venerdì 22 giugno 2018

"Paesaggi contaminati", Martin Pollack - Per non dimenticare...

Fonte: Sechaber

Questo saggio, potenzialmente rovinerà la vostra voglia di guardare fuori dalla finestra, ma per noi non dovrebbe comunque essere una novità. È un tema che abbiamo affrontato più volte nella storia contemporanea passata quella dei paesaggi contaminati sia dalla mafia che quelli che hanno visto la morte di partigiani e di fascisti. Oggi parliamo di ricordi cancellati, fa il paio con il libro di Taibo di mercoledì e giuro che non è un accoppiamento voluto, e del valore reale dell'identità che stiamo perdendo. Quando ad inizio anno avevamo parlato della cancellazione totale dalla cartina geografica e culturale dei popoli artici, credo di aver scritto che non ce ne siamo accorti perché queste storie appartengono a luoghi remoti di cui noi non sappiamo pressoché nulla. Succede la stessa cosa qui, ma in un'evoluzione di quello che è il saggio di Meschiari. Nel mondo di Artico Nero il punto è la scoperta di nuovi territori e la necessità di cancellare o spostare gli indigeni del luogo senza premurarsi degli impatti. Nel saggio di Pollack, ambientato nel periodo dell'ultima guerra invece non c'è la necessità di popolare o sfruttare la natura incontaminata, ma la contaminazione derivante dalla cancellazione antisemita o partigiana.

Il punto è che, al netto dell'ideologia, l'ultima guerra ha decretato un cambiamento radicale. Siamo passati dai mondi in cui grandi quantità di uomini dovevano esserci per tenere a bada grandi numeri di prigionieri a prigioni dove pochi uomini guardano una moltitudine di prigionieri. È una realtà che non si verifica solo in Europa, ma anche nei Gulag o in Sud America con i desaparecidos. E se questa è una, passatemi il termine, "innovazione", pessima, delle strategie di guerra, l'uomo è rimasto ancestralmente legato al bisogno di prevaricazione fisica. Con uno che è già arreso questo non può avvenire e quindi si comincia con l'eliminazione diretta dei prigionieri fino al nascondere il frutto di questo insensato omicidio. E' l'ennesima prevaricazione quella di seppellire i corpi in luoghi nascosti e non documentati, quasi per essere certi che quei corpi non li potrà reclamare nessuno. Spirale omicida e di odio che contagia anche i liberatori o i contestatori.

Pollack all'interno di questo saggio racconta di un sacco di paesaggi, in cui l'immagine idilliaca è sporcata dal dubbio o dalla certezza che sotto l'erba, gli alberi, i campi si nascondano milioni di corpi la cui decomposizione non ha ancora cancellato totalmente le tracce di chi erano. Sottolinea con una certa forza anche che la necessità di prevaricare e di non documentare potrebbe essere anche la certezza del non essere individuati come colpevoli, anche se la storia e le immagini rimaste dimostrano che la logica del trofeo, anche in una sola istantanea contagiò molti assassini. Ma sottolinea che questo è un mondo circolare, che per alcuni versi assomiglia a quello che Salamov descrive per i Gulag in "Visera", chi oggi è prevaricatore, l'indomani si ritrova esso stesso vittima, E sebbene sia un concetto primitivo da comprendere, come dire che chi offende, prima o poi, troverà qualcuno più forte di lui che lo prevaricherà, qui il concetto assume un significato più ampio. In un mondo che si nutre della cancellazione sistematica del ricordo, per bene o male non ci interessa, creiamo la condizione di nuovi modelli di prevaricazione e di dittatura, che verranno rimpiazzati a loro volta da modelli successivi a cancellazione avvenuta.

È un libello interessante di 140 pagine scarse che è suddiviso in tre capitoli. Sono approfondimenti similari e quindi ne sembrano capitoli ma, in alcuni punti, si ripetono lasciando pensare che siano stati costruiti autonomamente e in tempi diversi. La ripetizione non guasta ma riguarda l'esperienza personale dell'autore, figlio e nipote di nazionalisti antisemiti, che cerca, nella sua ansia di ricostruire un paesaggio di fosse e di sepolture nascoste, di dare un volto e una storia a quelle che sono state vittime di un conflitto devastante per l'Europa.
Un lavoro decisamente consigliato, non racconta dell'orrore dell'uccisione ma di quello della cancellazione. Lo fa in uno stile scorrevole e discorsivo che si lascia leggere con facilità.
Buone letture,
Simona Scravaglieri

Paesaggi contaminati
Per una nuova mappa della memoria in europa
Martin Pollack
Keller Editore, ed. 2017
Traduzione a cura di Melissa Maggioni
Collana "Razione K"
Prezzo 14,00€ 

Fonte: LettureSconclusionate

mercoledì 20 giugno 2018

"Redenzione", Paco Ignacio Taibo II - La Libertà senza Storia non vale nulla...

Fonte: Recreaction

Altro titolo che mi ha accompagnata a Maggio, oltre a quello di Tricoli che doveva uscire venerdì e invece è stato pubblicato sabato, è quello di Paco Ignacio Taibo II, che per comodità della qui semplice lettrice chiameremo solo Paco altrimenti ci metto mezz'ora a scriverlo. La "redenzione" di cui si parla oggi è cosa potenzialmente breve, sono 123 pagine,con dei capitoli altrettanto brevi, ma, come avviene per il precedente libro "L'ombra dell'ombra", è un libello denso e anche un tanto malinconico che nasconde fra le sue pagine delle descrizioni bellissime di Napoli e una serie di considerazioni che sembrano avulse dal personaggio che le pronuncia e più appartenenti a chi, per lui, le trascrive. Paco, alla presentazione a Roma dice che per scrivere questo libro ci ha messo 15 anni, e lo fa scrivere  anche in calce al testo, spiegando agli spettatori ammaliati di Casetta Rossa, che solo per lui ho visto avvolta nel silenzio più totale, che il motivo è legato al fatto che è stato difficile tirarla fuori al personaggio principale perché non era una storia che si poteva narrare partendo semplicemente dall'inizio.

