venerdì 26 ottobre 2018

“Era di maggio”, Antonio Manzini – Il duello della resa finale… #Marco Giallini #5

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https://letturesconclusionate.com/2018/10/25/era-di-maggio-antonio-manzini-il-duello-della-resa-finale-marco-giallini-5/

Buone letture!
Simona Scravaglieri

venerdì 19 ottobre 2018

"Non è stagione", Antonio Manzini - La storia nera della cronaca nera... #MarcoGiallini #4

Fonte: Mangialibri


Messaggio di informazione: a seguito delle modifiche mal gestite di Google, che continuano a complicarmi la vita, ho deciso alla fine di traslocare. LettureSconclusionate migra verso lidi, si spera con una migliore assistenza, più stabili e ricomincia con addirittura un dominio tutto suo. Il trasloco avverrà nel mese di Ottobre ma ci sono già quasi tutti i pezzi qui riportati e lo trovate qui:letturesconclusionate.com 


E nulla. A me, le correzioni, quando tocca riscrivere un post veramente bello, non riescono bene. Quindi ricominciamo: quando a settembre vi avevo detto che avevo fatto i compiti leggendo nel giro di poco tempo tutti i romanzi/racconti legati alla prima stagione di Rocco Schiavone, ho inconsapevolmente mentito. Me ne sono accorta la scorsa settimana mentre scrivevo questo post: mi era sfuggito "Era di Maggio". Il problema è dato dal fatto che se sulla carta i due romanzi sono molto legati, nella trasposizione televisiva lo sono ancora di più dando vita a tre episodi di particolare tensione, che un po' ribaltano l'effetto dei libri da cui sono tratti. Così ho dovuto scindere le considerazioni fatte in quell'ambito in due post separati.

Come di consueto l'inizio è un momento di presentazione: ci sono due loschi tipi che sono su un furgone e stanno percorrendo una stradina che costeggia la montagna. Chiacchierano, uno è italiano e l'altro rumeno, parlano animatamente di qualcuno da chiamare ma una distrazione fatale mette fine alla conversazione e alla loro vita. Buio. Siamo ad Aosta in questura, c'è  una chiamata della polizia stradale che chiede supporto perché c'è stato un incidente con due morti e il problema non sarebbe quello, ma che il furgone è di proprietà dell'italiano che lo guidava, ma la targa no. Non ci sono evidenze di altri illeciti ma bisogna indagare anche se all'apparenza i due facevano lavori saltuari, come ad esempio lavorare per un ristorante campano con degli orari strani. Buio. L'indagine si è un po' arenata, anche se Rocco ha potuto fare l'ennesimo dispetto a D'Intino e al suo collega amico inviandoli con una chiave a cercare la porta giusta di Aosta che sveli quale sia l'ultimo domicilio del rumeno, ma non c'è pace per il vicequestore che, nel bel mezzo di una cena a casa veramente venuta male, sente suonare il citofono di casa a sera tarda. È quell'ingegnere amico di Nora e della sua amica Anna ed è venuto con la figlia preoccupatissima per la sua amica del cuore che sembra svanita nel nulla. Lui, l'ingegnere, è stato a casa della ragazza e i genitori gli sono sembrati strani, hanno detto che l'hanno mandata dalla nonna, ma quando mai una diciassettenne va dalla nonna senza il telefono o tenendolo sempre spento? E, alle dieci di sera, al vice questore Rocco Schiavone, di stanza ad  Aosta da settembre, piove l'ennesima rottura di coglioni, ovvero un sospetto rapimento.

Nella precedente revisione avevo scritto che questo, nell'insieme dei libri e racconti che ha scritto fino al 2015, è davvero l'inizio di una serie, seppure con un'abile mossa da attempato scrittore riesca a scrivere due romanzi autoconclusivi. Il trucco sta nel puntare a quello che di solito non si vede nei libri gialli; di solito c'è il fattaccio, o viene raccontato, un'indagine che porta chi investiga a girare come una trottola o a passare lunghi momenti di riflessione mentre la vita ne interrompe in continuazione il filo conduttore, la risoluzione e l'arresto. Possono esserci anche riflessioni a monte o a margine o anche alla fine, ma il momento di quella storia è una slabbratura della quotidianità che, a fine storia tende a ricompattarsi. È raro invece, almeno per la mia esperienza di lettrice, che si prosegua con l'istruttoria del caso per il giudizio. In questo caso non è proprio un'istruttoria, più che altro una serie di strascichi di un caso a correlare i due romanzi dando la possibilità a Manzini di creare quasi in simultanea sei casi in una volta sola. È un po' come lavorare in prospettiva, non solo perché a volte delle cose in un singolo pezzo non possono coesistere pena l'appesantimento dell'insieme generale o la confusione di ruoli e personaggi, ma anche perché stavolta l'impianto è sicuramente più complesso e articolato dei casi precedenti: intervengono fattori come la criminalità organizzata di stampo mafioso, il galeotto ex terrorista, le banche, il crimine dei colletti bianchi che sono tutti fatto che, esauriti in 300 pagine, avrebbero fatto pensare ad uno scrittore alle prime armi.

