mercoledì 20 dicembre 2017

[Dal libro che sto leggendo] Dimmi come va a finire. Un libro in quaranta domande

Fonte: LettureSconclusionate

Dall'aria insolitamente tranquilla e innocente, il libro di oggi, nonostante sia leggerissimo fisicamente, parla di un tema pesante. Quando si parla di messicani il pensiero va subito all'America che Trump ha prospettato agli americani con alti muri di confine, tra quello che lui pensa sia la civiltà e gli altri. Alt! In questo libro non si parla di politica, o meglio, si tange la politica ma non ne è lo scopo principale. E' un libro costruito veramente, come dice il sottotitolo, "in quaranta domande" e sono quelle del questionario che viene proposto ai bambini che scappano dal sud e centro America, attraversando il Messico per consegnarsi ai poliziotti Americani appena passata la frontiera.

Non ci sono i numeri di quelli che partono per confrontarli con quelli che arrivano, ma un dato certo c'è: è meglio rischiare la vita e affrontare questo viaggio per loro che rimanere dove sono, anche se, per la tratta che devono percorrere e per l'età, potrebbero non arrivare mai a destinazione. Il compito di Valeria è quello di tradurre le domande ai bimbi e ragazzi e trascrivere, anche qui traducendole, le loro risposte sperando che, quello che dicono, possa serve a fargli ottenere al più presto la status di rifugiato o qualsiasi altro pezzo di carta che permetta loro di rimanere in America. Per contro a questa situazione c'è un mondo, che non è diverso dal nostro in questo, che non sempre capisce quello che comporta lasciare il proprio paese per scappare.

C'è un sottile difetto in libri come questo e che qui hanno trovato sempre spazio perché trattano di temi che non bisognerebbe ignorare. Questo perché nonostante io sia fermamente convinta che il flusso migratorio dalle parti più disagiate del mondo sia e debba essere facilitato per permettere a tutti di avere l'opportunità di vita dignitosa, dall'altro vivo in una città come Roma e vedo e mi rendo conto che la mancanza di politiche di integrazione rendono impossibile l'accettazione degli uni con gli altri. in questo fallisce sia chi accoglie e sia chi scappa e solo una volta, in un caso specifico, ho letto qualcosa che parlasse di questo disagio. E' un disagio che non giustifica nessuna delle due parti e che spesso viene aggirato con il rivolgersi ai giovani e ancor più spesso viene preso ostaggio da politiche estremiste, snaturato nel suo reale e genuino sconcerto per trasformarlo in messaggi razziali. Io credo che ancora oggi, dopo secoli di flussi migratori, nessuno sia pronto a capire e gestire con coscienza i flussi migratori, e tanto meno a farne parte... ma di questo parleremo in recensione. E' un discorso complesso e questa rubrica ha uno spazio troppo piccolo per occuparlo.

E' un bel libro, nonostante questo mio pensiero discordante, perché la Luiselli è quella voce che si potrebbe assimilare  a quelle delle donne scelte per raccontare il mondo dei desaparesidos. E' quella voce calda e sicura che piano piano ti accompagna nella casa degli orrori non perché ti voglia spaventare ma solo per farti sapere. Sono pochissime le scrittrici che lo sappiano fare e Valeria è una di loro.

Buone letture e buone feste,
Simona Scravaglieri

I
frontiera

“Per quale motivo sei venuto negli Stati Uniti?”. È questa la prima domanda del questionario d’ingresso per i minori non accompagnati che entrano nel paese. Il questionario è utilizzato dal Tribunale Federale dell’Immigrazione di NewYork, dove ho cominciato a lavorare come interprete volontaria nel 2015. Il mio compito in tribunale è semplice: faccio i colloqui con i minori, seguendo le domande del formulario, e poi traduco le loro storie dallo spagnolo in inglese. 
In realtà, di semplice non c’è proprio niente. Sento le parole, formulate dalle loro bocche, inanellarsi in narrazioni complesse. I ragazzi le pronunciano in tono esitante, talvolta diffidente, sempre impaurito. Io devo trasformarle in parole scritte, frasi succinte e termini aridi. Le storie sono sempre pasticciate, balbettate, invariabilmente frammentate oltre ogni possibilità riparatoria di un ordine narrativo. Il problema, quando si prova a raccontarle, è che non hanno principio, né centro, né fine.
Quando il colloquio preliminare con  il minore è finito, incontro gli avvocati per consegnare e spiegare quello che ho trascritto e le mie eventuali osservazioni. Dopo di che gli avvocati analizzano le risposte, cercando di individuare gli elementi utili a costruire una difesa sostenibile che ne impedisca l’espulsione, e la “potenziale dispensa” che il bambino o la bambina sono in grado di ottenere. Il passo successivo è trovare un difensore. Una volta che un avvocato ha accettato l’incarico, comincia la vera battaglia giudiziaria. Se vince, il bambino otterrà qualche forma di sospensione del provvedimento. Se perde, un giudice emetterà un ordine di espulsione. Guardo i nostri figli addormentati sul sedile posteriore della macchina mentre attraversiamo il George Washington Bridge, il ponte che ci porterà in New Jersey. Di tanto in tanto dal mio posto accanto al guidatore mi giro e osservo il mio figliastro di dieci anni, che è venuto a trovarci dal Messico, e mia figlia, che di anni ne ha cinque. Al volante, mio marito è concentrato sulla strada davanti a sé.
È l’estate del 2014. Siamo in attesa che ci venga concessa o negata la Green Card e, nel frattempo, decidiamo di fare un viaggio tutti insieme. Partendo da Harlem, New York, raggiungeremo una città nella Cochise County, in Arizona, vicino al confine col Messico.
Secondo il gergo leggermente offensivo della legge sull’immigrazione degli Stati Uniti, da tre anni circa, cioè da quando siamo arrivati a New York, siamo dei “nonresident aliens”. È questo il termine usato per descrivere chiunque venga da paesi diversi dagli Stati Uniti – “alieno” – che sia residente o meno. A quanto ne so, ci sono i “nonresident aliens”, i “resident aliens”, e persino i “removable aliens”, ossia stranieri che possono essere “rimossi”. Noi aspiravamo a diventare “resident aliens”, pur sapendo cosa significava fare domanda per una Green Card: gli avvocati, le spese, gli innumerevoli esami medici e vaccinazioni, i mesi di incertezza prolungata, i passi abbastanza umilianti da fare nel frattempo, come dover aspettare un documento di “libertà sulla parola anticipata” per poter lasciare il paese e rientrare, sempre sulla parola, come un delinquente, oltre al divieto legale di andare all’estero prima di aver ottenuto la libertà sulla parola anticipata, pena la perdita dello status di immigrato. A dispetto di tutto questo, avevamo deciso di andare avanti.
Quando finalmente inviammo le richieste, poche settimane prima di partire per il nostro viaggio “on the road”, cominciammo a sentirci a disagio, in qualche modo fuori posto, un po’ sul chi vive, come se aver infilato quella busta nella cassetta azzurra della posta all’angolo della nostra via avesse cambiato qualcosa dentro di noi. Con una certa leggerezza, scherzavamo sulle possibili definizioni della nostra nuova condizione di migranti, attualmente provvisoria. Eravamo “alieni provvisori”, o “scrittori in cerca di status”, o “scrittori alieni” o magari “messicani provvisori”? Forse, dentro di noi, ci stavamo semplicemente ponendo, credo per la prima volta, la stessa domanda che adesso faccio ai ragazzi all’inizio di ogni questionario d’ingresso: “Per quale motivo sei venuto negli Stati Uniti?”.