E in effetti è così, il racconto che ci si para davanti comincia sia in Messico e sia a Napoli in due tempi distinti, l'inizio e la fine del '900. In mezzo c'è Lucio Doria, l'ennesimo nome cambiato; di certo c'è che ha 93 anni, che ama la musica classica e che ha visto la storia del novecento tra i paesaggi e sotto il sole messicano. È napoletano e lì sta ritornando per la prima e ultima redenzione. Lucio, con un altro nome e anche con altri occhi, era stato fra quelli che erano sbarcati in Messico sotto dittatura di inizio '900. In virtù di uno scambio culturale, viene data ai contadini emigrati dall'Europa terra, semi, animali e armi per poter coltivare delle terre che sono state sottratte agli indios. Peccato che chi li accoglie non sappia che quel gruppo di italiani appena sbarcato non abbia mai visto un campo da coltivazione e, nemmeno, che abbia una visione completamente diversa della vita. Tra loro ci sono artisti, filosofi, poeti, ragazzini e un prete fuori dal comune. La Storia a volte, anzi sempre, non va come uno si aspetta che vada e per quanto tu possa pianificare, c'è sempre quell'insignificante dettaglio che cambia la natura delle cose e degli eventi.

Non saprei dire il perché mi capitino sempre queste storie che sembrano leggere e che invece nascondono grandi massime. O, meglio, so perché ho comprato questo libro, ovvero il suo autore, ma non so perché guardando alle recensioni degli ultimi tempi pare che io legga solo di questo genere di lavori. 
In questo caso la Storia di cui si parla, fa da sfondo e da crocevia per i personaggi e le vicende qui narrate; l'autore che l'ha scritta è una sorta di romanziere aggiuntivo che si inserisce in un contesto già articolato piazzando qui e lì dei pensieri come una sorta di testamento diretto a coloro che leggeranno. Il "non permettere che ci dimentichino" raccomandato dai prigionieri dei Gulag degli stranieri ad Herling sembrano identici alle richieste che, i personaggi, fanno a Lucio Doria .
E il male che qui si narra è come il, passatemi il termine, "culo" del governatore che dichiara ai giocatori se in mano lui abbia una pessima serie di carte. È il male di una dittatura che, anche in questo caso, come nel precedente libro, pur di conservare il proprio diritto al sopruso, non è in grado di guardare a quello che decreterà la sua fine. Lo dice direttamente l'autore "Perché da buon porfirista, sapeva che i poveri erano necessari, soprattutto per guardare i ricchi da lontano". Ed è lo stesso male di cui tutte le dittature si nutrono nel perpetrare l'annientamento delle comunità e delle culture preesistenti.

E' una storia surreale quella di Redenzione dove, in un mondo blindato arriva l'utopia della libertà e dove, una volta ottenuta, questo valore, si svuota del suo significato perché non esiste più chi ha combattuto per ottenerla. E' un messaggio chiaro che ti appare quando il quadro è completo. Ed è proprio in quel momento che la redenzione cessa di appartenere solo a Doria e diventa di tutti dando un senso anche alla necessità della conservazione della Storia stessa in maniera organizzata e con uno sguardo serio, al netto delle proprie convinzioni. Perché la Storia, filtrata da una revisione non avulsa dal coinvolgimento personale di chi c'era o ne ha sentito parlare, cessa di essere tale e diventa chiacchiera, cambia di stato, di significato e anche di morale. Doria passeggia per Napoli e sopra la sua testa si rincorrono le chiacchiere fra una stesa di bucato e una sigaretta accesa sul terrazzo. Le donne che commentano e trainano la storia dove si potrebbe arenare, hanno bisogno del continuo confronto fra loro per non deviarla definitivamente dal vero svolgimento dei fatti e così le chiacchiere si sovrappongono una sull'altra, divergono colorendosi di piccole cattiverie come se l'autore del libro avesse il suo bel daffare a tenere a bada il suo coro.

Probabilmente è proprio questo che mi piace di Paco. Lo scorso anno diceva che è necessario rimanere distanti dai personaggi e che lui non si riflette mai in nessuno di loro. Ecco, mentre l'altra volta storcevo un po' il naso perché pensavo che almeno un personaggio gli somigliasse, in questo lavoro finalmente vedo quello che lui dice con tanta forza. Sembra proprio di vedere Lucio Doria che storce il naso le poche volte in cui si intravede l'autore e le sentenze-testamento di cui sopra; queste ultime sono dei castoni visibilissimi e sono così perfetti da rendere necessario persino a me, che non lo faccio da anni, di sottolinearli (a matita!) e di trascriverli in un punto dove io possa ritrovarli spesso.
Un altro bel libro che veramente si lascia leggere bene. Non costa tanto, ma solo per come è scritto è davvero un piccolo gioiello.
Buone letture,
Simona Scravaglieri

Fonte: LettureSconclusionate

sabato 16 giugno 2018

"Lo scemo di guerra e l'eroe di cartone", Alberto Maria Tricoli - La guerra degli ultimi...

Comune di Sant'Alfio
Fonte: Tipycal Sicily


Io lo so che quando rileggo le recensioni finisce sempre male, non sono arrivata nemmeno alla seconda riga, ho dato due volte il tasto a capo e ricomincio da zero. Succede. Perché in questo caso devo fare una premessa: in fondo al libro di oggi, troverete una puntuale descrizione della metafora su cui è costruito questo viaggio duplice, ma io ammetto, seppur d'accordo sul momento, io però l'ho vissuto al buio e in tutt'altro modo ed è così che scelgo di raccontarvelo.
Il libro di oggi è un puntualissimo ritratto di un'epoca, di cui tutti oggi paventano il ritorno senza nemmeno conoscerla bene, che fa da sfondo ad un modo fantastico ma con tutte le caratteristiche della realtà che narra di una comunità, quella siciliana, prima ancora di quella del Sud Italia. In questo palcoscenico ideale, ambientato in un paese di fantasia e in particolare nella sua piazza, muovono i passi e partono tutte le storie di cui sentirete narrare in queste pagine e che sanno perfettamente che tutto quello che ha inizio in un luogo, nello stesso posto, troverà la sua naturale fine.