Invece Manzini conosce bene il tema, la collusione, i sotterfugi, i mezzi con i quali una mafia agisce in maniera diversa dalle altre viene trattato da persona che non sceglie a caso le 'ndrine al posto della camorra, ad esempio, eppure non cede alla tentazione di mischiare i ruoli e confondere un po' i suoi lettori. Schiavone parla di 'ndrangheta, c'è un ristorante un po' strano denominato Posillipo, con un proprietario strano che si ingegna a parlare campano ma è siciliano. Ma quel che viene a galla alla fine è una buona ricostruzione delle tecniche di collusione già utilizzate e non più così sommerse dopo tutta una serie di inchieste. Nel 2015 a Milano c'è stata l'Expo e già più di anno prima si commentavano le infiltrazioni nelle maglie della gestione degli appalti proprio delle 'ndrine.
Quello che invece si trascura di mettere in evidenza è il momento in cui si creano le condizioni perché l'infiltrazione sia possibile e "Non è stagione", seppur nei limiti di un libro di genere, ne è una buona ricostruzione, per nulla pesante ma articolata e ritmata che punta il dito proprio su una attività che vive di parcellizzazione di micro mosse, tutte apparentemente indipendenti fra loro, magari ignare delle altre co-presenze che agiscono per un progetto più grande. Ben curata l'indagine sul rapimento, si muove al millimetro con un vice questore che ogni tanto cede il posto alla nostalgia come al suo solito, ma che non dimentica di ricordare a collaboratori e lettori che cosa bisogna tenere presente e a cosa bisogna rispondere e, in questo caso, non è tanto chi abbia rapito la ragazzina quanto il perché.

Meglio il libro o la serie? Stavolta, come accennato, meglio il libro anche se guardando insieme i due lavori, la trasposizione in tre episodi da più spazio per trattare i tre grandi temi, di cui uno è personale, che invece nei libri hanno comunque visibilità ma con un ritmo totalmente diverso.
Del libro di oggi si perde quella voce fuori dal coro, che irrompe in mezzo alla storia. Si capisce che viene da lontano, si percepisce l'odio e anche la follia di un uomo che vive per un unico scopo rispondendo alle leggi di un onore deviato e malato.
La storia che lo riguarda si intravvede tra le maglie di quella principale e spunta fuori all'improvviso senza alcuna logica rendendo perfettamente l'idea della contemporaneità di eventi in luoghi diversi e ha un che di soluzione teatrale ed è davvero ben riuscita.


Nella trasposizione televisiva tutte le sfumature che riguardano l'indagine e che sono costruite secondo una connessione logica invece devono essere selezionate a favore di scene aggiunte e/o decurtate. E nel selezionale la connessione logica si perde un po' e quindi, se fai come me che ho visto prima la serie e poi ho letto i libri ti ritrovi a dire "Ah ecco perché!". Non è un bene, ma se guardi la serie tutta di seguito o con più interruzioni pubblicitarie non te ne accorgi subito.

Cambiano anche i pesi, nonostante lo svolgimento sia in tutta sostanza il medesimo, il ruolo di Rocco si arricchisce e si caratterizza a scapito di questa voce fuori campo che non c'è più ma che si materializza nel momento meno atteso. Cliffhanger all'italiana, che grazie alla clemenza della programmazione ha permesso di non attendere due anni per sapere come sarebbe andato a finire... o meglio lo ha fatto, ma con uno stile, per fortuna nostra, decisamente più elegante.

