domenica 30 dicembre 2012

Intervista a Roberto Calasso su 'La Folie Baudelaire'

Questa è una bellissima intervista di Roberto Calasso. Per chi non lo conoscesse, Calasso è anche  il direttore editoriale della casa editrice Adelphi. Quando si pensa a grandi e riconosciuti letterati di questo tempo si pensa a personaggi un po' stantii che citano soltanto, a volte se stessi, e  che parlano solo dei soggetti dei propri libri. Niente di più sbagliato. L'ho visto lo scorso anno a Roma, in occasione di "Libri come" a Roma all'Auditorium dove in occasione dell'uscita del suo nuovo libro, L'ardore, si faceva intervistare sui temi che venivano presentati nel suo lavoro. E devo dire che, oltre ad aver interessato la platea era riuscito a strapparci più di una risata. Stessa cosa è avvenuta con Canfora, sempre nello stesso luogo, al 1° Dicembre alla prima "Lezione di storia" della stagione 2012-13.
E' in questa occasione che mi sono ricordata di questa intervista che avevo visto su Youtube e quindi ve la posto, assicurandovi che difficilmente vi annoierete.

Buone letture e buon anno,
Simona










Il libro di cui si parla è:

La folie Baudelaire
Roberto Calasso
Adelphi Editore, Edizione 2008 (quella citata, ma c'e' anche un'edizione successiva 2010)
Collana "Biblioteca Adelphi"
Prezzo 36,60€

venerdì 28 dicembre 2012

"I doni della vita", Irène Némirovsky - Il convenzionalmente accettabile...

Parigi, 1936
Fotografia di Maynard Owen Williams
National Geographic
Avere nostalgia di epoche mai vissute
Non è propriamente rappresentativa del periodi d'inizio di questa storia, l'epoca raffigurata in questa immagine, bensì ne raffigura le fasi finali. "I doni della vita" inizia molto prima della prima guerra mondiale e si interrompe agli inizi della seconda. Non averebbe potuto raccontare di più, o forse aveva in animo di farlo tornando dai campi di concentramento, Irène Némirovsky ma, purtroppo, non è stato possibile. E' morta prima nel 1942. Leggendo la sintesi della sua vita si evince che i suoi romanzi sono anche la trasposizione della sua vita, tra l'avventuroso e il tragico, vive in Ucraina, Russia e in Francia (dove prende la laurea in lettera alla Sorbona e firma il contratto con la casa editrice Grasset con la quale raccoglierà i primi consensi e successi). Si legge anche che, ad un certo punto, si converte al cristianesimo e che scrive per una giornale che poi si dichiarerà come antisemita, continuando a pubblicarla sotto pseudonimo. Poi l'arresto, il trasferimento ad Auschwitz, la morte.

Racconta una storia di famiglia dall'epoca in cui si conobbero i due giovani che diverranno genitori , fino all'arruolamento del loro figlio e il suo matrimonio. In mezzo si intrecciano le storie dei nonni, di amici e conoscenti, le fasi che anticipano le due guerre - in cui si pensava che tutto si sarebbe risolto in un bluff-, e la fase post bellica dopo la prima guerra mondiale, dove effettivamente si saggiano gli effetti che una guerra vita o persa comporta. A far da collante alle vite dei coloro che vengono citati ci sono le convenzioni, regole non scritte che però nel ripetersi nel tempo assumono un significato che ricorda la sicurezza. Se la norma è sicura e accettata, allora rispettarla significa il mantenimento di una continuità che da sicurezza e quindi curare questo aspetto è vitale al pari dal salvarsi dalle pallottole o dal morire sotto le bombe. Viene pertanto quasi parificato il lavoro femminile volto al mantenimento delle "apparenze" a quello maschile della difesa della nazione, anche se ad uno sguardo meno attento potrebbe apparire più civettuolo di quanto non sia.

Come già detto, leggendo questo libro, mi sono accorta che somigliava non poco ai lavori di Liala, con la quale condivide almeno parte del periodo di produzione letteraria. Lo stile in fondo è quello, donne sempre presenti in una società che le vuole spose e compagne quasi silenti e invece, guardando più attentamente fra le maglie di  questi racconti escono, ad uno sguardo più attento, forti e volitive, nonostante i cinguettii e i cicalecci che si assegnano loro per tradizione. In fondo, la gestione della casa e dell'immagine pubblica è cosa non da poco e, se a questo, aggiungiamo la prole da accudire e indirizzare verso la strada sicura e la necessità dell'organizzazione di eventi di rappresentanza, che spesso erano l'unico momento di ritrovo e svago per tutti, bisogna pur ammettere che la loro vita non era così noiosa come potrebbe apparire ad un occhio poco attento. Pertanto questa storia è il racconto di una saga familiare matriarcale e borghese, dove le donne hanno la predominanza nonostante si dichiari che colui che unisce a monte la "famiglia" è un uomo, il nonno. A far da contraltare uomini coraggiosi o meno che, comunque, restano un passo indietro alle loro mogli e madri. Ecco una delle tante cose che la distingue da Liala. Le donne di quest'ultima sognano di sposarsi, al pari di quelle della Némirovsky, ma sono molto meno disposte ad andare oltre le convenzioni. Nel mentre qui (nonostante il romanzo sia precedente a molti dei lavori lialiani), vuoi per necessità di guerra e vuoi anche per voglia di rappresentazione della realtà, le donne sono di tutt'altra pasta. Decidono il da farsi e prendono in mano le situazioni quando queste non sembrano dar via di scampo. Lavorano e sopravvivono  ai loro uomini al fronte, per garantire l'andamento della vita dei loro figli e dei loro congiunti. Gestiscono i patrimoni, diventano ricche o povere, ma mantengono sempre intatta comunque la loro aura di borghesia con un appeal lievemente tendente all'aristocratico.

E guardando ancora più attentamente alle maglie della trama che ci si restituisce qualcosa che nei libri di storia difficilmente troveremo. Ovvero il ruolo della donna nei secoli, come esposto sino ad ora, e anche il riferimento per il borghese medio. Se da un lato la borghesia era da ritenersi già una classe altolocata, in una nazione come la Francia, da secoli nemica dell'aristocrazia per evidenti ragioni storiche, si scopre che invece le regole del, chiamiamolo "bon ton del perfetto borghese", sono sempre di chiara etichetta aristocratica. Oltre a sfatare il mito della tipica anarchia francese ci sono anche delle conferme. Per esempio leggere delle abitudini di una borghesia che prende a modello usanze e attitudini prettamente aristocratiche, adattandole alla propria realtà, (come il nonno che non abbandona il suo paese perché sa che è lui a decidere della vita dei propri concittadini visto che è lui che da loro il lavoro), si contrappone la conferma che il divino è presente ma in parte decisamente minore. Non è il divino, qualunque esso sia e in questo caso siamo nel 1941 quindi l'autrice è già convertita alla dottrina cristiana, a decidere o a favorire la vita di chiunque rispetto al panorama bellico in atto, bensì la liturgia della messa e della preghiera è rappresentata come una ricorrenza cui supplire, per abitudine o per rappresentanza. E' estremamente limitata la  raccomanda

Leggere questo libro è un po' come leggere le soluzioni di un giallo. Attraverso la storia principale, che potrebbe essere comune a molti altri libri, si scorgono invece qui usi e costumi dei tempi che furono. Ed è altrettanto interessante approfondire questo sguardo, che si prolunga per un tempo che sembra infinito e che invece gira attorno ai primi 40 anni del '900 francese e scoprire che il libro che, è organico e senza stacchi evidenti fra un capitolo e l'altro, è invece stato concepito per uscire a puntate e solo 5 anni dopo la morte dell'autrice è stato pubblicato, da un editore amico della Némirovsky, nella forma in cui oggi abbiamo l'opportunità di leggerlo. Si può leggere in vari modi, un po' come si fa con la Austen. Leggere solo la storia di superficie o anche notare i vari particolari della storia, come io ho fatto qui. Quel che stupisce , che poi è anche una conferma, è che le maggiori autrici femminili del panorama letterario fino almeno alla metà del '900 si dilettano a proporre storie convenzionalmente accettabili, raccontandone altre sottotraccia che si possono intravvedere qui e là solo con uno sguardo attento. Chiaramente quel che cito qui sono una parte degli indizi lasciati dalla scrittrice e sono certa che ce ne sono altri che non mi sono così evidenti o che lascio a voi scoprire.
Un libro comunque da leggere.
Buone letture,
Simona