Questo pezzo è tratto da:

Dimmi come va a finire
Un libro in quaranta domande
Valeria Luiselli 
La nuova Frontiera, Ed. 2017
Traduzione a cura di Monica Pareschi
Collana "liberamente"
Prezzo 13,00€

mercoledì 29 novembre 2017

[Dal libro che sto leggendo] Gli illuminati


Antoine Bello
Fonte: Wikipedia

Come già successo in passato per altri libri facenti parte di duologie o trilogie etc, mi corre l'obbligo informare il lettore passa di qui che quello di oggi è il secondo libro di una duologia. Potrebbe anche essere letto singolarmente ma, nella descrizione sommaria che segue o nello stralcio del primo capitolo del libro, anche se a me non sembra, potrebbero essere presenti degli spoiler. Del precedente libro, "I Falsificatori" ho parlato in una recensione e  l'anteprima è stata inserita nel post del [Dal libro che sto leggendo] relativo al libro stesso.

Se "l'amico di Murakami", alias appioppato ad un amico che non vuole essere citato, non fosse a fare una visita e quindi avesse tempo di guardare quel che pubblico oggi, scuoterebbe la testa sconsolato. Non ama che io legge e nemmeno che parli di libri del genere. Questo perché, quello che penalizza questa duologia è un po' la descrizione che viene fatta in sinossi e un po' la percezione che si ha di certe storie similari che girano in libreria. Quindi chiariamo subito: non è un romanzo da "complottisti". Bisogna leggerlo con la leggerezza dell'ipotesi, e, no, quelle di Dan Brown non erano ipotesi ma leggende mal riferite, e che è ben inserita in una architettura complessa di due romazi che scorrono la vita di Sliv sempre di pari passo con la storia reale, dalla fine degli anni '90 del novecento fino al 2000 inoltrato.

E' la storia di Sliv giovane irlandese che un giorno, rispondendo ad un annuncio, entra in contatto con l'uomo che lo recluterà per un ente che si occupa di rivedere quelle che sono le notizie e la storia mondiale, integrandola, creandola o cancellandola per scopi non ben definiti. Nella carriera all'interno del CFR gli agenti operano di comune accordo e ognuno per le proprie competenze. Il problema per Sliv è capire lo scopo di certe falsificazioni e chi si nasconde dietro al CFR. 

Il bello di questa ipotesi è. innanzitutto, che è ben scritta, scorre bene e poi che è basata su uno dei mali della contemporaneità: la dimenticanza. Noi siamo portati a dimenticare l'esattezza o anche a ignorare l'esistenza dei fatti per due motivi principali: l'enorme cumulo di informazioni che ci travolgono ogni giorno e internet. Con l'avvento della globalizzazione quello che era già prima complicato da seguire, oggi, diventa ancor più complesso perché, ogni giorno, nel mondo avvengono e si scrivono un sacco di fatti diversi che si sovrappongono e che fanno sparire quelli già descritti un secondo prima del loro avvento. Il fatto che, ipoteticamente, si possa far perno su questo difetto comune è plausibile ma, di certo, molto più complesso di come lo descrive Bello anche se, nella sua storia, cerca di pensare a tutte le varie possibilità per renderlo il più verosimile possibile. All'inizio di questo secondo libro è presente un riassunto del precedente che non rende la lettura de "I Falsificatori" necessaria ma è così piacevole da leggere che sarebbe un peccato ignorarla.

Buone letture,
Simona Scravaglieri

UNO 

Come ogni volta che spingevo la pesante porta vetrata dello studio Baldur, Furuset & Thorberg, meditai brevemente sulla piega che la mia vita aveva rischiato di prendere dieci anni prima, quando avevo risposto ad un annuncio per un posto di capo progetto nel settore degli studi ambientali. Se il direttore delle operazioni, Gunnar Eriksson, che mi aveva assunto, non avesse scorto in me la predisposizione a un altro tipo di attività, forse da quel giorno avrei dovuto occuparmi di quantificare i rischi di inquinamento fluviale derivanti dalla costruzione di un inceneritore nella periferia di Copenaghen.
La receptionist, intenta a dare informazioni a un fattorino, mi salutò con un sorriso. Credendomi un consulente freelance che collaborava occasionalmente con lo studio, non si stupiva né delle mie lunghe assenze e né dei miei orari strani. Quella copertura, che io e Gunnar avevamo ideato quando ero uscito dall'Accademia, era pienamente soddisfacente: placava la curiosità del fisco irlandese e spiegava i miei spostamenti ai quattro angoli della Terra.
«Sliv, finalmente!», esclamò Gunnar abbracciandomi calorosamente. «Temevo avessi perso il nostro indirizzo. Quanto tempo è passato dall'ultima visita?».
Il tono della sua domanda era troppo ironico per essere del tutto innocente. Kristin la moglie di Gunnar era morta un anno prima per un'embolia polmonare. Gunnare era assolutamente preparato alla sua improvvisa scomparsa e aveva accusato il colpo. I suoi figli erano i tredici agenti che aveva reclutato nel corso della sua carriera. Poiché io ero, al tempo stesso, quello più vicino e l'unico che vivesse ancora a Reykiavíc, andavo a trovarlo almeno una volta alla settimana, tranne ovviamente quando ero in missione all'estero.
«Troppo», sospirai. «Vengo da Sydney: sono atterrato stamattina. Prima sono stato a Londra, Torornto e Los Angeles».
«Pazzesco», borbottò Gunnar. «Bisogna che faccia un discorsetto a Yakoub. Se continui così, rischi di rovinarti la salute».
Sapevamo entrambi che non avrebbe fatto nulla del genere. Le Operazioni speciali contavano sì e no un centinaio di agenti e avevano bisogno del contributo di ciascuno. Del resto, le mie sporadiche rimostranze non ingannavano nessuno, tanto meno Gunnar: adoravo la mia vita di agente di classe 3 e non l'avrei cambiata per niente al mondo.

