mercoledì 29 agosto 2018

"Catania non guarda il mare", Daniele Zito - Architettura e anima urbana in Sicilia...

Fonte: Erasmus


Ora, io ero convintissima di sì, dopo questo libro non posso che confermarlo: Catania non guarda il mare. Ma la spiegazione, del perché non lo faccia, non ve la darò non perché sia complessa ma solo ed esclusivamente perché è una cosa che si scopre man mano, passando di quartiere in quartiere. È un libro arrivato a sorpresa, che è stato una sorpresa e una rivelazione e che mi ha convinto che prima o poi, io, Catania, la devo per forza vedere. Quella di oggi è una via di mezzo fra una cronaca di un viaggio e una vera e propria spedizione alla ricerca di quella anima cittadina che, se sei un semplice turista, non vedresti mai senza una mano attenta, e del luogo, che ti indichi a cosa e come guardare. Daniele Zito è la guida d'eccezione, quella non convenzionale, che mischia quelli che sono i luoghi comuni sui siciliani, spesso oggetto di monologhi di molti comici, e li riporta ad una dimensione più reale e veritiera. 
Questo percorso che si fa, a cui fanno da introduzione un paio di capitoli anche divertenti per far acclimatare il lettore nel nuovo contesto, seguendo un filo conduttore che trasforma il viaggio da una semplice visita a una discesa nell'anima del contesto urbano che costituisce materialmente Catania.

La città, intesa come insieme materico architettonico, perde il suo senso fisico. L'architettura non è più rappresentativa di un insieme di edifici ma, bella o brutta o anche antica o moderna, trova la sua ragion d'esistere nelle componenti dell'anima urbana a cui essa stessa appartiene e in cui è stata concepita: storia, folklore, credenza religiosa o popolare, musica, usanze e persone e la cucina. Tutte queste diverse compagini affiancate ai luoghi creatisi fra un edificio e l'altro, mai chiusi definitivamente, parlano a chi sa ascoltare e costituiscono l'anima di un mondo che ha vissuto periodi di rinascita e di declino senza mai lasciare il passo alla dannazione ma che, con tutta quella saggezza tipica dei siciliani, guarda sempre al domani. Perché domani potrebbe essere diverso oppure uguale, ma è sempre un futuro possibile. Potrei finire il mio racconto qui senza aggiungere altro, perché già credo di aver detto molto, ma mi preme sottolineare altre due cose.
Sebbene infatti si tratti di un testo di pregio che mescola tutte le anime della città senza soluzione di continuità, in questo lavoro non si lascia mai il passo alla lagnanza o all'elegia, non è retorico e tanto meno noioso; Zito ti tira letteralmente per la giacchetta, ti fa segno da lontano quando ti stai perdendo nella folla che festeggia la santa, ti stringe il braccio nelle zone dove è meglio non girare con il naso all'insù , che non è raccomandabile, e ti indica dove ti sei macchiato quando ti fermi al baracchino dove ti ha portato a scoprire le delizie cittadine, magari ti schernisce anche un po'.

Una scelta di un modo di raccontare che avrebbe, in un momento come questo, potuto non aiutare, ma che ben modulata, invece, gli permette di dare ritmo alla narrazione che in un contesto del genere non ha picchi ma che necessita comunque di tenere viva l'attenzione del lettore.
A questo si aggiunge questa mescolanza di odori immagini e sensazioni, che ti sballottano fra passato e presente che rendono ogni visita che si sussegue un quadro a sé stante: da un lato questo gli permettere di mescolare storia personale con storia collettiva e dall'altro permette al lettore di diventare esso stesso partecipe di quella storia collettiva.
Quando chiudi il libro, alla fin fine, Catania, è anche un po' tua; ne riconosci i colori e anche tu non guardi più il mare certo che di quelle immagini, che sono in parte riportate fisicamente a commento del testo- a metà e alla fine del libro- e di quei racconti, sei stato anche tu veramente protagonista. Non puoi empaticamente non partecipare alla passione, mai eccessiva, di Zito per il suo mondo  che all'inizio quasi non comprendi; sembra solo un libro divertente e divertito all'inizio un po' come quelle guide che per guadagnarsi il favore dei turisti fanno battute simpatiche a raffica. Ma è proprio in quei capitoli divertenti che l'autore snocciola i numeri e in parte le sue intenzioni. Istruzioni che potrebbero essere noiose e che invece così messe ti predispongono a guardare oltre; ma te ne accorgi alla fine del viaggio e non all'inizio, quando sei di nuovo all'aeroporto e quasi vorresti tornare indietro a Catania.

