domenica 29 aprile 2018

#blognotesmaggio Viaggio, Sinonimo di libro. Praga, Sinonimo di Kafka

Fonte: Paola Sabatini
Per chi non gira da molto in queste pagine, oggi non sono io a scrivere ma Paola Sabatini che è una carissima amica da parecchi anni. Con lei condivido libri e passioni, lei ogni tanto mi regala qualche chicca e io cerco a mio modo di fare lo stesso (ma è talmente tanta la roba che ha letto che è difficilissimo stupirla!). Quindi oggi per #BlogNotesMaggio, è sempre un onore per me lasciare ben volentieri a lei questo spazio!
Buone letture,
Simona Scravaglieri

Anche quest’anno mi sono nuovamente imbucata nel meraviglioso e misterioso mondo delle bloggers e vloggers che, capitanate dalla Scrav di Letture sconclusionate di cui oggi sono ospite e che ringrazio, vi e ci terranno compagnia per un mese intero, con i loro consigli, suggerimenti, recensioni e critiche varie, attraverso video e post dedicati ai temi del #maggiodeilibri e al vasto mondo dei libri in generale.
Come sempre, anche quest’anno verso metà maggio, visiterò una capitale europea. Questa sarà la volta di Praga che per me (come per tanti) è sinonimo di Kafka, e siccome un viaggio, per essere vissuto meglio, dev’essere possibilmente preceduto da qualche lettura mirata, giusto per entrare nello spirito del luogo in cui ci stiamo recando ed anche per avere un’idea della città, della sua storia e dei suoi luoghi di maggior interesse e dei personaggi che l’hanno resa famosa, le mie letture preparatorie comprenderanno una guida, un saggio, un romanzo, una raccolta di racconti, e forse anche qualcos’altro.

Il percorso letterario che ho scelto comprenderà:

1) la lettura dell’irrinunciabile e preziosissima guida di Praga della Lonely Planet, perché ha il pregio di suggerire itinerari intelligenti e poco dispersivi, molto utili quando si ha poco tempo a disposizione, fornendo al contempo indicazioni essenziali sugli strumenti necessari per pianificare il viaggio, per visitare la città e coglierne la linfa vitale;

2) la lettura di uno storico pamphlet dell’allora dissidente Vaclav Havel, “Il potere dei senza potere”, drammaturgo ed attivista per i diritti umani, simbolo del dissenso contro l’oppressione del regime comunista di Mosca nonché fondatore di “Charta 77”, un manifesto e una serie di trame di rapporti tra intellettuali e uomini di cultura, che aiutò l’Occidente a conoscere cosa stava accadendo al di là della “cortina di ferro”. Dopo la caduta del Muro di Berlino e al termine della cosiddetta Rivoluzione di velluto, fu eletto primo Presidente della Repubblica Cecoslovacca e tale rimase anche quando questa divenne Repubblica Ceca, nel 1993, dopo la separazione dalla Slovacchia;

3) la rilettura di uno dei romanzi incompiuti e postumi di Franz Kafka, America, sulla scia di una lettura di gruppo proposta dagli Scratchreaders di Maria di Biase, un’opera che contiene quelle atmosfere pregne di sensi di colpa infondati e inevitabili che opprimono e caratterizzano l’intero mondo kafkiano;

4) una raccolta di racconti, sempre di Kafka, “La metamorfosi e altri racconti” perché è impossibile leggere Kafka senza pensare a uno dei suoi personaggi più noti, Gregor Samsa, colui che “destandosi un mattino da sogni inquieti, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto.”;

5) infine “Franz Kafka” di Max Brod, amico e biografo ufficiale dello scrittore praghese, colui grazie al quale oggi possiamo leggere i suoi romanzi, racconti, lettere e diari, avendo questi ignorato l’ordine ricevuto dal suo amico e autore in punto di morte: quello di bruciare ogni pagina da lui scritta.

È una lista monotematica, lo so, ma d’altro canto ho esordito scrivendo che per me Praga è sinonimo di Kafka, what else? Così, quando salirò sull’aereo, avvertirò forte la sensazione di andare a trovare un amico, oltre che di andare a scoprire una nuova città.
I libri arricchiscono sempre, questo non lo dico io, si sa.
Paola C. Sabatini 

L'elenco degli interventi di questa settimana:

Librangoloacuto che ha cominciato Lunedì
Selvaggia con il suo video Martedì mattina
Valentina de La biblioteca di Babele Martedì pomeriggio
Mercoledì eravamo qui a LettureSconclusionate
Giovedì mattina siamo stati a casa de La leggivendola
Giovedì pomeriggio da Daniela di Appunti di una lettrice
Venerdì mattina saremo da Angela Cannucciari 
Venerdì pomeriggio qui a LettureSconclusionate
Domenica pomeriggio con Paola Sabatini special guest qui a LettureSconclusionate

Vi invito a seguire sui social tutti i blog e i canali per rimanere aggiornati e in aggiunta vi segnalo anche il blog di #blognotes libri, il Tè tostato di Laura Ganzetti Maria Di Cuonzo, Andrea di Un antidoto contro la solitudine, Diana di Non riesco a saziarmi di libri, Dada who? Francesca de Gli amabili libri e ultima, ma solo in elenco, Barbara Porretta di Librinvaligia

venerdì 27 aprile 2018

"Artico nero", Matteo Meschiari e "Groenlandia- Manhattan", Chloé Cruchaudet - Cronache terribili ma bellissime...

Fonte: Framepool

Mi sono lungamente interrogata su come parlare di questi due libri comprati in periodi diversi ma per motivi correlati. Il primo ad arrivare, a dicembre dello scorso anno fu "Artico nero", ad attirarmi la copertina - l'editore è uno di quelli da cui puoi comprare saggistica e narrativa anche ad occhi chiusi - e una sinossi che non lasciava trasparire poi più di tanto. Una lettura "meravigliosamente" "#mainagioia", come si usa dire, da questo libro non esce vivo nessuno, nemmeno per sbaglio. Ma attenzione, nonostante la cupezza che macchia i panorami bianchi di neve e di ghiaccio questo saggio è un crescendo che porta non solo a girare panorami oramai desolati dell'artico ma che trabocca alla fine in una poesia insperata che toccherà tutte le corde della nostra anima. Non è un libro perfetto nella sua costruzione, nemmeno affabile perché non ti accoglie con gentilezza, anzi è tutto l'opposto e in alcuni punti addirittura ti senti abbandonato da uno scrittore estremamente preciso nel snocciolarti numeri, nomi di tribù e situazioni che hanno generato la desertificazione, anche culturale, dell'artico dai popoli che per secoli hanno abitato quelle zone.

