mercoledì 21 settembre 2016

Ricorrenze e [Dal libro che sto leggendo] Un altro da uccidere


Fonte: Atvingpa


Ohhh e siamo di nuovo qua! Quest'anno pare pieno di ricorrenze e pensavo di fare un post a parte e invece poi mi son detta che possiamo inserirlo tranquillamente nei post standard di questo spazio. Quest'oggi festeggiamo i 1.000 post, non sono certa, quando ho dato il nome a questo spazio e mi sono impegnata per dargli una mission chiara ed univoca, di aver solo pensato un attimo di arrivare a vedere il contatore che segnava i mille post. Sono tanti e ieri, tanto per capacitarmi ho messo una sull'altra due risme di carta - diciamo che non ho tenuto conto che ogni tanto le mie recensioni occupano tre pagine! - giusto per vedere che effetto fa. 
"E che effetto fa?", sono certa che ve lo starete domandando. Ecco, fa l'effetto di due risme di carta una sull'altra, è stata solo un'idea sciocca; le risme sono di pagine intonse, non stampate e ne scritte. Ogni post qui pubblicato invece è stato scritto e pensato per un pubblico di amici, che si conoscono o no non è importante; ogni post nasce con l'imperativo: "Lo faresti comprare a Massimo, Federica o a tua madre o anche a Daniela che sta a Trento o a Irene che sta a Barcellona?". Se così non fosse non lo farei comprare nemmeno a voi, questo è l'obiettivo che mi sono posta sei anni fa e non è affatto cambiato sei anni dopo. Quindi credo che vi toccheranno altri post, magari altri mille. 

Buone letture e grazie a chiunque abbia letto anche una parte di questi mille post!
Simona Scravaglieri

                                                                     ******

E ora passiamo alla sbirciata di oggi!
Oggi parliamo del libro di Federico Axat di cui vi ho parlato venerdì e per il quale ho rotto le scatole ha tutto il mondo conosciuto e sconosciuto del web perché, secondo me, è davvero un bel libro, ben scritto e ben strutturato, perché alterna un ritmo veloce per le situazioni di tensione a quello più rilassato per quelle invece di rivelazione del significato degli indizi. Si lascia leggere con facilità e starete col dubbio fino all'ultima pagina, che cosa chiedere di più ad un libro che nasce per questo scopo?

In più ha uno degli incipit più accattivanti che io abbia trovato negli ultimi anni in un libro, se la batte quasi con Hug Howey (La trilogia del Silo: Wool, Shift e Dust) e, chi mi conosce, sa perfettamente che toccatemi-tutto-ma-non-la-trlogia-del-silo! Questo è uno di quei casi in cui sono talmente entusiasta del libro che difficilmente si può scrivere di più di "Leggetelo!", mi toccherà dare uno sguardo più attento a Longanesi che, per questo genere, non avevo proprio considerato - lo so, sono una brutta persona sommersa di libri da leggere e con poco tempo per farlo, ma che continua imperterrita a cercare di leggerli tutti! -.

Vi lascio sbirciare il primo capitolo, che poi è quello che mi ha convinto a comprarlo, e vi assicuro che difficilmente resisterete. Quando l'ho letto ho pensato al giallo perfetto de "I dieci piccoli indiani". E' perfetto perché è talmente ben incastrato che l'autrice, zia Agatha, è costretta ad aggiungere un capitolo per far capire chi è l'assassino, altrimenti sarebbe difficile uscirne fuori anche se qualche indizio - dopo duecento letture salta all'occhio - c'è. Anche in questo caso, la posizione in cui si mette l'autore permetterebbe di svolgere una storia assurda - e vi sembrerà così fino ad un certo punto - che, per cominciare ad assumere un significato ha bisogno di un intervento, in questo caso è un altro personaggio e non l'autore, ma la spiegazione, come nel caso della Christie, non annulla quello che avete già letto ma lo riempie di significati diversi. Datemi retta e provate, sono certa di non essere smentita in tal senso!