I doni della vita
Irène Némirovsky
Adelphi Edizioni, ed. 2012 (ristampa dell'edizione del 1972)
Collana "Gli Adelphi"
Prezzo 11,00€





mercoledì 26 dicembre 2012

[Dal libro che sto leggendo] Pino se lo aspettava

Presa da qui

Così comincia e prosegue questo racconto. In una maniera informale, fuori dalle schematiche gerarchie che vorrebbero riportati i dati statistici e a volte dell'elenco delle uccisioni. Sembra rispondere a due necessità, quella di raccontare ciò che già si dice, ma non ha trovato e non trova ancora spazio nei resoconti giornalistici, e quella ben più importante di sfatare il "mito" creando l'"esempio". 
Concetto un po' difficile da spiegare a parole, ma vediamo di capirci. 
L'eroe o il mito sono solitamente persone che nella vita hanno fatto qualcosa di estremamente eccezionale per il quale rimangono figure mitiche e irraggiungibili. Dire che Don Puglisi, Mario Francese o altri, sono un esempio da seguire, non è riduttivo come si possa pensare. In primo luogo sono portatori di messaggi spesso nascosti al grande pubblico, perché abbastanza scomodi come quello che dice: "Non devi fare nulla di eccezionale per spaventare la mafia, non servono pistole, ma solo fare il proprio lavoro". Concetto adeguato all'esempio, ma che non fa vendere molto, perché non c'e' nulla di eroico, almeno nel comune pensare, nel portar a casa i propri compiti giornalieri. 
Il secondo messaggio che porta è che, l'esempio, proprio per questo "pensiero comune" del "sono capaci tutti" non si associa bene alla "liturgia", religiosa o laica che sia, contemporanea che vuole che vengano ammirati i "santi" o i "martiri", che debbano essere ricordati con fiaccolate e riflessioni stantie, ripetute come nenie nei giorni in cui ricorre la data della loro morte. 
E' così che si annulla la memoria collettiva e si anestetizza il pubblico, rendendogli lontano quell'esempio e, suggerendo il "messaggio comodo", che "solo pochi portano con sè il coraggio contro le mafie e quindi che quello è affare di pochi, che i molti possono solo ammirare".
Sono impostazioni devianti, che sempre più prendono piede nella società moderna che tende ad osannare senza approfondire e senza agire, delegando "altri" che per lavoro o vocazione continuano a  fare ciò che è il loro lavoro, lasciati soli 365 giorni l'anno e stando sotto i riflettori solo quando vengono uccisi.
Questo libro racconta ciò che un film non vi potrà mai dire, ricorda, come nella migliore delle tradizioni siciliane, che prima di pensare all'eroe irraggiungibile c'e' un uomo, che non aveva nessuna intenzione di vivere martirizzato o venire ammazzato. Voleva solo, fare il suo lavoro.
Buone letture e buon Santo Stefano (auguri anche a mio fratello visto che è il suo onomastico!),
Simona Scravaglieri
Di norma la goffaggine non mi caratterizza, non sono maldestro, eppure mi sto lagnando e stringo le dita tumefatte che mi sono schiacciato nella portiera dell’auto, e non capisco come ho fatto a essere così disattento. Nessuno mi definirebbe imbranato. I miei gesti sono tutt’altro che sbadati, misuro i movimenti con attenzione e osservo ogni cosa che mi sta attorno, per calcolare lo spazio che mi separa da eventuali impatti che cerco sempre di evitare con accuratezza. Provo a comprendere questa distrazione. La musica del Teatro degli Orrori in macchina piegava i finestrini, la potenza elettrica faceva vibrare sia me che Felix e le urla di Pierpaolo Capovilla stimolavano i nostri sensi e le nostre ambizioni con parole di fuoco; mi godevo appieno quelle canzoni che ormai conosco a memoria, senza alienarmi dal luogo in cui mi trovavo. Non è lì la causa del mio incidente. 
Felix: – Ma come hai fatto? 
Faccio il giro della macchina per andare verso il portone della casa dei genitori di Felix e penso che è proprio una domanda maledetta, senza senso. Non so come ho fatto, non mi sono fatto male intenzionalmente. E non ero sovrappensiero. Pensavo al racconto che devo scrivere tra un paio di giorni ma non in maniera così assorta da divenire fantozziano; e adesso scriverlo sarà più complicato visto che, anche se ormai uso soltanto la tastiera del computer per lavorare, l’indice e il medio della mano destra mi sono indispensabili. Grondo sangue e il dolore è penetrante, dalle dita percorre tutte le cellule, le fibre, le terminazioni nervose e le ossa che raggiungono il cranio. La ferita pulsa e arde. Gocciolo plasma fino a destinazione, lasciando una scia che mi farà rivivere questo percorso quando andremo via, dopo cena. È sera e le luci gialle dei lampioni di questo piazzale fanno risaltare le mie macchie rosse. Devo essere ridicolo ma soffro troppo per preoccuparmene. 
Marco: – È un male sproporzionato e incommensurabile. 
Felix: – Ci credo. Ti sei spremuto la parte più sensibile del corpo. Il dolore è amplificato, – dice inserendo le chiavi nella serratura e aprendo poi il portone. Provo a non sporcare le scale mentre le salgo, continuando a non capire come ho fatto a essere tanto goffo. Arriviamo al secondo piano e non vedo l’ora di correre in bagno a mettere le falangi compresse sotto l’acqua e poi tamponare. Felix ci mette un po’ a indovinare la chiave giusta per aprire la porta d’ingresso, non vive più qui da diversi anni. Distolgo lo sguardo da ciò che mi affligge fisicamente e noto sulla sinistra una fotografia in bianco e nero, incorniciata: padre Pino Puglisi, piegato sulle ginocchia, che sorride e indica chi gli scatta la foto, reggendo una bambina su una gamba. Non provo nessuna simpatia per i preti né per la Chiesa, sono un ateo convinto, ma lui era diverso, ed è stato troppo importante per Palermo per rinchiuderlo in uno scatolone di ostilità generalizzata. Non che ami Palermo, ma persone come lui fanno pensare che questo posto potrebbe essere migliore. Ha avuto il coraggio e l’onestà dei giganti dell’umanità. Lo stimo e mi fa piacere notare la sua immagine a Romagnolo, a due passi da Brancaccio. Non l’ho notata le altre due o tre volte che sono venuto qui. Saluto la madre di Felix dandole del Lei, il padre invece vuole che lo chiami Pippo. È la prima volta che Felix mi invita a cenare con i suoi, di solito loro si trovano in campagna quando vengo qui. A trent’anni sono cose che tendo a evitare; in un tempo che non vuole farci crescere come le precedenti generazioni, mi fa sentire a disagio ritrovarmi a tavola a casa di un amico con la sua famiglia come mi accadeva da ragazzino. Ma nel caso di una lunga amicizia, zeppa di disinteressata lealtà e affettuose premure, faccio un’eccezione. Mi medico. La fitta non diminuisce d’intensità e la cosa mi tedia. Fascio le dita come viene, l’estetica in questo momento non mi interessa. A tavola evito tutti i piatti che contengono aglio o cipolla e non mi resta molto da mangiare, come al solito. Ci sono abituato. La televisione è accesa anche se nessuno la guarda. A questo non riesco ad abituarmi. Pippo mi è simpatico. Ha una bella testa rotonda, liscia e lucida, e un sorriso schietto; ha un bel modo di esprimersi e ironizza col figlio sulla sua permanenza in Svizzera, quattro anni di quel clima e quando torna a far visita alla Sicilia ha sempre caldo. La madre è gentile e non mi pressa sul cibo, non credo si senta offesa dai miei rifiuti e questo mi basta. Dopo il pasto andiamo in balcone per fumare, attraversando la camera da letto dei coniugi De Pasquale; siamo io, Felix e Pippo. Questa serata di novembre è piacevole, sembra primaverile. Pippo accende la sua sigaretta mentre io e il figlio le nostre ce le rolliamo: segno dei tempi. Il panorama sul lato opposto al piazzale è deprimente. Squallido fino alla noia. Decido di fare conversazione con Pippo per fargli capire che persona è quest’amico di suo figlio di cui ha tanto sentito parlare. Ma non voglio essere il fulcro dello scambio di battute. 
Marco: – Ho notato la fotografia di padre Pino Puglisi, qui fuori accanto alla porta d’ingresso. 
Penso gli appartenga, mi sembra un buono spunto. 
Pippo: – Sì, abitava qui, sotto di noi, al primo piano, – dice indicando il balcone sottostante, – lo conoscevo molto bene, da tanto tempo, da prima che abitassimo entrambi in questa palazzina.

Questo pezzo è tratto da:

Pino se lo aspettava
Marco Corvaia
Navarra Editore, ed. 2012
Collana "I fiori di campo"
Prezzo 5,00€

lunedì 24 dicembre 2012

Era la vigilia di Natale...

Immagine di
Views from a seafront beach-hut

E anche quest'anno siamo nuovamente alla vigilia di Natale. Non c'e' vigilia che non abbia delle tradizioni. A casa mia la tradizione detta che a cena mia madre, faccia il pesce finto alla siciliana (un mix di patate schiacciate tonno e maionese che è la fine del mondo!) e che la giornata della vigilia si ascolti proprio questo audiolibro (ma questo ai miei lo risparmio, anche perché lo conosco a memoria) che metto su dalla mattina e mi accompagna un po' tutta la giornata. Non è necessario per forza ascoltare l'audiolibro, anche se devo ammettere che la lettura di D'Onofrio è decisamente affascinante, ma questo racconto lungo è adatto a grandi e bambini ed è un piacevole modo per avvicinarsi al mondo della lettura. Vi inserisco, giusto per darvene un assaggio, la parte preliminare e, se vi state chiedendo dove avete sentito nominare Jerome è probabile che sia per il suo più famoso libro "Tre uomini in barca per non parlar del cane".
Nel correre da una parte all'altra della fiera per raggiungere i vari stand, ho notato che qualche editore lo ha anche inserito nel suo catalogo e che i libri vicini erano per ragazzi. Quindi non è solo una mia idea:)

Nel salutarvi come di consueto, porgo a tutti coloro che passeranno da questo blog, i miei più sinceri auguri di buon Natale per coloro che lo festeggiano e di buone feste per tutti gli altri. Ringrazio tutti  quelli che hanno arricchito questo blog interagendo con me, sia nei commenti che nei consigli che mi sono pervenuti privatamente, su FB e Twitter. 
Buone letture,
Simona Scravaglieri

