mercoledì 29 febbraio 2012

[Dal libro che sto leggendo] Bravi bambini

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E' il secondo dei tre libri (tradotti in italiano e disponibili sul mercato) di Tom Perrotta che l'anno scorso mi è capitato fra le mani e che ho divorato. Ho scelto di mettervi l'inizio perché in Perrotta è l'anticipo del tema dominante del libro anche se non è mai così evidente al lettore. In questo caso, si parla di insofferenze, ovvero quello status di quando si sa che non si sta bene ma non si ha il coraggio di fare quel che dovremmo, per cambiare la situazione. La storia è ben congegnata e il resto dei miei commenti in merito li troverete prossimamente nella recensione.
Buone letture,
Simona 


Mamma cattiva 
Le giovani madri stavano parlando della loro stanchezza. Era uno degli argomenti che preferivano, insieme alla abitudini alimentari, di sonno e di defecazione dei loro pargoletti, ai pregi di certi asili nido locali, e alla difficoltà di fare esercizio fisico con regolarità. Sorridendo cortesemente per mascherare un familiare senso di disperazione, Sarah ricordò a se stessa di dover ragionare da antropologa. "Sono una ricercatrice che studia il comportamento di noiose donne delle zone suburbane. Non sono una di loro".
"L'altra sera Jerry e io abbiamo cominciato a guardare quel film con Jim Carrey, avete presente?"
Quella era Cheryl, madre di Christian, un robusto bambino di tre anni e mezzo che si aggirava per il parco giochi con l'arroganza di un campomafia, sparando ai bambini più piccoli con qualsiasi oggetto potesse plausibilmente fungere da pistola: una cannuccia, una banana mangiata a metà, persino una Barbie abbandonata nella sabbionaia. Sarah detestava quel bambino e le riusciva difficile guardare negli occhi la madre.
"Ace Ventura?" domandò Mary Ann, madre di Troy e Isabelle. "Non capisco proprio. Da quando in qua i peti fanno ridere?"
"Solo da quando è cominciata la vita umana sulla Terra" pensò Sarah, rimpiangendo di non avere il coraggio di dirlo ad alta voce. Mary Ann era una super mamma deprimente, una donna minuta e truccata in modo elaborato che portava vestiti da ginnastica in spandex, guidava un fuoristrada grande come un furgone dell'UPS e ascoltava canali radio di destra tutto il giorno. Nonostante i numerosi commenti buttati là da Sarah a dimostrazione del contrario, Mary Ann si rifiutava di credere che una madre potesse non condividere il suo entusiasmo per Rush Limbaugh o il suo disprezzo per Hillary Clinton. Ogni giorno Sarah andava ala parco giochi determinata a mettere le cose in chiaro e ogni giorno batteva in ritirata.
"Non Ace Ventura" disse Cheryl. "Quello con il poliziotto dalla doppia personalità"
"Io, Me & Irene" pensò Sarah impaziente. Dei fratelli Farrelly. Perchè le altre madri non si ricordavano mai un titolo, neppure di film che avevano visto, mentre lei registrava informazioni inutili su film che non si sarebbe mai sognata di guardare neppure se l'avessero tenuta prigioniera in aereo? Non che le capitasse mai di viaggiare in aereo.


Bravi bambini
Tom Perrotta
Rizzoli editore, ed 2004
Collana "Biblioteca Universale Rizzoli"
Prezzo 9,20€

domenica 26 febbraio 2012

Lidia Ravera - Bagna i fiori e aspettami

Questo video mi è arrivato via e-mail in una segnalazione e mi è piaciuto talmente tanto da volervelo segnalare perché, a mio avviso, è veramente particolare. Partendo dalla Alcott che ha dato una prima "categorizzazione del femminino" arriva a definire quel che secondo lei è il ruolo dello scrittore verso il suo lavoro e definisce un "muro di cazzate" e contestualmente "divertentissimo" questo suo ultimo libro. Potremmo resistere e non comprarlo? Non credo...ogni tanto un libro onesto, di una scrittrice che si rivolge con onestà e difficilmente si potrà evitare. Mi inchino a questa donna, Lidia Ravera, con un approccio tanto particolare...
Buona domenica e buone letture,
Simona



Il libro di cui si parla è:
Bagna i fiori e aspettami
Lidia Ravera
et al. Editore, ed. 2012
Collana "Narrativa"
Prezzo 14,00€

venerdì 24 febbraio 2012

"Igiene dell'assassino", Amélie Nothomb - Il paradosso della recensione...