Buone letture,
Simona Scaravglieri



1 

Ted McKay stava per spararsi un colpo alla tempia quando il campanello di casa prese a suonare con insistenza. 
Aspettò. Non poteva premere il grilletto, se c’era qualcuno fuori. 
Vattene, chiunque tu sia
Di nuovo il campanello, poi un uomo gridò: 
«Apra la porta, so che può sentirmi!» 
La voce raggiunse lo studio con sconvolgente chiarezza, al punto che per un brevissimo istante Ted dubitò che fosse reale. 
Si guardò intorno, come se cercasse nel vuoto che lo circondava una prova dell’autenticità di quel grido. Con lui c’erano solo i suoi libri di finanza, una riproduzione di Monet, la scrivania e la lettera in cui spiegava tutto a Holly. 
«Mi apra, per favore!» 
Ted teneva ancora la Browning a pochi centimetri dalla testa; cominciava a pesargli. Il suo piano non poteva funzionare, se quel tizio sentiva lo sparo e chiamava la polizia. Holly e le bambine erano a Disney World e lui non avrebbe permesso che ricevessero una simile notizia così lontano da casa. Era fuori discussione. 
Al campanello si unì una serie di colpi. 
«Forza! Non me ne andrò se prima non mi avrà aperto!» 
La pistola iniziò a tremare. Ted se l’appoggiò sulla coscia destra. Si passò le dita della mano sinistra tra i capelli e maledisse di nuovo lo sconosciuto. Era un venditore? In quel quartiere residenziale non erano ben visti, tanto più se si presentavano in modo così sfacciato. Per qualche secondo non ci furono più né grida né colpi, e Ted tornò a puntarsi l’arma alla tempia, con estrema lentezza. 
Cominciava a pensare che forse l’uomo si era stancato e se n’era andato, quando una raffica di colpi e di grida lo smentì. Ma lui non avrebbe aperto, per nessun motivo... Avrebbe aspettato. Quell’impertinente si sarebbe rassegnato, prima o poi, no? 
A un certo punto qualcosa attirò la sua attenzione: un foglio piegato a metà, identico a quello che aveva lasciato a Holly sul ripiano della scrivania, a parte il fatto che non c’era scritto il nome di sua moglie. Era stato così stupido da dimenticarsi di buttare una delle brutte copie? Dietro la porta le grida non erano cessate, ma lui si consolò pensando che, se non altro, quell’inaspettata interruzione avrebbe portato qualcosa di buono. Aprì il foglio e lesse l’appunto. 
Quello che vide lo lasciò impietrito. Era la sua calligrafia. Però non ricordava di aver scritto nessuna delle due frasi. 

