venerdì 31 agosto 2012

"Cupo tempo gentile", Umberto Piersanti - La storia e l'esercizio del ricordo...

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Era veramente "cupo" questo tempo di cui parla Umberto Piersanti, lui che invece, attraverso il suo personaggio principale, guardava al mondo in maniera "gentile". Ed è passando in questa contrapposizione che si dipana la trama di questo libro; non che "cupo" sia il contrario naturale di "gentile" ma, in questa organizzazione temporale e spaziale di una storia che si ancora in maniera prepotente alla "Storia" degli anni che vanno dal '67 al '68 inoltrato, i due termini acquistano una coerenza grazie proprio a questa loro contrapposizione che difficilmente avrebbe potuto essere più azzeccata.
Ma cos'è cupo e cosa è gentile? E perché della contrapposizione? La contrapposizione, qui, viene utilizzata come un contrafforte nell'architettura gotica. I muri troppo alti e sottili , nelle cattedrali medievali, tendevano ad aprirsi in alto verso l'esterno e i contrafforti contrastavano questa tendenza mantenendo la verticalità con spinte verso l'interno. Il tutto, pertanto, si teneva in piedi grazie ad un ingegnoso e quanto mai armonioso sistema di forze fra lo contrapposte; l'armonia del muro interno nato, ad "arte", per stupire veniva contrastata da un mezzo nato dalla tecnica. Questo avviene metaforicamente anche nello scritto di Piersanti: l'interno che sta per "esplodere" verso l'esterno è il momento storico, mentre la funzione del contrafforte lo fa il valore della tradizione rappresentato dalla cultura della "natura" non solo intesa solo come paesaggio ma di più ampio respiro, ovvero la natura, che  corrisponde  tutto ciò che è naturale e che costruisce l'io dell'essere umano, intesa anche come tradizione e storia pregressa.E l'equilibrio magico di forze? E' metafora della vita naturalmente!

La trama racconta appunto degli anni della nascita e dello sviluppo del movimento sessantottino a Urbino e il protagonista, Andrea, vive questo momento con uno sguardo diverso dai suoi compagni che invece patiscono la distanza dai grandi focolai dell'organizzazione centrale.
Andrea aveva in precedenza preso un altro corso di studi e poi si era riscritto a Lettere, è più grande e comprende che è ora di cambiare, ma è anche ansioso di confrontarsi con il mondo che già esiste. Forse perché, in fondo, deduce che nemmeno i suoi compagni sanno esattamente quel che vogliono. Frattanto Andrea frequenta le ragazze che rapiscono il suo interesse, ma trova sempre il tempo per andare alle riunioni per poter vedere da lontano i vari comizi; è come un esercizio, se assisti e ti astrai sarà più facile cogliere gli errori.

Leggere "Cupo tempo gentile" non significa solo attraversare un momento storico che ha portato radicali cambiamenti - non nell'approccio alla cultura, ma nel coinvolgimento della massa (cosa buona o no, sta a ognuno di noi dirlo anche se libri come 1984, La fattoria degli animali, Il condominio etc. hanno ampiamente descritto tale stato di massificazione della partecipazione o non partecipazione "informata" come status di pari livello e di basso profilo) nella questione sociale condivisa- ma, significa anche confrontarsi con le questioni della vita che ancora oggi hanno un preponderante peso nella nostra epoca.
Nell'intervista di Faherenheit che mi ha convinto a comprarlo, Piersanti affermava che sapeva che questo libro avrebbe sollevato facili affermazioni, che da sinistra lo avrebbero accusato di aver tirato fuori le beghe del movimento sessantottino e che da destra avrebbero dichiarato che finalmente erano venuti a galla i retroscena di detto movimento. Ebbene qualora vi trovaste a pensare una cosa del genere, sappiate che siete sulla strada sbagliata. Come al solito, l'obiettivo non è raccontarvi la storia in maniera didascalica, ma  è quello di approfondire un approccio errato che appartiente a tutti i modelli, di sinistra quanto di destra e ultimamente direi anche di centro, che fa parte della nostra vita non necessariamente politica, religiosa e via dicendo. Il problema è il "credo cieco". Come dicevo in un'altra recensione su "La fattoria degli animali" di Orwell:

"Se da un lato la presa del potere è ai giorni nostri alla mercé dell'informazione al contempo il valore della massa, in una società che è l'informazione stessa, continua ad avvicinarsi pericolosamente allo zero assoluto. Mi spiego meglio, se da situazioni di totalitarismo come quelle che hanno caratterizzato la prima metà del '900, dove non c'era libertà di parola e pensiero e quindi l'adesione era presa come stato di fatto, oggi, con l'avvento della tanto agognata democrazia, dalla meta' del '900 in poi, si assiste ad una anestetizzazione del valore di libertà di pensiero a favore non delle convinzioni dell'unita' che compone la massa ma dell'adesione di gruppo al pensiero altrui. E in effetti questa e' la nuova forma di schiavitù moderna: la delega."

E la delega di cui si parlava era quella di "pensiero". Siamo disabituati a pensare e ci sentiamo obbligati ad agire, perché se la massa corre affannosamente da qualche parte, pur di non rimanere soli, sentiamo la necessità di "sposare" un obiettivo, aderendo a questo in maniera quantomai supina.
Così smettiamo di ragionare e adottiamo lo slogan, l'aforisma d'effetto perché questo ci garantisce di non uscire dal seminato. Quello che Piersanti descrive in più, rispetto a Orwell, è che questo status di fatto non appartiene più solo al popolo che ne "La fattoria degli animali" era rappresentato in maniera estremizzata nelle pecore, ma appartiene anche ad una classe di futuri letterati o comunque laureati che ancora oggi formano le fila della nostra dirigenza sociale, amministrativa e anche privata. Segno che la "Storia", e il significato stesso della cultura, cessano la loro ragion d'essere didattica a favore della trasformazione in "momento enciclopedico" da cui attingere, in maniera arbitraria, l'evento, la frase o il personaggio e/o scrittore che ci sembra più adeguato alla situazione. E' questa adesione, senza "se" e senza "ma", che preme all'autore e che condiziona la vita umana, non solo le vite dei giovani sessantottini, ma anche degli antagonisti fascisti e si contrappone alla "gentilezza", che è tale perché ha, dalla sua, la forza della "natura" e non ha bisogno di cercare, "è in quanto pensa", elabora e deduce dalla storia pregressa proiettandosi verso altro pur avendo in coscienza la necessità di cambiare lo "status quo". Come per i romanzi precedentemente nominati, non c'e' l'ansia di dare una risposta come, ad esempio, quale sarebbe stata la miglior soluzione dedotta dalla natura. Non vuole darla l'autore rispettando la natura stessa, ieri in un modo e oggi in un altro, perché la natura cambia e si evolve adattandosi volta per volta agli eventi, in cui incorre strada facendo, e rinnovandosi continuamente. E pertanto non c'e' una risposta assoluta che trapassi i decenni, ma si può solo analizzare "momento storico per momento storico" tenendo presente che:

