutto vero. 
 
Le cose vogliono essere dette. L'illusione che siamo stati noi a dirle crolla nel momento in cui esce di bocca, perfettamente autonome, cullate da una mano di ostetrica troppo sapiente per essere la nostra. Ci usano, sfruttano il nostro apparato fonatorio: solleticano la glottide, si arrampicano sul velo del palato, bussano sui denti, premono contro le labbra e si danno al mondo nella forma di lessemi. Le cose che si sono fatte dire si librano davanti alle nostre facce per farci sapere che oramai è tardi che non si può tornare indietro. È rassicurante questo fatto, almeno per uno come me che in vita sua ha sempre preferito farsi trasportare, piuttosto che trascinare. Le parole sono muscoli involontari e se sto camminando, adesso, a quest'ora, sperando che mia moglie, a casa, stia morendo di preoccupazione, be', è colpa loro. 
Lo accogliemmo con una semplicità plastificata. Ci sentivamo a disagio perché mai , da quando eravamo sposati, avevamo accolto una persona "single" a cena. Questo fu, per me e mia moglie, il benvenuto alla "trasgressione". Un uomo molto più grande. con le mani tese nell'atto di porgerci un regalo, come è d'uso quando si viene accolti in casa altrui: una bottiglia di vino rosso, uno Shiraz del Casale del Giglio proveniente dal mio negozio. Prima risata d'ordinanza: il pacchetto gliel'avevo fatto io stesso il giorno prima e quella annotazione ovvia, tra esseri umani troppo adulti, diventò utilissima come antidoto al veleno da imbarazzo.  

Questo pezzo è tratto da:

Gli eroi imperfetti 
Stefano Sgambati
Minimum Fax Editore, Ed. 2014
Collana "Nichel"
Prezzo 15,00€

domenica 24 agosto 2014

L'ha detto... Joseph Addison

Fonte: I sentieri della ragione



Chi è fornito di argomenti pecuniari convincerà il proprio antagonista molto prima di chi trae argomenti dalla ragione e dalla filosofia. 

 Joseph Addison

mercoledì 20 agosto 2014

[Dal libro che sto leggendo] Chiuso per Kindle. Diario di un libraio in trincea.

Fonte: Bangkok com


Come anticipato nella recensione, questo non è un romanzo e nemmeno un racconto organico, bensì sono appunti sparsi di vario genere. Non troverete un libraio, vero, che vi consiglia di non leggere un libro perché è sotto forma di ebook, ma qualsiasi vero libraio non sarà sostituibile da alcun algoritmo di scelta che vi possa consigliare se leggere un libro al posto di un altro. In più, questo lavoro, è scritto in una maniera divertente e divertita verso il mondo della cultura, il che fa pensare che giocare con la cultura si può fare sempre senza sminuirne l'importanza.


Non troverete effetti speciali, ma sicuramente questo scritto riesce a distinguersi dai libri di pari genere anche se, l'estratto che oggi vi presento, è molto simile a quelli cui ho fatto riferimento nella recensione di Chiuso per Kindle. Il trucco è lasciarsi trasportare dalle stravaganze dei due librai e fare un giro nello strano e misterioso mondo che gira dietro il mondo delle librerie e dei libri.