C'è una piazza, abbiamo detto, è tutta nuova e ben fatta ma manca la statua della Madonna. Questo non dovrebbe essere un problema, ma per un mondo in cui superstizione e religione spesso si fondono, questo è invece importantissimo; è come se il paese non avesse più protezione e, nei tempi di cui si narra, la protezione divina fa la differenza. Le voci che tu sentirai in questo libro viaggiano fra stradine piccole, si rincorrono una con l'altra come le folate di vento e cercano una via d'uscita più ampia in cui disperdersi come i campi che circondano Vazzaria. Da qui partiranno Liberto e Calogero uno per onor di patria e l'altro per onor di amicizia. Si conoscono sin da ragazzini e come un padre Calogero parte con la voglia di proteggere l'amico, mentre quest'ultimo, seppur rassicurato dalla sua presenza, è focalizzato verso obiettivi diversi: la patria, l'onore e l'amore. Insieme sono al fronte in Africa e insieme cercano di sopravvivere in attesa dell'arrivo dei nazisti a supporto e aiuto. Parallelamente c'è anche un viaggio di ritorno, verso Vazzaria che si svolge anche in tempi diversi che vede Niria e un nugolo di uomini che cercano un luogo sicuro in cui rifugiarsi cercando di sfuggire ai nazisti e contemporaneamente al fuoco alleato.



Sono due storie che vanno in direzioni diverse e contrarie, ma sono storie "umane" in cui natura e uomo sono dalla stessa parte in un estremo atto di conservazione contro gli invasori alleati o no. Dolore, solitudine, mistero, paura, ironia, stupore, divertimento sono tutte emozioni che vivrete in queste pagine e che, come le storie di cui sopra, si presentano contrapposte e comunque verosimili, pagina dopo pagina, rendendo i protagonisti, eroi di carta oppure no, reali, tangibili e soprattutto umani. Non c'è giustizia nella guerra, da nessuno dei due lati della barricata, non c'è onore nell'uccidere qualcun altro, non c'è speranza in ideali di carta. Ma in un mondo come quello della guerra, l'onore, la giustizia e la speranza viene data dai singoli che, al netto delle fazioni o delle casualità, fanno la differenza nel piccolo momento in cui hanno l'opportunità di essere eroi. Azioni che non conosceremo, di cui non sapremo nulla perché rimaste nei campi di battaglia e cancellate dai morti o dallo straziante rientro dei feriti o dei prigionieri.



Quali sono quindi i fattori di forza in una storia dalle tinte così contorte e complesse? Che sono storie semplici, leggere, nel loro trattare temi forti; le pagine scorrono senza soluzione di continuità e i paradossi allentano le tensioni eccessive o lo fanno le battute dei personaggi qui e lì, forti di quella ironia tutta siciliana e di paese che sa rendere anche la situazione più al limite in fondo sopportabile o almeno gestibile perché sempre, che la Madonna ci sia o no in piazza, la provvidenza c'è. E anche per quelli che lasceremo la provvidenza ci sarà, perché ricordiamoci che è sempre una questione di punti di vista, come avviene anche all'osteria di paese in cui le storie si raccontano e cambiano morale a seconda della fede politica di chi le racconta. Un'altro fattore di forza è che ci ricorda che, indipendentemente dal colore delle camice, la guerra non la fanno quelli che stanno in alto, quelli che la storia relega al ruolo di famosi e che ricorda agli alunni a fine anno. Questa è una storia fatta di piccoli atti eroici e proprio per questo, nonostante quelli che lasceremo indietro, alla fine ci lascerà un buon sapore in bocca.


A questo, oltre la ricostruzione storica così precisa, si aggiungono momenti di ironia in cui il carattere cervantesco pervade ogni storia, anche quella che gli assomiglia di meno. Facendo perno su quelle verità che poco si raccontano, sugli uomini del sud, poveri, sui quali l'Italia ha contato per mandarli in prima linea, poco formati ed equipaggiati, affamati e insicuri, armati solo di armi della prima guerra mondiale e di pessime frasi d'incitamento, Tricoli amplifica quello che fu l'onore che li distinse agli occhi degli inglesi. In questo spazio c'è un saggio recensito che racconta dello stesso onore in frangenti diversi ed è quello di Andrea Santangelo "Operazione Compass. La Caporetto del deserto" (Salerno Editore) ed è straordinario ritrovare le descrizioni di uno storico che diventano quasi reali tra le righe di un romanzo scritto in altri tempi. Uomini che in fondo erano gli ultimi e mai trattati come eroi che fino all'ultimo fiato combattevano per una patria che li aveva affamati e lasciati soli.
E nel crescendo che dall'inizio si comincia a gonfiare, l'apice arriva poco prima della fine. Perché prima? Semplicemente perché, in fondo a questa storia non importa raccontarvi di guerra ma degli uomini, dei loro viaggi e delle loro solitudini. Vuole parlarvi del momento in cui anche un gesto come assicurarsi che l'accendino ci sia, può essere un modo per dirsi che va tutto bene e che a casa si tornerà presto. Ci sono viaggi che nascono per piacere e altri che ci sono imposti, ma l'avere ben chiaro dove si vuole tornare è sempre un buon modo per rimanere vivi, fisicamente o oppure no, non importa.


Un libro dannatamente bello quanto complicato da raccontare senza fare spoiler ma sicuramente da leggere. E regge le distanze bene perché nel rutilante mondo del "IL maggio dei libri" me lo sono portato in ogni dove nella speranza di avere cinque minuti per finirlo. Inutile dire che li ho avuti molto dopo ma, in fondo, è meglio così non me lo sarei gustato così bene.

Buone letture,

Simona Scravaglieri





Lo scemo di guerra e l'eroe di cartone
Alberto Maria Tricoli
Edizioni Spartaco, ed. 2018
Collana "Dissensi"
Prezzo 10,00€

Fonte: Letture Sconclusionate

mercoledì 13 giugno 2018

"Il Canaro", Luca Moretti - Delle mille sfumature dell'onore...