Questo pezzo è tratto da:

Gli illuminati
Antoine Bello
Fazi Editore, ed .2010
Traduzione a cura di Lisa Crea
Prezzo 19,50€

mercoledì 22 novembre 2017

[Dal libro che sto leggendo] Shakespeare and company


L'edizione del 1922 dell' Ulisse di James Joyce
Fonte: Non Solus blog


Comincia così questo libro, come una raccolta di piccole immagini di una vita di una famiglia normale. Aneddoti divertenti e divertiti di una figlia che ricorda "mamma e papà" con i loro pregi e difetti, che commenta le leggende di famiglia e ricorda la prima volta che ha visto Parigi. Un periodo decisamente importante per la nostra Sylvia che rimarrà contagiata dallo spirito parigino d'avventura e di curiosità verso qualsiasi novità. Spirito che rimarrà intatto per quasi mezzo secolo fino alla fine della seconda guerra mondiale. Eppure Sylvia, nono solo non dimenticherà quel brivido degli incontri domenicali con gli studenti americani a Montparnasse ma anzi, perpetrerà quella ansia di guardare oltre,  con la sua piccola libreria a ricordata storicamente per la sua seconda sede, e non quella della sua prima apertura, a Rue de l'Odèon.

La via che volge le spalle al quartiere latino, che sbircia dietro la sagoma dell'omonimo teatro le rive della Senna e che tanto ha dato agli artisti dei primi del novecento diventò il fulcro del laboratorio letterario del momento. Apollinaire sta a La maison des amis des livres come Joyce sta a Shakespeare and Company. Se adrienne riusciva a fomentare i movimenti francesi e spagnoli a Sylvia non rimaneva che sovvenzionare quelli americani e anglofoni. Fra gli esponenti, oltre a Joyce troviamo anche un giovane di belle speranze che usava sostare, leggendo il giornale, con il figlioletto in libreria. Era Ernest Hemingway. Lo stesso che, con la divisa da ufficiale alla riconquista di Parigi si precipita a verificare se Sylvia sta ancora bene.

Rue de l'Odèon e le sue due librerie formano non solo un rifugio e uno spazio per gli artisti che vi si vogliano provare ma sono anche un trampolino di lancio per le nuove tendenze che verranno. E alla base di questo formale impegno, non può non essere inserita la prima e unica, non per stampa ma per presenza in catalogo, opera pubblicata da Sylvia con la casa editrice da lei fondata con lo stesso nome della sua libreria: l'Ulisse di Joyce. All'interno di questo libro c'è un po' di tutto: alcune cose in maniera maggiore e altre appena accennate. Tutto sta a farsi coinvolgere e trascinare come dicevo nella recensione.

Buone letture,
Simona Scravaglieri



BALTIMORA, PARIGI, PRINCETON 

Mio padre, il reverendo Sylvester Woodbridge Beach, dottore in teologia, era un ministro del culto presbiteriano che per diciassette anni fu pastore della prima chiesa presbiteriana di Princeton, nel New Jersey.
A prestar fede a un articolo apparso nel "Munsey's" Magazine sui più curiosi alberi genealogici d'America, i Woodbridge, antenati di papà dal lato materno, si sarebbero tramandati di padre in figlio il ministero sacerdotale per dodici o tredici generazioni. Mia sorella Holly, che vuole la verità a qualsiasi costo, ha preteso di vederci chiaro e, ahimè, ha sfatato la leggenda  riducendo il numero a nove; e tanto dobbiamo accontentarci.
Come certi personaggi mitologici mia madre, una Orbison, scaturisce da una fonte. Cioè, un certo suo antenato, il capitano James Harris, zappettando nel cortile dietro casa, scoperse una magnifica sorgente e fondò in quel punto la città di Bellefonte negli Allengheny; fu la signoa Harris a pensare al nome. Io però preferisco un'altra storia, che la mamma mi raccontava spesso, secondo la quale Lafayette, fermatosi a chiedere un sorso d'acqua della nostra fonte, avrebbe esclamato: "Belle fontaine!". Benché sia improbabile che un francese si fermi a chiedere un bicchier d'acqua.
La mamma nacque non nella sua città fra i monti della Pennsylvania, ma a Rawalpindi, in India, dove suo padre era missionario medico. Poi nonno riportò la famiglia a Bellefonte, dove la vedova allevò i quattro figliuoli e trascorse tutto il resto della vita, finendo i suoi giorni venerata poco meno della storica sorgente.
La mamma frequentava l'accademia di Bellefonte, dove aveva per insegnante di latino un bel giovanotto alto, appena uscito dal college e dal seminario teologico di Princeton, Sylvetser Woodbridge Beach. Lei aveva solo sedici anni. Si fidanzarono, ma aspettarono due anni a sposarsi.
Papà fu chiamato a esercitare il ministero prima a Baltimora, dove nacqui io, poi a Bridgeton, nel New Jersey, dove f pastore della prima chiesa presbiteriana per dodici anni.
Avevo circa quattordici anni quando papà portò a Parigi tutta a famiglia: la mamma, le mie due sorelle minori, Holly e Cyprian e me. Gli avevano chiesto di occuparsi di quelle che venivano chiamate le Riunioni dell'Atelier degli Studenti: non esisteva ancora il bellissimo club degli studenti americani di Boulevard Raspail. La domenica sera gli studenti americani si ritrovavano fra compatrioti in un grande studio a Montparnasse, dove papà faceva un discorsetto e alcuni fra i cantanti più in vista del momento, come Mary Garden e Charles Clark, il grande violoncellista Pablo Casals e altri artisti intrattenevano brillantemente il pubblico.   Venne persino Löre Fuller: ma non a  danzare, bensì a parlare delle sue danze. La ricordo come una ragazza piuttosto tarchiata e non bella, con un paio d'occhiali che la facevano somigliare a una maestrina. Ci parlò degli esperimenti che stava facendo con il radium, per i suoi giochi di luce. In quel tempo danzava al Moulin Rouge e aveva molto successo. Vedendola laggiù, non avreste più riconosciuto la robusta ragazzotta di Chicago. Con due bastoncelli si faceva volteggiare intorno, cinquecento metri di stoffa turbinante, fiamme la avvolgevano e la consumavano, finché di lei non rimaneva che un mucchietto di ceneri.
Papà e mamma amavano la Francia e i francesi, benché di questi ultimi ne conoscessimo pochi a causa del lavoro di papà, che ci faceva vivere soprattutto a contato con i nostri compatrioti. Specialmente papà se la diceva bene con la gente del nostro paese d'adozione; in fondo al cuore, penso, doveva essere proprio un latino. Fece di tutto per imparare la lingua. Un suo amico deputato gli diede delle lezioni, mettendolo ben presto in grado di leggere e scrivere il francese alla perfezione; ma la pronuncia... ahimè, quella era un'altra faccenda. Dalla stanza accanto sentivamo papà e il suo amico alle prese con la "u" francese; prima si udiva quella strettissima "u" del deputato, e subito dopo quella inguaribilmente larghissima di papà, pronunciata con un volume di voce ogni volta maggiore, ma sempre altrettanto lontana del modello. Non migliorò mai.