Buone letture e buone ferie,

Simona Scravaglieri


Capitolo 1 

Una giornata in libreria 

[...]
 [...]
Bene, allora partiamo dall'inizio: "In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.!. Be', no, forse siamo andati troppo indietro, effettivamente questo è il principio di tutto, a noi basta iniziare dal principio della giornata. Mattina. Tira su la serranda, accendi le luci, avvia i computer, passamano delle novità - accidenti quanta roba, non mi dite che è uscito un nuovo libro di Camilleri - e dei rifornimenti da sistemare in magazzino, una prima occhiata veloce ai quotidiani. Dal lunedì al mercoledì acquisti canonici: la Repubblica, Corriere della Sera, Il Foglio di Ferrara e quelli più nazional popolari, ma solo se avanzano gli spiccioli; il venerdì copia obbligata di Corriere della Sera e Repubblica che propongono i loro allegati ricchi di recensioni e novità editoriali: spesso i clienti entrano in libreria direttamente col magazine in mano. Il sabato si aggiunge La Stampa che propone Tutto libri, seguitissimo dai lettori intellettuali. La domenica messa, pastarelle, se è bel tempo passeggiatina in villa, e poi, con la sportina della spesa verso l'edicola ciminiera, dove ad aspettarti sbevazzando birra in qualunque momento della giornata e tenendo testa ad Andrea Camilleri quanto a sigarette, ci sono le gemelle. Attenzione a ricordarvi una cosa importantissima: mai e sottolineo mai, uscire dall'edicola senza aver preso Il Sole 24 Ore. C'è il "Domenicale", mancarlo vuol dire segnare malamente tutta la settimana successiva. Per i super librai, inoltre, per quelli che proprio vogliono distinguersi, stare sempre sul pezzo, ad attenderli in edicola c'è il mensile radical chic L'Indice dei libri del mese. Un'occhiata veloce alle vetrine, cartellini d'ordinanza e tutti belli puliti e profumati iniziamo una nuova giornata in libreria. Le nove spaccate. Lo spettacolo inizia, ecco arriva il primo cliente. 
Libraio: "Prego, come posso aiutarla?"
Cliente: "Dovrei regalare un libro ad una persona che non legge."
Libraio: (Mazzo di fiori, del vino, un badile) "Guardi ci sarebbe questo: questo di sicuro fa al caso suo!" 
Lui: "Ma che gli regali Socrate?"
Cliente: "Si, perché, che male c'è?"
Lui: "Ma uno può ancora stare a leggere Socrate? E dai su!"
Libraio: ?

Questo pezzo è tratto da:

Chiuso per Kindle
Diario di un libraio in trincea 
Massimiliano Timpano, Pier Francesco Liofreddi 
Bompiani Editore, Ed. 2014 
Collana "Tascabili Bompiani" 
Prezzo 9,50€

domenica 17 agosto 2014

L'ha detto... Arthur Schopenhauer


Fonte: Voglia di

Come la carta moneta al posto dell'argento, così hanno corso nel mondo, al posto della vera stima e della vera amicizia, le dimostrazioni esteriori di esse e i gesti mimati con la massima naturalezza possibile. 

 Arthur Schopenhauer


venerdì 15 agosto 2014

"Julie&Julia", Julie Powell - Blogger per caso...




Fonte: My French Life

Ci sono occasioni in cui sarebbe meglio non tentare la sorte, e infatti, se proprio ti è piaciuto un libro, sarebbe meglio non vederne la trasposizione cinematografica e viceversa. È una cosa che mi ripeto in continuazione ma, capitemi, la tentazione è grande a volte e difficile da gestire! Negli anni mi è praticamente successo sempre che, questa legge immutata, venisse confermata. In un caso solo, "Mississippi Burning", la legge non si applica perché il libro è un derivato del film, e quindi una sceneggiatura romanzata, "a grande richiesta" di chi non l'ho mai capito!
Nel caso di Julie&Julia possiamo dire un sentito grazie agli sceneggiatori che, e dopo aver letto il libro posso dirlo a ragione, hanno fatto un lavoro, di rielaborazione e riorganizzazione delle memorie "sparse" di Julie, eccellente.

Il libro racchiude la storia di una "blogger per caso", Julie, che arrivata a New York per fare l'attrice (nel film la scrittrice) si ritrova, dopo aver fatto innumerevoli lavoretti, a diventare una segretaria in un ente governativo che assiste le famiglie delle vittime dell'undici settembre. Per consolarsi della mancata carriera Julie cucina e al dunque, solo per auto-consolarsi, si lancia in un progetto di scrittura di un diario online che mappi i 365 giorni in cui tenterà di realizzare le 524 ricette del libro di Julia Child "Mastering the art of French Cooking".