Fonte: Scena Criminis

Per quelli che mi conoscono la lettura della storia del "Canaro" non deriva direttamente da percorso multimediale postato qualche settimana fa su Marco Giallini, anche se tange almeno per il luogo e per una citazione di Franco Giuseppucci -alias "il negro"- della banda della Magliana (cosa che ho scoperto peraltro ieri sera prima di leggerne il nome nella storia di cui parliamo oggi guardando del tutto casualmente, uno speciale di La7 su Massimo Carminati). Io, al Canaro, ci sono arrivata grazie al mio libraio, della Libreria Adeia, che ha tolto il segnalibro dal libro che stava leggendo e me lo ha porto dicendo "Lo devi leggere!". 
L'ho acquistato con la promessa di leggerlo al più presto e dal 19 Maggio l'ho aperto questa settimana. 
Della fine degli anni '80 io ho pochi ricordi, il più forte è quello dell'87: ricordo mia madre che, inspiegabilmente si presenta a scuola verso le dieci per riportarmi a casa. Ricordo la fatica di cercare un modo per spiegare a me e a mio fratello che c'era stato un assalto ad un portavalori e che, nello scontro a fuoco con i rapinatori, erano morti due carabinieri, uno dei quali faceva di cognome "Scravaglieri". E siccome all'epoca quando facevano le radiocronache non erano così specifici nel dire il nome, non si chiamava come mio padre, il lavoro, mio padre non faceva il carabiniere e tantomeno  lavorava nei dintorni della Portuense. L'ansia dei miei era concentrata a tranquillizzarci e a tutelarci. Quindi io, del Canaro, il Pugile e altro non sapevo proprio nulla. E con questo spirito, ovvero la mera curiosità, ho aperto questo libello di RedStarPress di 123 pagine che, per questioni di vicende, non sono esattamente una passeggiata di salute.

Contestualizziamo. Siamo nel quartiere della Magliana, una sorta di inferno, quello da cui nascono tutti i quartieri popolari fatti di gente che viene un po' a dovunque. Un collega di ufficio mi ha spiegato che i primi progetti risalgono dallo sgombro massivo fatto per aprire la strada che va dal Colosseo all'Eur, per il quale, le case venivano buttate giù e la gente veniva messa in alberghi, rossi per chi avrebbe avuto al più presto un nuovo alloggio e gialli per chi sarebbe stato in attesa un po' di più. Poi era venuto il fascismo, poi la guerra, poi il boom economico e alla fine l'arrivo dei palazzinari. 
Quello che prima dietro aveva un progetto, divenne poi luogo di sfruttamento e di deriva sia dei romani che cercavano un'altra vita e sia di chi arrivava senza arte e né parte a Roma e finiva comunque lì in cerca di un alloggio di fortuna. Dalla Magliana, una volta entrato, pare sia difficile uscire. È come fosse un grande paese dove tutti si conoscono e sanno che fa uno o l'altro ma tacciono, non tanto per senso di omertà ma di sopravvivenza. Il Canaro arriva in questo mondo da adolescente. Studia lavora, si fa persino assumere in Enel e conquista quella che sarà sua moglie e l'amore di tutta la vita. Vivono insieme e si sposano. Ma lui ha un caratteraccio, è un uomo mite e tranquillo, ma che scatta facilmente. Non gli piacciono le prediche e i soprusi. Quando finalmente trova la sua definizione, nel negozio di toeletta per cani, il Canaro ha fatto tutta una serie di furti per trovare i soldi per aprire l'esercizio commerciale ma il suo lavoro impara a farlo talmente bene che la gente comincia ad andare a portare cani con piacere. È con la comparsa del Pugile, il suo continuo sfottò, la violenza che il Canaro incamera rabbia cui non da sfogo per amore della sua famiglia. Ha un segreto, lui e la droga si conoscono quel tanto che gli basta a rimanere tranquillo e mai troppo per non dare nell'occhio neppure a sua moglie. 
Ma alla fine non ce la fa più. E la sua vendetta si consuma mettendo fine alla vita del suo aguzzino. 

C'è anche molto altro in questo libro ma questo ve lo dovete leggere da voi. Per quanto mi riguarda però questo avoro non avrà un'alta votazione perché ha due pecche evidenti. E' vero, è narrato in prima persona e l'autore ci tiene a far dire più e più volte che in carcere il Canaro ha letto molto e in parte ha anche studiato grazie al "Professore" che lo ha anche istigato a scrivere come unica forma per capire a fondo quel che ha fatto e venirci a patti. Ma la forma in cui è scritto questo libro a tratti gli dona una voce troppo elevata, quasi poetica, che stride non poco con il modo con cui il Canaro si racconta. Si vede che non è scritta per essere raccontata in prima persona e questa dicotomia rimane dalla prima all'ultima pagina. La seconda pecca è invece nell'unico capitolo che racconta della violenza. Il Canaro fa più dichiarazioni davanti a chi lo arresta, sotto evidente effetto degli stupefacenti, e a queste ne aggiunge una serie successiva che risente delle evidenze che gli sottopongono magistrati e avvocati in cui le 7 ore di sevizie, che sono tanto piaciute ai giornalisti, si ridimensionano all'esame autoptico in un'ora circa. Il capitolo in questione è dedicato alla prima versione ed è talmente pedante nella descrizione dei particolari da vanificare quello che sembra essere, fino a quel capitolo, l'obiettivo dell'autore di questo libro, ovvero una "storia di una vendetta". La storia della vendetta si perde nella violenza e ai più non rimarrà uno spaccato di due vite dannate e rotte che si incontrano e da cui uno ne esce morto, cosa che fino a quel punto, è chiara, evidente e ben documentata, ma rimarrà solo la violenza. Nemmeno tutte le fasi della vicenda processuale riescono a bilanciare quel capitolo, che ha una forza a sé talmente pesante da rimanerti negli occhi per parecchio.
E questo è un peccato, perché se l'esempio di Gomorra (il libro e non il film o serie o altro) ha insegnato qualcosa, è evidente che qui, quell'insegnamento è andato perduto e si è tornato al sensazionalismo di cui si fa condanna nella seconda parte del libro. Ti rimane solo un capitolo di pura violenza.