La foto non è stata presa da nessuno, è mia! Ma, senza didascalia, non ci posso stare!

Ci sono due modi di raccontare la realtà: prendendola di petto oppure ironizzando su essa, magari con la complicità di una controfigura. Così, allo stesso tempo, ci sono due modi di leggere questo libro: prendendolo solo per la sua trama o andando oltre le sue parole. Ci sono stati migliaia di scrittori che hanno usato l'immaginario per parlare del proprio presente come Dante che sogna la sua Commedia 6 anni dopo di quando è ambientata dividendo tra condannati, postulanti e salvati i vivi e i morti del suo tempo, ma anche per contestare gli atteggiamenti della chiesa troppo attenta al potere temporale e non a quello spirituale. C'è anche Thomas More, cancelliere di Enrico VIII, che, poco prima della riforma luterana, nel 1516 immagina in "Utopia" un'isola che contenga i mali del suo tempo e ne propone possibili rimedi. La Austen che prende posizione riguardo le "donne civettuole" e un mondo preconfezionato almeno 50 anni prima del suo tempo. E infine, dopo tanti altri che magari nemmeno conosco, c'e' Amélie Nothomb che sul finire degli anni '90 scrive, in "Igiene dell'assassino", una frase come quella che vi ho riportato in foto e tante altre che, se prese seriamente, fanno pensare che il suo scritto, come quelle che ho citato (e non solo loro), racconti una storia ma al contempo critichi il suo tempo, un mondo definito (quello letterario) non risparmiando nessuno, nemmeno i lettori.

La storia è molto carina anche se il finale è un tantinello arzigogolato da sembrare una via d'uscita troppo semplice. In sostanza un grande scrittore Tach, che per i suoi lavori ha vinto anche il Nobel della Letteratura, scopre di essere malato di cancro e di avere pochi mesi di vita. Tach è sempre stato schivo, ha sempre evitato eventi, interviste o convention, anzi non è nemmeno andato a ritirare il Nobel, quindi il mondo rischia di perdere la sua importante testimonianza diretta sul suo lavoro, ergo il suo segretario, seleziona un numero di giornalisti che avrà il compito di intervistarlo. Peccato che, i giornalisti in questione, non sappiano di trovarsi davanti ad un vero osso duro! Tach infatti, in dialoghi serrati con coloro che, mano a mano, gli si avvicendano davanti, non solo è ostile, ma dimostra un'acuta sapienza nel, come si dice in gergo, "rigirare la frittata":

Giornalista - Ma insomma, quella scena intollerabilmente cattiva con la sordomuta, si sente che lei sta godendo.
Tach - Certo. Lei non immagina il piacere che si prova a portare l'acqua al mulino dei propri detrattori.
-Ah! Allora non si tratta di gentilezza, signor Tach, è un oscuro miscuglio di masochismo e paranoia.
-Oh oh! La smetta di usare parole di cui ignora il significato. Pura bontà, giovanotto! Secondo lei, quali libri sono stati scritti per pura bontà? La capanna dello zio Tom? I Miserabili? Certo che no. Libri del genere si scrivono per essere ben accolti nei salotti. No, mi creda, i libri scritti per pura bontà sono rarissimi. Sono opere che si creano in abiezione e in solitudine, ben sapendo che dopo averle scagliate in faccia al mondo, si sarà ancora più soli e più abietti. E' normale, la principale caratteristica della gentilezza disinteressata è di essere irriconoscibile, inconoscibile, invisibile, insospettabile, perché beneficiario che dica il suo nome non è mai disinteressato. Vede che sono buono?
- C'e' un paradosso in quanto ha appena detto. Lei mi dice che la vera gentilezza si nasconde, e poi proclama a gran voce di essere buono.
- Posso permettermelo, tanto nessuno mi crederà mai.