Preliminari 
Era la Vigilia di Natale. Inizio così, perché questo è il modo corretto, ortodosso e rispettabile di cominciare e io sono stato educato in modo corretto, ortodosso e rispettabile e mi è stato insegnato a fare sempre la cosa più corretta,ortodossa e rispettabile; e resto fedele all'abitudine. Naturalmente, a titolo puramente informativo, non c'è nessun bisogno di nominare la data. Il lettore esperto sa che era la Vigilia di Natale,senza che io glielo dica. E' sempre la Vigilia di Natale,nelle storie di fantasmi. La Vigilia di Natale è la gran nottata di gala dei fantasmi. La Vigilia di Natale, celebrano la loro festa annuale. La Vigilia di Natale, nel Paese dei fantasmi, tutti coloro che "sono" qualcuno (o piuttosto, penso che, parlando di fantasmi, si dovrebbe dire tutti coloro che "sono" nessuno) escono per mostrarsi in pubblico, per vedere ed essere visti, per andarsene a spasso e far mostra ognuno del proprio sudario e lenzuolo funebre, per criticare l'abbigliamento e sogghignare ciascuno della cera dell'altro. "La Parata della Vigilia di Natale", come credo la chiamino anche loro, è sicuramente una cerimonia preceduta da grandi preparativi e aspettata con ansia in tutto il Paese dei fantasmi, specialmente dal bel mondo, come i Baroni assassinati, le Contesse macchiate dal crimine dei Conti che arrivarono con il Conquistatore, assassinarono i loro parenti e morirono pazzi furiosi. Si può esser certi che tutti studiano con impegno sordi lamenti e ghigni demoniaci. Le prove delle urla raccapriccianti e dei gesti che gelano fino al midollo iniziano probabilmente con settimane di anticipo. Si revisionano e si approntano per l'uso catene arrugginite e pugnali insanguinati e si tirano giù i lenzuoli e i sudari accuratamente conservati dopo la cerimonia dell'anno precedente, si sbattono, si rammendano e si arieggiano. Oh, che notte eccitante, la notte del ventiquattro dicembre, nel Paese dei fantasmi!Forse avrete notato che i fantasmi non escono mai la notte di Natale. Si immagina che la Vigilia di Natale sia già troppo per loro: non sono abituati a tanto movimento. E' certo che, passata la Vigilia di Natale, per circa una settimana i signori fantasmi si sentono la testa come un pallone e se ne vanno in giro promettendo solennemente a se stessi chela prossima Vigilia, la smetteranno, mentre le signore spettri sono volubili e stizzose e pronte, se solo si rivolge loro la parola, a scoppiare in lacrime e a lasciare di corsa la stanza, senza nessun motivo apparente. Credo che, occasionalmente, i fantasmi che non hanno una posizione da mantenere (semplici fantasmi borghesi) facciano qualche apparizione nella stagione morta: la Vigilia di Ognissanti e a San Giovanni, e qualcuno fa una capatina anche per un semplice avvenimento locale; per celebrare, per esempio, l'anniversario dell'impiccagione del nonno del tale o per profetizzare una sventura. Adora profetizzare le sventure, il fantasma inglese medio. Mandatelo a predire guai a qualcuno, e è felice. Permettetegli di penetrare con la forza in una casa pacifica e mettere tutta la casa sottosopra, predicendo un funerale, preannunciando una bancarotta o alludendo a una prossima disgrazia, o a qualche altro terribile disastro del quale nessuno, nel pieno possesso delle proprie facoltà, vorrebbe sapere prima più di quando sia proprio indispensabile, e che sia completamente inutile conoscere in anticipo: ebbene, lui sentirà di unire dovere e piacere. Non se lo perdonerebbe mai, se qualcuno della sua famiglia avesse dei guai e lui non fosse stato lì, con un paio di mesi di anticipo, a giocare tiri mancini sul prato o a fare l'equilibrista sulla spalliera del letto. E poi ci sono anche i fantasmi molto giovani, o molto coscienziosi, con un testamento perduto o un codicillo sconosciuto che gli pesa sulla coscienza, che appariranno frequentemente, per tutto l'anno; e pure il fantasma inquieto e che è indignato perché è stato sepolto nella spazzatura o nel laghetto del paese, e non concede ai paesani una sola notte di quiete finché qualcuno non gli paga un funerale di prima classe. Ma queste sono le eccezioni. Come ho detto, il fantasma medio ortodosso fa il suo giretto una volta l'anno. La Vigilia di Natale, e è soddisfatto. Perché poi, di tutte le notti dell'anno, proprio la Vigilia di Natale, non sono mai riuscito a capirlo. E', immancabilmente, una delle notti più lugubri per starsene all'aperto: fredda, umida e fangosa. E poi, si sa benissimo che a Natale tutti ne hanno già abbastanza, dovendo sopportare una casa piena di parenti vivi, senza bisogno che ci si mettano anche i fantasmi di quelli morti a bighellonare in giro. Ci dev'essere qualcosa di spettrale nell'aria di Natale, qualcosa in quell'atmosfera pesante, opprimente, che attira i fantasmi, come l'umidità delle piogge estive fa uscire le rane e lumache. E non solo i fantasmi vanno sempre a passeggio la Vigilia di Natale, ma i vivi si riuniscono e ne parlano la Vigilia di Natale. Ogni volta che cinque o sei persone di lingua inglese si raccolgono intorno a un fuoco, la Vigilia di Natale, incominciano a raccontarsi storie di fantasmi. Non siamo soddisfatti, la Vigilia di Natale, se ognuno non racconta aneddoti, autentici, sugli spettri. E' una allegra stagione di feste, e a noi piace meditare su tombe, cadaveri, e assassini e sangue. Le nostre esperienze con i fantasmi si assomigliano molto, ma naturalmente non è colpa nostra: è colpa dei fantasmi, che non provano mai a fare uno spettacolo nuovo e si tengono ben stretta la loro vecchia parte infallibile. Il risultato è che,quando avete partecipato una volta a una festa, la Vigilia di Natale e avete sentito sei persone raccontare le proprie avventure con i fantasmi, non avete più bisogno di ascoltare altre storie di fantasmi. Ascoltare ancora delle storie di fantasmi sarebbe noioso e ripetitivo come assistere due volte a una farsa o abbonarsi a due giornali umoristici. C'è sempre il giovanotto che, una volta, ha passato il Natale in una casa di campagna e, la Vigilia di Natale, l'hanno messo a dormire nell'ala occidentale. Poi, a metà della notte, la porta della stanza si apre silenziosamente e qualcuno (generalmente una signora in camicia da notte) entra lentamente e viene a sedersi sul letto. Il giovanotto pensa che si tratti di una delle ospiti o di qualche parente dei padroni di casa - anche se non ricorda di averla vista prima - che, non riuscendo a dormire, si sentiva sola e malinconica e è venuta nella sua stanza per fare due chiacchiere. Non ha nessun sospetto che sia un fantasma: è così ingenuo! Lei non parla comunque e, quando il giovane guarda di nuovo, se ne è andata! La mattina dopo, il giovanotto racconta il fatto a colazione e chiede a ciascuna delle signore se era lei la sua visitatrice. Ma tutte gli assicurano di no e il padrone di casa, diventato mortalmente pallido, lo prega di non dir più nulla dell'accaduto, cosa che al giovanotto fa l'impressione di una ben strana e singolare richiesta. Dopo colazione, il padrone di casa prende da parte il giovanotto e gli spiega che quello che ha visto era il fantasma di una signora che è stata uccisa proprio in quel letto, o che in quel letto ha ucciso qualcun' altro (la differenza è ridicola: potete diventare un fantasma uccidendo qualcun altro o facendovi uccidere, dipende dai gusti). Il fantasma dell'assassinato, forse, è più popolare ma, d'altra parte, se siete l'assassinato, potete spaventare meglio la gente, perché potete far vedere le ferite e lamentarvi. Poi c'è l'ospite scettico: a proposito è sempre "l'ospite" a finire coinvolto in simili avventure. Un fantasma non è mai molto entusiasta della sua famiglia: le sue apparizioni gli piace farle a quell'ospite chela Vigilia di Natale, dopo aver ascoltato la storia di fantasmi del padrone di casa ci ride su e dice di non credere per niente che esistano i fantasmi e che, con il permesso della compagnia, quella stessa notte dormirà nella camera infestata. Tutti lo inviano a non essere avventato, ma lui insiste nella sua impresa temeraria e, a cuor leggero, sale con una candela in mano nella camera gialla (o di qualsiasi altro colore sia la camera infestata), augura a tutti la buonanotte e chiude la porta. La mattina dopo, ha i capelli bianchi come la neve. Non dice a nessuno ciò che ha visto: è troppo raccapricciante. C'è anche l'ospite audace, che vede un fantasma, e sa che è un fantasma, e lo osserva, mentre entra nella stanza e scompare attraverso i pannelli che rivestono la parete; e poi, visto che il fantasma sembra non avere intenzione di tornare, e non avrebbe senso restare sveglio, se ne va a dormire. Non dice a nessuno di aver visto il fantasma, per paura di spaventare gli altri (certa gente diventa così nervosa a sentirne parlare!), ma decide di aspettare la notte successiva per vedere se lo spettro appare di nuovo. Il fantasma riappare e, questa volta, lui si alza si veste, si spazzola i capelli e lo segue, e così scopre un passaggio segreto che dalla camera da letto porta giù in cantina, un passaggio che, di certo, era utilizzato spesso nei vecchi barbari tempi antichi. Dopo di lui viene il giovanotto che a metà della notte si è svegliato con una strana sensazione e ha trovato il ricco zio scapolo in piedi vicino al letto. Lo zio ricco ha sorriso di un sorriso misterioso e è svanito. Il giovanotto si è alzato subito e ha guardato l'orologio. Si era fermato alle quattro e mezzo, perché aveva dimenticato di caricarlo. Il giorno dopo ha preso informazioni e ha scoperto fatto strano che il ricco zio di cui era l'unico nipote solo due giorni prima aveva sposato una vedova con undici bambini proprio a mezzanotte meno un quarto. Il giovanotto non prova a spiegare l'evento straordinario. Si limita a proclamare la veridicità del suo racconto. Poi, tanto per accennare a un altro caso, c'è il signore che sta tornando a casa la sera tardi, dopo una cena tra massoni, e, notando una luce che proviene da un'abbazia in rovina, si avvicina cautamente e guarda dal buco della serratura. Vede il fantasma di una terziaria francescana che bacia il fantasma di un frate cappuccino, e ne è così indicibilmente sconvolto e terrorizzato che sviene immediatamente e lo scoprono là, la mattina dopo, mentre giace accasciato contro la porta, ancora ammutolito, con la fedele chiave di casa spasmodicamente stretta nella mano. Tutte queste cose accadono la Vigilia di Natale e si raccontano la Vigilia di Natale. Raccontare storie di fantasmi in qualsiasi altra sera che non sia la sera del ventiquattro dicembre sarebbe impossibile nella società inglese, secondo le regole attualmente vigenti. Quindi, nel presentare le tristi, ma autentiche storie di fantasmi che seguono, mi rendo conto che è inutile informare lo studente di letteratura anglosassone che il giorno in cui furono raccontate e in cui accaddero gli episodi era la Vigilia di Natale. Nonostante questo lo faccio lo stesso. 