Si capisce che era un'aspirante attrice, e non scrittrice, da come organizza le sue "memorie". Ci sono numerose divagazioni, e su questo avrei potuto sorvolare, ma le "memorie sparse" sono veramente disorganizzate e quindi risulta complicato capire di cosa stia parlando, quali siano gli obbiettivi o le motivazioni che la spingono a scrivere un libro e cosa abbia effettivamente realizzato o no. Mi direte: "Ma è un diario!". No, non lo è perché è in tutto e per tutto costruito come un romanzo, la cui eroina manco a dirlo è proprio la Powell: chiusa fra quattro mura di periferia, dove nemmeno una delle sue amiche si avventura non sapendo come arrivarci e tantomeno come tornare a casa. Non lo è perché se fossero memorie di una blogger e del suo blog, forse questo non starebbe nascosto dietro valanghe di pensieri personali alla Carrie Bradshow  sull'amore, il sesso, le relazioni e via dicendo. E invece, La nostra Julie, allora trentenne si divide fra il lavoro insoddisfacente, il blog che non è poi così "vitale", la cucina che non è così perfetta come nel film si vede, il marito - anche lui mancato attore- che sembra un po' un babysitter e il fratello che per un anno staziona nel suo salotto in attesa di prendere la decisione se restare nella grande mela o no. 

E la nostra trentenne più che egocentrica sembra una bambina capricciosa, intenta a ricordare che ha imparato a cucinare per tenersi stretto il marito al college e a domandarsi se è un male avere avuto un solo uomo con cui andare a letto e che si indispone perché una delle sere in cui la devono riprendere per uno show televisivo è costretta a cucinare anziché vedere la puntata finale di Buffy l'ammazzavampiri. Trama un po' insulsa? Non c'è altro in questa "deliziosa storia di un'educazione sentimentale"! Chiaramente trascurando la Vodka che preferisce e le sigarette e qualche perla come quella che la vede equiparare i temi di Buffy con quelli della Bibbia. Posso anche capire che Sex&City all'inizio del 2000 andasse ancora di moda ma mi domando la Child, in tutto questo che c'entra? 

Julia Child entra solo marginalmente nelle cosiddette memorie e le sue comparsate sono completamente ininfluenti e non legate al capitolo che introducono. Stanno là. Ferme e immutabili, quasi a dire "voleva fare una ricerca ma non le andava, siamo la prima cosa che ha trovato - con una blanda ricerca interenettiana aggiungerei io! - e ci ha piazzato qui! Non è colpa nostra!". Ecco, dopo aver letto il libro, tentato di capire se esiste ancora il famoso blog - non c'è, qualora lo doveste cercare, ci sono solo alcuni pezzi di posto che puntano in una pagina inesistente! - aver letto qui e lì dei piccoli rimandi, posso concludere che, prima del film, la Child avesse pienamente ragione ad avercela con la Powell perché effettivamente sembra che quest'ultima l'abbia usata solo perché il suo nome è uno dei pilastri della cultura folkloristica degli anni '50-'60 americana quella che vedeva aspiranti casalinghe perfette cercare di trovare il modo di cucinare deliziosi pasti per il marito al rientra dal suo lavoro. Non c'è proprio nulla di valido o di apprezzabile in quello che è scritto e del film ci sono solo tre frasi estrapolate e messe in situazioni completamente diverse da quelle del libro.

In sostanza quindi è corretto che abbiano scritto in calce al film "ispirato" e non tratto dal libro "Julie&Julia" perché, la trasposizione cinematografica, nobilita la figura della Powell che rimane isterica ma almeno ha una ragion d'essere e conclude che l'esperienza le ha insegnato a vivere e ad apprezzare quello che ha e non a gioire del fatto che potrà vivere di scrittura come avviene invece nel testo originale! E quindi il sottotitolo cessa di essere un abbellimento e diventa un suggerimento dell'editore che cerca inutilmente di dare senso a questa accozzaglia di non-so-cosa e che invece proprio non ne ha! La nostra, chiamiamola, "eroina" da questa esperienza non ha imparato molto, gioisce solo della sua fortuna di prossima scrittrice e di aver potuto così lasciare il suo antipatico lavoro