Ha tuttavia dei punti di forza che si trovano nella ricerca delle radici di dannazione di queste due vite: il Canaro non è un santo, ma nemmeno un carnefice. Nasce e cresce in una condizione disagiata senza esempi autoritari che ne forgino il carattere e che limino gli spigoli. In un contesto diverso, in una famiglia diversa e presente, con un'adeguata formazione scolastica avrebbe sicuramente saputo opporre altri mezzi alla vendetta nuda e cruda e non avrebbe pensato a sé stesso con orrore mentre veniva attaccato davanti alla propria figlia, ma avrebbe pensato con orrore all'impossibilità di proteggerla. Sono sfumature, ma sono quelle in cui di percepisce un senso dell'onore, anche se non di tipo mafioso, deviato in cui "l'onore" del padre deve essere rispettato davanti agli occhi della propria prole ed è dello stesso stampo dell'onore che si combatte nelle beghe di quartiere fra bande o allo stadio.
Stesso trattamento di attenzione è anche dedicato nel presentare il Pugile, al netto delle molteplici dichiarazioni della madre. Un ragazzo che era compromesso non tanto dalla sua dipendenza ma dalla sua necessità di essere riconosciuto come un uomo da rispettare. E il suo onore lo cerca nei simboli di un'era che, come Pasolini diceva nelle sue riflessioni sui cambiamenti sociali italiani, si piegava ai modelli americani insinuandosi nello strato della borghesia e creando modelli cui bisognava appartenere per farsi riconoscere socialmente (Scritti Corsari, Garzanti). Anche l'onore del Pugile è un onore malato e sbagliato, che si fonda sulla continua esigenza di essere, e non si limita solo al possedere oggetti ma anche nel consumare le droghe della borghesia, ed è un onore che ha bisogno di tanti soldi per essere mantenuto in vita. 
In questa ricostruzione quindi non si prescinde dai loro lati buoni e non si scende in un facile pietismo sulle ragioni di uno o dell'altro. Si rimane equidistanti analizzando i fattori che hanno contribuito alla creazione di un evento che ha a lungo diviso l'opinione pubblica e anche la giustizia, in particolare sul come "porsi" di fronte alla questione e sulle eventuali attenuanti di cui tener presente.

L'altro pregio è dato dalla ricostruzione di un ambiente, come quello della Magliana, non solo nei suoi palazzoni ma anche nel vero e proprio contesto in cui si muovono i protagonisti di questa storia. Il senso di un mondo della fine del '900 che oggi sembra lontano anni luce dal nostro e che però viveva secondo dinamiche che ancora oggi sono in uso e che si ripetono dalla notte dei tempi. La conoscenza, la necessità di dare un nomignolo per sapere sempre di chi si sta parlando, l'anonimato e la necessità dello scoop a tutti i costi, la pressione dell'opinione pubblica e l'utilizzo della macchina dei media per dare e avere vendetta. Tutto questo è reso perfettamente, ogni personaggio viene spiegato nelle sue caratteristiche principali come vengono spiegate le sue azioni e i suoi comportamenti.

Libro da leggere, dunque? Sì, tenendo conto del capitolo in questione che si può spizzicare saltando le descrizioni più truci almeno per chi non riesce a sopportare in scioltezza la violenza, e avendo ben presente per tutto il libro che "Storia di una vendetta" non è guardare solo alla violenza ma a come nasce e quello che poi pregiudica la scelta stessa di vendicarsi.
E' sicuramente una storia da conoscere, al di là dei trafiletti sensazionalistici, e alle ricostruzioni filmiche, che per gli stessi motivi degli articoli dell'epoca, potrebbero non avere gli stessi approfondimenti sociali e culturali che qui, invece, vengono perfettamente spiegati.
Buone letture,
Simona Scravaglieri

IL CANARO
Magliana 1988: storia di una vendetta
Luca Moretti
RedStarPress, Ed . 2018
Collana "Tutte le strade"
Prezzo 13,00€  

Fonte: LettureSconclusionate

venerdì 8 giugno 2018

"La Dora dei miei sogni", Massimo Torre - Una delizia...

Massimo Torre
Fonte: Critica Letteraria

Non credo sia possibile dire quante volte Mauro Sardonico abbia invocato il nome di Dora in questa vicenda. Ma una cosa è certa: Massimo Torre, che è l'autore del libro di cui parliamo oggi, la magia l'ha fatta un'altra volta. Ha creato una deliziosa ed elegante commedia, inserendola in una tragedia, circondandola di tutta quella ironia partenopea necessaria per raccontare un giallo fuori dal comune che reggesse dalla prima all'ultima pagina. La "delizia" nasce da questo continuo passaggio fra realtà e sogno, fra l'incastro di situazioni surreali che suggeriscono la realtà e di quelle che in realtà sembrano quasi dei sogni. Non sai mai dove sei, ma sai che non sei da solo e devi solo capire quale sia la natura di ciò che ti fa compagnia. L'esperimento riesce grazie all'ironia, che pervade in ogni dove, e al sapiente utilizzo degli spazi nella rappresentazione scenica descritta dall'autore. 
Mettiamo un po' di ordine.

C'è un assicuratore che si chiama Mauro Sardonico. In passato ha fatto anche l'attore ma, oppresso da dicerie e maldicenze messe in giro da qualche -mi si passi il termine perché ci sta- "scostumato", Mauro ha dovuto lasciare tutto per trasferirsi e non esser più oggetto di sguardi malevoli. È tornato da un po' ed è molto apprezzato dalla società per cui lavora. Lo è di più da qualche tempo, ovvero da quando si è inventato un'insolita polizza sulla vita. È vero, all'inizio l'Algido, il suo capo, non è che l'avesse capita così bene, anzi pure più su di lui erano un po' perplessi. Va bene, è vero, erano perplessi pure i possibili assicurati, ma poi Monica Pellizzaro, una cliente e anche una amica, aveva deciso che sì, valeva la pena sottoscriverla. Dopo di lei erano venuti molti altri e gli introiti della società avevano fatto sorridere molti lassù al vertice. Ma non è questo il punto.
Il punto è che un bel giorno Monica viene ammazzata. Eh, signora mia, son cose che succedono! Ma se i morti diventano due assicurati, poi quattro e via dicendo... la casualità comincia un po' a stare stretta e se poi gli indizi trovati sulle scene del crimine sembrano tutti ricondurre all'assicuratore, ecco che i problemi si fanno seri.
Ma Mauro non se ne fa cruccio, forse perché non se ne accorge proprio, anzi lo sa ma gli importa poco, perché lui si è innamorato alla cassa del supermercato con il commento di una nonnetta infame e impicciona che si infila ovunque nei suoi sogni, per disturbare i suoi incontri con Dora, la sua adorata Dora!
E poi non vi racconto altro che ve lo dovete leggere da soli!