Questo pezzo è tratto da:

Shakespeare and Company
Sylvia Beach
Edizioni Sylvestre Bonnard, ed. 2004
Traduzione a cura di Elena Spagnol Vaccari
Collana "Il piacere di leggere"
Prezzo 26,00€

mercoledì 15 novembre 2017

[Dal libro che sto leggendo] Occhi chiusi spalle al mare

Fonte: Pixturi
E oggi è davvero un libro che sto leggendo, anzi che ho appena iniziato a leggere stamattina. Il libro, uscito ad ottobre, è arrivato ieri e sono passata all'alba a ritirarlo da mia madre e, mentre ero in coda, non ho resistito e l'ho aperto. Mi sono fermata dove ora interrompo questo estratto, che sostituisce quello che era programmato, proprio perché è talmente accattivante che non potevo non farvelo sbirciare! 

Non è la prima volta che parlo e leggo questo autore (19 Dicembre '43) ma confesso che non mi aspettavo che mi attirasse così. E invece la storia Piero parte subito avvolgendo il suo lettore nelle ombre e scandendo il passaggio da una inquadratura e l'altra con il rintocco dell'orologio. In mezzo quel sentore di noir che Cutolo porta con sé naturalmente e che sa distribuire con grande maestria. 

Piero vive al Sud in un posto che è crocevia di storie italiane e di immigrati. Piero è anche uno che ha una sua storia che inizia con un padre distante e autoritario, forse anche troppo ingombrante con la sua pretesa di controllo. Poi una mattina, quel che troviamo alla guida non è il padre, ma Piero. 

Non aggiungo altro perché non credo ci sia da aggiungere nulla in più. Dopo aver letto questo pezzo, forse anche voi darete una chance a Cutolo per stupirvi o farlo nuovamente come ho fatto io. Ci vediamo alla fine del libro... io continuo a leggere!

Buone letture,
Simona Scravaglieri

Uno

Serrande abbassate, finestre socchiuse, il silenzio galleggia fra la penombra delle case e il nero delle strade, avvolge gli oggetti che lo prendono in consegna e lo rilasciano a intermittenza nello spazio circostante. Un viavai muto attraverso spiragli e fessure, posti segreti, un moto che tiene in perfetto equilibrio la quiete delle cinque e ventiquattro del mattino.
Soprammobili, tende, alberi, fontane, tutto sembra sospeso nel tempo.
Dopo aver lavorato al silenzio e in silenzio tutta la notte, ogni cosa ritrae la sua anima in attesa del nuovo giorno. I lampioni si spengono a chiazze e cedono il passo al primo bagliore di un cielo terso.
E' una meravigliosa giornata di fine giugno.
La città dorme.
Un vento leggero sale dal mare portando con sé storie di vite lontane. Granelli di sabbia.
Il sibilo del SUV di Piero è l'unico rumore percepibile nell'aria ovattata delle cinque e venticinque del mattino, un bisturi che incide il silenzio e con esso si fonde. All'interno delle case il suono  arriva attutito quasi impercettibile. Anche l'angolo più remoto e dimenticato sembra pervaso dalla pace.
Ma dentro quel SUV accade qualcosa di diverso.
Il cuore di Piero sferra colpi massicci, a intervalli brevissimi l'uno dall'altro. Tonfi sordi, continui, che nelle sue orecchie assomigliano ai rintocchi di un pendolo.
La tensione è così forte che l'impugnatura stretta di tutte e due le mani sul volante non impedisce agli avambracci di tremare, la muscolatura si contrae a tal punto da provocargli dolore alla spalle, al collo. Una vertigine.
Le pupille compiono movimenti rapidissimi in ogni direzione. Gocce di sudore gli tagliano la fronte e si fermano sugli occhi. Le palpebre, inzuppate, diventano così pesanti che potrebbero chiudersi da un momento all'altro.
Ma sono le cinque e ventisei del mattino.
E, nonostante tutto, Piero arriverà in perfetto orario all'appuntamento più importante della sua vita.

Questo pezzo è tratto da:

Occhi chiusi spalle al mare
Donato Cutolo
Edizioni Spartaco, Ed. 2017
Collana "Dissensi"
Prezzo 13,00€ 

venerdì 10 novembre 2017

"Shakespeare and Company", Sylvia Beach - Dei ruggenti anni '20 parigini...

Parigi 1925 Fotografia di Roger-Viollet
Fonte: Venets

Ci sono storie del passato della letteratura che riescono ad essere, ancora oggi, più affascinanti di quelle inventate per la letteratura. Ci sono persone che hanno fatto per la letteratura internazionale molto più dei patinati autori. Hanno permesso che questa evolvesse e diventasse quello che è oggi, un immenso patrimonio culturale di memorie e di storie che, se lette, ci rendono persone migliori e ci fanno vivere, guardare e ascoltare saltando fra le epoche o vivendo nella fantasia, mille vite diverse. È un concetto un po’ strano detto così, diventa più chiaro se pensiamo all'immedesimazione che avevamo da ragazzini leggendo le gesta dei nostri amati eroi nei fumetti e nei libri illustrati. Ecco molte delle persone che si incrociano nel libro di oggi, avevano lo stesso sguardo trasognato e vivevano i libri, le fascinazioni del linguaggio e degli stili narrativi in maniera talmente totalizzante che, leggendo questo memoir, non si può fare a meno di rimanere coinvolti.

Siamo nella prima metà del ‘900, il periodo di cui parliamo è fra le due guerre fra il 1920 e la fine della seconda guerra mondiale. Il luogo è Parigi. Parigi è quel luogo in cui tutto il mondo che si distacca per convinzione o curiosità, nonché rifiuto delle convenzioni sociali si ritrova. È quel luogo dove in ogni angolo il pullulare delle conversazioni, che ai più sembrano astruse, ti raggiungono e stuzzicano la tua curiosità. Se tendete l’orecchio potreste sentire la voce baritonale di Gertrude Stein che commenta nel suo studio il primo quadro di Picasso che ha acquistato dicendo che la ragazzina rappresentata ha i piedi grossi o sentire Apollinaire e Picasso che parlano impauriti della collezione di oggetti africani che hanno acquistato e la cui provenienza non è così chiara, oppure vi capiterà di osservare un omino minuto con il cappello di paglia e gli occhialini. Ieri spendeva e spandeva, oggi è di nuovo povero, ha una moglie e dei figli e ha vissuto per un certo periodo in Italia, a Trieste per la precisione. Si chiama James ma tutti lo conosceranno e ne parleranno solo come Joyce, cognome che ci fa pensare a quel mastodontico mattone che è l'Ulisse. Ecco, lo troviamo a Parigi perché lì c'è una simpatica e scavezzacollo americana che, supportata dalla amica che fa anche lei la libraia, ha aperto un negozio di libri che poi ha spostato dopo un anno per stare più vicino alla sua Adrienne. L'Adrienne in questione noi la conosciamo già, è Adrienne Monnier, e qui l'abbiamo incontrata con la raccolta degli scritti che ha redatto per varie occasioni nella sua libreria che in Italia si trova sotto il titolo "Rue de l'Odeòn. La libreria che ha fatto il Novecento"(era pubblicato da :duepunti Edizioni). La nostra intrepida americana invece si chiama Sylvia Beach e s'innamora subito del progetto di Joyce e lavora alacremente per pubblicare quello che nessuno mai oserebbe fare con un autore così. E' affascinata dal suo eterno spingersi oltre il linguaggio convenzionale per creare nuovi percorsi comunicazionali.