"la realtà che veniamo a conoscere è molto differente dalla nostra, e dobbiamo imparare a guardarla come tale. Ho cercato nel corso dell’esposizione di insistere fortemente su questo punto: è diverso il modo di considerare il tempo e di misurare le ore, sono diversi i sentimenti e la percezione del mondo circostante, i sistemi di valori e i criteri di senso comune, per non parlare dell’alimentazione…"

Ottavia Niccoli Introduzione a "Storie di ogni giorno in una città del Seicento"

A questa ramificazione di concetti su cui riflettere con serietà e distanza dal proprio credo politico, religioso o culturale, per poterne apprezzare appieno la validità della scelta, si contrappone una storia semplice che sembra ricalcare la natura o, se vogliamo essere più specifici, l'origine del protagonista di questa storia. Di famiglia medio borghese con origini contadine, gli occhi di Andrea vedono la realtà e rifuggono da essa ricercando risposte nella gentilezza della natura. Il tutto si completa dalle normali voglie di nuove esperienze tipiche dei giovani che hanno voglia di sperimentare e di conoscere. Il tutto narrato con un linguaggio snello che non genera intoppi, in una lettura che scorre nelle mani e negli occhi dei loro fruitori con la freschezza di un torrente in piena estate. E in questa "corale quasi pastorale" da un lato e dall'altro "urlo di attenzione", si pone quasi ad arbitro o come direttore d'orchestra questo saggio di altri tempi che guarda, comunque con una vena nostalgica e affettuosa, i tempi che ancora oggi attraversano i suoi sguardi al momento dell'esercizio del ricordo.

Come detto, un libro da leggere con uno sguardo attento e mai leggero, una storia bellissima che non bisognerebbe perdere. Farò in modo di postarvi anche il podcast, perché possiate sentire la bella intervista che l'autore ha rilasciato quest'estate.
Buone letture,
Simona


Cupo tempo gentile
Umberto Piersanti
Marcos Y Marcos Editore, ed. 2012
Prezzo 18,00€



mercoledì 29 agosto 2012

[Dal libro che sto leggendo] Sacrè blue

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Questo è un libro un po' particolare. E' la comunione di diversi approcci alla scrittura, tutti possibilmente fra loro antitetici, ma che in questo connubio trovano una nuova definizione non totalmente sconclusionata. Premettiamo che, se in questa lettura volete trovare messaggi reconditi o morali finali, ebbene qui, non ne troverete affatto. Troverete un pizzico di approccio dell'assurdo che ignora quasi Tim Burton, ritornando al Bulgacov  de "Il maestro e Margherita" (attenzione i due scritti sono vicini per un recondito sapore dell'approccio ma nascono per motivazioni e in tempi totalmente differenti). C'e' un po' di sapore fantastico, parecchia Storia della pittura abilmente spruzzata qui e là come si farebbe agitando il pennello intriso di colore troppo liquido davanti ad una tela bianca candida. E c'e' anche quella brutta e orribile nonchè inutile abitudine degli scrittori che non vogliono concludere la storia, pertanto c'e' un finale a "balzelli" ovvero finisce, per poi iniziare nuovamente, come se l'autore non fosse certo di quel che ha scritto sin lì.
Sicuramente di storie di questo genere ce ne saranno state moltissime nella storia della letteratura ma non sono state mai così evidenti se non dopo il periodo del boom di Dan Brown, probabilmente perché dopo l'inaugurazione di questo genere, chiamiamolo pure thriller storico si è sempre sentita la necessità di fornire ai propri lettori una parvenza di "Storia" nella storia (quest'ultima leggasi come trama) in cui, quel che è la vicenda narrata, possa essere inserita  all'interno di un periodo più prolungato di tempo che la renda più accettabile dal lettore che vi incappa.
Nonostante questo la storia legge, una sorta di giallo alquanto surreale che vede coinvolti i pittori francesi del periodo che va dalla metà avanzata dell'ottocento fino quasi agli inizi del '900. Godibile, ma c'e' sempre di meglio. Voto 3,65 su una scala da 0 a 5.
Buone letture,
Simona

Campo di grano con volo di corvi 

Anvers, Francia, luglio 1890 

Il giorno in cui lo uccisero, Vincent Van Gogh, incontrò una zingara sul pavé davanti alla locanda dove aveva appena finito di pranzare.

"Cappello grande" disse la zingara.

Vincent si fermò e si levò il cavalletto sulla spalla. La salutò sollevando il cappello. In effetti era proprio grande.
"Sì, signora" disse. "Serve a proteggermi gli occhi dal sole quando lavoro".
La zingara, che era vecchia e malconcia, ma meno vecchia e maglio conciata di quanto delle a vedere - perché nessuno dà un centime a una mendicante pulita e ordinata- puntò un occhio marrone scuro verso il cielo che sovrastava la valle del fiume Oise, dove la nuvole del temporale ribollivano sopra i tetti di tegole del Pontoise, poi sputò ai piedi del pittore.
"Non c'è sole, olandese. Tra un po' piove"
"Be', servirà a proteggermi gli occhi anche dalla pioggia". Vincent osservò il foulard della zingara, giallo con un'edera verde ricamata sill'orlo. Dallo scialle alla gonna, ognuno di un colore diverso, traboccava un arcobaleno cencioso che si spegnevaai suoi piedi sotto un velo di polvere. Poteva ritrarla, perchè no. Come le spigolatrici di Millet, ma con una tavolozza più accesa. Facendo spiccare la figura sullo sfondo del campo.
"Monsieur Vincent". Una voce di ragazza. "È meglio che torniate a dipingere, prima che venga il temporale". Adeline Ravoux, la figlia del taverniere, comparve sulla porta della locanda con una scopa, pronta ad usarla non per spazzare ma per scacciare le zingare fastidiose. Era una biondina di tredici anni, la cui bellezza futura si nascondeva ancora dietro n anonimato splendido e straziante. Vincent l'aveva già ritratta tre volte da quando era arrivato, in maggio, e per tutto il tempo la giovane aveva civettato con lui con il fare goffo e impacciato di un gattino che tormenta un gomitolo senza sapere che i suoi artigli possono far sanguinare. Puro e semplice allenamento, sempre che i pittori pveri e tormentati, senza un lobo, non avessero comnciato di punto in bianco a far furore tra le ragazzine.
Vincento sorrise, annuì ad Adeline, prese il cavalletto e la tela e girò l'angolo, allontanadosi dal fiume. La zingara lo seguì mentre arrancava sulla collina, oltre i giardini recintati, verso il bosco e i campi che domnavano il borgo.
"Mi dispiace, vecchia madre, ma non mi avanza neanche un sou" disse alla zingara.
"Mi prendo il cappello" rispose slei. " E tu puoi tornare alla tua stanza, ripararti dal temporale e dipingere un vaso di fiori".
"E cosa mi dai in cambio del cappello? Mi predici il futuro?".
"Non sono quel tipo di zingara" disse la zingara.
"Poseresti per un ritratto, se ti dessi il mio cappello?".
"Non sono neanche quel tipo di zingara".
Vincent si fermò ai piedi dei gradini scavati nella collina.
"E che tipo di zingara saresti, allora?" disse.
"Una zingara a cui serve un gran cappello giallo" rispose lei. Fece una risata stridula e mostrò i suoi tre denti.