Ripeto, questo libro è stata una sorpresa inaspettata, ma da conoscitrice della collana Contromano di Laterza è perfettamente pertinente alla collana stessa mixando narrazione e saggistica ed entrando a pieno diritto in un discorso innovativo che guarda al contesto fisico come parte integrante di un contesto sociale molto più ampio e sfaccettato. Esperienze come queste sono quantomai rare e altrettanto splendide. Questo sicuramente è un libro da leggere, indipendentemente dalla destinazione proprio perché racconta un qualcosa che parla di un "noi" e che ci permette così di imparare a guardare anche al contesto che viviamo noi con occhi diversi. Come sempre, non poteva che essere un Laterza.

Buone letture,
Simona Scravaglieri 

Catania non guarda il mare
Daniele Zito
Laterza, ed. 2018
Collana "Contromano"
Prezzo 13,00€


Fonte: LettureSconclusionate

venerdì 10 agosto 2018

"Oro rosso. Fragole, pomodori, molestie e sfruttamento nel Mediterraneo", Stefania Prandi - I gironi dell'inferno dello sfruttamento femminile per una fragola...



Fonte: Be Aware
Avevo terminato questa recensione dicendo "La cosa che un po' mi spiace è che questo libro, interessante e ben scritto, dubito che a parte me, per interessi pregressi personali, e gli operatori del settore verrà letto da molti altri, nonostante sia fatto per essere un saggio divulgativo. E' scorrevole e facile da seguire nel suo percorso di indagine, anche se lo ammetto, a me ha lasciato il magone." 
Avrei preferito doverla ritoccare per l'inchiesta di FanPage o l'articolo interessante di Terrelibere.org che vi inserisco in fondo invece che per tutte le notizie degli ultimi giorni. Forse, Stefania Prandi, a questo punto, una speranza ce l'ha. Il libro di oggi parla di numeri e lavoratori sfruttati, attraversa l'asse Spagna, Italia, Marocco seguendo una via nuova quella della produzione agricola, portando coraggiosamente alla luce non solo le condizioni dei braccianti provenienti dai flussi migratori ma soffermandosi sulla particolare condizione femminile che è l'ultimo gradino di una scala pericolosa di disumanità.

Si parte dalla Spagna andalusa, dal regno delle fragole e dei frutti di bosco mettendo in correlazione i dati di un'industria fiorente come quella della frutta con quelli dei flussi migratori controllati, provenienti dal Marocco e da altri paesi proprio per la raccolta della frutta. A parlare sono donne terrorizzate e reticenti che hanno due grandi motivazioni per non farlo: sono donne provenienti da pesi dove lo stupro è sinonimo di donna lasciva (figuriamoci un figlio senza padre) e dal fatto che, se riconosciute, non verranno più chiamate a lavorare e non potranno così mantenere le loro famiglie. 
Si passa per la Sicilia e la Puglia dove il caporalato è la componente meno in vista. Non che non ci sia, ci spiega la Prandi, ma tutto il comparto si è dovuto riorganizzare a seguito di un'inchiesta seguita al caso di una bracciante italiana, sfruttata e portata ad una lenta morte correlata al livello di sfruttamento che subiva. Si chiamava Paola Clemente e dopo il giudizio del Giugno del 2017 sono state riscritte le regole di ingaggio e di contratto in maniera profondamente diversa aggiungendo la minaccia, solo minaccia pare, dei continui controlli ; le aziende, come di dicevo, si sono dovute riorganizzare (fatta la legge trovato l'inganno si dice non a caso) per potersi garantire la sopravvivenza in un comparto che vive di produzione con i prezzi continuamente al ribasso (qui il corto a lei dedicato).
Si termina il viaggio in Marocco dove la situazione è identica se non peggiore rispetto alle altre realtà presentate. Qui la religione musulmana non è una qualcosa che viene da fuori eppure le donne subiscono tutti i trattamenti che hanno altrove con l'aggravante che la paura di parlare e di non potersi mantenere diventa ancora peggiore in una società che condanna chi non è allineato alle leggi sacre e in un mondo in cui gli uomini sono difficilmente visti come colpevoli. Anche qui esiste lo sfruttamento dei flussi migratori, anche qui la produzione della frutta per i paesi del nord europa significa massimo produzione al minimo prezzo, ottenuta sulle spalle degli ultimi.