Parigi non è solo la culla delle arti in quel periodo ma anche di una nuova libertà: il vivere fuori dalle convezioni. Colette aveva divorziato, aveva pubblicato libri scritti in cui campeggiava il suo nome e si era data al teatro facendosi anche un amante giovane, Gertrude Stein viveva con Alice Toklas, compagna da una vita e Sylvia e Adrienne erano molto più che unite da una sola amicizia, eppure il fatto di fare lo stesso lavoro, di vedere alla vita e all'esplorazione dei nuovi mondi letterari come un'opportunità da perseguire, fu un'amplificazione dei sentimenti che le univano così profondamente. Fece sì che quella strada che, prima di giungere sulla Senna doveva passare accanto al teatro, diventasse essa stessa il teatro delle gesta che molti autori, scrittori, architetti, artisti e giornalisti fecero per rendere quella porzione di Novecento magico e che gli sopravvivessero parte delle correnti che diventeranno i pilastri della cultura contemporanea. 

In questo rutilante mondo sono ambientate le memorie di Sylvia e, se pensate al fatto che quello che vi ho presentato è solo la minima parte di quel che smuove l'ambiente parigino, e poi leggere il libro lo troverete un po' sottono. Le descrizione dei metodi alquanto alternativi di Joyce di approcciare alla scrittura e gli aneddoti su di lui e su Hemingway rendono l'idea di quanto fossero uomini e al contempo geni questi artisti. Ce li rende più vicini, ma sebbene abbia dedicato una vita all'Ulisse, della Parigi fuori dal negozio ce n'è davvero poca rispetto ai lasciti della compagna. E' questo il neo di questo libro, che comunque andrebbe letto per avere una conoscenza in "presa diretta" e non solo accademica di Joyce. Perché Joyce, a quanto ci dice Sylvia non è l'Ulisse, è il contrario. Ogni parola scritta è una parola che non era abbastanza per significare il pensiero di colui che scriveva. L'ansia di comunicare una storia al di là della semplice comunicazione sino ad allora conosciuta e utilizzata è la stessa di Picasso alla ricerca del segno grafico unico e schematizzato che racconti la stessa storia. Se, come diceva la Stein, Picasso produceva tanti quadri e si accompagnava con soli scrittori perché in fondo era lui stesso uno scrittore e i suoi quadri pagine di storie, Joyce è uno scrittore pittorico che ha necessità di cesellare il linguaggio per poter tirare fuori tra le mille sfumature del significato quello nuovo, nascosto fino ad oggi ai più.

In questo Sylvia è più che puntuale, quasi una biografa d'eccezione e con un gran talento nella ricostruzione di questo ritratto così particolareggiato da risultare completamente diverso da quelli che si leggono in giro. La scrittura è scorrevole e piacevole, gli eventi sono raccontati in maniera che si susseguano uno dietro l'altro e mantengano il livello di coinvolgimento del lettore sempre alto; non sai mai che ti aspetterà alla pagina successiva eppure lo spirito voyeristico, che sobilla la scrittrice e che non sapevi di avere, ti porta a continuare a leggere per vedere che succederà ancora. Un libro bello, tutto sommato, anche se con questo neo di una occasione in parte persa perché, giusto da questi resoconti, abbiamo l'opportunità di tornare in quegli anni e continuare a sbirciare fra le strade di una città come nasce un nuovo mondo, quello che oggi abitiamo ma che non possiamo, perdendo la memoria, imparare ad apprezzare fino in fondo.

p.s.: L'originale libreria Shakespeare&Company è quella di Sylvia e non l'attuale. Venne chiusa all'inizio della guerra e Sylvia andò a lavorare con Adrienne a la "Maison des amis des livres" che invece rimase aperta anche durante tutto il periodo bellico. L'attuale Shakespeare&Co, ex Mistral, prese questo nome alla morte della Beach in suo ricordo.

Buone letture,
Simona Scravaglieri


Shakespeare and Company
Sylvia Beach
Edizioni Sylvestre Bonnard, ed. 2004
Traduzione a cura di Elena Spagnol Vaccari
Collana "Il piacere di leggere"
Prezzo 26,00€



mercoledì 8 novembre 2017

[Dal libro che sto leggendo] La lotteria

Fonte: Today found out


E' difficile parlare del libro di oggi non perché sia complicato ma perché è semplicissimo. E' la trasposizione su carta di quanto possa essere perfettamente agghiacciante la semplicità della realtà. Non sono racconti lunghi, quelli della Jackson, di cui oggi vi faccio sbirciare la prima pagina. Sono però lucidi, cristallini e disarmanti.  La raccolta di oggi prende il nome dal primo racconto ma si potrebbe anche definire come la raccolta dell'orrore della normalità.

E la semplicità di cui sopra si riscontra in racconti, dalle tinte nere, che si svolge in piena luce del giorno. E' un gran talento quello che non deve dipendere dallo scenario per rimanere nel genere e farlo vivere ai suoi lettori. Lo è di più quando questo viene messo al servizio di un racconto e non di un romanzo. Perché il racconto ha regole diverse di gestione dei tempi, non sempre ascrivibili al fatto che siano brevi, ma che sono sempre riferite al fatto che, nel racconto, il ritmo è diverso e la situazione generale è già, per grandi linee, chiara a tutti sin dall'inizio. Serve quindi non poca maestria per nascondere o celare il punto della storia.

Un libro sicuramente da leggere e che, tra parentesi, si legge in un soffio che che è davvero davvero coinvolgente. Sotto i dettagli del libro.
Buona sbirciata e buone letture,
Simona Scravaglieri


LA LOTTERIA 
La mattina del 27 giugno era limpida e assolata, con un bel caldo da piena estate; i fiori sbocciavano a profusione e l'erba era di un verde smagliante. La gente del paese cominciò a radunarsi in piazza, tra l'ufficio postale e la banca, verso le dieci. In certe città, dato il gran numero di abitanti, la lotteria durava due giorni, e bisognava iniziarla il 26 giugno; ma in questo paese, di sole trecento anime all'incirca, bastavano meno di due ore, sicché si poteva cominciare alle dieci del mattino e finire perché i paesani fossero a casa per il pranzo di mezzogiorno.