APRI LA PORTA 
È LA TUA ULTIMA VIA D’USCITA 

Le aveva scritte in un frangente che adesso non ricordava? Un gioco con Cindy o Nadine, forse? Non riusciva a trovare una spiegazione a quel biglietto... non in quella situazione assurda, con uno squilibrato che stava per buttare giù la porta. Eppure doveva esserci, ovviamente. 
Illuditi quanto vuoi. 
La Browning gli pesava una tonnellata nella mano destra. 
«Ted! Apra una buona volta!» 
Trasalì, all’erta. L’aveva chiamato per nome? Ted non aveva grandi rapporti con i vicini, ma almeno credeva di riconoscerne le voci, nessuna delle quali somigliava a quella dell’uomo alla porta. Si alzò e posò la pistola sulla scrivania. Sapeva di non avere altra scelta che andare a vedere chi era. A pensarci bene, non era poi la fine del mondo. Chiunque fosse quello sfacciato, se ne sarebbe liberato in fretta per tornare nello studio a togliersi la vita, una volta per tutte; lo progettava da settimane e non si sarebbe tirato indietro all’ultimo per colpa di un maleducato. 
Sulla scrivania c’era un barattolo che conteneva penne, clip, gomme da cancellare mezze consumate e svariate cianfrusaglie. Ted lo rovesciò con un movimento rapido e vide la chiave che ci aveva infilato meno di due minuti prima. La prese e la osservò con l’incredulità di chi s’imbatte in qualcosa che pensava di non rivedere mai più in vita sua. In effetti in quel momento avrebbe dovuto trovarsi riverso sulla poltrona, con i resti di polvere da sparo sulla mano, a fluttuare verso la luce. 
Se hai deciso di toglierti la vita, anche se non hai più dubbi in merito, gli ultimi minuti mettono comunque alla prova la tua volontà. Ted aveva appena imparato la lezione e non sopportava l’idea di doverci passare di nuovo. Raggiunse la porta dello studio con fastidio, inserì la chiave e aprì. Scorgendo il biglietto attaccato dall’altra parte, un po’ più in alto della sua faccia, fu assalito da un altro moto di rabbia. Era un avviso per Holly. «Tesoro, ho lasciato una copia della chiave sul frigorifero. Non entrare con le bambine. Ti amo.» Suonava un po’ crudele, ma Ted aveva pensato a tutti i dettagli. Non voleva che fosse una delle sue figlie a trovarlo, riverso dietro la scrivania con un buco in testa. D’altronde, morire nel suo studio era la cosa più sensata. Aveva preso seriamente in considerazione la possibilità di gettarsi nel fiume chissà dove o sotto un treno, ma sapeva che l’incertezza sarebbe stata peggiore, per loro. In particolare per Holly. Lei aveva bisogno di vederlo con i propri occhi, di esserne sicura. Aveva bisogno... dell’impatto. Era giovane e bella, poteva rifarsi una vita. Ne sarebbe venuta fuori. 
Di nuovo una scarica di colpi. 
«Arrivo!» gridò Ted. 
I colpi cessarono. 
Apri la porta. È la tua ultima via d’uscita
Riusciva a scorgere la sagoma dell’intruso al di là della finestrella accanto alla porta. Attraversò il salotto a passi lenti, quasi con aria di sfida. Osservava ogni cosa come aveva fatto qualche minuto prima con la chiave dello studio. Vide l’enorme televisore, il tavolo per quindici commensali, i vasi di porcellana. A suo modo, aveva detto addio a ognuno di quegli oggetti. E invece, eccolo di nuovo lì, il vecchio e caro Teddy, che si aggirava in salotto come un fantasma. 
Si fermò. Forse quella era la sua luce
Per un attimo sentì l’assurdo bisogno di tornare nello studio e controllare se dietro la scrivania ci fosse il suo corpo esanime. Allungò il braccio e sfiorò con le dita lo schienale del divano. Percepì la fredda superficie di pelle, troppo reale per essere frutto dell’immaginazione. Ma come esserne sicuro? 
Aprì la porta e, vedendo il giovane sulla soglia, capì perché riuscisse a guadagnarsi da vivere come venditore nonostante i suoi modi. Aveva circa venticinque anni, indossava impeccabili pantaloni bianchi con una cintura in pelle di serpente e una polo a strisce orizzontali multicolori. Sembrava un giocatore di golf, più che un venditore, anche se nella mano destra impugnava una valigetta di cuoio piuttosto malridotta, che stonava con la sua tenuta. Aveva i capelli biondi che gli arrivavano fino alle spalle, occhi celesti e un sorriso lascivo che non aveva niente da invidiare a Joe Black. Ted immaginò Holly, o qualunque altra donna del vicinato, che comprava cianfrusaglie da quell’uomo. 
«Di qualunque cosa si tratti, non sono interessato», disse Ted. 
Il sorriso si allargò. «Oh, ma non sono venuto a venderle niente.» Lo disse come se fosse la cosa più ridicola del mondo. 
Ted lanciò un’occhiata oltre le spalle dello sconosciuto. Non c’era nessuna macchina parcheggiata lungo il marciapiede, né in Sullivan Boulevard. Il caldo non era eccessivo, quel pomeriggio, ma una camminata sotto il sole per un tragitto così lungo avrebbe dovuto lasciare qualche traccia su quel ragazzo dalla bellezza sfacciata. E poi, perché parcheggiare così distante? 
«Non si spaventi», proseguì l’altro, quasi gli avesse letto nel pensiero. «Il mio socio mi ha lasciato davanti alla porta, per non far insospettire insospettire i vicini.» 
Il riferimento a un complice lasciò Ted impassibile. Morire per una rapina sarebbe stato perfino più decoroso che spararsi un colpo in testa. «Ho da fare. La prego di andarsene.» 
Ted fece per chiudere la porta, ma l’uomo allungò un braccio e glielo impedì. Non fu un gesto necessariamente ostile; nei suoi occhi c’era un accenno di supplica. «Mi chiamo Justin Lynch, signor McKay. Se mi...» 
«Come fa a sapere il mio nome?» 
«Se mi permette di entrare e di parlarle per dieci minuti, glielo spiego.» 
Ci fu un attimo di esitazione. Ted non l’avrebbe fatto entrare, su questo non c’erano dubbi, ma doveva ammettere che la sua presenza gli suscitava una certa curiosità. Alla fine, la ragione prevalse. «Mi dispiace. Non è un buon momento.» 
«Si sbaglia, è...» Ted chiuse la porta. Le ultime parole di Lynch arrivarono attutite dal legno, benché chiarissime. «... il momento perfetto.» Ted era fermo, in ascolto, come se sapesse che ci sarebbe stato qualcos’altro. E così fu. Lynch alzò la voce per farsi sentire. «So che cosa sta per fare con la nove millimetri che ha lasciato nello studio. Le prometto che non cercherò di farle cambiare idea.» 
Ted riaprì la porta.

Questo pezzo è tratto da:

Un altro da uccidere
Federico Axat
Longanesi Editore, Ed 2016
Traduzione di Elena Rolla
Collana "La gaja scienza"
Prezzo 16,90€

2 commenti:

  1. Seppure è argentino, vedo se riesco a procurarmelo in spagnolo. Magari non è difficile da leggere. Ci proviamo. Intanto proseguo lentamente con Dime quien soy, che ha solo 800 pagine (quando dici, no, partire a leggere in un'altra lingua con un libro corto e poco impegnativo).
    Intanto, auguri per i 1000 post, te ne auguro altri 1000!! ^_^

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    Risposte
    1. Grazieeeeeeeee!!!!
      Ma come sei partita con un libro di 800 pagine?!? Ma allora vedi che ho ragione io! Sotto le 700 pagine per te sono solo introduzioni!!! Però voglio sapere di che si parla e aspetto il tuo prossimo mensile! <3

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