Quello che ho apprezzato in precedenza della scrittura di Massimo Torre qui, a quanto pare, trova la sua massima espressione. E' un autore in grado di gestire un numero elevato di personaggi senza perderne nemmeno uno. Ognuno fa parte del quadro generale e ognuno è visibile. Torre, infatti, immagina e descrive la scena come un vero regista inquadrandola in spazi che visualizza e fa visualizzare con quinte scenografiche di palazzi oppure oniriche con la nebbia oppure costituite di persone. Questo non solo gli permette di dar risalto all'azione ma anche a chi compare in scena in quel momento. Ma la situazione diventa ancora più interessante se questo gioco di inquadrature si svolge su due piani ovvero uno reale e uno sognato. Come un perfetto puparo, nel momento un cui è in scena, prende e riprende le sue creazioni usandole e rimettendole al loro esatto posto così da avere tutto sotto controllo.
C'è una storia complessa e sarebbe stato facile svolgerla quasi tutta in mondi bui, dopotutto è un giallo ma, come fece per Pulcinella, Massimo si avvale della piazza dove va in scena la vicenda per arricchirla di ulteriori particolari. Con lui la storia privata non esiste, perché nei luoghi di cui parla una vita è sempre affare della comunità. Così Sardonico lo conoscono tutti, magari non se lo ricordano nel suo passato chiacchierato, ma oggi sanno tutto. E in un mondo dove tutti sanno è difficile riuscire a gestire un mistero. La scoperta di questo o quel morto passa di bocca in bocca, sembra quasi di sentire i commenti al bar con il giornale del paese. 

A questo si aggiunge una corposa costruzione di fantasia, che per quanto mi riguarda, trova il suo apice nel carcere trasparente che solo per come è costruito, meriterebbe un libro a parte; sarebbe un libro distopico che probabilmente porterebbe ad una nuova concezione dell'impatto e del valore, nonché dell'idea che fa da deterrente, della pena detentiva. In ogni particolare vero, ovvero corrispondente alla realtà, o inventato (sogno), Mauro Sardonico, con la spintarella di Dora e con qualche intuizione o grazie all'avvocatessa, alla fine trova una ragione e un motivo d'essere, e vi assicuro che Torre da solo non si è reso la vita facile! Sardonico è un uomo è profondamente umano e normale. E' l'uomo della porta accanto, quello che tutte le mattine esce vestito di tutto punto per andare in ufficio. E' anche un bel tipo, ma lui sogna altro e in quello si perde non desiderando nessuna di quelle che invece vorrebbero essere considerate. Fino a quella notte, in sogno, alla cassa. Dora per contro, sembra un po' la donna idealizzata. E' pratica, è scevra da quella che per molti uomini è la connaturata e molto femminile propensione alla facile arrabbiatura; lei vede, riferisce e spinge e nel caso si arrabbia per stimolare il suo amato a risolvere una situazione che gli sta sfuggendo di mano. 

Il giallo c'è e dubito che qualcuno arriverà a risolverlo prima dell'ultima pagina scoprendo chi è l'assassino ma, tranquilli, vi divertirete così tanto stando dietro a quest'uomo, a cui ne capitano una dietro l'altra, che arriverete alla fine senza aver avuto bisogno di cercare indizi, che in parte sono in bella vista... ma voi eravate impegnati a ridere e non ve ne siete accorti.
Un libro davvero godibilissimo, con un pizzico di follia, che sarebbe un peccato perdere.
Buone letture,
Simona Scravaglieri

La Dora dei miei sogni
Massimo Torre
Giulio Perrone Editore, ed 2018
Collana "Hinc"
Prezzo 16,00€


Fonte: LettureSconclusionate


mercoledì 6 giugno 2018

"L'amore all'inizio", Judith Hermann - La voce a volte è tutto...

Interni della cappella di Ronchamp di Le Corbusier
Fonte: Progetto casa


Diciamocelo: questo libro io l'ho finito nel corrispettivo di tempo di un pomeriggio. Quello che mi ha rapita è il modo in cui è scritto, quello che mi ha affascinato è il crescendo della storia dosato alla perfezione e quello che mi rimarrà è il coro di coloro che guardano da fuori a questa vicenda quasi fossero degli spettatori con diritto di parola. Quando penserete al libro di oggi dovete aver presente progetti come quelli in foto dove la luce è l'unica decorazione perché la realtà è talmente piena di particolari da non aver bisogno di orpelli e dove ogni cosa sembra stare al suo posto ma, è evidentemente spostata dalla posizione che dovrebbe occupare. Quella di oggi è la storia di un crescendo che si realizza nel profondo declino di due anime che hanno in comune l'ossessione: da un lato c'è chi la coltiva e diventa uno stalker, a volte consapevole, dall'altra chi la subisce e che perde le parole per descriverla.
In mezzo c'è questo coro di assenti fisicamente, all'atto pratico, ma che hanno sicuramente tutti un punto di vista, riguardo alla situazione e alle azioni da intraprendere completament, e diverso fra loro.