I primi ad arrivare furono naturalmente i bambini. La scuola era terminata da poco per le vacanze estive, e il senso di libertà dava ai più un certo disagio; tendevano a riunirsi pian piano in crocchi per qualche momento prima di sfrenarsi nel gioco, e parlavano ancora della classe e del maestro, di libri e reprimende. Bobby Martin si era già riempito le tasche [...]

Questa pagina è tratta da:

La lotteria
Shirley Jackson
Edizioni Adelphi, Ed. 2007
Traduzione a cura di Franco Salvadorelli
Collana "Piccola biblioteca Adelphi"
Prezzo 8,00€ 

mercoledì 18 ottobre 2017

[Dal libro che sto leggendo] Non disturbare

Claudio Marinaccio
dal profilo FaceBook dell'autore


E ripartiamo questa settimana dall'ultima recensione della scorsa, sbirciando nel libro di Claudio Marinaccio "Non disturbare". Il bello di questo libro è che, non essendo un romanzo, ma una raccolta di dialoghi e racconti si può leggere anche un po' per volta mentre il problema è che, come inizi a leggerlo, è talmente divertente che non lo metti più giù fino all'ultima pagina. Come detto è un modo diverso con il quale guardare a tutto ciò che ci da fastidio abitualmente: i call center, i venditori porta a porta, i testimoni di Geova, i tuttologi e chi più ne metta. Possiamo scegliere di subirli o seguire l'esempio di Claudio che, a quanto pare, coglie l'opportunità per ridicolizzare, con lo stile e il semplice buon uso dell'italiano, tecniche di marketing che sono diventate obsolete e controproducenti e che però in Italia vengono ancora utilizzate largamente nella speranza che il malcapitato abbocchi.

Si legge bene questo libro, in parte perché, Marinaccio, ha dalla sua l'esercizio continuo nello scrivere pezzi per riviste online e cartacee -e quindi ha quella naturale propensione dei giornalisti a individuare e perseguire il punto di quello che si racconta in poco spazio- e per il resto perché riesce a tenere un ritmo incalzante, a sottolineare lo scambio di battute, e a rallentarlo ove occorre, per evidenziare immagini particolari.
Come titolava il libro di Sini premiato allo strega qualche anno fa "Resistere non serve a nulla", a buon intenditore poche parole!

Buone letture!
Simona Scravaglieri



7. 

-Che bello! Oggi è il PPP day!-PPP day?-Il giorno di Pier Paolo Pasolini.-Ti piace Pasolini?-Sì, da morire. Cito sempre le sue frasi.-Che cosa hai letto di suo?-Be' qualche frase e qualche poesia...-Quale?-Non ricordo il titolo.-E poi?-Be', ho letto tanto sulla sua vita.-Cosa sai della sua vita?-Che era comunista e gay e anche che gli piaceva giocare a calcio.-Almeno qualche suo film l'hai visto?-Sì sì, quello che si mangiano la merda.-Intendi Salò o le 120 giornate di Sodoma?-Esatto! Anche se non l'ho visto tutto perché era un po' forte.-Mi fai un favore?-Certo, dimmi!-Fai il pieno alla tua macchina, poi guida fino a che non finisce la benzina in direzione Friuli. A quel punto scendi dall'auto e corri finché non hai più energie verso il comune di Casarsa.-E poi?-Poi entri dentro il cimitero e vai a chiedere perdono direttamente a Pasolini. Sulla sua tomba.-Ma...-E non è finita, uscito da lì corri verso la prima libreria e compri un suo libro e te lo leggi per intero.-Ma io...-Tu fottiti. Punto!

Questo pezzo è tratto da:


Non disturbare
Claudio Marinaccio
Miraggi Edizioni, Ed. 2017
Collana "Golem"
Prezzo 12,00€

venerdì 13 ottobre 2017

"Non Disturbare", Claudio Marinaccio - Due risate d'autore...

Fonte: Pinterest


In queste ultime settimane vi ho parlato un po' di tutto: gialli, romanzi, thriller, saggi sulla vita di grandi personaggi e via dicendo. Ieri mi domandavo cosa mancasse e poi mi è venuto in mente che io, ultimamente, ho letto anche alcuni libri divertenti. L'aspetto bello di leggere un libro divertente è non solo che ridi dall'inizio alla fine ma che anche, se ben scritto, rimani con quella bella sensazione di aver avuto e di essertela pure goduta. Questa è la storia di un autore capellone e figo, che gira in moto e che si inginocchia solo davanti ad un re, suo figlio. E' la storia di casa Marinaccio dove arrivano telefonate dei call center che ti vogliono vendere la qualunque e di un citofono gettonatissimo da venditori di robe varie e compratori di anime per la propria congrega. E' la storia di come affrontare diversamente la pesantezza della vita moderna anche se guardandola questa vita, a volte, pare di scorgere anche il passato da cui viene. Questa è la storia che raccoglie post pubblicati per divertimento che poi sono diventati un libro spassosissimo che fa piacere anche rileggere.

Cosa c'è in questo libro insomma? Non una storia unica ma una serie di dialoghi surreali intervallati da dei piccoli racconti che sono dei castoni estremamente affascinati. Immaginate che in una casa vi siano due coniugi, nell'altra stanza sentite il loro figlio mentre mugugna concentrato sul gioco che sta facendo. Squilla il telefono di casa e lei sospira quando vede il marito partire di gran carriera per andare a rispondere. Lui alza la cornetta e si pregusta tutti i possibili modi per poter ingarbugliare la precisa scaletta che ogni operatore deve per forza seguire per poter costringere il malcapitato ad acquistare quello che sta vendendo. Ecco, questo è quello che immagino avvenga giornalmente in casa Marinaccio. Il resto come i dialoghi, la perplessità del povero operatore incappato in questa situazione surreale o il testimone di Geova che ha citofonato al campanello -che si sa essere l'antro della prova più ardua della sua vita-, è tutto scritto da Claudio e, sebbene sia fatto di botta e risposta velocissimi e che non danno scampo, il tutto è davvero divertente.