La nota "folkloristica" - sono cose che si aggiungono alla mia galleria di orrori - è che, in questo caso, ci sono due errori grossolani da segnalare uno del libro e l'altro del film. Nel libro si fa riferimento ai commentatori del blog come "blogger". Ma anche no! I commentatori del blog possono essere appellati come lettori, utenti ma la definizione blogger va a chi scrive il blog che, nel caso commenti quello di un altro diventa, a sua volta, lettore di quello spazio. Che sia un errore di traduzione o ci fosse anche nel testo originale non è dato sapersi, ma viene ripetuto ogni volta che si fa riferimento al blog, o meglio ai commentatori.
Per quanto riguarda il film invece è la citazione di Shakespeare & Company - che vedete in calce alla recensione-, sita a 37 Rue de la Bûcherie a Parigi. Ecco, la Child arriva a Parigi nel 1948 e ci sta per 8 anni, ovvero fino al 1956. In quegli anni, l'originaria Shakespeare & Company aperta da Sylvia Beach , in Rue de Dupon nel 1919 e poi trasferitasi in Rue de L'Odeon nel 1921, aveva chiuso i battenti agli inizi della seconda guerra mondiale (1941) e, quella che oggi troviamo denominata come "Shakespeare & Company" in ricordo della storica libreria per americani a Parigi, si chiamava ancora "Mistral". Verrà rinominata solo nel 1964 dopo la morte di Sylvia Beach e in suo ricordo. Va da sé che nello spezzone di film in cui la Child cerca un libro di cucina francese scritto in inglese, la libreria avrebbe dovuto avere un'altra insegna.

È possibile che, non avendo visto il film, vi piaccia il libro? Sinceramente sono un po' scettica ma potete sicuramente provare l'esperienza. Tra un bicchiere e l'altro di Vodka e una sigaretta, fra una litigata (soft) e un divano rimasto in attesa di venir ritirato dall'amica che fa studi sul talmud mentre si fidanza con tutti i David disponibili sulla piazza, c'è anche qualche accenno di ricetta.
Rimane il fatto che questo lavoro dimostra che essere una blogger per caso, che magari sale alla ribalta delle cronache, non sempre è sinonimo di essere diventata anche una scrittrice. Sono altri i libri belli della collana BUR e questo per me, manco a dirlo, non rientra nella lista.

Buone letture e buon ferragosto,
Simona Scravaglieri

Julie&Julia
Julie Powell
La deliziosa storia di un'educazione sentimentale ai fornelli
Rizzoli Editore, ed. 2009
Collana "BUR Romanzi"
Prezzo 9,90€



Fonte: LettureSconclusionate

mercoledì 13 agosto 2014

[Dal libro che sto leggendo] L'imprevedibile viaggio di Harold Fry

Fonte: theelmstraveldiaries

Inizia tutto con una busta rosa, non di una tonalità accesa e sfacciata, bensì un tono molto tenue. Un po' come chi ha scritto la lettera a questo pensionato, abituato da una vita alle solite "abitudini", e impreparato alla notizia che contiene. E così Harold Fry tenta di scrivere una risposta. Tentenna, riprova, ripensa e  poi scrive un messaggio che però non lo soddisfa fino in fondo. Dopotutto Queenie, oltre ad essere una collega, è stata in passato una buona amica. 

Poi esce, saluta la moglie annunciando che andrà ad imbucare la risposta alla prima cassetta. Quando arriva decide di andare alla successiva,  e poi di nuovo fino all'ufficio postale. Non si fermerà Harold, anzi lo farà per lasciare un messaggio alla sua amica presso la casa di cura ove è ricoverata e suona un po' così: "Arriverò da te camminando e tu dovrai rimanere viva finché io non sarò arrivato. E così ti salverò la vita."

Crederci? Non farlo? Non sta a me convincervi, ma io lo sto leggendo e lo trovo graziosissimo. Nel caso foste a corto, questa è veramente una bella storia da leggere!
Buone letture e buone ferie,
Simona Scravaglieri