Marco Giallini. In questo ruolo ha già dato tanto, ma in questo caso si trova a dover far conto su un personaggio che in questo caso non ha altri personaggi di, diciamo, "appoggio". C'è Marina, Italo, D'Intino, Anna, ma nessuno di quelli che lo affiancano è in questa situazione una possibilità per cambiare per essere un altro Rocco Schiavone rispetto a quello che è il vice questore. Quindi la tensione delle indagini, la sovrapposizione delle stesse e il disvelamento dei meccanismi sono tutto quello che deve portare a casa. Poteva venire fuori un'episodio alla Montalbano e invece grazie al puntuale ripescaggio di quelle frasi da grande verità, grazie al ritmo dato alla sceneggiatura, i confronti continui vanno a regalare ai telespettatori un Rocco ancora diverso. È uno che vive l'indagine come l'attore dice di vivere il ruolo: in totale immersione per il tempo dell'indagine, che deve ricercare nei ricordi e nelle sensazioni i motivi per i quali determinati indizi o risultanze non sono così come dovrebbero essere e via dicendo.


Rimane un lavorone di sceneggiatura che ha costretto l'autore e chi l'ha coadiuvato a mettere mano su una vicenda alquanto complessa cercando di tenere in piedi un sistema di tracce che fosse inattaccabile come poi alla fine risulta. La coerenza delle figure rappresentate e degli atteggiamenti tenuti, finanche alla raffinatezza di alcuni dialoghi che imitano quelli di determinati ambienti, ne fanno un lavoro davvero completo che dietro ha una pianificazione articolata e precisa.
Però una cosa la devo dire: la scena dell'intrusione con il vecchio guardiano in pensione, a video, mi è molto mancata. 


Buone letture,
Simona Scravaglieri


Gli altri articoli del percorso:


Non è Stagione
Antonio Manzini
Sellerio Editori Palermo, ed. 2015
Collana "La memoria"
Prezzo 14,00€
Fonte: Sellerio.it

    mercoledì 3 ottobre 2018

    "Castore e polluce" e "L'anello mancante", Antonio Manzini - La denuncia in giallo... #MarcoGiallini #3

    Fonte: Terni in rete

    Messaggio di informazione: a seguito delle modifiche mal gestite di Google, che continuano a complicarmi la vita, ho deciso alla fine di traslocare. LettureSconclusionate migra verso lidi, si spera con una migliore assistenza, più stabili e ricomincia con addirittura un dominio tutto suo. Il trasloco avverrà nel mese di Ottobre ma ci sono già quasi tutti i pezzi qui riportati e lo trovate qui:letturesconclusionate.com 
    Simona Scravaglieri


    Il problema vero sapete qual è? È che Schiavone non sia stato concepito come Giallini, l'attore infatti non era nei pensieri dell'autore, ma che Giallini ci stia come in un guanto dentro. E così, anche quando quelli che sono i testi originali, un po’ lo mettono da parte, lui comunque rimane rilevante e, manco a dirlo, irriverente. Siamo alla terza puntata della serie dedicata a #MarcoGiallini e Antonio Manzini - ci credevate voi che sarei stata così puntuale? io no!- e ai gialli scritti e poi sceneggiati da quest’ultimo. La puntata è associata a due racconti del 2015, usciti in due raccolte diverse rispettivamente “Castore e Polluce” in “Turisti in giallo” e “L’anello mancante” ne “La crisi in giallo”, e non credo che Manzini abbia pensato che l'amalgama che ne è risultata accoppiandoli sarebbe riuscita così naturalmente conservando, però, le caratteristiche peculiari di ogni storia, anzi valorizzandole in una sorta di contrapposizione. Lo dice anche il vice questore verso la fine dell’episodio mentre parla, con fare paterno, ad una Caterina commossa che riesce a malapena a dire che “non è giusto” e le chiede che cosa non sia giusto: che ci sia gente che nonostante abbia tanti soldi voglia accaparrarsi anche quelli degli altri, o che la società si dimentichi di chi per una vita ha lavorato e che oggi non riesce a sopravvivere. E' in questa frase che si può racchiudere tutto il senso dell'episodio costruito abilmente da Manzini perché qui la forma della discussione e dello sguardo sulla società si fa più evidente e mirato grazie anche al tema di fondo delle raccolte a cui i racconti appartengono.