Meschiari non vi dirà con gentilezza perché si arriva a tanto perché il suo obiettivo non è quello. Il problema è che sono così lontane dalle cronache storiche a noi più note che è facilissimo dimenticarsene: hanno nomi strani di cui la pronuncia è incerta, abitavano zone remote che facciamo fatica ad individuare con una certa scioltezza e molte volte le azioni fatte su questi popoli sono lontane nel tempo e legate a fatti a noi non noti. Quindi invece di partire con una retorica che tocchi le punte più alte della, passatemi il termine, "lagna dell'annientamento" Meschiari sceglie i fatti. Elencati e snocciolati per le prime tribù. Metodi di annientamento, la perdita della cultura di questi popoli e il loro annientamento nell'inserimento sociale in luoghi e comunità a loro estranei senza tener conto dell'impatto fisico e psicologico ma tenendo ben presente il tipo di sfruttamento che si voleva fare di quelle terre. 

Dicevo, questo saggio è un crescendo, perché ad un certo punto senti che la partecipazione emotiva di chi scrive comincia a essere presente nelle pagine fino ad un punto culmine in cui l'autore stesso, mischiando la leggenda con i canti rituali delle popolazioni crea un'atmosfera tale in cui senti realmente e capisci empaticamente che cosa si perde nell'annientamento culturale di tribù che non abbiamo mai visto e né conosciuto e, confesso, è davvero difficile da spiegare a parole. Il senso generale è che la perdita non è solo della comunità che la vive ma di tutti e l'unico evento che abbia generato una sensazione simile che io conosco è l'11 Settembre. Se scavate nella vostra memoria emozionale di quegli attimi, quel vuoto e senso di bilico che avete sentito in quel momento, increduli di quel che vedevate, è una sensazione molto simile allo sgomento che dovremmo avere per l'annientamento culturale dei popoli minori che non solo nella civilizzazione perdono l'identità, da cui potremmo attingere per modificare i nostri limiti sociali, ma sopratutto l'impatto ecologico che questo ha. Prima di leggere questo libro ero particolarmente convinta che l'asserzione in un film molto famoso come "Matrix" fosse la migliore descrizione possibile della civiltà umana: in sostanza l'agente diceva la prigioniero che la comunità umana è un virus che infetta e distrugge ogni luogo che abita. E in effetti quello che vediamo, viviamo e su cui dibattiamo oggi è una questione molto simile.

Dal libro di Meschiari viene fuori che l'impatto sull'ecosistema è stato devastante, prima ancora dello sfruttamento vero e proprio, propio dallo spostamento di popolazione che in quei luoghi erano perfettamente inseriti nel ritmo della natura. Così come il sole sorge e tramonta, così l'uomo attraverso leggende e credenze spirituali si inseriva nel ciclo naturale in maniera completamente adeguata al posto che doveva ricoprire.
E' un libro terribile di devastazioni e di morte ed è al contempo immensamente bello e coinvolgente nel suo essere partecipe e sensibile alla perdita. Pure questo, come il libro di cui abbiamo parlato mercoledì è un libro che si svela nella sua totale bellezza solo verso gli ultimi capitoli, in parte per la partecipazione emotiva di un autore che parte saggista e ad un certo punto diventa narratore e in parte anche grazie al fatto che di alcune storie si ha più documentazione rispetto ad altre. Ma è un giro da fare, quasi da imporsi, per riscoprire l'umanità sommersa che abbiamo ma che la vita moderna ci porta a tralasciare a favore di altre cose, che da un certo punto di vista, sembrano immensamente futili.

Minik e i suoi compagni di viaggio
Fonte: Artic Encounters
Tra le storie di Meschiari c'è anche quella del popolo inuit e in particolare la storia di Minik, suo padre e altri quattro uomini che nel 1897 sbarcarono a New York. Avevano seguito il grande esploratore Robert Edwin Peary curiosi di scoprire il mondo da cui veniva. Il loro viaggio fu un viaggio di morte; estranei alle malattie delle civiltà nord americane, non resistettero all'impatto del clima e dei virus. Prima morirono gli adulti e molto dopo anche Minik che nel frattempo aveva toccato con mano l'impatto dell'annientamento culturale e della perdita di identità. Non era più un Inuit nonostante le sue radici fossero ben salde e non era nemmeno cittadino della nuova civiltà. Questa storia ce la racconta nel dettaglio, romanzandola per quanto si può, Chloé Cruchaudet utilizzando la formula della grapich novel e allegando in fondo, oltre alla bibliografia anche un buon numero di immagini originali dell'epoca. Disegni semplici, essenziali, colori mai netti accompagnano Minik da un mondo all'altro sottolineando lo stupore e lo sgomento di un ragazzino nel comprendere quale dicotomia stia vivendo. Sembra quasi di vedere le stesse immagini della civilizzazione cristiana forzata del Sud America. La lingua, il galateo, il vestiario, la cultura, il rapporti personali e pubblici, cessano di essere simboli di civiltà divenendo imposizioni implicite per essere accettati o ascoltati. E, in questo, non v'è nulla di civile.

Riguardo questa storia Chloé Cruchaudet, rimane per lo più neutra nello scambio di dialoghi e nel rapporto di Minik con chi incontra ma non riesce a non essere partecipe sottolineando i momenti cardine con una serie di immagini ferme spesso con viste prese da lontano o dall'alto sottolineando la partecipazione al continuo isolamento e perdita dell'anima di Minik. A questo fa eco la particolareggiata rappresentazione della società americana di fine '800, le fastose e caotiche strade, l'attenta rappresentazione non sono degli usi e costumi ma anche dei rapporti, fra uomini e donne, fra uomini e l'ignoto o la scoperta, e la totale leggerezza di esploratori come Perry che, alla ricerca della facile fortuna, distrussero non solo vite che considerava inferiori ma ignorò completamente la cultura che aveva di fronte trattandola come chiusura mentale di paese di provincia. La scoperta, l'importanza della stessa, nella realtà del tempo perde di peso alla morte degli esemplari viventi, nella contemporaneità invece perde di significato nell'ignoranza che limita l'osservazione a favore dello spettacolo da baraccone.
Anche questo è un libro davvero interessante da leggere e meglio se, come è avvenuto con me, lo si fa in combinata con Artico Nero.