1. 
Era un martedì quando arrivò una lettera che avrebbe cambiato ogni cosa. un normalissimo mattino di metà aprile che profumava di bucato fresco e di erba tagliata. Harold Fry era seduto a far colazione, sbarbato a puntino, con la camicia immacolata e la cravatta, in mano una fetta di pane tostato che però non stava mangiando. Dalla finestra della cucina guardava il prato tosato, trafitto a metà dal filo telescopico del bucato di Maureen e intrappolato sui tre lati dallo steccato dei vicini."Harold!" lo chiamò Maureen, urlando per sovrastare il rombo dell'aspirapolvere. "Posta!"Ebbe la tentazione di uscire, ma l'unica cosa da fare era falciare il prato, e l'aveva già fatto il giorno prima. L'aspirapolvere piombò nel silenzio e apparve sua moglie, con la faccia arrabbiata. Si sedette di fronte a Harold.Maureen era una donna esile, con una zazzera grigia, il taglio a scodella e il passo svelto. All'epoca in cui si erano conosciuti, niente lo rendeva più felici che farla ridere. Guardarla scomporsi in una sfrenata felicità."È per te", gli disse. Lui non capì finché lei non fece scivolare una busta sul tavolo, fermandosi vicino al gomito di Harold. Entrambi guardarono la lettere come se non ne avessero mai vista una. Era rosa. "Il timbro è quello di Berwick-upon-Tweed."Harold non conosceva nessuno a Berwick. Del resto, non aveva molti conoscenti da nessuna parte. "Magari è un errore.""Non credo. I timbri non si mettono a casaccio." Prese una fetta di pane dal portatoast. A lei piaceva freddo e croccante.Harold ispezionò la misteriosa busta. Il rosa non era quello dei sanitari del bagno, o degli asciugamani e del copritavoletta peloso in tinta: una tonalità accesa che lo metteva a disagio. Questo invece era delicato. Era il rosa dei lokum. Il suo nome e l'indirizzo erano scribacchiati con la biro, e le goffe lettere si tuffavano l'una nell'altra come se le avesse scritte un bambino frettoloso. Signor H. Fry, 13 Fossebridge Road, Kingsbridge, South Hams. Non riconosceva la calligrafia."Allora?" disse Maureen, passandogli un coltello. Lui infilò la lama sotto l'angolo della busta e la aprì con un colpo netto. "Fa' attenzione", lo ammonì.Mentre estraeva la lettera e inforcava gli occhiali, sentì lo sguardo della moglie puntato si di sé. Il foglio era scritto a macchina e recava l'indirizzo di un luogo a lui sconosciuto: casa di cura San Bernardino. Caro Harold, questa lettera ti coglierà di sorpresa.Gli occhi corsero alla firma."Allora?" ripeté Maureen."Dio mio! È di Queenie Hennessy."Maureen infilzò una noce di burro con il coltello e la schiacciò su tutta la lunghezza del toast. "Queenie chi?""Lavorava al birrificio. Anni fa. Non ricordi?"Maureen alzò le spalle. " È perché dovrei? È passato così tanto tempo... Mi dai la marmellata di fragole?""Lavorava in contabilità. Era bravissima.""Questa è marmellata di agrumi, Harold. Quella di fragole è rossa. Magari, guardare le cose prima di prenderle potrebbe tornarti utile."Harold le passò il vasetto e tornò alla sua lettera. Era battuta in maniera impeccabile; nulla a che vedere con gli sgorbi sulla busta. Sorrise, ricordandosi che Queenie era sempre stata così: talmente precisa in tutto ciò che faceva che era impossibile trovarle una pecca. "Lei di te si ricorda. Ti manda i suoi saluti."La bocca di Maureen si contrasse in una smorfia. "Un tizio alla radio ha detto che i francesi vogliono il nostro pane. In Francia non riescono a farselo affettare. Vengono qui e lo comprano tutto. Il tizio ha detto che potrebbe già scarseggiare prima dell'estate." Si interruppe. "Harold? Qualcosa che non va?"Lui non rispose. Si alzò pallido e con le labbra semiaperte. Quando ritrovò la voce, flebile e distante, disse: "È... cancro. Queenie scrive per dirci addio" Annaspò alla ricerca di altre parole ma non ce n'erano.


Questo pezzo è tratto da:

L'imprevedibile viaggio di Harold Fry
Rachel Joyce
Sperling&Kupfer Editore, Ed 2014
Collana "Pickwick"
Prezzo 8,42€

domenica 10 agosto 2014

L'ha detto...Jim Morrison


Fonte: IRoby

A volte basta un attimo per scordare una vita, ma a volte non basta una vita per scordare un attimo. 