Questo pezzo è tratto da:

Storie di fantasmi per il dopocena
Jerome K. Jerome
Il Narratore Audiolibri Editore,
 Lettura di Massimo D'Onofrio
Prezzo 4,99€ (prezzo Itunes)


Presa da Irlandando

domenica 23 dicembre 2012

L'ha detto... Charles Baudelaire

Immagine presa da qui


Ciò che ho sempre trovato di più bello, a teatro, è il lampadario.

 Charles Baudelaire

venerdì 21 dicembre 2012

"Lasciamisenzafiato", Elvio Calderoni - Viaggiando nell'apparente staticità

A sinistra Elvio Calderoni a destra Paolo Di Paolo
alla presentazione di "Volfango dipinto di blu"
Club Hula Hop, Roma 19/12/2012
Immagine di LettureSconclusionate


Si può viaggiare da fermi? In effetti è possibile fino a ieri, avrei risposto che si può viaggiare comodamente seduti sul divano o sulla poltrona preferita di casa leggendo un bel libro, magari questo di cui vi parlo oggi. Secondo, invece, la filosofia, che sembra uscire da questo testo, si può viaggiare da un luogo all'altro senza che, chi viaggia, subisca variazione di sorta mentre l'effettiva essenza di quel che si definisce "viaggio" comincia proprio non appena arrivati sul posto. All'inizio, devo ammettere, il concetto mi è sembrato un po' astruso e mi sono messa a pensare come ciò possa essere possibile e alla fine ieri sera, alla presentazione del nuovo libro di Calderoni, guardandolo in faccia mentre aspettava di iniziare mi si è accesa la lampadina.

Facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire di cosa si parla in "Lasciamisenzafiato". Si parla di storie personali, come avviene anche per il libro con il quale l'ho confrontato nel post del mese di Novembre (ovvero Storie dentro storie). La differenza tra le due trame è che nel libro della Astori, le storie costituiscono insiemi che si tangono e che si intersecano formando la maglia strutturale della trama. Invece, Elvio Calderoni, affronta il romanzo "poliprotagonistico" (come diceva lui, non lavora se non ha almeno 5 protagonisti!) in una maniera totalmente diversa. L'individualità di ognuno che viene a contatto con gli altri, per questioni di conoscenza o di affetto, compongono tutte insieme una serie di rette che rendono solida la struttura del romanzo. Non c'è bisogno che creino altre storie, perchè a fare da collante al tutto c'è la casualità, ora fortunata e ora sfortunata, che le tiene insieme.
Ci sono Alessandro e Irene innamorati e prossimi sposi, Barnaba e Clara che incontrano Alessandro il primo per caso e la seconda a seguito di una sua immagine apparsa sul web, c'e' Federico, fratello adorato del futuro sposo e anche un sacerdote giovane ma deciso a esercitare la sua missione di recupero si una suonatrice di sax, Clara, che, nasconde in sè, un dolore immenso di cui non riesce a parlare.

Ora a questa architettura già ricca di incastri, aggiungiamo un'altra immagine anzi altre tre Cividale, Ferrara e Roma. Cividale è una bellissima cittadine del Friuli quasi al confine con la Slovenia, poi c'e' Ferrara città altrettanto bella e ricca di storia e infine Roma. Su questo asse immaginario si appoggia e svolge la trama. Quindi, teoricamente,  dovremmo averne di descrizioni di viaggi e, invece, non ce ne sono poi così tanti. Solo qualche accenno, la macchina, un treno e basta. Il vero viaggio comincia quando si raggiungono i luoghi che fanno da scenario a queste vicende, passando per la descrizione delle architetture ( dallo stipite del portone fino all'acciottolato della piazza) e prosegue con le immagini di scene di vita, come la ragazza che corre a notte fonda con le cuffiette alle orecchie per sentire la musica (perché corre non ve lo dico lo dovete scoprire voi!). E non si ferma qui, le immagini scattate non sarebbero bastate da sole, a modificare l'io dei nostri protagonisti, ma serve ancora un fattore: la musica. E allora il quadro diviene completo Alessandro, Federico, Clara e Barnaba sono tutti legati alla musica da una passione. Ma, al contempo, Irene, il sacerdote e in fondo anche  Clara affrontano una battaglia interiore con la propria anima. E' questo sbilanciamento di parti che cerca di trovare un suo equilibrio che genera le casualità che continuano a legare le individualità di tutti i personaggi. In alcuni casi è cercata, voluta e creata, come avviene fra Alessandro per Clara e Barnaba, e in altri è totalmente assegnata dal destino che muove le personalità come pedine assegnando loro situazioni inoppugnabili, come avviene sempre nella vita reale.

Ma attenzione a non confondere il destino con il Dio ( vista la presenza di un sacerdote) perché la gestione del caso "predestinato" in questo libro è di radice laica non religiosa. L'introspezione che colpisce ad un certo punto tutti i personaggi, nasce dal mutamento interiore avvenuto nei vari luoghi, che genera negli animi dei protagonisti la consapevolezza dell'essenza del proprio io. E allora non si ha più la necessità di avere un finale a sopresa, anche se poi alla fine c'è. Perché in questo libro, oltre a quello scritto c'è il "finale suggerito" e sta fra le righe, nella concezione calderoniana della vita. Non serve la "meta" sia indicata con la descrizione fine. C'e' sempre stata, se lo avete letto da fermi e avete viaggiato e goduto delle immagini di strade e ponti, alla luce del pieno giorno o nel silenzio della notte, sulle note di Piovene o su quelle di altri titoli nominati,  allora siate certi che, il finale della vostra storia, lo avete già trovato!
Questa recensione ha circa 30 versioni e questa è la 31esima. Il problema non è dato dallo stile di scrittura, ma dal trascrivere un'esperienza di lettura che diventa sempre un momento di incontro fra il messaggio dell'autore, e della sua creatività, con l'esperienza di chi la legge e quindi la interpreta con il suo bagaglio di ricordi accumulati. Potete quindi essere certi che per ognuno avrà una resa diversa. Quello che rimane unico per tutti, o almeno è venuto fuori dai commenti del salotto letterario, è la scorrevolezza del testo che non presenta intoppi ma scivola via con tranquillità, tanto che ci metterete un attimo a ricordarvi, nonostante i tanti protagonisti, chi è chi e qual'è il suo ruolo. E questo vi assicuro che, per esperienza personale, e cosa quantomai rara e, suppongo, anche abbastanza complicata.

Chiaramente a caldo, nel salotto, assegnai 3 stelle su cinque a questo libro, su cui ho dovuto riflettere non poco, perché sviata dalla casualità che sembrava essere protagonista rispetto al resto. Oggi aumento al massimo 5 stelle per le ragioni di cui sopra. Rimango interdetta, all'affermazione di Paolo Di Paolo che sostiene che nella scrittura di Calderoni c'e' un pizzico di De Carlo, per me Calderoni in questo lavoro ricorda molto una canzone di Gaber che si chiama "Il luogo del pensiero" ( testo e video ).
Buone letture,
Simona Scravaglieri

Lasciamisenzafiato
Elvio Calderoni
Miraggi Edizioni, ed. 2011
Collana "Golem"
Prezzo 13,50€

Immagine di LettureSconclusionate

giovedì 20 dicembre 2012

Momenti di lettura..."Storie dentro storie", Giovanna Astori

Mi piace spesso condividere parti dei libri che sto leggendo con gli amici. Chi non mi conosce, potrebbe pensare che faccia solo mera pubblicità e invece spesso è solo una condivisione con gli amici con i quali lo faccio normalmente, interrompendo la mia lettura ed esclamando "Guarda qui!".
Visto che in questo caso la mia lettura si è svolta in una giornata ho raggruppato i tweet che la riguardano per potervela riproporre.
Buone letture,
Simona



Il libro da cui è tratto è:
Storie dentro storie
Giovanna Astori
L'Erudita Edizioni, ed. 2012
Prezzo


mercoledì 19 dicembre 2012

[Dal Libro che sto leggendo] Giancarlo Siani. Passione e morte di un giornalista scomodo.