Sono questi i libri che mi piacerebbe leggere sul tema della settimana del #maggiodeilibri e di #BlogNotesMaggio vertevano sull'HT de #VogliamoLeggere. Mi piacerebbe riuscire ad integrare facilmente le letture, ma non sempre è facile, vuoi perché dovrei conoscere tutti i cataloghi, cosa quanto mai complessa, e vuoi perché spesso a contributi di valore si affiancano spesso copie che cercano la vendita e non sono fatte per una lettura attenta e curiosa. In questo caso sono stata fortunata, da un lato con Exòrma e dall'altro Fandango, mi sono affidata a CE serie e che conosco da tempo per il loro catalogo di qualità.
L'unico e ultimo consiglio è solo di non lasciarvi irretire da come iniziano, ma di lasciare a questi due autori l'opportunità di conquistarvi con i loro resoconti, perché se è vero che spesso la realtà supera la fantasia è anche vero che le pagine della Storia, messe in mani capaci, riescono a superare per bellezza e partecipazione anche il romanzo più acclamato.
Buone letture,
Simona Scravaglieri

Fonte: LettureSconclusionate


Prima dei riferimenti dei libri vi metto il calendario degli interventi previsti per #BlogNotesMaggio:


Librangoloacuto che ha cominciato Lunedì 

Selvaggia con il suo video Martedì mattina
Valentina de La biblioteca di Babele Martedì pomeriggio
Mercoledì eravamo qui a LettureSconclusionate
Giovedì mattina siamo stati a casa de La leggivendola
Giovedì pomeriggio da Daniela di Appunti di una lettrice
Venerdì mattina saremo da Angela Cannucciari 
Venerdì pomeriggio qui a LettureSconclusionate
Domenica sera chiudiamo la prima settimana con Paola Sabatini special guest qui a LettureSconclusionate

Vi invito a seguire sui social tutti i blog e i canali per rimanere aggiornati e in aggiunta vi segnalo anche il blog di #blognotes libri, il Tè tostato di Laura Ganzetti Maria Di Cuonzo, Andrea di Un antidoto contro la solitudine, Diana di Non riesco a saziarmi di libri, Dada who? Francesca de Gli amabili libri e ultima, ma solo in elenco, Barbara Porretta di Librinvaligia




Fonte: LettureSconclusionate

Artico nero
la lunga notte dei popoli dei ghiacci
Matteo Meschiari
Exòrma Edzioni, ed. 2016
Collana "Scritti traversi"
Prezzo 14,50€





Fonte: LettureSconclusionate








Groenlandia- Manhattan
Chloé Cruchaudet
 Fandango-Coconino Press, ed. 2010
Traduzione a cura di Donatella Pennisi Guibert
Collana "Coconino cult"
Prezzo 18,00€

mercoledì 25 aprile 2018

[Dal libro che sto leggendo] Miraggio 1938 #BlogNotesMaggio

Fonte: Iperborea

Il libro di oggi è un gran mistero. Lo volevo da quando ne ho parlato lo scorso anno in un pezzo scritto per una giornale online con cui ho collaborato perché mi piaceva l'immagine che regalava la sinossi che non lasciava trasparire poi molto della storia; posso dire anche che molta della mia attenzione per gli Iperborea da marzo, mi sembra, del 2017 in poi è funzionale al libro di cui vi sto parlando. Poi i casi della vita mi hanno portato ad acquistare altro in cartaceo, ma Miraggio 1938 stava lì in attesa di essere preso. Il suo momento in formato digitale è arrivato il mese scorso e ho trovato che questo libro abbia una strana alchimia ovvero è uno di quelle storie in cui sembra tutto un po' fermo anche se le cose succedono, è grigio come tutte quelle atmosfere nordiche dei film di genere dove il tempo è un po' come le persone sole all'apice della decisione finale. Nonostante quest'aura cupa tu, però, continui a leggerlo perché è piacevole il monologo che racconta le vicende. È come quegli attori che hanno una voce così bella che tu li staresti a sentire anche se ti leggessero la lista della spesa, ecco qui avviene la stessa cosa.

Devo dire che la sinossi e quello che ho letto io non si confanno una all'altro, mentre il titolo sì: Miraggio perché è la storia di due vite che scorrono in un deserto arido prebellico cercando di rimarginare ferite e solitudini di guerre interne precedenti. "1938" non è solo l'anno della promulgazione delle leggi razziali, ma anche l'anno in cui in uno stadio di Helsinki la presenza di una delegazione nazista fa sì che il vincitore di una corsa, ebreo, venga declassato ad ultimo della lista per una forma di "cortesia". La prima è la storia principale ovvero quella di Thune e della signora Wiik, lui avvocato della borghesia, lei, la segretaria, donna dal passato sconosciuto ma di classe più povera. È anche la storia di un gruppo di amici che si vedono periodicamente per discutere di attualità, per confrontarsi sui grandi temi. È anche la storia delle storie che noi non conosciamo dei movimenti e delle lotte del grande nord. Potremmo dire che è una storia che parla di solitudini anche se è decisamente affollata. La seconda? Un cameo storico che compare e che da nuova linfa per la seconda metà del libro...

È un libro lungo, in alcuni tratti stagnante, ma che si rivela nella sua straordinaria bellezza solo all'ultima parola e quindi questa via crucis bisogna farla tutta ben sapendo che il premio finale c'è. Ma di questo parleremo in recensione. 
Oggi in concomitanza dei festeggiamenti del Maggio dei Libri e per tutta la durata della manifestazione, invece di farvi sbirciare da soli, ho chiesto ad una persona bravissima di leggere per voi e quindi ascolterete il primo capitolo del libro dalla voce speciale di Angela Cannucciari, poi non dite che non vi voglio bene!