 Jim Morrison

lunedì 4 agosto 2014

[Dal libro che sto leggendo] Quando parlavamo con i morti

Fonte: Libera no domine


Quando parlavamo con i morti, come detto nella recensione, è una raccolta che tratta, attraverso lo strumento del racconto, di questioni civili. E' un po' come se si parlasse di mafia in Italia senza soffermarsi su quei racconti che mettono il dito nelle ferite delle vittime continuando a descriverne particolari su particolari stimolando l'orrore del proprio lettore. Si arriva lo stesso a parlare del tema passando per un'emozione diversa, che però rimane forse in maniera più persistente nella nostra memoria, ovvero la "partecipazione emotiva" o anche "Empatia".

L'empatia non richiede emozioni secondarie che la possano supportare basta da sola. Quindi entrare nel mondo di queste donne che vivono esperienze - come le donne che si danno fuoco per protesta contro il femminicidio o quelle che vedono tornare bimbi spariti o rapiti e quelle che vivono l'esperienza dei desaparecidos vedendo sparire mariti, figli o fratelli - non è difficile ma proprio per questo, il contenuto, non abbandona la memoria di chi legge perché l'empatia fa sì che i concetti rimangano lì e ci permettano di capire che sapore ha la vera indignazione che non è quella che oggi conosciamo.

Un libro veramente intenso da leggere e da rileggere. 
Buone letture e buone ferie,
Simona Scravaglieri


Quando parlavamo con i morti 


A quell’età hai sempre la musica in testa, come se una radio trasmettesse nella nuca, sotto il cranio. Un giorno, questa musica comincia a suonare più bassa, o semplicemente si ferma. Quando ciò succede smetti di essere adolescente. Ma non era neanche lontanamente il caso dell’epoca in cui parlavamo con i morti. Anzi, ai tempi la musica era a tutto volume e suonava come gli Slayer di Reign in Blood.  
Cominciammo con il bicchiere a casa della Polacca, chiuse nella sua stanza. Dovevamo farlo in segreto perché Mara, la sorella della Polacca, aveva paura dei fantasmi e degli spiriti, aveva paura di tutto, bah, era una ragazzina. E dovevamo farlo di giorno, sempre per la sorella in questione e perché la Polacca aveva una famiglia numerosa, tutti andavano a dormire presto, e questa cosa del bicchiere non piaceva a nessuno, perché erano stracattolici, andavano a messa ogni domenica e recitavano il rosario. L’unica che si salvava di quella famiglia era la Polacca: era stata lei a trovare una fantastica tavola ouija, in offerta speciale insieme con alcuni supplementi di magia, stregoneria e fatti inspiegabili che si chiamavano Il Mondo dell’Occulto, si compravano in edicola e si potevano rilegare. La tavola l’avevano già regalata diverse volte insieme ai fascicoli, ma ogni volta era terminata prima che una di noi riuscisse a racimolare i soldi per comprarla. Finché la Polacca non prese la cosa  sul serio, risparmiò, e ci ritrovammo con la nostra preziosa tavola, che aveva i numeri e le lettere grigi, lo sfondo rosso e dei disegni satanici e mistici intorno al disco centrale. Ci riunivamo sempre in cinque: io, Julita, la Pinocchia (la chiamavamo così perché era di legno, la peggio somara a scuola, non perché avesse il naso lungo), la Polacca e Nadia. Fumavamo tutte e cinque, tanto che, quando giocavamo, sembrava che il bicchiere galleggiasse sul fumo e, quando andavamo via, lasciavamo appestata la stanza della Polacca e di sua sorella. Come se non bastasse, quando iniziammo il gioco del bicchiere era inverno e non potevamo aprire le finestre, perché si moriva di freddo. 
Dalila, la madre della Polacca, ci trovò così, avvolte nel fumo e con il bicchiere completamente impazzito, e ci buttò fuori di casa a calci. Riuscii a recuperare la tavoletta (e da allora ce l’ho io) e Julita riuscì a evitare che il bicchiere si rompesse: sarebbe stato un disastro per la povera Polacca e per la sua famiglia, perché il morto con cui stavamo parlando giusto in quel momento sembrava davvero cattivo e ci aveva detto addirittura che non era uno spirito, ci aveva detto che era un angelo caduto. Già allora sapevamo bene che gli spiriti sono dei gran bugiardi e fanno i furbi, e non ci lasciavamo più spaventare dai loro stupidi trucchetti, come indovinare i compleanni o il secondo nome dei nonni. Ci eravamo giurate con il sangue (pungendoci il dito con un ago) che nessuna muoveva il bicchiere, e io mi fidavo. Io non lo muovevo, non l’ho mai mosso, e neanche le mie amiche, ne sono sicura. All’inizio il bicchiere ci metteva un po’ a muoversi, ma quando prendeva il via sembrava che una calamita invisibile lo unisse alle nostre dita, non dovevamo nemmeno toccarlo, non lo spingevamo mai, non ci poggiavamo neanche un po’ il dito: scivolava sui disegni mistici e sulle lettere così rapidamente che, a volte, non facevamo in tempo ad annotare le risposte alle nostre domande (una di noi prendeva sempre nota) sul quaderno speciale che tenevamo apposta. 
Quando quella pazza della madre della Polacca ci scoprì (ci disse che eravamo sataniche e puttane, e parlò coi nostri genitori: fu un casino), dovemmo smettere per un po’ di giocare, poiché era difficile trovare un altro posto.