Immagine presa da qui

Questo bellissimo libro mi ha accompagnato per ben due settimane di lettura. E' un'inchiesta, una di quelle che ci piacerebbe vedere magari a puntate su un giornale, quelli di una volta, che qualificano il lavoro di quelli che generalmente vengono descritti "Giornalisti". E Bruno De Stefano un giornalista lo è, in questo blog trovate anche un commento ad una sua partecipazione ad una antologia che ha curato con Marcello Ravveduto e che si chiama "Strozzateci Tutti", e ha anche scritto altri libri inchiesta ( ne ho un altro che devo trovare il tempo di leggere!) e quello che lo contraddistingue è la meticolosità. Delle volte sembra che smetta i panni del giornalista per vestire quelli di storico o statista e persino in qualche punto di sociologo. In fondo è questo il motivo per il quale questi libri si scrivono per approfondire e non per convincere il proprio uditorio che la propria parte è quella giusta. A decretare chi abbia ragione o no dovrebbero essere i fatti, presentati con la dovizia di riferimenti e di particolari che Bruno mette nei suoi lavori. Un lavoro improbo certamente, ma che in questo caso rende sicuramente i suoi frutti restituendo al lettore la possibilità di avere una visione quantomai completa di una vicenda che troppo spesso rimane nelle mente delle persone non per quello che è realmente accaduto, come dalle ricostruzioni giudiziarie ed extra-giudiziarie ma per la ricostruzione a volte fantasiosa della filmografia in argomento. E forse non è un caso che stessa conclusione venga fuori anche da un libro che trasferisce su carta i ricordi degli amici di Don Pino Puglisi trucidato dalla mafia nel 1993 ("Pino se lo aspettava", Marco Corvaia - di questo ne parleremo nei prossimi post).
1.
23 SETTEMBRE
Un cadavere nella Méhari
«Integro, inodore, cereo, tiepido, rilassato». Nel descrivere un uomo morto ammazzato, un altro al posto suo avrebbe utilizzato un lessico diverso; ma Mauro Pelella, sovrintendente in servizio alla polizia scientifica, per mestiere ha l'obbligo di essere distaccato e neutrale. Del resto non deve affascinare il lettore con una prosa ricercata ma solo compilare un verbale; e i verbali della Scientifica non contengono emozioni ma soltanto
un' asettica ricostruzione dei fatti.
E nel caso specifico, il fatto è che la sera del 23 settembre del 1985, al Vomero, il quartiere della borghesia napoletana, c'è stato un omicidio. Il sovrintendente Pelella, chiamato per eseguire i rilievi tecnici sulla scena del crimine, scatta fotografie e prende appunti mentre osserva una Citroen Méhari di colore verde bottiglia, targata NAK14314, parcheggiata in via Romaniello all'altezza del civico 21/b. Il sovrintendente scruta ogni
angolo della macchina, memorizza anche il più insignificante dei particolari, si sofferma su dettagli che un occhio poco allenato non noterebbe mai. E di tanto in tanto si consulta con il magistrato e i due funzionari di polizia arrivati al Vomero per seguire le indagini: il sostituto procuratore Felice Di Persia, il capo della squadra mobile Franco Malvano e il responsabile della Sezione omicidi Franco Gratteri. Il lavoro degli investigatori stavolta si annuncia difficile perché nella Méhari, al posto di guida, non c'è uno dei tanti camorristi abbattuti nel corso di una delle frequenti guerre tra clan. Il corpo senza vita che Pelella ha descritto «integro, inodore, cereo, tiepido, rilassato» è, infatti, quello di un bravo ragazzo: Giancarlo Siani, venti sei anni compiuti appena quattro giorni prima. Era un giornalista, Siani. O meglio, lo sarebbe diventato. Fino a un istante prima del delitto era solo un "abusivo", cioè non aveva un contratto di assunzione; lavorava come cronista nel quotidiano «Il Mattino» e se in via Romaniello non gli fossero piombati addosso gli assassini, sarebbe stato regolarmente inquadrato entro la fine di ottobre.
Dalla relazione che il sovrintendente Pelella stende la sera del delitto, risulta che Giancarlo Siani è stato assassinato con due pistole calibro 7.65: i colpi gli hanno bucato il petto e la schiena. Non ha avuto neppure il tempo di scendere dall'auto, il quadro di avviamento e i fari e le luci di posizione sono ancora accesi. Ma mentre i flash dei fotografi e le telecamere dei Tg riprendono le immagini del cadavere nella Méhari tutti, dentro e fuori il mondo dell'informazione, si pongono la stessa domanda: chi era Giancarlo Siani? E cosa aveva scritto di così impegnativo per fare quella fine? Era un giornalista in prima linea? Seguiva inchieste o processi di camorra?
Le domande, come lo stupore, sono più che giustificate: Giancarlo, infatti, era sconosciUto ai più anche all'interno della redazione centrale del suo stesso giornale dov'era approdato da quasi quattro mesi dopo una lunga gavetta nell'ufficio di corrispondenza di Castellammare di Stabia. Il suo volto e il suo carattere gioviale erano noti forse soltanto a quei pochi che in estate lavoravano nello stanzone della Cronaca di Napoli, dove Siani occupava una delle ventuno scrivanie, alcune delle quali ancora vuote perché i giornalisti erano ancora in ferie. Nelle ore che seguono l'agguato di via Romaniello i redattori de «Il Mattino» hanno poco da raccontare ai tanti colleghi che da tutta Italia chiamano per avere notizie su Giancarlo; la sua biografia, del resto,è assai striminzita sia sul piano professionale sia sul versante privato. E non poteva essere altrimenti: aveva solo ventisei anni, era un giornalista ancora acerbo che aveva appena messo un piede nel mestiere e si apprestava a mettere anche l'altro.

Questo pezzo è tratto da:

Giancarlo Siani
Pannione e morte di un giornalista scomodo
Bruno de Stefano
Giulio Perrone Editore, ed. 2012 (Premio Siani 2012)
Collana "Bioton"
Prezzo 16,00€

lunedì 17 dicembre 2012

Diario di un mese di libri... Novembre 2012

Immagine presa da qui

C'è un libro di cui ho conservato un ricordo speciale, quello di Nick Hornby che risponde al titolo "Shakesperare scriveva per soldi". Mi piacque particolarmente perchè raccoglieva gli articoli che redigeva mensilmente per "The Biliever" e, mentre raccontava quel che aveva letto durante il mese precedente, ci inseriva pezzetti della propria vita. Quest'anno mi piacerebbe finire e iniziare con una nuova abitudine quella di mappare le mie letture e, ahimè, anche gli acquisti in modo da poter rispondere alle domande che volta per volta mi vengono poste in privato o da chi mi incontra del tipo "Ma davvero li leggi tutti quei libri??" o anche "Ma dove lo trovi il tempo di farlo?" e la più diffusa affermazione "Ahhh se un libro non mi piace alla n° di pagina (e qui ognuno ha il suo confine 1° pagina o 10°, 15°, 30° e qualcuno si concede fino a 50!) lo butto! Non ha senso leggere un libro che mi pare brutto!". Ecco queste sono solo la punta dell'iceberg. Quindi, per i coraggiosi sedetevi comodi perché potrei non essere breve e per chi non ha tempo o non ha voglia, spero che non mi voglia odiare per questa mia scelta che si può sempre saltare e non leggere! Dopotutto non è detto che mi riesca di fare tale resoconto tutti i mesi!:)
Buone letture e buon mese,
Simona

P.s.: dopo aver scritto, tagliato sostituito e via dicendo, questo pezzo mi sono accorta che è anche un ottimo modo per mettere a confronto le letture. E chiaramente aggiornerò il post linkando volta per volta le recensioni dei libri di cui scriverò.

Libri comprati:
"Lettera d'amore alla scozia", Alexander McCall Smith - Guanda Editore
"I piatti più piccanti della cucina tartara", Alina Bunsky - E/O Edizioni
"Antologia di Spoon River", Edgar Lee Masters - Oscar Mondadori Editore
"Cronache del dopobomba", Piliph K. Dick - Fanucci Editore
"I doni della vita", Irène Némirovsky - Adelphi Editore
"Hope: A tragedy", Salamon Auslander - Picador editore
"Vite Immaginarie", Marcel Schwob - Adelphi Editore
"Siamo Spiacenti.Controstoria dell'editoria italiana raccontata attraverso i rifiuti", Gian Carlo Ferretti - Bruno Mondadori Editore
"The Fran Lebowitz Reader", Fran Lebowitz - Vintage Editore (vers. Ebook)

Libri letti
"Pino se l'aspettava", Marco Corvaia - Navarra Editore
"Giancarlo Siani", Bruno De Stefano - Giulio Perrone Editore
"I doni della vita", Irène Némirovsky - Adelphi Editore
"Lasciamisenzafiato", Elvio Calderoni - Miraggi Editore
"Atti innaturali, pratiche innominabili", Donald Barthelme - Minimum Fax Editore
"Vite Immaginarie", Marcel Schwob - Adelphi Editore
"Mozart", Paolina Leopardi - il nostes magico Editore
"Storie dentro storie", Giovanna Astori - L'Erudita Editore

Una delle cose che mi si domanda più spesso è "Ma come fai a scegliere un titolo invece di un altro?". Ebbene non sono io che scelgo, sono loro a scegliere me! Ci sono libri che scanso per mesi e anche per anni e che invece un giorno improvvisamente mi appaiono rivestiti di luce nuova e trovo impossibile non sapere quel che c'e' scritto dentro! Può essere per una descrizione trovata in un altro libro, per la copertina o il titolo, fatto sta che se quel libro improvvisamente lo trovo essenziale prima o poi riesco ad averlo. Il problema è che, nonostante tutta la buona volontà che ci metto nel leggere più libri al mese, non sempre mi riesce di leggere tutto quel che compro, oppure, capita il caso che non sia "il momento" giusto per leggere quello stile di scrittura o quel contenuto. Ma so sempre che lo leggerò prima o poi e quel momento sarà sicuramente perfetto. Quindi, concludendo, si può dire che le mie scelte, fatta eccezione per le scelte operate per la partecipazione a specifici gruppi di lettura, sono solitamente un incrocio di destino&fortuna.