Ecco se non siete pronti ad accettare che si possa comprare un buon libro possa anche suscitare ilarità avete un concetto ben strano della letteratura. Se c'è una cosa che ricordo come la prima volta che l'ho letto, è le risate che mi sono fatta quando leggevo dell'annosa lotta per smettere di fumare ne "La coscienza di Zeno" e come mi sono stupita che un "classico" potesse esser così divertente, non tutto d'accordo, ma quel pezzo era davvero spettacolare. E Claudio ce lo dimostra con quelle piccole ma sentite piccole foto di situazioni, che ci racconta a puntino, in piccoli capitoli che intervallano i dialoghi. Non è solo un interrompere il ritmo dell'ironia, ma è un vero e proprio momento di relax fra lettore e scrittore  a dimostrazione che la realtà ci riserva più di quel che ti aspetti e che suscita emozioni solo se la si sa raccontare senza orpelli di sorta. Così la coppia anziana che mangia al ristornate, il saccente del bar e via dicendo, tradiscono il senso del mondo che passa e ci permettono di guardare in faccia un'altra epoca e un altro modo di pensare. Non è che non si evolva, ma solo che, ad una certa età, non si è più flessibili come una volta - sia fisicamente che intellettualmente - e certe volte l'adattamento richiede più volontà e tempo del previsto.

A questo fa da contraltare la considerazione che il marketing stia impoverendo il mondo della vendita e l'uomo in generale. La normalizzazione dell'uomo e l'incasellamento in tipologie di utenza fanno sì che l'operatore non possa inizialmente e non voglia successivamente andare oltre la strada che gli viene imposta. Diventa difficile capire che chi stai chiamando è una persona e che devi interagire con lei per arrivare al nocciolo duro e poter vendere. Così quando l'operatore che immagina e rappresenta nitidamente Marinaccio arriva a chiamare proprio lui la contrapposizione fra marketing e uomo diventa come quella fra ordine limitante e caos creativo. Inutile che vi dica chi vince. Dei dialoghi qui riportati solo alcuni sono usciti su FaceBook e hanno avuto un gran successo e io non nascondo che, contrariamente alla mie abitudini, ogni tanto vado sulla bacheca di Claudio a vedere se ne ha pubblicato un altro.
La scrittura è fresca, ritmata e divertente. Non è eccessiva, l'alternaza fra dialoghi ironici e i piccoli castoni è ben dosata. Ben scritto, nessuna parola più del necessario serve né per la battuta e tanto meno per i momenti un po' più seri. Nella speranza di non ritrovarmelo davanti a qualche cantiere, ne sarebbe capace, a commentare con i nonnetti lo stato dei lavori, io vi consiglio di darci uno sguardo a questo libro, di certo non lo rimetterete giù. Ricordate che una risata non ha mai fatto male a nessuno.

Buone letture,
Simona Scravaglieri 


Non disturbare
Claudio Marinaccio
Miraggi Edizioni, Ed. 2017
Collana "Golem"
Prezzo 12,00€



giovedì 12 ottobre 2017

"Lizzie", Shirley Jackson - Il tradimento de "La lotteria"...

Eleanor Parker in "Lizzie"
Fonte: Eleanor Parker Blog

E mi piange davvero il cuore a scrivere questa recensione probabilmente perchè, a mia memoria, mai un libro Adelphi mi aveva lasciata più sconcertata e in più perché io, su Shirley Jackson, riponevo un sacco di speranze dopo aver letto "La lotteria" una piccola, ma davvero stupenda, raccolta di racconti. Il problema del libro di oggi è quello che sembra che l'idea geniale sia sfumata ancora prima di arrivare a metà libro. La storia, che avrebbe potuto percorrere strani e tortuosi anfratti della psiche umana contando sulla malattia di un unico personaggio, si sgretola pian piano perdendo tutto il suo smalto risolvendosi in un, per nulla atteso, finale che suona un po' farlocco. Non c'è soddisfazione nell'aver percorso tutto questo viaggio con la nostra Elisabeth e le sue altre proiezioni, perché nessuno dei possibili inferni  paradisi prospettati si rivela un'evoluzione della giovane ma si fa solo notare per poi sfumare in attesa del successivo. 

Elisabeth è la protagonista di questa storia che sembra essere stata scritta immaginandola come tradotta per essere messa in scena. Con lei un medico, riconosciuto psichiatra di valore, e la zia di lei, altera e bisbetica ed egocentrica zitella, sorella della madre di Lizzie. Immaginate un sipario che si apre su una scena di un ufficio di un museo e una giovane ragazza vestita, almeno nel mio personale immaginario, come le sue coetanee degli anni '40. Appoggia la borsetta sul tavolo, si siede alla scrivania e sbircia il tavolo che ha lasciato prima di uscire a pranzo. C'è un foglio con qualcosa scritto sopra, con la mano lo prende per leggerlo con più comodità nel mentre si siede. E' una serie di minacce e, la nostra, non mostra alcun segno di paura ma si domanda chi sia stato a lasciarla lì incompiuta. La riguarda, piega il foglio e lo infila in borsetta; lo porterà a casa e lo chiuderà nella cappelliera dove custodisce, da occhi indiscreti, tutto ciò che ritiene personale e privato. Elisabeth non parla, è schiva e riservatissima, talmente tanto che in ufficio nemmeno notano se ci sia oppure no. Ha perso la madre da giovane e erediterà i soldi lasciati dal padre solo alla sua maggiore età, vive con la zia che ha il compito di amministrare con estrema parsimonia e profitto il suo lascito. Poi un giorno scatta una parola fuori posto, dopo qualche tempo un'intera serata di ingiurie, di cui Elisabeth non ricorda assolutamente nulla. Tutti questi fatti strani per una giovane così educata  convincono la zia che, la nipote, si debba far vedere da un medico visto che oltretutto lamenta dolori vari. E' così che Elisabeth conoscerà il suo psichiatra e che, il dottor Wright, conoscerà tutte le sfaccettature della giovane.

E' in pratica un'evoluzione de "Lo strano caso del Dottor Jekyll e Mr Hyde" questa storia, lì c'era una trasformazione dello stesso protagonista grazie ad una pozione e qui avviene grazie alle sedute ipnotiche. Solo che non sono solo tre Elisabeth quelle che si presentano a Wright ma quattro. Hanno tutte un elemento distintivo: la schiva, la dolce, la birichina e la sboccata. Ecco, per quanto mi riguarda il "thriller" si ferma qui, quando le quattro capiscono che una deve surclassare le altre per continuare ad esistere e il "nero" si era già fermato alla prima descrizione dell'austera carta da parati della casa della zia di Lizzie. Quando finalmente tutte le personalità si manifestano, il tutto diventa più confuso perché le varie voci non sono così riconoscibili e quindi in più punti tocca rivedere tutto il dialogo che si sta leggendo per capire chi sta parlando. In più, mano a mano che la storia va avanti rallenta il ritmo fino a diventare quasi statica in alcuni momenti descrittivi che nulla aggiungono, anzi ammazzano, l'attenzione del lettore. E' in quei momenti che, conoscendo altro dell'autrice, sembra quasi che si sia persa anche lei. Le situazioni stagnano e non vanno avanti e persino una fuga si risolve in un nulla di fatto. Non coglie alcuna occasione di quelle che si creano e quindi la tensione andando avanti scema e diventa difficile proseguire con la lettura.