Sacré bleu
Christopher Moore
Elliot Edizioni, ed. 2012
Collana "Scatti"
Prezzo 18,50€

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domenica 26 agosto 2012

Popularlibros.com - BOOK - Versión completa

Non è un invito al ritorno al passato ma io, questo video, l'ho sempre amato, perchè in fondo dice la verità al netto di tante ovvietà che si dicono per portare avanti il mondo degli ebook. E' in circolazione da parecchi anni, quindi non è stato concepito tanto per gli ebook ma per ricordare che "leggere" è una attività che non costa molto, in termini di investimento a lungo termine, che si può farlo sempre e ovunque e via dicendo. Non credo che vi servirà un traduttore, è abbastanza chiaro quel che dice. Mi sembra che comunque, in questo video, sotto ci sia la traduzione. 
Buona visione e buone letture,
Simona 





sabato 25 agosto 2012

Questa è la casa della Lettrice Sconclusionata



In questo periodo vedrete dei cambiamenti, questo perché ogni tanto bisogna fare la cernita tra vecchio e nuovo e dare una rinfrescata alle pareti di casa e degli oggetti. Ora visto che questo piccolo spazio lo considero un po' come casa mia e, in fondo, per me lo è.
Quindi ogni tanto vi capiterà di trovare qualcosa di diverso perché non essendo bravissima nella gestione del design devo "studiare" la questione pian piano.

Sperando che sia anche di vostro gradimento,
Buone letture,
Simona

venerdì 24 agosto 2012

"La città degli angeli", Christa Wolf - Il cappotto e il passato...


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Quando ci si guarda indietro, non è sempre semplice farlo con la tranquillità e la distanza dalle proprie azioni e scelte o  da quelle di altri che hanno decretato interruzioni o decisioni forzate nel percorso della nostra vita. C'è chi analizza il passato raccontandolo in maniera netta, scegliendo le parole che restituiscano nel modo più crudo una realtà. Sono quelli che scrivono in funzione della "creazione di un ricordo" e che, forse, sono convinti che, istigando il dolore immenso di quello che hanno vissuto, gli altri ricorderanno e non incorreranno ancora nel medesimo errore. Scelta comprensibile, ma non sempre la più felice. Probabilmente perchè, non è nutrendosi del sangue altrui che l'umanità può sinceramente evolvere e creare l'opportunità non solo di andare oltre - "non dimenticando"- ma di creare modelli di pensiero migliori che rendano ogni concezione che si discosti dal principio di uguaglianza di tutti gli uomini e di inviolabilità della vita di tutti come un assurdo, non condiviso, ma necessariamente endemico.

Ci sono anche altri scrittori, come la Wolf, che invece raccontano il passato, anche quello più buio, in una maniera forse particolarmente vincente, quella intimistica. Succede in quegli autori che, in fondo, prendono le distanze dal futuribile lettore e vivono il momento della scrittura quasi fosse un momento di regressione ipnotica. C'è dell'attenzione a non ferirsi, quasi si stesse camminando all'indietro a spasso nei tempi, fino a ritornare a quei momenti che sono sintetizzabili come "il Male". Si cerca di non inciampare, perchè non si sa dove si cadrà e quale dolore genererà, quindi c'è una sorta di accortezza e di delicatezza nell'affrontare un fatto dietro l'altro perchè, questo processo di rielaborazione di un periodo oscuro e luttuoso, non ferisca ancora con rinnovata cattiveria.
Quindi lo scrittore si estrania dal suo lettore, pensando e preservando la propria anima. E il lettore più sensibile è grato di questa accortezza.

E mentre Salamov affronta il suo passato rielaborando il lutto a piccoli passi, con tanti racconti che si sommano e ,a volte, si sovrappongono fra loro, Christa Wolf, ad un certo punto, per sbloccare una situazione che ristagna, fa appello ad un cappotto - il sottotitolo anche nell'edizione italiana rimane "The overcoat of Dr. Freud"-, che ha avuto un illustre personaggio come primo proprietario per sbrogliare le matasse più intricate del passato. Non è un caso che questo viaggio fisico, che invece ha una natura introspettiva, abbia la necessità della "protezione" di Freud, dove il cappotto non solo diventa un paracadute per attutire la discesa nell'inferno del passato, ma anche una vera e propria protezione dei demoni che aleggiano nel nostro passato non solo cosciente - ovvero che sono riconosciuti come tali- ma anche di quelli nascosti dal nostro inconscio perché la certezza delle loro azioni sarebbe devastante non tanto per quello che hanno commesso quanto perché solo stati proprio loro a farlo. Man mano in questo "cammino", come avviene con l'olio che si è tentato di mescolare con l'acqua, affiorano in superficie piccole e staccate immagini e situazioni che finalmente, grazie alla nuova coperta di Freud avuta in dono, la Wolf riesce finalmente a collocare nel tempo, nello spazio e a volte nel dolore.

Così il viaggio fisico perde la sua importanza a favore del senso di libertà interiore che si vuole guadagnare. I tempi cui guarda Christa sono quelli più bui della Germania, quella comunista. Un paese diviso in due, da una parte gli occidentali con la vita che sembra una chimera di felicità e sole cui s'oppone dall'altro lato del muro un mondo oscuro- che quasi sembra non condividere la stessa aria del primo - un luogo dove pure lasciarsi vedere assorti può essere pericoloso. È un dato di fatto che gli estremismi si nutrano della paura e quella vita che la Wolf descrive è pericolosamente vicina a quella della Russia di Salamov di inizio '900 e della Politkoskawja della fine dello stesso secolo. Non è cambiato così tanto, anzi nulla anche se sono paesi differenti, personaggi e interessi differenti. La vicinanza non è data dal fatto che siano sotto il "denominatore comune comunista", bensì dalla circolarità della situazione che Salamov descrive in maniera significativa in un racconto, pubblicato in Italia, nella raccolta della Visera. In sostanza la descrizione di Salamov dà è che "è difficile distinguere gli oppressori dagli oppressi, perché quelli che oggi sono i forti domani saranno le vittime". E' la duplicità dell'ideologia moderna del regime totalitario, di cui anche Orwell profetizzava in "1984"; non si tratta più solamente di eliminare i dissidenti, ma di "eliminare qualsiasi traccia dell'eliminazione". Tutto come se nulla fosse successo, niente campi, niente testimoni o reduci. E la vita ufficiale deve, invece, scorrere parallela e indipendente. Un po' come se accanto alla casa del mulino bianco ci fosse a due km di distanza una discarica abusiva piena di materiale tossico. Non importa cosa succede nei due mondi, l'importante è che questi si ignorino volutamente o no- da una parte l'ufficialità e dall'altra l'oscuro di cui nessuno deve parlare. 
Succede anche nella Germania della Wolf dove non c'è galera più opprimente di quella che ti dà la sensazione di libertà, più libera ti senti e più il potere potrà conoscere le tue reali sensazioni e pensieri ed è in questo clima che l'uomo comincia a non fidarsi più di nessuno, perchè una denuncia non è questione di fede politica ma solo del temporaneo allontanamento degli occhi inquisitori dal proprio personale caso. Ed è per questo che è più pericolosa e fa  più male, perché nasce dalla disperazione della paura e, a quel punto, costa ancora di più scoprire le dicerie o le accuse che ci sono state rivolte, associate ai nomi di chi ha pronunciate.