    Da un lato infatti, nella raccolta “Turisti in giallo” - che vi anticipo già di non aver letto in toto perché, santa Sellerio ha previsto un e-book solo per il racconto di Manzini-, la storia di “Castore e Polluce” parte con una vacanza del tutto particolare: siamo in alta montagna e dal rifugio in alta quota stanno uscendo tre alpinisti, sono tre architetti, soci del medesimo studio, che si sono presi una meritata pausa per festeggiare la vincita di un appalto che porterà a tutti un sacco di soldi. Merito del lavoro di gruppo, anche con la collaborazione di Ludovico, il più giovane dei tre, quello che si impunta sempre quando si fanno le cose solo per far contenta la committenza. Ludovico ci tiene all'aderenza allo spirito architettonico che ha sposato per la vita. Ha anche un altro difetto, ha sempre la gomma in bocca e, infatti, mentre escono dal rifugio, dopo una foto di rito, la prima cosa che fa, prima di rimettersi i guanti per ripararsi dal freddo, è prendere e offrire una gomma da masticare. Ma in alta montagna il tempo cambia presto e siccome la fase principale di questa vacanza di festa è portare anche il novellino dello studio alla conquista del Polluce, i tre si incamminano. Nel contempo, e qui siamo nel secondo racconto “L’anello mancante” che è inserito in una raccolta che invece ho letto completamente – “La crisi in giallo”-, non c’è una sola crisi, ma più di una. La morte di un illustre cittadino di Aosta scatena una serie di situazioni che portano ad una débâcle totale: la scoperta di un cadavere nella tomba e sulla bara della donna amata da Brionati, l'illustre di cui sopra, e con la quale aveva il desiderio di ricongiungersi almeno nell'eterno sonno, la corona di fiori che Rocco ordina per non andare al funerale che lo mette in ulteriore difficoltà con Nora che lo vede uscire dal fioraio e con la quale ha già avuto una violenta lite, la soluzione del caso che lo pone nuovamente in quella posizione di giudice prima che Vice Questore.



    Che poi a dirla tutta, nel redigere tutti questi post e a fare le pulci a Manzini, io non sono molto d’accordo con il giudice Baldi che tiene a sottolineare al Vice Questore che il suo ruolo non è quello di giudice. Perché in fondo anche nel rilevare un atto illecito, comunque, si diventa giudici, nel prendere in considerazione lo svolgimento e le eventuali attenuanti che lo hanno scatenato. Sì, nell'idea di Baldi c’è che, queste valutazioni, possano essere accettabili solo nel giudizio in aula, ma Manzini riesce comunque a farti venire il dubbio che non sempre quel che succede sia roba da tribunale. Comunque apriamo una piccola digressione – piccola lo prometto!- sulla raccolta che ho letto, "La crisi in giallo": ci sono tanti autori e ottime prove, alcune forse un po’ lunghe altre un po' meno coinvolgenti, ma a me oltre Manzini, sono piaciuti Gaetano Savatteri, Francesco Recami. Questa lettura non prevista mi ha dato modo di capire perché con Malvaldi non vado d'accordo, o almeno di formulare un'ipotesi, i suoi nonnetti, le chiacchiere da bar fatte sui casi che sconvolgono la cittadina sono per me un vero e proprio rumore di fondo, per una che come me che non ha letto null'altro su quel mondo. In un romanzo magari si può fare, in un racconto forse sono eccessivi.
    “L’anello mancante” è una vera e propria denuncia sociale e contrappone già così due mondi: quello ricco e quello dei nuovi poveri. I nuovi poveri sono quelli per i quali il loro status è un atto di colpevolezza dello stato: sono quelli che hanno lavorato per una vita e che, nonostante tutto, ora percepiscono una pensione da fame. E’ un campanello d’allarme che spesso si ignora sperando che quel momento per noi non arrivi mai e che invece è sempre una realtà dietro l’angolo, anche dentro il caseggiato davanti cui, magari, distrattamente passiamo ogni mattina. E la povertà alza un’altra cortina di silenzi come succedeva anche per la violenza domestica.