Ed è un peccato perché l'idea di partenza era davvero accattivante e anche i personaggi sembravano adatti a quello che doveva essere un thriller in continuo crescendo che, nella realtà invece, si risolve in poche azioni e in lunghe descrizioni che non portano ad ulteriori sviluppi. Potremmo dire che questa incostanza nel ritmo è una metafora degli stadi di cura? No, affatto, persino lo psichiatra ad un certo punto perde di credibilità, l'unica che rimane perfettamente nitida e coerente è la zia, sebbene ogni tanto le si metta in bocca discorsi senza senso perché non sono premonizioni di cose che in realtà avverranno. 
Nulla è rimasto della raccolta di racconti che avevo letto tempo fa, non c'è genialità, creatività o capacità di far sentire il gelo dell'ansia anche in una giornata di sole. La penna della Jackson invece diventa noiosa e tortuosa, quasi persa in un mare di strade che non vuole percorrere e decide di rimanere ai margini annichilendo ogni possibilità di rendere tangibili le emozioni dei suoi personaggi.
E' per questo che rimane persistente questa sensazione che sia stato scritto non per leggerlo ma solo per metterlo in scena.

E' un peccato dire che non mi è piaciuto, ma purtroppo è successo. Non è un thriller, non ha nemmeno un'anima nera, ha solo una pesantezza di narrazione e di descrizioni evidentemente non generata come effetto voluto ma che sembra sinonimo di una storia sfumata già prima di finire di scriverla. Così le profondità delle situazioni si annullano diventando immagini bidimensionali e statiche, la storia perde di coerenza e il finale sembra un po' farlocco. Leggerò altro della Jackson, ma questo non entrerà fra i suoi lavori, a mio avviso, fra i più riusciti. Peccato, sarà per la prossima volta.  

Buone letture,
Simona Scravaglieri

Lizzie
Shirley Jackson
Adelphi, Ed.  2014
Traduzione a cura di L. Noulian
Collana "Fabula"
Prezzo 20,00€


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mercoledì 4 ottobre 2017

[Dal libro che sto leggendo] Le sorelle misericordia

Marco Ciriello
Fonte: L'indice dei libri

De "Le sorelle misericordia" ve ne ho parlato venerdì e, a parte la mia necessità di rimettere in pari, quello che ho letto con le recensioni e finalmente destinare il recensito alla libreria o all'oblio di un mercatino, ho scelto volutamente di far uscire l'estratto proprio dopo la recensione. Chiaramente questo non è un libro a oblio, ma da tenere in bella vista in libreria, perché ha talmente tanti aspetti diversi da guardare ed è così veloce e scorrevole da leggere che è quasi un obbligo rileggerlo ogni tanto per vedere "che effetto fa". Sarete d'accordo con la sorella religiosa o con quella atea? Oppure sceglierete di comprendere la posizioni di chi sa già che morirà oppure sceglierete di schierarvi con chi lotta fino all'ultimo? Poi c'è la "divina provvidenza" un po' manzoniana, quella che agisce per smontare ciò che è certo, dando un taglio netto a tutti i fili della storia, che crea effetti decisamente contrastanti, lasciando lettori e protagonisti in sospeso con il fiato.

Fa un po' eretico per me pronunciare Manzoni in una recensione o introduzione ad un romanzo campano. Perché con il tempo, e i libri, ho imparato a leggere e apprezzare la narrativa e la saggistica campana e ne ho scoperto le profonde radici che arrivano ad attaccarsi a secoli di folklore e cultura antecedenti e che sono capaci ancora oggi di stupire i lettori. E sono sempre stata convinta che la letteratura lombarda, che tanto ha dato a quella italiana, abbia surclassato, non sempre a ragione, quella campana in favore della facilità della leggibilità dei testi. Invece è proprio dalla narrativa contemporanea campana viene un'immensa quantità di proposte che rientrano nei generi più letti o che li mischiano ma che creano un ventaglio di storie, racconti e saggi che nulla hanno da invidiare alla proposta contemporanea di altre regioni. Anzi, molto spesso la qualità è così elevata da essere un delitto ignorare questi libri. 

Questo è uno dei casi in cui un racconto lungo diventa come un tomo di quelli in voga oggi, dimostrando che l'immensità delle sfumature umane nelle relazioni con se stessi e con gli altri non necessitano di fronzoli, ma di verità. E per la verità, se lo sai fare, non servono poi tante parole. Bellissimo libro.
Buone letture,
Simona Scravaglieri 

Uno 

La donna che stiamo osservando mentre scopre l'irreversibilità della sua vita per diversi anni è stata il tennis italiano, quarta nella classifica WTA, con un titolo del Grande Slam vinto. Laura Cammarata aveva talento, stile e intelligenza tennistica. Poi c'ha rinunciato, per un balzo d'amore, e religiosità. Non l'ha detto a nessuno, e qui per la prima volta diremo - lasciando comunque all'oscuro gli altri protagonisti di questa storia -, ma quando era uscita inspiegabilmente dalla Road Laver Arena e di fatto dall'Australian Open, interrompendo il match contro Serena Williams che stava vincendo, lo aveva fatto per l'improvvisa apparizione della madre di Cristo, sì, aveva visto la Madonna, dietro la sua avversaria. A lei era sembrato segno evidente, che la invitava a smettere e a cercare una strada diversa. Nemmeno per un attimo aveva provato a pensare che forse quella visione era figlia dell'eccesso di sforzo o concentrazione, che forse era solo un retaggio della sua pur rispettabile ed enorme religiosità. Aveva chiuso e riaperto gli occhi, due volte, guardato meglio e rimesso la pallina in tasca, alzato un braccio, chiamato l'arbitro, si era avvicinata alla rete con più determinazione di Jhon McEnroe, chiesto scusa alla sua avversaria, e via di seguito a tutti quelli che provavano a fermarla, ripetendo sempre le stesse due parole: Non posso, Non posso, Non posso; e poi aveva infilato il tunnel che portava agli spogliatoi fra lo sconcerto generale, recitando averpatergloria a bassa voce. E quando si era voltata, nel casino del campo, la Madonna non c'era più. C'era il suo allenatore che sembrava Tony Soprano quando scopre che uno dei suoi è una spia dei federali. In quasi tutte le tivù del mondo i telecronisti si interrogavano tirando in ballo tensione e depressioni, anche notizie di gossip sulla castità della Cammarata e sulle sue preghiere prima delle gare, roba che Kakà appariva un chierichetto in confronto, frase scritta un mucchio di volte. Lei invece, c'aveva giocato con la pubblicità che la ritraeva come «Angelo dei nostri tempi». Altri giorni.

Questo pezzo è tratto da: 

Le sorelle misericordia
Marco Ciriello
Edizioni Spartaco, Ed. 2017
Collana "Dissensi"
Prezzo 8,00€   
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