Così, questo viaggio che ha portato la scrittrice dalla Germania a Los Angeles, per motivi di studio - che celano la ricerca di una persona che aveva una corrispondenza fitta con l'unica amica di riferimento dei tempi andati- avvicina sempre più l'autrice al suo passato e ai tempi e gli spazi che furono scenografia dell'oscurantismo comunista di un paese che oggi tenta sempre di andare oltre le sue colpe cercando di rimarginare le proprie ferite. Questo è l'ultimo lavoro, completato prima della morte dell'autrice stessa, quasi come fosse stata la chiave di volta di una vita che ha svelato alla Wolf se stessa e quindi la ricerca, finalmente, sia conclusa.
E così Christa potrà continuare a guardare quelle stelle, che tanto ha imparato ad amare, sdraiata, come fa in una bellissima descrizione di questo libro, circondata da amici (acquisiti e non necessariamente cercati) e  non della sua stessa età perché possa essere descritto questo "panorama celeste" non solo attraverso più occhi e più esperienze, ma anche attraverso le età della natura umana che insieme formano la corale sinfonia che descrive anche la vita di ognuno di noi. Ennesima metafora di come è concepito questo bel libro che vuole dare uno "sguardo" con gli occhi del momento in cui avvengono le situazioni e quindi contestualizzando ma riserva il "giudizio" alla distanza nel tempo, alla maturità che ci permette non solo di rivedere con una certa "distanza" quello che è accaduto ma anche di comprendere quel che si deve tenere caro da ciò che rimane futile o dannoso ricordo.
Un libro che va letto con calma e con lo stesso amore che si dedica ad una cara amica che ci confessa un segreto. Se sapremo conservare il suo segreto nei tempi delle nostre letture future, sapremo apprezzare non solo le storie ma imparare a guardarci attraverso le parole e le immagini descritte nei libri che ci capiteranno fra le mani.
Credo che sia il modo migliore per ricordare chi generosamente ci ha regalato attimi di se stessa.
Buone letture,
Simona


La città degli angeli
The overcoat of Dr. Freud
Christa Wolf
Edizioni E/O, Ed. 2011
Collana "Dal Mondo"
Prezzo 19,50€  








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mercoledì 22 agosto 2012

Dal libro che sto leggendo Lettere salate

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Questa è la storia di una fuga. La contrapposizione fra quel che si lascia e quel che si cerca non è solo sottolineata dal racconto di due presenti che al volte si confondono fra loro - quello del ricordo rivissuto e del presente fisico su una nave diretta verso l'Australia- ma, anche, da vuoti e pieni fisici. Dal un mondo che rifiuta l'acqua, vista come contaminatrice di quello che c'è ed esiste, Sarah fugge e racconta il suo viaggio in un mondo circondato da acqua, ovvero l'oceano, che può decretare la vita o la morte dei passeggeri in un viaggio lungo mesi. Così, supportato dai venti e dai sussurri e aneliti di vita dei suoi occupanti, questo vascello si muove verso una meta all'altro capo del mondo viaggiando al ritmo della vita dei suoi occupanti e fermandosi la morte sorprende i viaggiatori, togliendo temporaneamente loro il respiro in attesa della certezza, che non si ha mai, che questa sia venuta a visitare la nave. Un romanzo con una forte base storica che è proprio da non perdere.

Buone letture,
Simona



I letti sono ricavati su due piattaforme rialzate, una sopra l'altra, a meno di un metro di distanza. Dormiamo in due per letto, fianco a fianco. Anche così, soltanto un'assicella sottile seprara ogni coppia dalle altre. Le dita dei piedi sono rivolte verso il tavolo da pranzo al centro del dormitorio. Divido con Annie un letto sul tavolato basso. Abbiamo un materasso di crine, ispido come un'erba secca. È marrone e odora di polvere. Non è gonfio e soffice come quello che avevo a casa;è schiacciato e liso, consumato da troppi corpi.

A bordo la gente dice che i nostri materassi sono riempiti dei vestiti delle donne annegate. L'imbottitura si infagotta negli angoli. Quando mi sono svegliata l'altra notte Annie era completamente avviluppata nelle nostre lenzuola e restava soltanto la tela ruvida sotto la camicia a carmi la vaga idea di un appoggio. Di notte il boccaporto è chiuso a chiave. Una lanterna a olio affumica il legno delle cuccette.

Annie è magra e pallida, con il corpo slanciato. Capelli grassi lunghi fino alla vita. Il suo alito sa di olio di ricino e tiene le labbra serrate come se avesse ingoiato qualcosa di amaro. O dovesse trattenere con la forza dei segreti. Risucchia la mia aria e mormora parole senza senso al buio. Mi ricorda un polipo:i suoi tentacoli mi a volgono il collo e i polsi. Negli ultimi due giorni non l' ho mai vista sorridere ed è raro che rivolga la parole a qualcuno.

Questo pezzo è tratto da:

Lettere salate
Christine Ballint
Marcos Y Marcos Editore, ed. 2002
Collana"Gli alianti"
Prezzo 12,90€


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domenica 19 agosto 2012

L'ha detto...Tomasi di Lampedusa

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Se tutto deve rimanere com'è, è necessario che tutto cambi.

Giuseppe Tomasi di Lampedusa



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venerdì 17 agosto 2012

Lettere salate, Christine Balint - La fuga attraverso il mostro...

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Ci sono storie che nascono dalla necessità di comunicare; l'autore sa la storia, l'ha inquadrata e vissuta e, a volte, conosce più il suo personaggio che se stesso e, per non diventare come coloro che parlano attraverso le marionette e cessare questa coabitazione che alla lunga può diventare possessione, deve scriverla per esautorare l'entità, quasi fosse un rito di altri tempi. In fondo, scriverla equivale a raccontarla e quindi anche a lasciarla andare. Che sia di altri il problema, che il mio protagonista cessi di essere presente e di sussurrarmi cose mentre cerco di dormire o di urlarle quando mi guardo alla specchio e cerco di evitarne il suo sguardo. 
Ce ne sono altre che nascono per puro semplice diletto nello scrivere o quasi a scaricare la creatività accumulata leggendo altri libri e diventano un po' la risposta a quello che abbiamo letto ma che avremmo scritto, chissà, in maniera diversa. 
Ci son infine scritti che nascono per necessità. Ovvero tesi di fine corso o semplice sopravvivenza o anche solo per ricerca di quella fama che identifichiamo con l'etichetta di "scrittore di successo". Chi mi legge da un po', sa bene che fin'ora, in questi casi, la mia bocciatura è arrivata senza "se" e senza "ma". Stavolta invece la questione è differente. Questo libro nasce per una tesi di corso universitario, ma la storia appartiente intimamente alla sua scrittrice. Sembra quasi che, il criterio che fin'ora sentivo associato e determinati scrittori non sia assoluto bensì ci siano altri modi per dare sapidità alle parole e alla storia.