Vi segnalo i blog e i canali che si alterneranno per questa settimana, in collaborazione con #blognotesmaggio e del #maggiodeilibri (hastag che vi consiglio di seguire per rimanere informati e aggiornati):

Librangoloacuto che ha cominciato Lunedì 
Selvaggia con il suo video Martedì mattina
Valentina de La biblioteca di Babele Martedì pomeriggio
Il mercoledì eccoci qui!
Giovedì mattina siamo a casa de La leggivendola
Giovedì pomeriggio da Daniela da Appunti di una lettrice
Venerdì mattina tutti da Angela Cannucciari 
Venerdì pomeriggio qui a LettureSconclusionate
Domenica sera chiudiamo la prima settimana con Paola Sabatini special guest qui a LettureSconclusionate

Vi invito a seguire sui social tutti i blog e i canali per rimanere aggiornati e in aggiunta vi segnalo anche il blog di #blognotes libri, il Tè tostato di Laura Ganzetti Maria Di Cuonzo, Andrea di Un antidoto contro la solitudine, Diana di Non riesco a saziarmi di libri, Dada who? Francesca de Gli amabili libri e ultima, ma solo in elenco, Barbara Porretta di Librinvaligia
Perché tutta questa sbrodolata di gente Simò? Lo so che ve lo state chiedendo, ma il progetto Blognotes che seguo da un paio di anni mi ha insegnato una bella cosa, ovvero che si può fare rete fra blogger, vlogger e utenti che parlano di libri e che al contempo di può fare comunicazione editoriale in maniera differente. Si può parlare di una passione, in maniera amatoriale o no, puntando sulla qualità e non sul numero di libri che uno compra (anche perché molti di noi comprerebbero comunque tantissimi libri anche senza questi spazi!). Quindi questo diventa un modo per conoscere bella gente che fa della qualità un qualcosa a cui puntare per migliorarsi e innovarsi. Ed è bello che questo accada ed è altrettanto bello che Laura Ganzetti riesca a tenerci tutti insieme e mi piace condividere questa stupenda iniziativa con voi. 

Sotto al video nel post, tutti i riferimenti del libro di cui si parla e si legge oggi. 
Buone letture,
Simona Scravaglieri


Questo pezzo è tratto da: 

Miraggio 1938
Kjell Westö
Iperborea, ed. 2017
Traduzione a cura di Laura Gangemi
Collana "Narrativa"
Prezzo 18,50€

venerdì 20 aprile 2018

"American Window", Alissa Torres - L'importanza di spiegarsi...

Fonte: Angriest


Come dicevo qualche mese fa nel caso di PyongYang di Delisle, sono decisamente nuova nel mondo della grapich novel e mi muovo un po' con i piedi di piombo. In particolare perché, sebbene sarebbe infinitamente più facile scegliere storie leggere, io da un libro pretendo sempre che mi lasci qualcosa. E nonostante il fatto che, le tutte le storie lette sin qui, mi sia fatta guidare dai consigli di editori ed amici, in questo caso la scelta è stata proprio persona e, con "American Window",  mi sono resa conto in seguito di aver sottovalutato il tipo di messaggio che avrebbe potuto lasciare. Vuoi per la presentazione stringatissima del libro e vuoi per il tema, ero convinta che si parlasse dell'undici settembre come evento a sé stante e invece no, qui c'è tutt'altro. E non è un male, anzi, quello che ho trovato è decisamente più interessante di quel che pensavo ed è anche un bel messaggio di speranza, non solo per i sopravvissuti alle torri e ai familiari delle persone che hanno perso la vita in quella occasione, ma anche per chi, come me, questa cosa l'ha vista compiersi in televisione, quasi fosse una serie TV.

Questa è la storia di una donna e del suo piccolo che sta per nascere. Una mattina come tante, suo marito si alza per andare al lavoro. Lui è stato appena assunto, è un po' emozionato e anche un po' orgoglioso e sollevato di poter continuare a guadagnare in attesa che nasca il suo pargoletto. Lui esce e non tornerà mai più, perso fra le rovine di un disastro che ha gelato il mondo, cristallizzando l'attimo che ha modificato le vite di tutti. A lei non rimane nulla. Questa è la storia degli impatti di un evento del genere in una società civile e democratica basata su leggi e burocrazia ed è forse un suggerimento su come il nostro limite non stia solo nel prevenire eventi del genere ma, sopratutto, nella gestione degli effetti sulla vita di chi resta.

Se mi chiedessero perché consiglio questo libro me verrebbe da dire: "per imparare a vivere". Ero sinceramente convinta che, dopo le prime battute relative ai fatti come li abbiamo vissuti anche noi, ci sarebbe stato del profondo dolore e una rinascita. Non è esattamente così quel che qui è raccontato, infatti, il tragitto da percorrere dallo sgomento alla rinascita è una continua via crucis. L'evento in sé è eccezionale, e questo lo sappiamo e lo comprendiamo tutti; l'impossibilità di ritrovare fisicamente i nostri cari da un cumulo di macerie, come dicevo in un pezzo scritto per un calendario natalizio di Impressions chosen from another time, è complesso da elaborare: sai che non tornerà, ma il fatto di non averlo seppellito fa scattare quel meccanismo perverso del "E se fosse ancora vivo?". A questo fattore si sommano la consueta impossibilità di capire cosa fare, solitamente in ospedale trovi qualcuno che ti guida, ma la macchina di psicologi, e le associazioni di supporto, messa in piedi dallo stato americano non era pronta a gestire un evento di così grande impatto.

Ne viene fuori un quadro disastroso, fatto di depressione e di ricerca di riconoscimento dello status del morto: che era appena assunto, quindi per qualcuno non merita di avere alcun rimborso, che era straniero, e quindi senza diritti e chi più ne ha più ne metta, etc. È una storia volutamente lenta, proprio a simboleggiare la fatica dell'affrontare tutto questo senza delegare e senza riuscire a spiegarsi. Spiegarsi qui è una parola importante perché duale: 
- spiegarsi, come raccontarsi e auto fornirsi delle ragioni sul perché tutto questo sia successo;
- spiegarsi con gli altri, che nonostante riconoscano l'evento eccezionale si aspettano che la ripresa sia commisurata a quelle che hanno visto per eventi di portata inferiore.
La questione ancora più si complica quando queste due situazioni si soprappongono gelando nell'immobilismo chi li vive e portando la percezione del suo blocco, come opportunismo, come è avvenuto un anno dopo. Da un lato c'è l'esigenza della politica di creare un linguaggio funzionale che dia rassicurazioni ai cittadini su quello che si sta facendo e dall'altro questo messaggio troppo rassicurante non rivela i bachi del sistema e chi rimane invischiato diventa uno che naturalmente viene individuato come un perditempo.