Quindi, se lo si vuole leggere solo per la trama ci si troverà, appunto, di fronte ad un serratissimo e sagacissimo dialogo che porterà in velocità il lettore fino alla conclusione della vicenda che, però, rappresenta una cesura debole rispetto alla tensione costante precedente. Se invece si va a fondo ai dialoghi, si troveranno affermazioni che parlano di letterati ed edotti che premiano i libri quasi senza leggerli, di giornalisti che addirittura parlano di libri senza saperne nemmeno un rigo, di scrittori che hanno bisogno dell'auto-celebrazione per sentirsi tali e via dicendo. Vi ricorda qualcosa? Magari quelle recensioni tutte uguali che si vedono sui giornali e riviste specialistiche che inneggiano spesso al "capolavoro del secolo" anche se si tratta di mera accozzaglia di parole nemmeno ben editata? Oppure a quegli scrittori che ritengono i propri lettori incapaci di interpretarli e si presentano con il naso all'insù per portare il verbo in mezzo agli eretici?

Quello che oggi vien da pensare leggendo questo libro è che la malattia degli anni duemila ha radici ben lontane e sono sul finire degli anni '90. E' da lì che abbiamo smesso di "selezionare" quel che leggiamo in deroga a quello che dice qualcuno che è reputato "giusto che dice le cose giuste". E quel che leggiamo lo giudichiamo bello o brutto senza chiederci i motivi, proprio perché non leggiamo in funzione di quello che lo scrittore ci comunica ma in funzione di quello che qualcun altro dice che ne sia la "chiave di lettura". E così sveliamo il grosso gioco del mondo delle parole, così semplici eppure così facili, ad occhio ingenuo, da interpretare e anche quello della lettura, è la prima cosa che ci insegnano a scuola perché ci aiuterà ad essere parte del mondo eppure, alloro stesso tempo, la lettura rimane un momento privato, solitario nonché un "esercizio" di pochi. E se in questo esercizio mettiamo  da parte il nostro "io" a favore di quel che ci viene propinato da chi si pensa ne sappia più di noi, della nostra lettura che rimane? Assolutamente nulla. Si legge non solo con gli occhi ma anche con la propria esperienza e quel che per qualcuno indica qualcosa per altri potrebbe sottintenderne un'altra. La lettura è un momento privato con l'autore, lui si impegna a raccontare e noi poniamo di fronte il nostro giudizio. Se non svisceriamo,se non andiamo oltre e se non siamo completamente sinceri e attenti con il mondo delle parole Tach potrebbe continuare a sollazzarsi vedendo sviscerati i propri racconti in mille declinazioni possibili fatti da gente che non va oltre una biografia scritta, ammesso sempre che la legga. Potrà continuare a dire anche cose così:
Giornalista - In fondo , quel Nobel non smentisce la sua teoria? Non presuppone che almeno la giuria l'abbia letta?

Tach - Nulla di meno sicuro. Ma mi creda: anche nel caso che i giurati mi abbiano letto, questo non cambia nulla alla mia teoria. C'è gente così sofisticata da leggere senza leggere. Come uomini-rana, attraversano i libri senza prendere una goccia d'acqua.

- Sì, ne ha parlato in un intervista precedente

- Sono i lettori-rana. Costituiscono la stragrande maggioranza dei lettori umani, e tuttavia ne ho scoperto l'esistenza molto tardi. Sono così ingenuo. pensavo che tutti leggessero come me; io leggo, come mangio: questo non significa solo che ne ho bisogno. significa soprattutto che entra nelle mie componenti e che le modifica. Non si è gli stessi che si mangi sanguinaccio o caviale; allo stesso modo non si è gli stessi se si è appena letto Kant (Dio ce ne scampi) o Queneau. In realtà, quando dico "si" dovrei dire "io e qualche altro", in uno stato identico, senza aver perduto una briciola di in più. Hanno letto, ecco tutto: nel migliore dei casi, sanno di "cosa parla". Non pensi che esagero. Quante volte ho domandato a persone intelligenti: "Questo libro vi ha cambiato?" E mi hanno guardato, gli occhi sgranati, con l'aria di dire: "Perché avrebbe dovuto cambiarmi?"
E' ironico che, questo libercolo, riesca a restituire una "morale" del valore della lettura e degli scritti, condannando un'epoca e rimanendo valido anche nella successiva. E' altresì interessante trovare condanne così nette messe in bocca ad un personaggio di fantasia ma che è un letterato stesso "immerso nel proprio tempo" che rifiuta qualsiasi categorizzazione, cosa a cui invece molti ambiscono. E, ad un certo punto, forse per non ritrovarsi scoperta  nella propria condanna Amélie, o anche proprio lo stesso Tach, in un momento di bontà acuto, per proteggere la penna che lo sta creando rispondendo al giornalista che lo interroga sulla "somiglianza con un personaggio da lui creato" risponde nettamente che essi vadano letti e non interpretati perché, in fondo, non si rispecchia affatto nelle sue creazioni e sviscerarle così è sinonimo di imperizia. E' quasi un grosso cartello stradale che sottintende al lettore stesso che la trama è solo quella di superficie una specie di "Ogni riferimento a fatti o persone conosciute è puramente casuale" che diventa "ogni riferimento a fatti di attualità del mondo letterario è puramente casuale e asservito alla fantasia della storia".