Detto questo, Novembre è stato un mese impegnativo culminato in una tre giorni a metà mese a Milano dove ho seguito "Librinnovando", appuntamento che credo diverrà una piacevole abitudine. Arrivare a Milano significa anche avere il tempo di fare quello che qui, a Roma, faccio saltuariamente, ovvero andare per librerie, in questo caso la Feltrinelli (quella che si trova a Piazza Duomo) per vedere che si consiglia in libreria (ci sono momenti di illusione bonaria in cui immagino che tutti i libri abbiano le medesime opportunità di visibilità! Questa, però, rimane l'unica libreria di grande in cui mi capita di trovare piccoli e medi editori). E non sia mai che la lettrice sconclusionata metta piede in una libreria riemergendone senza un libro! (C'e' un mucchio di gente che mi prende in giro per ciò, ne riparleremo). E infatti i primi sette della lista dei comprati sono stati acquistati proprio lì, mentre "Siamo Spiacenti. Controstoria dell'editoria italiana raccontata attraverso i rifiuti" l'ho preso quando ho seguito un seminario, a valle di Librinnovando per Bookcity, con un interessantissimo intervento di Giulio Mozzi che ha esordito sostenendo che, a volte, ragionando per assurdo, gli piacerebbe poter realizzare un'antologia della "letteratura rifiutata". Infine l'ebook della Lebowitz che inizia le mie letture in lingua, chiaramente non vi aspettate una recensione veloce, visto che in Italia non è tradotta, e che non potevo esimermi dal non avere/leggere dopo l'entusiasmo mostrato per il documentario di Scorsese riproposto in occasione del suo settantesimo compleanno. 

Per quanto riguarda i libri letti, gli ultimi mesi dell'anno sono il momento in cui metto il turbo, ma non perchè abbia un reale motivo, ma probabilmente divento famelica. In più, mi trovo a voler chiudere libri che ho aperto da un po' e accantonato temporaneamente o perché avevo da leggere altro, per un gruppo di lettura, o  mi hanno chiesto un parere per altro o anche perché ho temporaneamente perso l'affezione al tema. E' il caso di "Atti innaturali, pratiche innominabili" un incredibile e mirabolante esercizio di linguaggio che sarà costato sette camicie al traduttore. L'effetto è quello di vivere realmente le sensazioni e le nevrastenie dei personaggi , il linguaggio e la metafora sono portati agli estremi e contempla racconti che, seppur tradotti in maniera eccellente, purtroppo non sono totalmente comprensibili perché sicuramente mi mancano degli input relativi al periodo. Pertanto riporta un bell'appunto "Approfondire" (che implica consultare/comprare altri libri in merito ahimè!). Non è il caso del "Giancarlo Siani" raccontato da Bruno De Stefano, giornalista che con il suo certosino modo di lavorare ha ricostruito tutto il percorso del dopo-uccisione di questo giornalista tanto famoso quanto la sua storia è oggetto di leggende non metropolitane ma "filmiche"(passatemi il termine). Collusioni, connivenze e quant'altro hanno creato una fitta rete di depistaggi che, nascondendosi dietro comodo giudizio finale "fu ucciso perchè aveva scritto che sull'arresto di Valentino Gionta aleggiava il dubbio che fosse avvenuto grazie a Nuvoletta", sottraggono alla vista di ieri e di oggi i rapporti deviati di organizzazioni di stampo mafioso e camorristico con la politica. 
C'è stato poi l'intermezzo del Salotto Letterario di TempoXme_libri di inizio mese con "Pino se l'aspettava" (i post del salotto di "Pino se lo aspettava") di Marco Corvaia. Bella l'introduzione, in cui si riportano anche i pensieri dell'autore "Questa storia stava aspettando uno scrittore che la trascrivesse". In effetti il libro comincia così, un rientro a Palermo, una cena a casa dei genitori di un caro amico e di lì la scoperta che i suoi ospiti sono stati amici intimi di quel Don Pino Puglisi che negli anni '90 venne ammazzato davanti al portone da cui è entrato per andare a cena. Quello che ha dell'impressionante è che, nel caso delle organizzazioni di stampo mafioso, non vale sempre il detto "Paese che vai usanza che trovi" ma, in casi come quelli dell'eliminazione di un personaggio scomodo, i "metodi o procedure" sono uguali ovunque. Minaccia, isolamento, morte, calunnia. Non c'e' altro e lo scempio della calunnia uccide una seconda volta non solo chi non c'e' più ma anche chi rimane che si ritrova oltre a compiangerlo anche a doverlo difendere. Mario Francese, Don Diana, Federico Del Prete, Giancarlo Siani sono stati uccisi non tanto per essersi opposti ai clan apertamente ma nell'esercizio del loro lavoro. Una specie di morte bianca sopravvenuta mentre non facevano altro e, purtroppo, ancora oggi si tende invece a ricordarli per date o immaginette tipo "santino" che ne offendono la memoria che invece dovrebbe rappresentare un "esempio" ovvero se tutti facessimo il nostro lavoro, probabilmente ci sarebbero meno smagliature nel tessuto sociale in cui le mafie possano inserirsi.   

Poi ci sono state tre storie che parlano di rapporti e d'amore e in sequenza di lettura sono "I doni della vita", "Lasciamisenzafiato" e "Storie dentro storie" quest'ultimo letto il 1° dicembre ma lo avevo già sbirciato il giorno prima! Per quanto riguarda la Némirovsky, ci siamo a lungo guardate da lontano io e lei. Lei mi faceva l'occhiolino dalle bellissime copertine Adelphi e io, cocciuta, mi giravo dall'altra parte. Ma, confesso in uno scatto di calo di zuccheri l'ho comprata (me l'avevano suggerita come donna che sapeva raccontare l'amore in maniera particolare e siccome sono romantica come una lapide funeraria rifuggivo le possibili sdolcinatezze!) e invece mi sono trovata in mano una "saga" ristretta in circa 200 pagine. La cosa affascinante è che mi sembrava di leggere con il tono che nella mia mente avevo affidato ad una sola scrittrice, Liala, di cui ho letto quasi tutti lavori tra i 10 e i 15 anni . Ebbene si, anche io ho avuto un periodo "Romance" cui non rifuggo, ma fortunatamente è passato! La questione però è che qui non ci troviamo di fronte ad una storia d'amore, o meglio sì, ma che si contende la luce da protagonista con la saga di una famiglia e il periodo che va da prima della prima guerra mondiale all'inizio della seconda e, nonostante l'autrice non si dilunghi più di tanto a commentare le innovazioni che caratterizzano le varie epoche, queste compaiono qui e lì a far capolino fra le maglie della trama. E' un po' come andare a spasso per la storia, fortunatamente non con il figlio di Piero Angela (tanto un caro ragazzo ma troppo pedante sugli inutili particolari a volte!). Per il secondo appuntamento salottiero (che trovate qui: Salotto letterario "Lasciamisenzafiato") invece ci siamo trovate "incastrate" in un romanzo di Miraggi scritto da Elvio Calderoni, "Lasciamisenzafiato", che ha tessuto una fitta rete di situazioni e casualità, che costituiscono l'armatura di un romanzo poli-protagonistico (non lo andate a cercare sul dizionario perché è un termine che mi sono inventata sul momento per potermi far capire!). Dopo lunghe discussioni, io nel salotto sono la cattiva della situazione solitamente, ho deciso di prendermi un momento di riflessione sul testo che oggi (13 dicembre) culmina in un pensiero che credo rappresenti l'essenza di questa trama, almeno per il mio modo di vedere. Non c'e' propriamente un protagonista ma, a parte qualche ombra secondaria che viene solamente accennata, quasi fossero facenti parte integrante del fondale che fa da sfondo al susseguirsi delle scene, tutti coloro che intervengono in questa intricata vicenda sono protagonisti contemporaneamente. Quel che riesce particolarmente bene a Calderoni è descrivere i luoghi, perché ti vien voglia di andarli a vedere, parlare dei dolori, quasi del "male" interiore alla Herling, e della musica. Quando questi due ultimi fattori compaiono contestualmente riesce a dare il meglio di se stesso. C'è, in particolare, una scena gestita in maniera magistrale dove bene e male si contrappongono, il male viene stretto nella morsa dell'altrui sguardo che attanaglia chi, come la protagonista Clara tenta inutilmente di nasconderlo, si trova su un palco a raccontare una storia di note con un sax mentre fuori, il bene libero da restrizioni e supportato dal silenzio quasi confortante della notte esplode in note classiche ad opera di un giovane, Alessandro, che riscopre la sua passione per la musica con un violino prestato. Attorno a quest'ultimo ci sono la fidanzata e prossima sposa di lui, il ragazzo giovane che lo ha sentito suonare e che pensa che la sua realizzazione nella musica dipenda da quel violinista che dice di non suonare più ma che dimostra di vivere fisicamente la musica che suona. Poi anche il fratello Federico, il maggiore fra i due e molto simile fisicamente ad Alessandro, legato a lui da un viscerale amore gemellare che sottolinea questa somiglianza e infine foto, tante tante foto, che legano sottolineando con il loro scatto quasi ogni volta che si verifica una casualità fortunata o sfortunata. Insomma un libro da leggere per farsene un'idea di cui vi parlerò più in là. 
Infine "Storie dentro storie" di Giovanna Astori che si affaccia ora nel campo editoriale anche se ha già partecipato ad antologie di racconti. Anche qui ci si incastra (quando si dice il caso eh? Poi venite a dirmi che non è destino/fortuna!) ma in questo caso la natura dell'incastro non è data dalla causalità  bensì dalla contestualità, ovvero è frutto di conoscenze o di attività come la commessa che conosce la persona che tutti i giorni prende il bus con lei, il suo capo, la sua amica e via dicendo. Questa ragnatela di trama ha un centro ben definito, mentre quella di Calderoni sembra propriamente frutto di un'occorrenza che si presenta di caso in caso e quindi, la conoscenza, non è una condizione necessaria mente il luogo si. Quindi nonostante abbiano costruzioni simili, nella scelta del fattore trainante, ma differenti, nello svolgimento, sono diversi anche gli assunti di base che per l'Astori sembra sia più importante il viaggio/percorso, per Calderoni invece è l'opposto perché la permanenza in un posto qualifica il cambiamento personale in base a quello che, quella parte di mondo fa/agisce, per il nostro cambiamento personale. 