Questo pezzo è tratto da:

Quando parlavamo con i morti
Mariana Enriquez
Carvan Edizioni, Ed. 2014
Collana "Bagaglio a mano"
Prezzo  9,50€

domenica 3 agosto 2014

L'ha detto... Francesco Bacone


Fonte: Il quotidiano in classe

L'audacia mantiene male le promesse.
Francesco Bacone



venerdì 1 agosto 2014

"Un certo Lucas", Julio Cortázar - E l'Idra ci renderà liberi....



Fonte: Giurdanella


C'era una volta "Un certo Lucas". Lucas viveva anche se, il luogo e il tempo in cui lo ha fatto non sono importanti ai fini della storia. Lucas aveva degli amici, una fidanzata, una famiglia cui era più o meno affezionato e ha fatto anche un ricovero in ospedale. Scrive e frequenta anche molti colleghi scrittori con quali ogni tanto intavola discorsi che non sempre, loro, sono in grado di comprendere; non che non ne abbiano la necessaria preparazione intendiamoci ma, Lucas, sente che c'è la necessità di prendere coscienza di quello che è lo stato di fatto e qualche volta, attraverso i suoi discorsi estremizzati, cerca di far capire quali sono i limiti suoi, loro, nostri e di tutti insomma. Lucas "è" l'espressione di una medaglia a due facce: è in quanto vive in questo mondo, "non è" in quanto sfogliandosi come una cipolla tenta di eliminare tutto quello che limita sé stesso e quello che lo circonda. La domanda adesso dovrebbe essere: limita da cosa?

La risposta secca sarebbe: non è importante. Quella argomentata è: limita noi stessi ad essere noi stessi. Le sovrastrutture che abbiamo sono di carattere personale, sociale e familiare. Ogni rapporto, personale e di lavoro, ci impone determinati atteggiamenti che generano fobie e manie. Imparare a conoscerle ci renderà sicuramente in grado di gestirle e quindi ci renderà anche liberi. E, come se fossimo da uno psicanalista, Cortázar ci indica il percorso di liberazione che passa dall'individuazione degli strati e dalla presa di coscienza di quello che costituisce i nostri limiti per poterli superare. Ci da anche un input in più partendo, in questa raccolta di racconti allegorici, da quello che vi ho inserito nel  [Dal libro che sto leggendo] ovvero dalla costruzione del nostro "mostro" personale. Nel gergo comune lo chiamiamo "mostro", "scheletro nell'armadio", alcuni invece lo definiscono semplicemente come una raccolta di "paure" o "idiosincrasie" o "manie" per lui è l'Idra. In sostanza sono il nostro lato buio che non conosciamo ma che sta lì e influisce sulle nostre decisioni.