Così sembra che sia la "storia" colei che si impossessa della sua autrice e che la trasporta nel tempo e nello spazio. Dalla Melbourne contemporanea si torna indietro al 1854 a Brikenhead, in Inghilterra. È la storia stessa, che rincuncia ad una trama classica, che prende per mano tutti, lettori, protagonisti e autrice e ci porta attraverso il viaggio verso l'Astralia dell'epoca, in una evoluzione indotta, non dalla crescita ma dalla necessità, dalla vita di mare che si distingue per carenza di spazi, cibo e sopratutto di acqua, la stessa che, ironicamente, invece abbonda fuori bordo. Così le leggende si mischiano con le verità, i suoni raccontano storie, le lacrime nostalgie e gli sguardi le speranze di una vita migliore. Ognuno con una sua storia personale alle spalle, che non è detto che voglia condividere con i compagni di viaggio, ma questo coro di sussurri e di pensieri appena accennati da tutti i coinvolti nelle vicende forma un'unico vento che sembra sospingere vascello e occupanti al di là del mondo.

La storia sembra prendere la sua autrice non solo nelle parole, non dette e magari accennate, ma sopratutto nella descrizione del rapporto madri e figlie, generazioni di donne che si trasmettono nevrastenie e fobie quasi fosse un dono di famiglia; è un dono male accetto, che però si accoglie, quasi con rispetto, nel momento in cui si accettano le stesse "convenzioni di vita" cui ha sottostato chi ci ha preceduto e generato. Quasi a sottolineare che l'evoluzione non sta nel ripercorrere supinamente i passi delle nostre madri, ma nel coraggio di cambiarle laddove queste interferiscano con il nostro modo di essere. Così la famelica necessità di nutrirsi di solo pesce, che la tenga vicina al proprio amore, della nonna di Sarah diventa nella madre da nevrastenia a fobia. Pesce, vive nell'acqua, anche i vascelli come quello dello zio sono in acqua, l'acqua non è certezza, in acqua si può morire. Ecco da dove si genera la fobia che diviene incubo di una famiglia che improvvisamente si trova a combattere un male oscuro che non è la fobia (ricordate in quale secolo siamo e che "i nervi" delle signore più o meno occupate erano la malattia del secolo) bensì è l'oggetto di questa: "l'acqua". Tutto deve essere asciutto perchè come sostiene la signora e madre " l'acqua non è sicura". In Sarah la salvezza sarà la fuga, dalle convenzioni di chi dice cosa è "accettabile o no" e proprio attraverso l'acqua, unico vero ostacolo per non essere rincorsa. Ed è forse questa consapevolezza che le impedisce di spiegare, raccontare perché abbia preso tale decisione e perchè proprio un viaggio verso l'ignoto Nuovo Mondo, sia necessario per sancire il suo pensiero e il suo volere.

È un libro "sapido" che non necessita di grandi spazi ma si svolge all'interno di un vascello in cui i protagonisti non sempre ci sono e nemmeno parlano ma si sa della loro presenza e delle loro azioni, nonchè dei loro pensieri come se le voci venissero trasportate dal vento. Persino nelle situazioni, il movimento delle presenze aumenta o diminuisce a seconda del luogo in cui il vascello si trova. Una storia che sembra prendere l'autrice come i lettori mano mano che si viaggia e si evolve, non per questioni di natura ma per adattarsi agli spazi e alle persone e per rinnovarsi, resistendo alla incombenza della natura che, nel bel mezzo dell'oceano, contrasta selezionando nella vita e nella morte chi è più forte da chi non è all'altezza.
Veramente un libro bello e intenso,
Buone letture,
Simona

Lettere salate
Christine Balint
Marcos Y Marcos Editore, ed. 2002
Collana "Gli alianti"
Prezzo 12,90€




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mercoledì 15 agosto 2012

Buon ferragosto!

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Oggi anche la lettrice sconclusionata ha deciso di prendersi un giorno di ferie! Pertanto vi auguro buona giornata e buone letture nonchè buon riposo.

A venerdì,
Simona

domenica 12 agosto 2012

Luciano Berio: Rendering (1989)

Oggi è musica, bella musica direi. Il compositore si chiama Luciano Berio e questo pezzo è decisamente giovane visto che è del 1989, però ha il sapore della Musica composta per arte e non per l'altrui diletto e per questo, forse rimane molto affabulatoria e affascinante.
Non servono molte parole per descrivere questo pezzo, serve soltanto fermarsi ed ascoltare, magari ad occhi chiusi con un bel caffè in mano.
Per le informazioni sull'autore vi rimando alla scheda biografica di Wikipedia,
buone letture e buona domenica,
Simona





venerdì 10 agosto 2012

L'uomo nero ha gli occhi azzurri, Giuliana Covella

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Questa è una di quelle storie che è difficile far capire alla gente. Questo perchè, fomentati dall'ansia di sapere e di trovare il "mostro", mass media e la massa devono essere accontentati; da una parte c'è lo sgomento delle persone che vedono andare in frantumi il proprio microcosmo dove "i bambini non si toccano" e "la morte non è cosa da ragazzine"e, dall'altra, c'è il gruppo di giornalisti che vuole cavalcare lo scoop, quello che fa vendere e che può essere manipolato, per poterci scrivere su per mesi tanto poi se ci si sbaglia basta scrivere le scuse in fondo ad una pagina di cronaca, non la leggeranno ma dimenticheranno perché non se ne parla più. In mezzo un apparato inquisitorio e di giustizia che sente molto il risentimento popolare e per chiudere il caso e, forse, non toccare lo status quo, decide di condannare anche con prove contrastanti e non verificate oppure assenti tre giovani uomini pur di chiudere il caso.

È il 3 Luglio 1983. Io e Giuliana siamo coetanee, lei sapeva e aveva sentito e io invece vivevo in un mondo ovattato, giocavo con le bambole o con i nuovi amici dell'oratorio nella mia parentesi di vita brianzola. Giuliana, com'è ovvio, ne rimane colpita. Ma quelle domande non si perdono nel tempo e nei ricordi, ma riaffiorano ogni tanto, perché quella storia, ancora oggi a distanza di trent'anni, non è affatto chiara. Anche Nunzia e Barbara sono nostre coetanee, più Nunzia che Barbara, che all'epoca aveva 7 anni. Vengono ritrovate, dopo essere scomparse la sera prima, nel letto di un fiumiciattolo arido, uccise, semi-carbonizzate. E lasciano tutti senza parole perchè non era possibile violare la vita dei bambini e tantomeno ridurli così.
Ma qualcuno sa, ma non parla.