Diciamo che quando pensate ad "American Window" dovete pensare ad un libro che racconta di un amore spezzato, di uno nato e è anche una storia di protesta lasciata a futura memoria, nella speranza che nessuno possa più concepire di peggio, a chi ne avesse bisogno. E in questo colpisce nel segno, a distanza di tre mesi dalla lettura, non solo ricordo perfettamente quello che ho pensato sfogliandolo, ma anche quello che mi sarebbe piaciuto sapere in più da Alissa, riguardo la sua autobiografia in immagini, come ad esempio, perché questo stile e non un altro. 
Il libro infatti in alcuni punti presenta tavole bicolori e in altre è completamente in bianco e nero, lo stile dei disegni di Sungyoon Choi non è "asiatico", la distribuzione nelle tavole sembra - a me che ci capisco poi poco quindi non prendetelo per oro colato - americana. Comprendo la differenza del tipo di tavole "bianco/nero/" e colore a sottolineare momenti emozionali diversi, concordo sul fatto che questo tipo di fumetto rende perfettamente "l'aria americana della storia".

Mi è proprio piaciuto, l'ho letto in un paio d'ore e non cambierà la vostra idea o percezione dell'evento in sé e nemmeno delle persone che ancora oggi ne gestiscono gli effetti. Forse nello sguardo a questi problemi ci sarà meno pietismo e più comprensione o meglio una predisposizione ad ascoltarsi e anche a spiegarsi. 
Buone letture,
Simona Scravaglieri

American Window
Alissa Torres
Rizzoli Lizard, ed. 2011
Traduzione a cura di Anna Aglietti
Prezzo 18,90€

Fonte: LettureSconclusionate


mercoledì 18 aprile 2018

[Dal libro che sto leggendo] La guardarobiera

Fonte: Pinterest

Avevo dimenticato di aggiungere il [Dal libro che sto leggendo] dopo la recensione de "La guardarobiera" per permettere, a chi voglia farsene un'idea, di sbirciare qualche riga in maniera da capire se è il suo genere o no. Come detto in quell'occasione il giudizio, decisamente tiepido,  è dato da una che ha letto "Follia" e che decisamente si aspettava altro. Immutabile è il fatto che Mcgrath abbia un dono, peccato che così sia un po' sprecato.

Siamo a cinque anni dalla fine della guerra in una Londra ancora distrutta e che è divisa in due anime: i nostalgici fascisti e tutti gli altri. In questa atmosfera decisamente bigia e pesante, un attore muore, lasciando una moglie, capo guardarobiera di un teatro,  una figlia, attrice decisamente famosa e, infine, un ruolo, quello di Malvolio. In queste pagine si svolge l'ennesima tragedia di due donne che devono razionalizzare il dolore della perdita e confrontarsi con il ricordo del loro congiunto che, improvvisamente, non è più come lo vedevano ma ha nascosto loro molte cose.

Buone letture,
Simona Scravaglieri

 

L’attore Charlie Grice era morto. Un fulmine a ciel sereno, e quella bella società, gli uomini e le donne del teatro londinese, si era radunata per il funerale. Era il gennaio del 1947 e una giornata di freddo pungente a Golders Green. Ci assiepammo nel cortile del crematorio ed eravamo così tanti, una volta entrati nella grande cappella, che i ritardatari dovettero restare fuori. Un tutto esaurito: be’, Gricey non si meritava di meno. Sul fatto che avrebbe scelto Golders Green, invece, qualche dubbio lo avevamo. Vera, la figlia, indossava un paio di occhiali scuri e un cappotto nero di pelliccia. Attrice anche lei, sembrava provata e si tenne stretta per tutto il tempo al braccio della madre. La madre era Joan Grice, anche lei in nero e con il velo. Non particolarmente simpatica, Joan, ma come non provare pena per lei, quel giorno? A detta di tutti era stato un matrimonio felice. 
Abbiamo sentito descrivere Joan Grice come una donna stupenda. Una donna di straordinaria bellezza, senz’altro, e formidabile. Aveva i capelli neri senza un filo d’argento. Li portava tirati all’indietro con una certa severità, per meglio gettarsi sul mondo come una falce, era stato detto. Alta quanto il defunto marito e di corporatura snella, il viso era pallido e scolpito, col mento alto, i lineamenti modellati in una pietra bianca e dura; l’effetto certe volte era ieratico. Ma, oddio –ci rincresce dirlo –aveva i denti inguardabili! Gialli, neri alla radice e tutti storti. E come capita a molte inglesi era forse questa l’origine della spigolosità del suo carattere, ossia della sua profonda riluttanza a sorridere. Ma se la lingua sapeva essere velenosa, la mente era lucida, anche nei fumi dell’alcol. Nel lavoro poi, direttrice di un guardaroba costumi, Joan era una delle migliori di Londra. 
Per i propri abiti prediligeva una buona stoffa nera e tagli antiquati, magari accesi da un tocco di argento al collo o al polso. Con l’ago, quando doveva usarlo, poche erano più brave e veloci di lei. Un po’ di imbottitura, una sforbiciata, una piega, uno spillo, un punto –un rimasuglio di pizzo –e riusciva a trasformare il capo più anonimo in qualcosa di elegante e prezioso. Sotto il cappotto indossava una giacca squadrata con le spalline e una gonna aderente. Le gambe fasciate di pura seta. 
Joan era orgogliosa del proprio lavoro e pretendeva che anche chi lavorava per lei rispettasse i suoi stessi elevati standard. Al marito aveva sempre cercato di risparmiare, non sempre riuscendovi, la devastazione che era capace di infliggere ai comuni mortali. Quando però c’era di mezzo la loro figlia –ossia quando si trattava di Vera –era un leone. La maggior parte dei presenti le era nota, tranne alcuni –noi lo sapevamo chi erano, oh sì –che Joan non aveva mai visto, di sicuro non era gente di teatro, ma del resto Gricey aveva frequentato di tutto, criminali compresi. C’era Sir John Brogue, e in forma discreta, Joan si era spesso presa cura dei suoi costumi, e c’era Madame Anna Flitch, tutta in bianco, un vago sorriso sulla faccia malamente incipriata mentre distribuiva gigli, e dove diavolo se li era procurati i gigli in quell’inverno di austerità? Era venuto anche Ed Colefax, e poi Jimmy Urquhart, per nulla imbruttito da un soggiorno in galera, le amiche di lunga data Hattie Waterstone e Delphie Dix –la vecchia ballerina ormai su una sedia a rotelle –e naturalmente Rupert, al verde, dicevano, ma sì, parecchi della vecchia guardia, quelli che erano sopravvissuti alla guerra... e pensare che Gricey se li stava perdendo. Si sarebbe divertito da matti. 
Vera nel frattempo teneva ancora gli occhiali scuri, avvinghiata al braccio della madre mentre si dirigevano verso la cappella, ed era chiaro quanto la povera ragazza fosse in difficoltà. Così alta e graziosa, una donna più statuaria della madre eppure così fragile quel giorno, davvero straziante, ci venne da pensare. Il marito di Vera era Julius Glass, l’ex impresario, un uomo segaligno, dalla carnagione giallognola, una ventina d’anni più anziano di lei, le stava alla sinistra e aveva accanto Gustl Herzfeld, un’ebrea rifugiata che si diceva lui avesse salvato dai nazisti, un soggetto molto, molto interessante. A Hattie si era presentata come la sorella di Julius ma avevamo i nostri dubbi. Sembrava francamente improbabile. Julius era austero e guardingo, incombeva sulle sue donne come una specie di airone palustre giallo. Che cosa Joan provasse per lui quel giorno lo si poteva soltanto immaginare, ma correva voce che Julius e Gricey non fossero in rapporti idilliaci –per usare un eufemismo –si diceva addirittura che Julius fosse lì sui gradini, quando Gricey era caduto.