Altri due libri che si sono cercati, ma non mi avevano comunicato di essere simili, sono il "Mozart" di Paolina Leopardi e "Vite immaginarie" di Marcel Schwob. Due casi di biografie (nel primo solo quella del grande musicista e nel secondo quelle di grandi uomini o miti classici, affiancati con estrema nonchalance a biografie di assassini e pirati). Sono gustosi, perché sono in netta opposizione alla disciplina biografica che ci aspetteremmo, ovvero quella pomposa e didascalica, proponendone una romanzata, che tanto ricorda quel tipo di saggistica (sicuramente più seriosa ma raccontata in maniera accessibile a molti) che sta ritornando di moda nei tempi odierni. Sono scritti a distanza di circa 50 anni, la sorella di Leopardi pubblica nel 1837 mentre Schwob intorno agli anni '90 dello stesso secolo. E la bellezza dei suddetti racconti è che sono un miscuglio fra la formula favola e l'elaborazione personale, a mo' di racconto fatto ad un confidente quasi un gossip, di informazioni raccolte qui e là in maniera seria, quasi scientifica. E' qui che il secondario diviene importante mentre ciò che, la disciplina biografica, ritiene centrale diventa praticamente secondario. E' una formula accattivante e a dirla tutta per il Mozart, abbiamo fatto notte fonda con "Il notes magico" ( I post li trovate qui: Salotto letterario "Mozart") e con le altre lettrici, nel salotto del gruppo di lettura, perché l'argomento ha avuto parecchia presa e un po' ovunque Paolina è stata accostata ad un'altra sua contemporanea inglese, Charlotte Bronte, di cui ricorda l'approccio al racconto. Nel secondo caso questo gioco di secondario che diventa primario è ancora più evidente già nell'architettura del libro, trattandosi di una raccolta di biografie, visto che a racconti di vite quasi leggendarie come quella di "Empedocle" si affiancano quella della prostituta o del generale scontento perché vuole diventare pirata. La serietà e l'applicazione dello scrittore è la medesima di quella di un biografo classico, ma il risultato è nettamente differente quando leggi che, Paolo Uccello in una cappella per la quale gli era stata commissionata l'affrescatura delle volte dipinse un mirabile affresco che rappresentava i quattro elementi e siccome aveva ad un elemento associato la figura del camaleonte - non ricordo a quale di questi- ma non sapendo come fosse fatto, al suo posto, dipinse un dromedario".  Ecco se avete amici non lettori, cui invece volete regalare un libro che dovrebbe aprir loro le strade di questo fantastico mondo di carta o di bit, direi proprio di cominciare da questi due titoli.

Questo è stato il mio intenso mese di Novembre e devo dire che molte cose le ho anche tagliate, confido nel tempo per diventare più brava nell'essere succinta.
Nuovamente buone letture,
Simona Scravaglieri


Immagine presa da qui





domenica 16 dicembre 2012

Whoopie!

Ci sono argomenti che, nei blog in cui si parla di libri, solitamente non vengono nominati. Invece qui si e per motivi ben specifici tra cui il fatto che io sono una lettrice sconclusionata, e quindi per definizione leggo di tutto, poi perché sono sempre stata convinta che c'è un libro per fare qualsiasi cosa e infine, ma non meno importante, perché mi piace il lavoro fatto nel valorizzare qualsiasi tipo di argomento. E questo video è spettacolare e quindi oggi si parla di dolci i Whoppie, dolcetti della tradizione Amish, che devono il loro nome all'espressione che utilizzavano i bimbi quando li trovavano nei loro cestini delle merende. 
Buone letture e buona domenica,
Simona

 

Il libro di cui si parla è:

Whoopie
Piccole golosità in un boccone
Mauro Padula - Carolina Turconi
Sperling e Kupfer Editore, ed. 2012
Prezzo 14,00€

venerdì 14 dicembre 2012

"Storie dentro storie", Giovanna Astori - L'importanza di vedere e non guardar soltanto...

Immagine presa da qui
Ci sono momenti in cui vedere, invece di guardare di sfuggita ci può aprire un mondo e solitamente è compito dello scrittore vedere e tradurre la realtà in parole, come il fotografo la interpreta in immagini e via dicendo. Basta altrettanto poco perché la storia personale di ognuno di noi diventi una "storia condivisa con altri". E' così che, Giovanna, immagina la vita di una serie di personaggi, tutti protagonisti della propria "storia personale" che segue la trafila prescritta dal destino, incatenata a quella degli altri con i quali, per lavoro o per diletto o anche per amore, che costruiscono delle "storie condivise". Cosa intende per "storia condivisa"? S'intende quella nuova trama che si crea dall'interazione con altri, in sostanza "l'interazione", che può essere una nuova conoscenza o un nuovo amore, crea nuovi ricordi che sono comuni ad una o più persone. I ricordi diventano storie e, laddove siano comuni, possiamo definirli condivisi. Può essere di gruppo, relativa quindi alla frequentazione di un gruppo di persone, o anche solo fra due persone. L'autobus, che giornalmente traghetta individui da un punto "A" ad uno "B", non è solo un mezzo di trasporto ma, anche, un "sotto insieme" di storie (dell'insieme immenso del mondo) e, al contempo, un momento in cui creare nuove storie che derivano dal contatto fra i viaggiatori. Tutto può iniziare da un sorriso o da una semplice frase di convenienza. ma succede tutti i giorni e, nella frenesia della vita, non ci soffermiamo mai a considerarle tali.

Ed è in questo momento che lo scrittore invece trova i fili da intrecciare per formare una o più storie e, solitamente, queste sono frutto dell'osservazione della realtà. Diviene semplice, per lui o lei, a quel punto dotare la creatività di un parterre di visi, frasi e voci da combinare per poterle servire, detta alla Carr quando parlava di storici che lavorano per i loro lettori, come un piatto completo.
Come al solito contestualizziamo un po'. Questa è un'opera prima di una scrittrice che viene dal mondo dei racconti. Giovanna, infatti, dice di aver raccolto gli incoraggiamenti di amici e conoscenti e di essersi calata nel mondo dei romanzi. E in effetti, guardando l'architettura di questo libro il suo primo amore traspare. E il fattore pregevole in questo testo risiede proprio in questo questo, ovvero, nell'aver preso insieme tutta una serie di "racconti=storie personali" che, incastrati per contatti reali e non visivi (come avviene in altri libri di cui vi ho parlato in precedenza ad es. "Se fossi fuoco arderei Firenze", Vanni Santoni in cui le storie personali non sono necessariamente di personaggi che si frequentano), creano nuove storie "condivise" e in questo caso costituiscono l'armatura della trama centrale. E quindi questo romanzo, nella sua orchestrazione generale, diviene come la cabina dell'autobus che si vede in foto e, nonostante le trame possano svolgersi anche al di fuori (magari lontano dall'Italia), i personaggi sono raggiungibili come fossero su quel veicolo da cui si allontanano nella speranza di farvi ritorno. E come avviene su un mezzo di trasporto pubblico, non puoi assolutamente sceglierti i tuoi compagni di ventura, a meno che non stiano già viaggiando con te e al contempo "la diversità", che potresti incontrare in un gruppo eterogeneo di persone che cercano di rimanere in piedi su un qualcosa che si muove nel traffico cittadino, non è rappresentata solo dal contatto con etnie differenti ma anche da persone che hanno vite pubbliche e private fra loro infinitamente diverse. E' proprio un insieme di voci, che non permettono alla protagonista di svettare sulle altre, tant'è che solo alla fine si scopre di chi sia, ma che insieme compongono quel rumoreggiare che normalmente ci accompagna nei vari spostamenti fatti per lavoro o divertimento.
Pertanto come si dice spesso "il viaggio è più importante dalla meta da raggiungere" e in questo libro una meta c'è e va al di là delle aspettative di un qualunque lettore che si accompagni con questi viaggiatori ma, alla fine, diventa  meno importante del viaggio che si è percorso per arrivarci visto che è nel percorso che abbiamo veramente "vissuto" le tante voci che ci hanno accompagnato per la strada.