Buona parte delle donne che qui sono intervistate hanno detto no ai loro aguzzini e lo hanno fatto a discapito della loro stessa sopravvivenza. Dire no, ad un uomo che ti vuole sfruttare prima nei campi e poi a letto significa subire giornate di punizione in cui non puoi lavorare e quindi non vieni pagata, il licenziamento e la diceria fra padroni che non sei una buona lavoratrice, il fatto di non essere richiamata o di essere malmenata. A tutto questo si aggiunge la profonda solitudine di non poter dire che si subisce e di non poter avere alcun tipo di aiuto e si traduce in un grande inferno dove la donna è preferita agli uomini nei campi, ufficialmente perché più agile e più delicata con la merce che maneggia, ma in realtà solo perché la si paga meno degli uomini. In più una donna può essere sottomessa a forza di urla e maltrattamenti, lavora come un uomo ma si lamenta di meno ed è un'ottima compagnia da avere nel letto con il ricatto.
Le donne che parlano con la Prandi appartengo a flussi migratori diversi fra loro, dall'Africa al Marocco e la Turchia, dalla Romania a tutti quei paesi in cui la sopravvivenza è come vincere alla lotteria. Non hanno molte scelte le ragazze e le madri che si mettono in viaggio per garantire e garantirsi qualche mese  di pace in casa. Sanno perfettamente quando partono quello che le aspetta, anche se hanno un livello di scolarizzazione basso o anche nullo. Quello che non conoscono sono i diritti che avrebbero nei contesti in cui arrivano, almeno in Spagna e in Italia, ma hanno la certezza che dimostrare quello che subiscono al momento in cui lo subiscono è impossibile ma necessario per ottenere giustizia e che quindi, questa strada non è percorribile.

Ti lascia davvero il magone leggere di queste storie, perché queste donne vivono in condizioni disperate, esposte in continuazione a diserbanti e pesticidi, fatte dormire in luoghi fetidi e trattate peggio degli animali e pare che a questa dannazione non ci sia mai fine. Ogni girone di questo inferno è corredato puntualmente di numeri, supportato da studi e ricerche che sono puntualmente citati ma che non rendono lo scorrere della pagine più lento e complesso. Questo perché, strano a dirsi, qui di complesso non c'è proprio nulla. È tutto molto semplice: donna, lavoro sottopagato e sesso gratis. Non c'è umanità in questa spirale, ci sono mogli che voltano la testa, donne che appartengono allo stesso inferno che, per non essere messe nella condizione di dover accettare delle avances non richieste, ti immolano al posto loro, ci sono soldi restituiti al datore di lavoro su una busta paga di facciata per accordi firmati prima di ottenere il lavoro.
In tutta questa semplicità il magone non ti viene come donna ma come essere umano.
Ed è forse in postfazione che la Prandi rovina un po' questo perfetto reportage, spiegando che ha deciso di scrivere a seguito del caso Weinstein e del movimento #MeToo che ha avuto poca solidarietà dalle donne e in generale. Ecco mettere in correlazione Asia Argento e queste donne ha una piccola falla: Asia Argento è una donna istruita che avrebbe perso la carriera di attrice, ma avrebbe comunque potuto lavorare altrove, queste donne molto spesso non possono nemmeno firmarsi, perché non hanno istruzione, e se perdono il lavoro non mangiano mettendo a rischio la propria sopravvivenza eppure, come molte di loro le raccontano, hanno detto no, sapendo che cosa avrebbe comportato. È qui che il paragone stride, quando vieni malmenata e stuprata sotto un albero da un padrone, o dentro una stanzetta di un edificio fatiscente da un caporale, quando sai che quell'estate potresti essere costretta a subire più di un aborto per non far sapere che cosa ti è successo.

A parte questo difetto un lavoro davvero complesso e interessante che dovrebbe essere conosciuto non solo da coloro che cercando il riscatto femminile ma anche dagli uomini, perché quello che queste donne ci insegnano è che molto semplice spiegare la loro condizione con una economia globale che richiede in continuazione produzioni a basso costo per soddisfare una spirale economica che vede un impoverimento generale molto più complesso. Non basta una legge contro lo sfruttamento o contro la convinzione che una lavoratrice è una tua proprietà su  quale hai diritti che in una società civile si pensano cancellati da secoli, ma serve una complessa macchina che ripensi alle regole economiche in generale che metta in correlazione l'andamento del mercato con tutti gli impatti che si riversano sulla filiera. Serve una legge più snella che permetta la raccolta delle denunce e faciliti le indagini ma che al contempo impedisca a chi solo vuole farne un'opportunità di facili guadagni la possibilità di screditare tutte le denunce veritiere. Perché ancora oggi è così. Servirebbe anche che le battaglie che nascono su giusti sentimenti di iniquità e sopraffazione non dimenticassero le loro origini e i motivi per cui nascono evitando contrasti, atteggiamenti e guerre che non garantiscono la buona luce sotto cui sono nate. Bisognerebbe rimanere umani, come diceva un Arrigoni, e capire che la forza del cambiamento arriva dalla compattezza e non dalla divisione a semplice scopo di visibilità personale.
Davvero un bel reportage che bisognerebbe avere in casa e continuare a sfogliare di tanto in tanto, per non dimenticare, anche al supermercato...