    Ed è qui che Manzini diventa Schiavone, non si sostituisce a Baldi ma a qualcuno più su che renda almeno in parte giustizia dove non c'è. La famiglia che si contrappone ai poveri di cui sopra è un gruppo completamente sfasciato: il figlio che non ha visto la madre che rare volte e attaccata al braccio di uomini che non erano suo padre, che odia anche dopo la morte perché gli ha tolto quel bersaglio contro cui puntare tutta la sua rabbia. Un padre lontano e poi morto anche lui. L'unico superstite rimane lui, un uomo non più giovane, in compagnia di un gatto pieno di rancore e solo. Per contro il lato povero della storia è unito anche oltre la morte e la rosa bianca ne è il simbolo: "si può vivere anche senza speranza, ma nella morte la dignità la dobbiamo pur avere" dice la donna ad uno Schiavone che fatica a rimanere saldo nel suo ruolo. Credo che sia la scena, sia nel libro che nella puntata e forse nella serie, più forte e intensa.
    Per contro in "Castore e Polluce", che è il racconto che si contrappone alla denuncia de "L'anello mancante", la questione è molto più facile da gestire, il problema è dimostrare il modo in cui si siano svolti i fatti e il movente che ha generato l'irreparabile gesto. Non c'è un attimo di dubbio e come di consueto ogni omicidio o presunto tale ha un particolare squadrato rispetto l'immagine generale, sul Polluce manca un orologio e nel cimitero di Aosta manca un anello. Sottile ma decisamente raffinato il riferimento al mito classico: Castore e Polluce erano considerati da greci e romani come gli dei del soccorso, ma erano anche quei due fratelli inseparabili che, quando uno muore, l'altro che al padre di poter rinunciare al dono dell'immortalità per poter raggiungere il fratello. In questo caso non ci sono fratelli ma una simbiosi di opportunità fra due dei tre personaggi.

    Meglio i racconti o la puntata? Mettiamola così, il lavoro fatto da Manzini per amalgamare i due racconti insieme è magistrale, le contrapposizioni sono evidenti, la formula di raccontarli in simultanea è vincente e le battute dei racconti, nella quasi totalità riportate in sceneggiatura sembrano nate proprio per essere pronunciate prima che scritte. Mi rimane solo un dubbio sul numero di pensioni del secondo racconto: c'è una coppia di domestici presentati come tali, c'è un custode andato in pensione e una sola pensione riconosciuta, quando dovrebbero essere due. Ma mi si potrebbe obiettare che non tutti ti pagano i contributi, e io potrei anche accettarlo ma, in tutta l'attenzione maniacale di Manzini, la non specifica mi squadra il quadro generale e mi sento un po' Schiavone anche io. Quindi, non avrei mai creduto di scriverlo, questa volta meglio la puntata anche se, e bisogna specificarlo, la mancanza di spazio per la vicenda personale di Schiavone e Nora, l'ho gradita nei racconti perché non lo mette in condizione di gestire una situazione di disturbo.

    Giallini vs Schiavone. Quando all'inizio della recensione dicevo che Giallini nei panni di Schiavone ci sta benissimo è perché, in particolare in questo episodio, mette in luce tutti quei particolari che nell'immaginario di ogni romano, e forse anche non, appartengono ad uno cresciuto nel rione, Trastevere o Nomentano non ha importanza, e che sono sfumature ma che rendono il personaggio rotondo, veritiero. Tra queste, a parte la gestione delle milioni di sigarette e canne con il suo particolare modo di fumare, c'è l'andatura un po' da ragazzotto figo - non mi viene un termine più altolocato perdonatemi! -, c'è un mood generale romano più persistente in parole, tradotte da Italo, in azioni, i confronti con i sottoposti stupidi, in confronti quello con Caterina dove c'è un contatto, un abbraccio e un bacio paterno, che di solito al Nord non è così marcato e poco discreto.
    Sicuramente il lato drammatico delle vicende le gestisce in scioltezza, ma in particolare il confronto comico con D'Intino è davvero irresistibile. Ed è un peccato che D'Intino non stia un granché simpatico manco al suo creatore: da buon abruzzese è di coccio e non è mai sceso a patti con Manzini, mai si è svelato per la sua storia personale e lo scrittore non ha gradito, tanto che in un paio di presentazioni, de "La costola di Adamo", sentenziava, fra le risate generali, che per questo motivo avrebbe volentieri fatto fuori D'Intino vendicandosi dello sgarbo.

    Detto questo, credo che recupererò anche la raccolta che non ho letto, giusto per onor di completezza, ma, per oggi, vi metto però i riferimenti di quello di cui vi ho parlato.
    Buone letture,
    Simona Scravaglieri 


    Gli altri post di questa serie:
    Castore e Polluce
    Antonio Manzini
    Sellerio Editori Palermo, Ed. 2017 (solo ebook)
    Prezzo 2,99€

    La crisi in Giallo
    Antonio Manzini, Nicola Fantini, Laura Pariani, Dominique Manotti, Francesco Recami e Gaetano Savatteri
    Sellerio Editori Palermo, Ed. 2015
    Collana "La memoria"
    Prezzo 14,00€

    Fonte: Sellerio
    Fonte: Sellerio


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