Una scrittura fresca, probabilmente perché sviluppata come un grande incastro di racconti che per loro natura non necessitano di "allungamenti di brodo" per poter riempire pagine. Contestualmente è anche pregevole in alcune descrizioni; la "rabbia" che diventa come piume di un cuscino strappato è quella che mi è piaciuta di più. E' stato un incontro fortunato, bel libro, bella trama, chiusa ad effetto che lascia il lettore sospeso e infine un buon ricordo. Credo che mi sia particolarmente piaciuto oltre per la metafora che rappresenta della vita, in cui tutti gli esseri viventi contribuiscono a creare più storie, o vite o percorsi, anche perché ricorda nella soluzione finale un altro romanzo che ho particolarmente amato e che si chiama "Caina" che ha però un assetto e un linguaggio completamente diverso. In più mi piace poter leggere narrativa che non scivola via dalla mia memoria (quando si leggono tanti libri e ne capita qualcuno che non ha ragione d'essere scritto può succedere ma non è questo il caso), ma che si ancora a questa lasciando un segno del suo passaggio ricordandomi che vedere e osservare quel che mi circonda può raccontarmi un nuovo romanzo.
Un libro da leggere, non tanto perché ve lo consiglio io, ma per la curiosità di vedere una delle tante soluzioni narrative che hanno molto da offrire e che vengono da personaggi nuovi al mondo della cultura vigente. Così, tanto per cambiare un po' l'aria nella camera a volte stantia delle certezze. Provare per credere.
Buone letture, 
Simona

Storie dentro storie
Giovanna Astori
L'Erudita Edizioni, ed. 2012
Collana "L'urgente"
Prezzo 13,00€





giovedì 13 dicembre 2012

Appuntamento a Roma...Concerto di Natale

CONCERTO DI NATALE 

Coro "OTTAVA NOTA"
 DIRETTORE Fabio De Angelis 

 SABATO 15 DICEMBRE 2012  ORE 21

 BASILICA DI SAN GIOVANNI A PORTA LATINA 
Via di Porta Latina, Roma

Per farvi capire di cosa si tratta, vi inserisco un piccolo assaggio del concerto tenutosi a Rocca di Papa lo scorso anno. Un evento da non perdere, questo coro è stato più volte coinvolto nelle manifestazioni organizzate a San Pietro per il Papa. Buon ascolto,
Simona

P.s.: Nel caso vi sovvenisse la domanda, la lettrice sconclusionata non canta:)


mercoledì 12 dicembre 2012

[Dal libro che sto leggendo] Non è successo niente

Immagine presa da qui

Questo l'ho letto un po' di tempo fa e infatti la recensione la trovate qui: "Non è successo niente". E', stato l'unico libro letto sin'ora, che mi ha messo il dubbio di essere più interessante de "Lo splendore dei discorsi" che, allo stato attuale rimane fra i miei preferiti. Come detto tante volte ci si affeziona ad un autore non solo per il modo di scrivere ma anche per i temi affrontati e, devo ammettere, che qui un punto di contatto c'è nonostante le storie siano distanti anni luce nella trama. Chissà se la città innominata del primo e del secondo sia la stessa, rimane comunque il fatto che questo è veramente un libro bello e piacevole da leggere.,
Buone letture, 
Simona
Più tempo passa e meno sento il rimorso della storia. Quel fiato gigantesco che alitava sul collo è diventato un soffio, un refolo, un leggero passaggio di vento. Guerre, cadaveri, morte, conquiste, sacrifici, ferocia, non sono altro che bagattelle, messe una dietro l'altra come le borse della spesa. Saranno gli anni che si sono succeduti,uno dietro l'altro, come trappole in una radura. In ognuna una parte considerevole di me. Un risentimento,un pensiero, un migliaio di pensieri, un cognome, un bacio.Cose del genere.
È così che mi sono alleggerito dal peso della storia. La mia, innanzitutto, e quella di tutti gli altri. Nazioni, eserciti, rivoluzioni, colpi bassi, parole al cianuro. Cianuro.
Ora me ne vado per i miei camminamenti e mi sento leggero. Come un uccellino che debba finalmente ricostruirsi un nido. Sente la sua fatica come un residuo ora che è a casa. Quelle lunghissime ore a volare sugli oceani, sui boschi, sulle pianure, fra le doppiette dei cacciatori, sono un niente. È tutto passato. Ora si sente più libero.
Una volta una mia paziente, mentre mi ero piegato sul letto per constatarne il delirio, aprì gli occhi, mi guardò fisso e mi disse: - Prenda l'altra parte di me e la porti là - indicandomi l'altro letto vuoto che stava accanto. L'altra parte di me. Me la ricordo bene. Aveva il naso appuntito e gli occhi grandi. Irrecuperabile. Le diedi una carezza, poi agguantai nel niente l'altra parte di lei - sbracciandomi come un macaco nell'aria - e la trasportai sul letto adagiandola.
Lei non si accorse di nulla. Glielo dissi, allora, le dissi che avevo fatto quello che mi aveva chiesto, ma lei era già nel suo deliquio, lontana come una barca in mezzo alle correnti del-lago. Ma anche lei, il cui ricordo,per anni mi tormentò, è così lontana ora, così fievole, che mi pare di non essere stato io a sollevare quell'aria e adagiarla sul letto. 
Tutti i miei anni in manicomio si sono allontanati da me come un miracolo. Non c'è niente che mi assalgadi notte e mi serri la gola. Le mie notti sono un profluvio di sonno. Continuo e rilassato. Sono un animale che dorme. Ma ora sono vecchio. Ho quasi ottanta anni e tutti, quando mi incontrano, sembrano riverirmi, come di solito capita con le statue dei santi. Non è la mia saggezza a intimorirli, o il mio sguardo ancora acuto, ma la vicinanza alla morte. È un riflesso condizionato, come la campanella di Pavlov.
L'ho diretto per vent'anni quel manicomio, l'ho cambiato. Era un campo per internati. Un aborto a cielo aperto, una cloaca. Ora è una casa accogliente, con tanto di parco e campi per praticare sport. Certo ne'ho guariti ben pochi di pazienti. Guariti nel senso che se ne andavano a casa, ritornavano nelle loro famiglie completamente ristabiliti, senza mai più ricadere nella pazzia. Ben pochi. Ma questo è il nostro lavoro. Vi sono delle situazioni per le quali non esistono sforzi, non basta la volontà per cambiarle. Quelle sono e quelle rimangono. Uno può alleviare i sintomi, diminuire il dolore, levigare la catastrofe, ma tant'è, la malattia rimane. Diminuita forse, ma sempre al suo posto, vigile e costante.
Qualche rara volta mi chiamano in istituto per delle consulenze e io vado. Cosa rimango a fare a casa?A girare dalla sedia al divano, a guardare i muri che non si spostano di un centimetro, mentre tu vorresti vederli sparire di colpo. Listituto non è lontano da casa mia, io abito in una fiorente periferia, circondata da parchi e case a due e tre piani. Qui mi sento vicino ad un cuore segreto. Di cosa? Un cuore segreto di cosa?
È proprio dell'ultima visita che intendo raccontarvi. Successe quasi un anno fa. Sembra che da allora siano passati trenta e passa anni. E invece solo trecentossessantacinque giorni. Più o meno. Ottomilaseicentosettanta ore. Più o meno. E io nel frattempo cosa ho fatto? Mi sono liberato di un peso. Del mio peso. Succede come quando termina un sentimento. Che sia odio o amore, o quel che sia.
D'un tratto ti accorgi che è finito. Succede così. Me ne esco. Vado in giro. A zonzo. A non fare niente se
non passeggiare. Non crediate che il mio passo sia quello di un giovanotto. Il mio passo è quello tipico dell'ottantenne ancora in gamba. Non potrei certo attraversare la città da un capo all'altro. Questo è un fatto. Ogni tanto, anzi mi devo fermare. Faccio sosta, mi siedo su una comoda panchina e guardo le persone. Da come si muovono, dal passo, dai lacerti di discorsi che mi arrivano all'orecchio, dagli sguardi leggermente furenti o a volte mansueti come quelli dei cani accucciati sui balconi, mi sembra che l'infelicità abbia guadagnato terreno. Tanto terreno. Una fortezza accerchiata. Più uno tenta di allontanarla, l'infelicità, più ne è stregato. Come nei giochi dei prestigiatori. Tu guardi la mano destra e quello il giochetto lo fa con la sinistra. Ma poi perché guardavi la mano destra? C'era un motivo. Forse l'agitava proprio per distrarre l'attenzione dalla sinistra. È un vecchio trucco dei tiranni.
È cosi che ti ritrovi dopo un'intera vita a non capire nulla, a pensare sul serio che niente abbia un senso. Che il senso, quelle rare volte che l'intravvedi, sei tu a mettercelo, e con la forza per giunta.

Questo pezzo è tratto da:

Non è successo niente
Giuseppe Aloe
Giulio Perrone Editore, ed.2009
Collana "Hinc"
Prezzo 15,00€

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