Questo pezzo è tratto da:


La guardarobiera
Patrick McGrath
La Nave di Teseo, ed. 2018
Traduzione a cura di Carlo Prosperi
Collana "Oceani"
Prezzo 19,00€



- Posted using BlogPress from my iPad

venerdì 13 aprile 2018

"Gli autunnali", Luca Ricci - Ossessioni...

Jeanne Hébuterne(au_chapeau)
Fonte: Wikipedia

È complesso per me parlare del libro di oggi senza citarne un altro che è stato all'origine della scelta che mi ha portato al leggere Luca Ricci. Da un lato, non lo nascondo, sono anche io "letterariaramente" nella stessa condizione del protagonista di questa storia, ovvero non mi innamoro completamente di un libro dai tempi di Ira Levin e di Hernietta Lacks, dall'altro lato, la storia di questo amore impossibile che travalica quasi un secolo è un qualcosa che mi fa tornare alla mente "Madrigale funebre" che è il racconto che mi rese per sempre caro Gustaw Herling. Ora, vai a capire il perché, scopro che questo argomento si rivela vincente anche se trattato in maniera diversa, in una storia della nostra contemporaneità, a quasi 20 anni di distanza. E non sta tanto nella questione della "coppia tradita da uno dei due" ma nell'ossessiva ricerca di uno status di amore che vinca sul passare del tempo. Quando ne abbiamo parlato nel [Dal libro che sto leggendo] ho fatto riferimento alla circolarità dell'ossessione ed è così che guardo a "Gli autunnali" ed è per questo che nonostante la distanza presa dal libro mi piace ancora molto.

La scoperta che il malessere che ci pervade, la perdita dell'amore, l'accettazione che sia un dato di fatto, la ricerca di come colmare un vuoto che ora ha un nome, il guardare alla possibilità di trovare una sostituta. Ma, attenzione, la "sostituzione" è solo riguardo l'amore nel caso di una coppia che si disgrega solo per uno dei due componenti, perché a nostra moglie guardiamo con rispetto e distanza perché ci sentiamo in difetto. Se nel caso di Herling, questo amore che travalica i secoli nasce dallo studio e dalla conoscenza approfondita dei lavori del Principe di Venosa, per Ricci e per il suo protagonista, ovvero lo scrittore, l'amore è un colpo di fulmine. Lei è lì, immortalata in una foto degli anni ruggenti parigini, circondata dall'aura di possibilità letteraria e figurativa di un nuovo mondo fatto di linguaggi e immagini innovative. È un attimo. L'ossessione prende forma da questo momento, nasce sporca e nascosta, ma non perché lo sia ma per la difficoltà di spiegare. 

È da qui che inizia il circolo vizioso. Amore, dolore, vuoto, comprensione, rassegnazione, ricerca, conoscenza e di nuovo amore. A questo cerchio corrispondono sezioni precise che identificano il grado della nostra partecipazione ad ogni fase. L'amore non è solo amare, è la dichiarazione alla società che stiamo amando e, attenzione, non si fa con il matrimonio. Il primo atto di ufficializzazione è quello di farsi vedere in giro insieme almeno nella nostra cultura: tenersi per mano, abbracciarsi, toccarsi la spalla quando si attraversa la strada. E mentre Herling si ferma alla prima parte dell'ossessione, nel disvelamento della sua natura, Ricci va oltre con il suo personaggio esplorando a fondo il passaggio dal buio alla luce, dalla luce alla necessità del tatto, della consistenza fisica. In questa ricerca, il mondo delle emozioni ci si apre in una forma del tutto inconsueta e particolare diventando tangibile all'ignaro lettore che si ritrova di colpo a esplorare questi vuoti, necessità, desideri e sensazioni.

La questione alla fine si amplia diventando un'opportunità per guardarci in maniera più attenta. L'ossessione svela che l'amore non ha numeri - può essere quello del singolo o di molti -, che nel processo di sublimazione "l'idealizzazione" ci è nemica perché nel riferirci ad essa prendiamo le distanze dalla realtà e tutto ci sembra più grigio e meno rotondo di come dovrebbe essere. Quindi, in sostanza, la storia di Ricci non si chiude ma continua nelle ossessioni personali di ognuno di noi anche di natura diversa, apre un discorso, ci permette di vedere e di riflettere, di iniziare una personale revisione. La parte più pregevole di questo lavoro non si ferma solo a questo, ma si trova anche nella straordinaria leggerezza e naturalezza con cui queste vicende vengono inquadrate e narrate che, in una storia di introspezione sarebbe potuta risultare pesante, e nel suo saper dosare. Non è un tomo ma non è nemmeno un racconto, ma ha quello spazio giusto per immergersi, partecipare ed empatizzare con la storia e al contempo si interrompe proprio nel modo e al momento giusto per cui tu rimanga con lo stesso vuoto del protagonista. Potrai anche tu ricominciare da capo con un altro libro, ma le questioni qui aperte riaffioreranno in seguito naturalmente a testimonianza che anche tu appartieni a questa storia perché l'hai vissuta con il suo protagonista fino in fondo...