Partono le indagini ed ad un certo punto, forse anche troppo repentinamente, vengono individuati 3 ragazzi, quelli che la cronaca nera definirà, sbattendoli in prima pagina, come i " mostri di ponticelli". Il delitto non avviene al nord, bensì in un sud attaccato alle tradizioni, persino nella gestione dei clan ci sono cose che non si possono fare affatto. Ma questo non limita i folli. Anche i preti non si potevano toccare, eppure Don Diana venne giustiziato a sangue freddo da chi voleva scavalcare la gerarchia criminale troppo in fretta. Ma in questo caso c'è qualcosa che non va. Non tornano gli accertamenti fatti, i verbali sono lacunosi, gli eventi sono collegati a forza e senza nessun nesso logico. Quello che rimane, sono due giovani vite spezzate e il sospetto forte che non si sia voluto portare alla luce i veri colpevoli, rovinando la vita di tre ragazzi all'epoca ventenni che nemmeno conoscevano quella zona.

Alla vigilia della pronuncia in merito alla richiesta di revisione del caso, Giuliana Covella riporta carte, fatti, situazioni e protagonisti di questa storia, che puzza di ingiustizia e di dolore. Ce la racconta, anche se non è facile, con l'accortezza di chi non è in cerca di uno scoop ma solo di una risposta da dare a se stessa, quella ragazzina del 1983 e a tutte quelle che conoscevano o no quella storia. Perchè non ci sono motivi leciti e nemmeno illeciti per negare l'infanzia ai bambini e perché, rispetto a ieri, non siamo affatto cambiati, cerchiamo il mostro e ci adattiamo a quello che i giornali ci servono in pasto, senza andare oltre, senza documentarci, affidandoci al primo giornalista che lo fa senza scrupolo, tanto non sarà la sua vita ad essere condannata.
Anche Giuliana è una giornalista, ma il suo committente, la se stessa di ieri, non le permette di scendere a compromessi. I bambini non vogliono inganni, chiedono e domandano con gli occhi spalancati dallo stupore, pronti a prendere in considerazione quel che abbiamo da dir loro, quindi non occorre altro che un linguaggio semplice e onesto, che possa essere comprensibile e che possa preservare anche dal dolore fisico che ne deriverebbe nell'entrare troppo a fondo nei dettagli. Tradire la fiducia di un bambino, è creare una società futura malata che non può evolvere. Un libro non facile, ma da leggere. Un po' per rendere giustizia a queste due bimbe, dimenticate da chi non fa parte della stretta cerchia strettamente familiare. E' vero, la vita va avanti, ma questo non cancella l'ingiustizia di vite spezzate e nemmeno di quelle, forse, ingiustamente punite per non denunciare chi ha realmente commesso questo delitto e magari non solo questo.
Buone letture,
Simona

l'uomo nero ha gli occhi azzurri
la storia di Nunzia e Barbara
Giliana Covella
Guida Editore, ed. 2012
Collana "Focus"
Prezzo 11,00€





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mercoledì 8 agosto 2012

[Dal libro che sto leggendo] Il Festival a casa del boss


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Come ho scritto in un altro post di questa sezione dedicato al libro di Cavalli, mi dico spesso che, quando mi appresto a leggere titoli di questo argomento, finirò presto e in fondo mi racconta una storia che conosco già. Invece tutte le volte mi ritrovo di nuovo a sedermi con le bibbie del momento per poter confrontare dati fatti e situazioni, che mi aiutino a contestualizzare i periodi di riferimento che man mano compaiono in questi testi. Anche questo non ha fatto eccezione. per chi vuoe approfondire il tema dell'impatto sulla realtà della rivalutazione delle città e del tessuto connettivo sociale, questo, è un testo molto valido ed è fra quelli da tenere gelosamente nella propria biblioteca.



Capitolo primo 

ABUSO DI NECESSITÀ  
Napoli è una città cresciuta a dismisura e senza il rispetto di nessuna regola urbanistica. Il traffico, lo smog, il caos umano, lo sporco di ogni genere e il cemento hanno cassato per sempre e in poco più di cinquant’anni la città del Gran Tour. Palazzi, ville del ventunesimo secolo e abitazioni di ogni tipo, chilometro dopo chilometro, hanno prima aggredito ogni spazio verde e infine conquistato, travalicandole, tutte le colline cittadine. La città dei poeti e dei letterati non esiste più “Costruttori, consulenti del Comune, parenti dei politici, di destra e di sinistra, professori universitari e rampolli della Napoli bene, a volte con qualche problema con la giustizia, sono i protagonisti di questa vicenda” passata, in tanti casi, sotto silenzio, grazie alla compiacenza degli uomini dell’antiabusivismo che dispongono di un vero e proprio tariffario a seconda dei metri quadrati che si vogliono edificare. Quando Giorgio Bocca, con il suo “Napoli siamo noi”, denunciò anche questa collusione con i caschi bianchi, a tanti apparve come la solita provocazione nei confronti di Napoli e dei suoi abitanti preferendo evidenziare soprattutto le inesattezze riportate dal suo testo. I fatti, però, gli hanno dato ragione. Sintomatico il mio incontro, qualche anno più tardi, con un imprenditore che, silenziosamente, mi confida che sta andando a pagare le tasse proprio presso un comando di vigili urbani “per condonare alcuni box abusivi”; anche a loro, però, segnalerà una metratura inferiore che gli consentirà così di effettuare un versamento minore di denaro. Trascorrono solo poche settimane e alcuni di quegli esattori vengono arrestati, sono contigui a un clan camorristico che impone nella zona di Piscinola, Chiaiano e Miano le tangenti per gli imprenditori che realizzano costruzioni abusive. Non si tratta di un caso circoscritto ai confini cittadini, “le tasse” per edificare abusivamente si pagano un po’ ovunque e di uomini in divisa assicurati alla giustizia se ne annoverano veramente tanti ma questi rappresentano, negli ultimi anni, i casi più eclatanti: 23 vigili urbani arrestati a Giugliano, 13 tra carabinieri e vigili in servizio a Casalnuovo e Afragola ed infine 15 tra vigili, assessori e sindaco al comune di Torre del Greco 7 . Quando la sezione anti abusivismo della Procura di Napoli, guidata dal dott. Aldo De Chiara, ha iniziato a procedere con gli abbattimenti di abitazioni, a seguito di sentenze passate in giudicato, il popolo degli abusivi è sceso in piazza difendendo il proprio tetto con la forza. “Abbiamo realizzato degli abusi di necessità - dichiarano – prime case costruite per dare un tetto alle nostre famiglie, tollerate dalle istituzioni che hanno chiesto anche una mazzetta per chiudere un occhio”. Nessun abuso di necessità, qui siamo dinanzi ad una “cultura del degrado, del lasciar fare, del lasciar passare” che ha permesso la distruzione sistematica del territorio e di un congelamento dell’applicazione delle leggi. La burocrazia crea immobilismo, vent’anni non sono sufficienti per abbattere un ecomostro. Basta aver realizzato un paio di fabbricati anche di soli tre piani per inglobarli, in poche ore, in un recinto che consentirà così di vendere, a un prezzo nel frattempo fatto lievitare a dismisura, gli appartamenti in parco e con posto auto condominiale e se ci si riesce anche con vigilanza privata per ventiquattrore al giorno. Nessun portierato, meglio la vigilanza armata e il prezzo di vendita s’impenna. La città in questo modo ha raggiunto i paesi dell’hinterland diventando, così, una city metropolitana. L’azione speculativa è proseguita, il partito trasversale del cemento ha costruito ovunque delle vere e proprie città abusive senza che nessuno se ne fosse mai accorto.