Per approfondimenti vi invito a leggere:
Un articolo del Blog di TerreLibere. org grazie al quale sono venuta a conoscenza della pubblicazione
Il video di FanPage sui retroscena del lavoro e l'accoglienza che vivono in alcune zone d'Italia gli immigrati

Buone letture,
Simona Scravaglieri

Oro Rosso
Fragole, pomodori, molestie e sfruttamento nel Mediterraneo
Stefania Prandi
Settenove Edizioni, ed. 2018
Collana "Lo scellino"
Prezzo 14,00€


Fonte: LettureSconclusionate



venerdì 3 agosto 2018

"Tabù", Giordano Teodoldi - L'anfora, il tempio e i cocci...

Fonte: GettyImages

Di solito quando mi appresto a parlare di un libro, tendo a focalizzare l'immagine che mi ricorda la storia o anche il modo di narrare. Nel caso di "Tabù" di Tedoldi, al di là dell'abile suggerimento della Tunuè in copertina della turritella, a me vengono in mente due posti di Roma antica: il cosiddetto Tempio di Minerva Medica e il "monte dei cocci" di Testaccio. Tra i due luoghi ci sono circa 5 km di distanza e leggere "Tabù" è stato un po' come fare una lunga passeggiata in un passato recente, in una generazione e in una serie di tabù. E visto che la storia è complessa ed è altrettanto complesso spiegarla, soprattutto senza togliere il gusto della scoperta al lettore, bisogna affrontare tutto questo percorso con il cipiglio del turista che, non solo guarda e fotografa, ma anche un po' si informa.

Il tabù di Tedoldi ha inizio in un momento qualsiasi della vita di Piero. Non è un ragazzino, ma nemmeno un attempato signore, è un bell'uomo e insegnante di Filosofia in un liceo, che ha un unico cruccio: Emilia. Lei non è altro che la moglie del suo migliore amico che, poco prima di sposarsi con Domenico, ha avuto un attimo di debolezza e lo ha cercato per sanare le sue paure. E' stata quell'unica volta che, vuoi per la situazione strana o vuoi per il feeling che c'era nell'aria fra i due, che in Piero è nata la necessità di averla a tutti i costi. Lei, messa di fronte al corteggiamento, si è defilata il giorno dopo e lui è tornato alla sua routine di amante di Dolly, focosa spagnola, compagna di Marco che sa di essere tradito ma che non ce la fa a lasciarla.
Insomma la storia inizia così con una serie di tabù violati: lui e la voglia della moglie dell'amico, lei e la paura di legarsi all'amico e l'altra che tradisce lui con uno che lui conosce. I tabù non finiscono qui, ma con il passare del tempo si ingigantiscono o si riducono fino ad un punto in cui tutta la situazione cambia e cambia il ruolo degli attori stessi all'interno dei tabù violati.

Perché quindi partire dal Tempio di Minerva Medica? Perché nella mia memoria di studente di architettura, con quel monumento mi sono imbattuta in una tecnica costruttiva delle cupole che non conoscevo: le anfore laterizie. Nel testo che avevo in mano si diceva che alla base della cupola, oggi mancante, si poteva vedere la tecnica costruttiva per la quale la curvatura  veniva fatta grazie alle anfore laterizie infilate una nell'altra e poi ricoperte. Ecco la trama di questo libro si nutre di tre file di anfore infilate una nell'altra in salita: i tabù, l'etica e la filosofia. In questo frangente i tabù sembrano ingigantirsi man mano che si sale verso l'alto, l'etica è quella cosa che in parte ferma o dissuade dal proseguire sulla strada del tabù violato  e la filosofia è invece il mezzo per capire. Ci sono un sacco di riflessioni sul rapporto, sulla differenza tra appartenesi o possedersi o anche sulle motivazioni dell'esigenza di confessarsi. Ma in una cupola l'arco sale e, prima o poi, deve scendere così all'apice della trama tutta la situazione cambia, compresa la voce narrante. Tutto si trasforma, praticamente si semplifica e filosoficamente si complica.