Non credo sia necessario aggiungere che questo libro mi sia piaciuto parecchio, che ho trovato consolazione in un qualcosa di raccontato in un modo raffinato e scorrevole, che ho amato quel vuoto che lascia la morte, sofferto di gelosia agli sguardi che anch'io pensavo indiscreti pur domandandomi se davvero fossi nella condizione di poterla provare e, infine, ho dovuto prendere atto che quel che credevo fosse per me, in realtà è sempre stato di altri. E se ti stai interrogando su queste ultime righe, allora anche tu hai bisogno di leggerlo.
Buone letture,
Simona Scravaglieri 



Gli autunnali
Luca Ricci
La Nave di Teseo, Ed. 2018
Collana "Oceani"
Prezzo 17,00€

mercoledì 11 aprile 2018

[Dal libro che sto leggendo] Il drago verde

Scarlett Thomas
Fonte: Wikipedia


Alla fine ce l'ha fatta! Anche colei che è riuscita a creare ambientazioni assurde e bellissime ma non ha mai azzeccato un finale, manco di striscio, finalmente è riuscita ad azzeccarne uno. Questo è un libro per ragazzi ed è il primo di una trilogia. Premettiamo: agli amanti di Harry Potter Farà storcere un po' la bocca, almeno in qualche punto, ma è pur vero che la storia ha un altro assetto che però si svela solo alla fine. Ci sono dei maghi che non sanno di esserlo, mondi diversi, portali e tanti libri e una strana setta che li ruba per averne di più da leggere (si avete letto bene!). E il drago? C'è anche lui, e per la mia felicità mangia le principesse e non perché venga poi a salvarle il principe azzurro ma perché tra far morire di fame la gente e ammazzare una principessa, meglio sacrificare la principessa!

Effie è una ragazzina che ha perso la madre da piccina, che ha una matrigna alquanto bislacca che si inventa una dieta al dì e un nonno un po' strano che le fa fare cose noiose. Poi un giorno il nonno viene attaccato da non si sa chi. In ospedale le sue ultime attenzioni sono per Effie, perché prenda con sé tutti i volumi della sua biblioteca e uno in particolare. Quello è il libro che narra una storia unica... solo che Effie dovrà bruciarlo per salvarsi e salvare i suoi amici.

Ne riparleremo in recensione,
e per oggi buone letture!
Simona Scravaglieri
1 

La signora Beathag Hide era la classica insegnante che fa venire gli incubi ai suoi alunni. Alta e magra aveva le dita straordinariamente lunghe, simili ai rami affilati di un albero velenoso. Indossava dei dolcevita che facevano sembrare la sua testa un pianeta che veniva lentamente espulso da un universo ostile, e dei completi di tweed di strane e ultraterrene sfumature rosa e rosso che tingevano il suo viso di un colorito pallido come la luna. Era impossibile capire quanto fossero lunghi i suoi capelli, perché li teneva sempre legato in un tiratissimo chignon. Ma erano del colore di tre - forse anche quattro - buchi neri messi insieme. Il suo profumo ricordava uno di quei fiori che non incontro mai nella vita reale - petali di un blu molto, molto profondo, che crescono soltanto sulle cime di montagne remote, forse le stesse lande desolate dove i rami degli alberi sono così simili alle sue dita..
O più che altro questa era l'impressione che aveva di lei Maximiliam Underwood, in quel roseo e avvizzito lunedì di fine ottobre.
La sua voce faceva piangere i bambini più fragili. A volte si ritrovavano in lacrime solo a pensare a lei a tarda notte o quando erano soli a bordo di un autobus scricchiolante che correva sotto la pioggia. La signora Beathag Hide era così spaventosa che di solito le davano il permesso di insegnare alla Scuola Superiore. A quanto sembrava, tutte le cose che la appassionavano di più implicavano morti violente e premature. In particolare  adorava il mito greco di Crono che divorava i propri figli. La Classe di Maximilian aveva lavorato a un progetto su quella storia giusto due settimane prima: tutti gli sventurati figlioli erano stati realizzati in cartapesta.
La signora Beathag Hide, in realtà, era la supplente di Dora Wright, la vera maestra, che si era dileguata dopo aver vinto un concorso per racconti brevi. Alcuni dicevano che fosse scappata al sud per diventare una scrittrice professionista. Altri che fosse stata rapita per una faccenda collegata in qualche modo al suo racconto. Quest'ultima ipotesi era piuttosto improbabile, dato che aveva ambientato la trama nel castello di un mondo completamente diverso da questo. In ogni caso, era sparita. E ora la sua alta e terribile sostituta stava facendo l'appello.

Questo pezzo è tratto da

Il drago verde
Scarlett Thomas
Newton Compton, ed. 2017
Traduzione a cura di B. Messineo
Collana "Nuova narrativa Newton"
Prezzo 10,00€

venerdì 6 aprile 2018

"I figli del male", Antonio Lanzetta - L'indiscrezione e la morte...

Fonte: Recensioni per esordienti



Il problema nel commentare un thriller, è che di solito l’obiettivo del libro è chiaro: o c’è un’indagine o si sta assistendo ad una situazione limite. Non ci sono sotto strutture o altro da guardare; si può commentare sull'architettura della trama o se l’autore abbia saputo tenere il ritmo costante e la sua gestione dei momenti clou di tensione. Ma in generale un thriller o è bello oppure no, verosimile o campato in aria, l’indagine è in chiaro – con tutti gli indizi che ti permettono di seguire le vari fasi dell’inchiesta/ricerca del colpevole- o alla Poirot – ovvero con gli indizi, non così evidenti o assenti, che richiedono una spiegazione, del protagonista o della voce narrante, di come si siano realmente svolti i fatti. Infine si può analizzare se la narrazione è coinvolgente oppure no.