Questo pezzo è tratto da:


Il festival a casa del boss
Pietro Nardiello
Phoebius Editore, ed. 2012
Collana "La città sociale"
Prezzo 13,00€  

domenica 5 agosto 2012

L'ha detto... Carl Gustav Jung

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Conoscere le nostre paure è il miglior metodo per occuparsi delle paure degli altri. 

Carl Gustav Jung


venerdì 3 agosto 2012

[Dal libro che sto leggendo] l'Uomo nero ha gli occhi azzurri

Le protagoniste di questo libro, Barbara e Nunzia.
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Questa è una storia che ha radici lontane, comincia infatti il 3 luglio 1983. In uno spiazzo che accoglie il letto di un piccolo fiumiciattolo, vengono trovati due corpicini, semicarbonizzati. Non è una storia inventata ma è una storia reale, dove la realtà supera ogni possibile fantasia. La sera prima del ritrovamento, due bimbe scompaiono misteriosamente un attimo erano lì a giocare e l'attimo dopo no c'erano più. Ci furono delle indagini e furono messi agli arresti tre giovani che subirono i tre gradi di processo e furono condannati. E allora qual'e' il problema vi domanderete? Il problema è che tutti gli indizi ci dicono che non sono colpevoli e che sono state volutamente messe da parte tutta una serie di considerazioni, prove e dimostrazioni che attestano che proprio loro non possono essere stati. Ma servivano dei colpevoli perché, non solo non si può dare una risposta forte alla comunità colpita nel proprio intimo più caro - ovvero i figli- ma, soprattutto, perché questo caso balzò agli onori della cronaca e quelle due bambine improvvisamente divennero le figli di ogni italiano che domandava giustizia. L'indizio più grande che i tre, che vennero soprannominati i "Mostri di Ponticelli" sono innocenti? Che sono ancora vivi, ma la spiegazione di questa affermazione dovete cercarla nel libro che esce alla vigilia della richiesta di revisione del processo.
Buone letture,
Simona



Prologo

Roma, 9 Dicembre 2010
Da quel passato oscuro mi separano ventisette anni, cinque mesi e sei giorni.

Arrivo a Roma nella tarda mattinata.
Alla stazione c'è Andrea che mi aspetta
E' uno dei due avvocati che hanno seguito questa assurda faccenda nell'ultimo decennio.
Ci siamo dapprima sentiti al telefono, poi l'accordo su come, dove e quando incontrarci.
Passano pochi giorni e sono da lui.
La stazione Termini è affollata dalla solita varia umanità e la mia città - con tutto il suo dolore - sembra lontana anni luce da lì.
Ci immettiamo sulla Nomentana, lunga striscia d'asfalto che mi pare interminabile mentre la percorriamo in auto. Cominciamo a parlare.
Comincia il racconto.
Lo scambio di opinioni.
"Come ti è venuta questa idea?"
Già. Come mi è venuta?
Me lo chiedo da quando avevo 11 anni.
Paradossalmente la stessa età di Nunzia.
Il ricordo è confuso.
Poco nitido.
Faceva caldo però.
Molto caldo.
Quello lo rammento.
Chissà perché, in fondo, i ricordi di quando si era bambini riaffiorano meglio di quelli recenti.
La sensazione è di afissia.
Poi quelle immagini.
La folla inferocita di quei piccoli paesi del salernitano ( che poi saprò essere Bellosguardo, castelcivita e Postiglione. Era lì che erano stati confinati i "mostri".
Già.
Così li chiamavano.
Quelle facce, le loro facce, però non mi hanno mai convinto.
Ero solo una bambina, ma dentro di me m'interrogavo:" Perché sono accusati? Sono davvero loro i colpevoli? Perché tutti li vogliono morti?"

Il libro di cui si parla è:

l'Uomo nero ha gli occhi azzurri.
la storia di Nunzi e Barbara
Giuliana Covella
Guida Editore, ed. 2012
Collana "Focus"
Prezzo 11,00€

mercoledì 1 agosto 2012

"Il festival a casa del boss", Pietro Nardiello - La logica della critica che crea evoluzione...

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Quando la cultura chiama a sé gruppi di persone, allora lì, non solo la comunità evolve, ma fa vera lotta di contrasto contro l'inciviltà delle organizzazioni criminali di qualsiasi natura esse siano. In fondo potrei dire questo del libro che vi presento oggi, invece, non è rappresentativo del valore di questo contributo di Pietro Nardiello. La questione è molto più complicata. 
Il Festival dell'Impegno Civile della provincia di Caserta nasce e si pone come obiettivo il ritorno della Cultura nei luoghi che l'hanno generata, che non è un'idea nuova, ma appartiene alle dinamiche delle comunità umane dalla notte dei tempi. In fondo sempre i giovani, in momenti di disagio forti, hanno fatto riferimento ai saggi per trovare nuova linfa nelle proprie radici e per poter andare oltre. Ma il problema è sempre stato diverso nella contemporaneità, ovvero quello di scegliere il "saggio giusto" in un periodo storico che restituisce al pubblico tutta una serie di "nominati su carta" come "rappresentativi" e che tali non sono, o non hanno la soluzione più pertinente.

Quello che la Campania ha da insegnare all'Italia, e lo fa giornalmente anche a chi non sa ascoltare, è il suo profondo attaccamento alla cultura passata, che si trasmette, non solo per iscritto, ma anche e sopratutto oralmente nelle storie e nelle leggende che vengono tramandate, quasi a forza, dai genitori ai figli. Così, se vi capiterà di scendere a Napoli, ma è una cosa che avviene ovunque in Campania, e di chiedere in che strada vi troviate, il napoletano verace non vi darà un'informazione secca ma imbastirà tutta una serie di informazioni che diverranno una sorta di commedia "zippata", passatemi il termine informatico, e di compendio alla storia campana. A me è successo un sacco di volte e oggi, dopo aver letto qui e là libri che provengono da figli di questa regione, so' perchè succede ma, ammetto che, agli inizi, chiedere un'informazione, mi lasciava interdetta.