Lei è Stella e aveva paura di volare e lui è Jason che l'ha aiutata, non conoscendola, e poi l'ha anche sposata. Dal loro matrimonio è nata Ava che però il padre non lo vede così spesso come vorrebbe. Lui lavora lontano e torna solo ogni tanto perché lavora ad un progetto ubicato lontano dal quartiere residenziale in cui i suoi genitori hanno deciso temporaneamente di stabilirsi. Quello, il quartiere, è un affare strano: tutta un'intera strada costeggiata, da entrambi lati, da villette tutte potenzialmente uguali ma tutte diverse grazie alla personalizzazione del proprietario. C'è la studentessa che affitta le stanze, il meccanico e finanche la famiglia cinese. Stella sostiene che il quartiere dove abita è un quartiere strano perché nonostante si sappia dell'esistenza degli altri alla fin fine non si conosce nessuno, ma il giorno che riceve una citofonata strana sa perfettamente che Mr Pfister non può essere di una delle case vicine, ma viene da un po' più lontano. Stella però, sebbene sola, ha una sequela di persone che popolano sua vita: c'è la vecchia coinquilina con cui si scrive ogni giorno, c'è Paloma, il suo capo, sempre pronta ad ascoltare, Esther, scostante e capricciosa, anziana che assiste e che è sempre sola un po' come Walter affetto da una malattia che lo porterà presto alla demenza, anche se è ancora giovane, mentre Judith non parla più, nemmeno a Dermot, il marito che la ama sopra ogni cosa, probabilmente perché sente l'odore della morte dietro l'angolo.

E' complesso raccontare una storia così bella quando te ne sei innamorata dalla prima pagina. Ma la voce narrante è talmente scostante rispetto alla storia, è una voce contemporanea, rude e a tratti asettica da sembrare l'unica forma possibile di narrazione tanto è ben inserita in un contesto che richiede questo suo stonare con l'insieme. Questo a sottolineare una storia antipatica, una di quelle che come dice Paco Ignatio Taibo II sono un po' restie a lasciarsi rappresentare e si svelano pian piano, tirandole fuori a chi le racconta, con le pinze. E questa necessità di sapere che ti spinge a seguire pagina per pagina lo svilupparsi della vicenda,  e che ti rende necessaria tutta la storia. E' una voce che ha i volti di tutti quelli che vivono, da fuori, la storia che mano a mano si svela: è diretta e senza mezzi termini come Esther ma a volte in silente in attesa degli eventi come Walter, un po' dimessa come Julia e raramente gentile come Dermont. A tratti sembra distratta come l'ex coinquilina di Julia e sicuramente risente dell'influenza di Jason che da lontano guarda con preoccupazione a sua moglie.

È in queste milioni di sfumature che ti devi concentrare per non perdere il punto, ovvero la nascita dello stalker, è qui che devi distaccarti dai possibili significati che Stella da alla vicenda che vive da quella maledetta mattina. Devi fare attenzione al ritmo in crescendo che segue la crescita dell'ossessione ma anche al senso di abbandono che la protagonista vive, la sua impotenza e la sua paura, che sono palpabili quasi tridimensionali nella loro rappresentazione. Solo allora questa storia diverrà più di una semplice storia ma esperienza vera e diretta che, seppur piacevolissima lettura, ti ha raccontato di cose terribili.
Libro davvero magnifico, gestito con un'eleganza e una maestria che pochi riuscirebbero a dimostrare in lavori similari. L'attenzione alla deriva, alla solitudine sono solo alcuni dei particolari di un grande quadro, rotto da un'anomalia, sviluppato minuziosamente che lo rendono non solo un lavoro contemporaneo fuori dal comune ma anche donano al tutto un'eleganza e una raffinatezza nella rappresentazione che pochi immaginerebbero di trovare in storie del genere.

Primo L'Orma Edizioni e a questo punto non credo resterà l'unico (come se non
seguissi già abbastanza editori!). Consigliatissimo!
Buone letture, 
Simona Scravaglieri

L'amore all'inizio
Judith Hermann
L'orma edizioni, Ed. 2018
Traduzione a cura di T. Ciuffoletti
Collana "Kreuzville"
Prezzo 16,00€


Fonte: LettureSconclusionate


domenica 3 giugno 2018

Dalla sòla ad adottare una parola. Cronaca del perché i libri brutti ci aiutano ad apprezzare la lingua italiana... #BlogNotesMaggio

Fonte: Mental Floss

La sòla a Roma è il paritetico del "bidone" per buona parte dell'Italia. Si dice "Mia hai dato la sòla l'altro giorno, non sei venuto", leggi "mi hai dato buca all'appuntamento", o si dice "Sei un sòla" e si intende che non sei un tipo affidabile o anche che "un libro è una sòla" per dire che è un pessimo lavoro. Ci abbiamo fatto anche dei lunghi pomeriggi a parlare di sòle. Il succo di quegli eventi era che, se da un lato dei libri non sono nelle nostre corde, e noi li reputiamo una fregatura e magari per altri sono capolavori, oppure sono davvero delle sòle universalmente riconosciute, in generale le sòle sono quelle di cui si parla di più e di cui si legge di più e a volte sono veri best seller di cassa in libreria (Ci sono un sacco di sòle in queste frasi ne sono cosciente!). Nella mia esperienza di blogger, quando aprii questo spazio, come dicevo nel post di venerdì scorso su Giallini, cliccai per frustrazione e noia, ma una cosa l'avevo ben chiara: se di libri si doveva parlare qui, si sarebbe scritto sia di quelli belli che di quelli brutti e il motivo è presto detto. All'epoca di Blog che parlassero di libri brutti ce n'erano pochi ed erano molto piccoli, quindi trovarli era un'impresa. ALT: per tutti i blogger che non parlano delle fregature che hanno preso c'è un inciso, e prima di dire qualsiasi cosa o sbuffare continuate a leggere. Il problema all'epoca non era "selezionare di quello di cui si parlava" ma presentare tutto, indipendentemente che fosse bello o brutto, come un capolavoro. Da lettrice di blog, le fregature che ho preso non si contano nemmeno e, no, qui non sono citate perché molto antecedenti alla nascita di questo spazio.