In questo caso, il lavoro è decisamente bello e coinvolgente, con una scrittura fluida, che non indulge in descrizioni inutili che tanto rovinano in altri casi l’effetto generale, è verosimile e riporta un’indagine che si può seguire passo dopo passo, ha anche una trama articolata e costruita su più tempi nei quali Lanzetta si muove agilmente non tralasciando nessuno degli innumerevoli personaggi di questa storia. L’indagine del tempo presente si ricollega ai due tempi passati svelandosi pian piano mentre aumenta la tensione. Lo stesso trattamento è riservato per tutte le varie epoche citate e alla fine lascia un sottile spiraglio che apre ad un possibile seguito ma che, al contempo, non rende il libro come un “lavoro di mezzo”. 
E con questo potremmo chiudere la recensione dando qualche informazione di quale sia la trama. Il problema, il mio problema personale, è invece che la questione non si chiude qui per me.

Quello che più mi è piaciuto di Lanzetta non è tanto il suo essere paragonato a Stephen King, in una versione italiana decisamente credibile e per puro gusto personale “migliorata”, ma che sia stato in grado di produrre un lavoro fuori dai contesti che mi capitano solitamente fra le mani. Un thriller lo leggi una volta e poi lo tieni perché ci sei affezionato ma difficilmente lo rileggi. In questo caso invece le sfumature, seminate qui e là, ti danno l’opportunità di rileggerlo per cercare quello che, nell'ansia della tensione della prima lettura potrebbe esserti sfuggito ma che, con una lettura più attenta, è già lì, in bella vista. Così si coglie quel che c’è di nuovo, ovvero il fatto di essere riuscito a trovare una formula diversa e calzante in un genere, che in ambientazioni estere solitamente regge con grande successo ma in Italia non ha trovato grandi esempi innovativi, dandogli una veste che regge anche nella versione nostrana. Quando nel [Dal libro che sto leggendo] dicevo che non è una "storia di plastica" intendevo infatti questo; ho sintetizzato allora, dicendo che l’entità italiana si vede nelle lungaggini burocratiche, nella lentezza dell’avanzamento delle indagini e nei mille collegamenti, ma, in effetti, viene molto prima e si trova nell’anima nera che genera la storia più lontana nel tempo e che si dirama in quella del presente narrativo. 

Una volta Gustaw Herling parlando in un'intervista con un corrispondente polacco si diceva affascinato dal sud Italia e in particolare per questa mescolanza di cultura e folclore nei riguardi della morte. Molto più tardi, nel 2010, in un libro di Ruggero Cappuccio “Fuoco su Napoli” si trova un dialogo che è la sublimazione della fascinazione che sentiva esercitata su di sé Herling : […] Sai l'unica cosa che ti consente di distinguere fra le conoscenze e le amicizie e' indiscrezione. E Napoli con la morte e' sempre stata indiscreta, perché Napoli con la morte, aveva fatto un'amicizia antica. […]. In questo caso si parla di Napoli ma è un concetto applicabile a tutto il sud Italia con formule, a volte, del tutto diverse. Ma in sostanza è tutta qui sintetizzata la bellezza di questo lavoro: la capacità, utilizzata con naturalezza eccezionale, di applicare questa "amicizia indiscreta", questo recondito segreto - un misto di leggende e folklore - ad un genere completamente diverso dal classico romanzo.  Qui la storia amplifica creando una leggenda non dissimile dalle tante che si vociferano per i paesi e per le strade, un qualcosa che si ingrandisce e che si ramifica nello spazio e nel tempo senza la paura di essere surclassata dagli anni che passano. Perché, in determinati ambienti può arrivare la tecnologia, laddove ieri arrivava solo la religione, ma il contesto di leggenda rimarrà nel DNA dei presenti e dei futuri uomini che, in quei luoghi, vi si imbatteranno.

Potremmo quasi visualizzarla come una maledizione, anche se effettivamente non ha sempre queste fattezze. A questo si aggiunge il fatto che tutto ciò dona all'insieme un classico velo "noir" che, in questo caso, ci sta decisamente bene.  Sarebbe stato facilissimo scadere nell'horror, trattando di morte e aldilà, e invece Lanzetta pare scegliere di camminare sul filo del rasoio, occhieggiando al di là della linea senza passarla mai e ne scaturisce una storia a tinte fosche che si svolge, per contrasto, nel pieno sole del sud, in un paese in provincia di Salerno. È uno di quelli arroccati con casette tutte vicine una all'altra e che poi diventano sempre più isolate. E in questo clima, con un pesante bagaglio del senso del male che aleggia in quei luoghi è facilissimo sentire l'ansia di una semplice visita ad un casolare abbandonato, o anche la solitudine di un'aia arsa dal sole o non stare troppo tranquilli in riva ad un ruscello nel bel mezzo di un bosco. Quindi tutto il contesto collabora egregiamente ad accompagnare gli eventi ed è questo utilizzo che rende più pregevole il risultato finale.

Ma di che si parla in questo libro che di solito la sinossi la metti molto prima? Lo so che ve lo state chiedendo! Siamo in uno qualsiasi dei giorni di oggi, da un lato c'è Damiano, scrittore che ricava bestseller da casi di cronaca nera, che viene coinvolto in un'indagine che vede due morti ritrovati in tempi e luoghi diversi;  le uniche cose che hanno in comune sono come sono stati contattati e quel che è stato trovato nella loro bocca. Dall'altro c'è Flavio, amico di Damiano, che sta cercando di riportare alla vita e alla parola una giovane, Roberta, che è arrivata nella clinica psichiatrica dove lavora, in circostanze decisamente misteriose. A questi eventi del presente si affiancano il passato di Flavio e di Damiano e la genesi di un'oscura leggenda.

Detto anche questo, che c'è da aggiungere? Comprerò certamente il libro precedente e, ove mai uscisse, anche il successivo. È un buon libro che ti prende e ti tiene impegnato e attento fino all'ultimo. Se vi capita leggetelo e non ve ne pentirete.
Buone letture,
Simona Scravaglieri


I Figli del male
Antonio Lanzetta
La corte Editore, Ed. 2018
Collana "Underground"
Prezzo 17,50€




Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...