Cos'ha la cultura da offrire al contrasto della camorra? Semplicemente se stessa. In un libro che non ho mai finito (prima o poi mi deciderò a farlo) che si chiama "Dire camorra oggi" (2009) Giacomo di Gennaro sosteneva che il contrasto della criminalità nasce dalla comuntità che ne è infettata, dalla creazione di gruppi sociali e da iniziative statali che siano volte alla riqualificazione, non solo territoriale ma anche culturale. E, stabilito che, come testimoniano altri innumerevoli libri, studi e condanne la collusione fra stato e camorra è sempre stata una base certa da tempo immemore, possiamo, all'affermazione precedente, togliere la "partecipazione statale alla riqualificazione sociale". Quindi rimane solo la comunità a difendersi e a crearsi alternative. In questa azione di difesa nascono eventi come quelli che narra anche Pietro, che non solo si impegnano in un evento sfidante "portare la cultura nei luoghi confiscati alle cosche", ma anche di limitare la partecipazione statale ad un certo contributo (che si riduce alla concessione dell'utilizzo dei luoghi confiscati e di versamento di un piccolo importo per la presenza dei propri stemmi per "rappresentanza") in modo da evitare di essere dipendenti dal contributo pubblico che potrebbe essere utilizzato come un modo per limitare certe decisioni qualora fosse invece rilevante (della serie se quello che fai non mi piace ti tolgo i soldi!).

Nella percezione di questo evento, voluto fortemente e gestito con la voglia di mettersi alla prova, subentra anche il fattore umano e di moda di fare di qualsiasi problema quasi un mito a cui riferirsi, ovvero la moda dell'antimafia. E' un "modus" tutto italiano, quello che ci vede schierarci dal lato che si ritiene o che ci indicano come giusto e corretto. Se non ti schieri sei come gli altri, quelli cattivi e se ti schieri lo devi fare per forza con le regole che qualcun altro ha stabilito per te. Mi sono sempre chiesta da dove venisse questa "logica dello schieramento" e alla fine ho concluso che tale logica è figlia delle uccisioni di Falcone e Borsellino che gelarono il sangue degli italiani perché avvennero in un momento di cambio dell'establishment politico italiano, quindi destabilizzane delle certezze sino ad allora coltivate dalla massa, e contestualmente perché viviamo tempi in cui ci si sente soli, non solo fisicamente ma moralmente e sopratutto senza valori sociali forti e quindi ogni causa è cosa buona per sentirsi parte di un gruppo, una comunità che si configuri come una grande famiglia con dei valori condivisi cui puntare. E questa situazione, nonostante sia facile pensarlo, non è figlia di internet bensì dell'epoca industriale che ci vede proiettati verso la produzione e l'acquisto, senza proporci obiettivi sfidanti ulteriori che sono di carattere sociale che l'industria e l'economia poco ritengono di valore se non pubblicitario ai fini di vendita.

Nascono così, dal supino seguire l'obiettivo sfidante, i "personaggi di riferimento" che si dividono in due i "miti", che sono morti e non sono tutti sullo stesso livello (dipende da quanto li hanno visti citati in tv), e i "guru", termine preso in prestito da youtube, che invece sono vivi e qualsiasi cosa dicono, anche la più sbagliata, va presa alla lettera e mai smentita, pena, l'eliminazione dalla "comunità famiglia" cui si pensa di appartenere e mi spiace dirlo ma questo assomiglia prepotentemente,  alle dinamiche di affiliazione di stampo mafioso ma anche a quelle di una qualsiasi organizzazione criminale. Questo fa sì che non leggiamo più, perchè c'e' qualcuno che ci fa il sunto che ci sta bene perché qualcun altro o la comunità ha deciso che "dice cose giuste". Quindi improvvisamente la cultura e le azioni sociali si livellano sul modello proposto dal personaggio o dall'organizzazione di riferimento. Sono questi protagonismi non gestiti e queste frotte di uomini che cercano la via più semplice per arrivare all'obiettivo, che danneggiano le azioni che vengono messe in campo per contrastare le mafie. Così il movimento nato dai giovani studenti palermitani o i lenzuoli bianchi appesi alle finestre sempre a Palermo o anche il Festival perdono di valore, quello assoluto, per diventare eventi che per molti non sono più una vera e propria protesta, ma l'elemento distintivo per dire agli altri "da che lato sto", basta avere la spilletta, o la foto con questo o quel personaggio o anche farsi una foto davanti allo striscione del festival per dire chi sono e cosa faccio.  

Sono i protagonismi che aleggiano latenti nel lavoro di direttore artistico del Festival che portano Pietro Nardiello ad un lento e inesorabile abbandono di tale partecipazione, non tanto perchè l'obiettivo non sia più condiviso, bensì perchè se "l'azione comune" non si rende disponibile all'autocritica o alla critica esterna allora quell'azione non è più mossa dal pensiero assoluto che punta al valore condiviso ma è diventata altro, un nuovo santino, da tenere nel portafogli perché tanto non si sa mai. E così, nonostante la facciata sia preservata, e la sostituzione sia presentata come alternanza o ricambio naturale per l'evoluzione, quest'ultima non c'e' più, ed è fisicamente un arretramento che si maschera da novità.
Leggere questo libro che ospita una storia di un momento e movimento culturale che nasce in questo mondo è rappresentativo di questo viaggio all'interno delle stratificazioni sociali a volte anche sbrindellate ma che  sono rappresentative e metaforiche di quello che è il male italiano per eccellenza come la "mancanza di valori condivisi e subiti supinamente" e anche della, chiamiamola, "formazione" o "capacità" adeguata che ci permetta di capire come scegliere e perseguire questi obiettivi. Forse è proprio la mancanza dei veri saggi, sostituiti dalla tv e dagli imbonitori giornalistici che urlano come al mercato del pesce notizie che si contraddicono fra loro, ad aver creato questo clima di anestetizzazione della coscienza degli italiani e forse siamo ancora in tempo per salvarci e per permetterci di darci una possibilità di cambiamento, ma questo presuppone il rimboccarsi le maniche e ripartire faticosamente dalla cultura pregressa. Proprio il punto da cui era partito il Festival. Ed è per questo, che per chi vuole comprendere le dinamiche di questo mondo,che questo titolo della letteratura di genere, legata all'analisi sociale dei territori che da anni cercano di creare un contrasto alternativo alla collusione stato-camorra* (dove per camorra leggasi "organizzazione criminale dalle caratteristiche mafiose"), è da leggere.
Buone letture,
Simona


* Si narra che quando a Monnier, uno dei primi a scrivere del fenomeno camorristico con il suo trattato "La camorra. Notizie storiche e documentate"(1865), veniva chiesto "Cos'è la mafia?" da un giornalista dell'epoca lui rispondesse "La mafia è una forma di camorra"

Il festival a casa del boss
Pietro Nardiello
Phoebius Editore, ed. 2012
Collana "La città sociale"
Prezzo 13,00€




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