Come già detto in passato, spesso, il mestiere dello scrittore è quello di intavolare un dialogo e una riflessione e non di giudicare e, in questo, Cortázar è un vero maestro. Attraverso il metaforico viaggio nella vita di Lucas veniamo a contatto con una vita qualunque in un luogo indefinito con la quale guardare dentro noi stessi. E sebbene l'aggiunta di una sezione di racconti di più ampio spettro, riguardanti la massa e non più il singolo, possa sembrare un depistamento sappiate che, alla fine, il quadro così diviene maggiormente completo. 

Se infatti mischiassimo le carte della linea di pubblicazione scelta dall'autore partendo da quello che sembra essere il racconto che ha ispirato la bellissima copertina dell'edizione SUR scopriremmo che argomenti, come quelli che comprendono la percezione che hanno gli altri di noi, non restituiscono una nostra immagine è così edificante. Più in particolare questo ironizza in maniera sottile su quello che è il rapporto fra stato e singolo individuo: lo stato che sa che, per governare la massa, la deve rendere, anche attraverso un'illusione, inoffensiva; la massa è costituita da singoli che tendono, o cercano di farlo, verso la felicità e, qualora questa sia irraggiungibile almeno su un piano pratico, può trovarsi a vivere nella frustrazione che genera la rivolta. Nel racconto si narra proprio questo, lo stato, che trova la soluzione: fornire pesciolini dorati da iniettare gratuitamente nel sangue dei singoli perché generano uno stato di benessere. Se poi andiamo a vedere c'è un risvolto della medaglia. Se i pesciolini muoiono si può morire; lo stato, guarda caso, ha la soluzione: far pagare la cura per evitare gli effetti collaterali. Ma le cure costano e c'è gente anche povera, quale sarebbe la soluzione in questo caso? Semplice! Alimentare anche il mercato nero. Cittadini felici e canzonati, se non sfruttati, e casse dello stato piene per i pochi che possono attingervi.

Si potrebbe fare una considerazione di fondo: è un libro molto "celebrale" cui serve, dopo la lettura di ogni racconto, un momento di fermo tecnico per riconoscere la fobia o l'immagine che lo scrittore ci fornisce "sotto mentite spoglie". Però, e c'è un però, la bellezza e la persistenza nel tempo di questo libro è qualcosa veramente da provare. Questo perché il solo fatto di fare questo esercizio non solo ci permette di conoscerci meglio come entità singola o come gruppo, di annientare o annullare l'effetto delle nostre manie/fobie che ci tengono compagnia - spesso a sproposito- nelle nostre scelte di vita ma, anche, perché l'esercizio del raffronto ci aiuta a restituirci un modo possibile di ricostruire la nostra immagine secondo altri presupposti - ed è per questo che rimangono poi persistenti nella memoria, perché ci somigliano, o meglio, siamo noi -. Ci rende, tanto o poco, migliori spogliandoci di quelle convinzioni che non ci permettono di guardaci allo specchio con serietà e obiettività.
Poi si può sempre avere la via di uscita facile del "non mi rappresenta affatto" ma già l'averci provato è il primo passo al cambiamento e vi ritroverete come me, quando succede qualcosa, a far risalire alla mente questo o quel racconto del tutto involontariamente. Come detto nell'anticipazione, riconoscere e capire il perché di determinati comportamenti e/o atteggiamenti ci permette di annullarne l'azione e la nostra dipendenza da quella fobia/mania. Nel caso del racconto citato potremmo dire che troviamo un valido spunto a non accontentarci di effetti placebo dovuti ai contentini ma a pretendere di più come singoli e anche come massa.

E' una lettura consigliata veramente a tutti che si può leggere di seguito e solo in superficie in tutta la sua surrealità o peregrinando attraverso i suoi molteplici significanti. E' scritto e tradotto in maniera scorrevole e l'eterogeneità dei temi toccati nei sessanta racconti garantisce che, proprio tutti, trovino quelli a loro più congeniali.
Buone letture e buone ferie, 
Simona Scravaglieri


Un certo Lucas 
Jiulio Cortázar 
Sur Edizioni, ed. 2014 
Prezzo 15,00€




Fonte: LettureSconclusionate

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