Sebbene si possa pensare che qui di sòle ce ne siano tante, perché io ne parlo, non è così e un motivo c'è: trovo educativo e divertente leggere sòle ma non è un mio diletto buttare i soldi dalla finestra per "educarmi a leggere meglio". La sòla ha questo di buono, dopo aver letto una sequela di libri che abbiano un'attenzione quasi maniacale alla struttura e alla lingua, alle frasi dette e stradette o a luoghi comuni, il libro-fregatura ti permette di esercitare il tuo italiano divertendoti. 
"Si buttò nel divano" cos'è ha sventrato un divano e ci è entrato dentro?    
"[...] Inserì l'anello nella teiera tremante [...]" e non era Alice nel paese delle meraviglie, e nella realtà le teiere tremano solo se c'è il terremoto!
"Scese nello scantinato buio a cercare l'angolo più buio" si commenta da solo e via dicendo.
Se in questo momento state pensando che a riconoscere queste "anomalie" sia solo una che se ne intenda per mestiere, la risposta è no, per mestiere, intendo quello che mi paga le bollette, io non mi occupo di letteratura ma di soldi. 

Ma c'è differenza nel leggere:

Ti sento sempre più vicina a me, la tua presenza non mi lascia mai. In te ho trovato la misura per tutte le donne, anzi per tutti gli esseri umani: attraverso il tuo amore, la misura per la sorte di ognuno.


Dal leggere questa dichiarazione di amore (chiamiamola così ma io ad una cosa del genere avrei sparato un ceffone e me ne sarei andata!) di Mitchell alla sua Esme:

«Mitchell, sei sicuro?»

«Sì, sono sicuro. Avevo delle lacune che mi facevano male, Esme. Tu le colmi. Tu colmi tutte le mie lacune.»


Se il pensiero successivo di chi sta leggendo è "Eh, ma lei legge tanti libri quindi ha più possibilità di trovare errori" ecco anche questo non è vero. Ci si può educare a leggere meglio e aggiungo una cosa in più, statisticamente - dopo 300 e passa recensioni penso di potermi permettere di tirare fuori una statistica - leggendo un libro ben fatto si scrive e si parla meglio. La differenza fra le due tipologie di letture è che nella prima è inconsapevole, ovvero l'educazione al bel linguaggio è indotta dalla lettura, nel secondo caso è che tra una risata e l'altra eserciti l'occhio a guardare attivamente a quel che si sta leggendo. Ogni 10 libri buoni una sòla serve sempre un po' per esercitarsi e un po' per distrarsi ridendo: di solito hanno caratteristiche comuni, trame tutte uguali e che a pagina trenta sai già come vanno a finire, frasi fintamente epiche, svarioni in azioni o situazioni, grandi errori grammaticali. Esercitarsi a trovarli e a capire perché quel libro è una sola ci rende lettori migliori e consapevoli. Ci si può aiutare anche con dei libri: "L'importo della ferita e altre storie" di Pippo Russo o "Di grammatica non si muore" e "Peste e corna" di Massimo Roscia. Pippo Russo ci svela i limiti dei grandi autori amati e odiati dalla letteratura partendo da Faletti fino anche a gente come Scurati e Piperno evidenziando i limiti dei libri più conosciuti e chiacchierati. Roscia invece ha un rapporto divertente con la grammatica e le parole, nonché i modi di dire. Imparare le regole di una grammatica, come quella italiana, complessa e articolata, a volte può essere noioso ma con Roscia o Russo è, vi giuro, davvero difficile rimanere seri.

Perché fare questo percorso per diventare potenziali, perdonate il termine, "lettori cacacazzi"? E non fa figo esserlo, ve lo dico già, avrete al massimo il tipo di turno che vi commenta sulla bacheca quando dimenticate una virgola o sbagliate una frase giusto per farvi sembrare dei cretini al mondo. 
Intanto serve a riderci su, il personaggio di Faletti che valuta "l'importo della ferita" dopo essere stato colpito, fa davvero abbastanza ridere e poi per non perdere l'uso delle parole. Questo è il secondo motivo per il quale mi sono messa a scrivere recensioni. Lavoro in un mondo che parla per codici e se scrivo "all'uopo allego documentazione" passano mezza giornata a riderci su o se dici "dissento" di guardano come fossi una snob. Io amo le parole dal sapore antico perchè molto spesso hanno significati che noi oggi ci arrabattiamo a spiegare con milioni di parole che non compensano.
A tal proposito è ancora vivo un progetto, che può essere perfettamente inserito nell'HT di questa settimana che è #LinguaIdentità e si chiama: Beatrice La Dante, ma in origine si chiamava "adotta una parola"  . Al di là dell'adottare un termine per un anno, che significa tenerlo in vita e inserirlo alla bisogna nelle cose che si dicono, permette di scoprire un sacco di termini di cui si è perso l'uso o che proprio non si conoscono.

E siamo, attraverso tortuosi discorsi, alla fine della maratona di #BlogNotesMaggio e un po' mi dispiace perché ho letto un sacco di bei post delle persone che hanno preso parte a questo gruppo che ruota attorno ad un calendario settimanale. È stato un onore condividere con le vecchie e le nuove leve questo Maggio e mi auguro che le seguiate ancora perché tutte, nei loro blog e canali che seguono percorsi diversi e a volte simili, hanno la facoltà di donare alla passione per la lettura mille sfumature diverse e bellissime.
Ringrazio il MaggioDeiLibri per averci supportate e Laura Ganzetti di #BlogNotes Libri per averci incluse nel suo progetto.
Vi rimetto il calendario aggiornato, visto che è cambiata qualche data di pubblicazione, e vi ricordo che il nostro Maggio dei libri finisce stasera!



lunedi Valentina La Biblioteca di Babele
mercoledì pomeriggio Angela, Giovanni e io qui a Letture Sconclusionate
venerdì mattina Angela Cannucciari
domenica mattina con con me qui Letture Sconclusionate
domenica pomeriggio Giada su Dada Who


Vi invito a seguire sui social tutti i blog e i canali per rimanere aggiornati e in aggiunta vi segnalo anche il blog di #blognotes libri, il Tè tostato di Laura Ganzetti, Daniela di Appunti di una lettriceNereia di LibrAngolo Acuto, Maria Di Cuonzo, Andrea di Un antidoto contro la solitudine e Diana di Non riesco a saziarmi di libri e Paola Sabatini e Barbara Porretta di Librinvaligia

Buone letture,
Simona Scravaglieri
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