Le tre costole discendenti non sono identiche alle precedenti: quel che si vede non è più quello che prima era certo. La voce narrante diventa più raffinata, la filosofia assorbe anche quella componente insita nelle generazioni italiane fino agli anni '80, in cui la fede cattolica è un'imposizione ed è parte integrante del filtro attraverso cui si guarda al mondo. Le questioni si complicano perché l'etica non è accompagnata dall'analisi filosofica laica, avulsa da tutto il retaggio cattolico che porta con sé una miriade di regole e altrettante scappatoie ipocrite. Così una morte violenta condannabile secondo il senso laico, potrebbe non esserlo ora in funzione della motivazione che ha istigato il gesto di chi ha commesso il reato.
In questo mondo nato in modo anomalo e che continua in un modo altrettanto anomalo, si arriva ad una fine insperata, per certi versi insoddisfacente. Questo perché da una costruzione così complessa uno si aspetterebbe ben altro e invece il classico colpo di scena c'è già stato e la contrazione delle azioni, da parte dell'ingresso di nuovi attori o del ritorno di quelli che non ci dovrebbero essere, fa apparire a volte la situazione confusa e le scelte insensate. Tutto quello che era chiaro diviene più opaco, le spiegazioni sono di convenienza e non eticamente e filosoficamente ponderate. E' come se in quel punto di massima estensione della cupola la discesa sia la specchio della salita. Quello che era a sinistra ora è a destra, e via dicendo. 

Perché il Monte dei cocci allora? Perché di anfora, in anfora e di tabù violato in tabù violato si costruisce questo monte dei cocci dove l'immagine di un gruppo di persone appartenenti ad una classe borghese, con una storia borghese all'apparenza e ipocrita in segreto, si sgretola. L'opacità delle situazioni, l'ampollosità quasi vuota della narrazione, la comodità dell'adattamento di regole alla bisogna e della creazione di giustificazioni opinabili, corrispondono un po' ad una discesa negli inferi terreni dove tutti i sentimenti che c'erano nella prima parte, giustificabili o no, scemano lasciando il posto a necessità più grevi e terrene. I personaggi minori quasi spariscono, quelli predominanti invece degenerano velocemente. Quindi quel finale che sembra insoddisfacente è invece perfettamente pertinente a questa parabola discendente e diventa l'ingresso ad un cimitero che raccoglie le spoglie di una storia sociale e familiare fallimentare e deviata in cui il fallimento non è rappresentato dalla violazione del tabù, ma da come è stato vissuto il tabù stesso. Si può scegliere di vivere un tabù in piena libertà ma solo ricreando una nuova serie di regole che nascano su quella decisione oppure ci si ritroverà a violare quelle del mondo che definisce quella situazione proprio come una cosa condannabile; nessuno dirà che quest'ultima sia una strada preclusa, ma il risultato quasi certo è l'isolamento e l'annientamento di chi lo vive e di chi gli sta accanto.

Sono rimasta più volte perplessa, non lo nascondo, leggendo  questo libro. In parte perché proprio lo stile di scrittura, seppur non modernissimo, è uno di quelli che potrei definire da "comfort-zone".  Il problema era che la costruzione di cui abbiamo parlato oggi, la vedi solo a lavoro ultimato e quindi per tutto il romanzo segui un po' alla cieca i personaggi senza sapere benissimo dove stiate andando. In più la gestione della contrapposizione tra apparenza e realtà ti fa sentire ad un certo punto un po' tradito perché arriva sostanzialmente tardi e senza anticipazioni. Non è piacevole ma è funzionale a dividere le costole che salgono da quelle che scendono.
E' un libro indubbiamente un po' macchinoso dove in alcuni punti avrei gradito un po'  di leggerezza in alcune riflessioni o dialoghi, ma che mi è piaciuto.
Non è di certo un libro da ombrellone ma è un lavoro che richiede attenzione. E' come quando vai a visitare una città, se la vuoi vivere fino in fondo, non vai a giocare al parco dei divertimenti ma sistematicamente studi e utilizzi i percorsi più adatti a vedere il più possibile della zona. Ecco Teodoldi e il suo Tabù va preso così, come una città da visitare e come un luogo che potrebbe sparire e quindi necessita di tutta la tua attenzione. Attenzione di cui ti ripagherà sicuramente, come ha fatto con me.

Buone letture,
Simona Scravaglieri

Tabù 
Giordano Tedoldi
Tunué, Ed. 2017
Collana "Romanzi"
Prezzo 14,90€




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