E la cosa divertente sta nel fatto che se ne parlassi, come Tach vorrebbe essere letto, questo libro avrebbe preso, su una scala da uno a cinque, un bel 3. Se invece vado oltre e considero che una scrittrice al suo esordio sia riuscita in una realtà fantastica a fissare un momento e un ambito così particolare della società come quello letterario, che è sempre intoccabile perché parato dal grande scudo di appartenenza ad un mondo che "fa cultura", allora il mio giudizio prevarica la fine fiacca e va oltre una soluzione conclusiva un po' forzata per assegnargli un bel 5.


Ma in fondo questa recensione è un paradosso per legge di Tach, se così mi è possibile definirla, della non interpretazione dello scritto. Ma confido nell'altra affermazione che sostiene che "leggere ti cambia" per dire che il mio giudizio è frutto di una presa di coscienza che viene fuori appunto da un cambiamento. Cambiamento che non è un assoluto reale a questo punto, paradossalmente, perché istigato da una storia fantastica che dichiara di voler rimanere ed essere considerata come tale.

Un libro che fa riflettere che potrebbe essere pensato al paritetico, in campo letterario, di quello che "La fattoria degli animali" o "1984" sono nella critica politica (ancora racconti della realtà che si mascherano dietro un mondo di fantasia), solo che Amélie è stata più brava, è riuscita comunque a evitare una possibile censura e a diventare un riferimento della narrativa di genere. 


Igiene dell'assassino
Amélie Nothomb
Voland edizioni, ed 1997
Collana "Amazzoni"
Prezzo 13,00€



mercoledì 22 febbraio 2012

[Dal libro che sto leggendo] Se fossi fuoco, arderei Firenze



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Di questo libro ho scelto di mettervi solo l'inizio, il perché mi sembra abbastanza evidente dalla recensione che trovate qui. Ti conquista dal Duomo e le basiliche che beccheggiano nel mare della città e continua a tenerti stretto a sé fino alla fine. In sostanza è un lavoro da leggere perché dimostra che, come diceva Carver, "[...] uno scrittore che ha una maniera particolare di guardare le cose e riesce a dare espressione artistica a quella sua maniera di guardare, quello sì che è uno scrittore che durerà per un pezzo". Vanni Santoni in questo è perfettamente riuscito.
E un altro libro, cercherà finalmente il suo posto definitivo nella mia libreria.
Buone letture,
Simona


Guardalo, sta venendo a Firenze. Ha con sé i bagagli, viene per restare. Non ha vent'anni: uno studente, con ogni probabilità. Arriva in automobile, al casello sbaglia e infila l'uscita del Telepass, allora bestemmia, mette la retromarcia, comincia a fare manovra ma un altro gli si piazza in coda, lui sbuffa, quello sfarfalla, allora si volta, allarga le braccia, quello pure sbuffa, ma capisce e a sua volta arretra. Si riporta nella corsia giusta, se la prende con il traffico, si ficca in bocca una sigaretta e accende la radio. Prima di trovare una stazione che gli piaccia è già oltre, si è imbucato nel traffico cittadino, segue i cartelli a caso, "Stadio" "Parterre"(Parterre?), "Viali - Circonvallazione", finalmente scorge uno di quelli che indicano il centro, crede di seguirlo ma in realtà sta percorrendo in tondo i Viali, ne incontra e ne segue altri ma nessuno lo porta più in centro di quanto già non sia, prova a orientarsi con la lanterna di Palazzo Vecchio che spunta a vlte dai tetti, ora con le porte, massicce strutture di pietraforte orfane delle mura, che incontra ora in mezzo a uno svincolo, ora in mezzo a una piazza, ma si assomigliano tra loro e non riesce a raccapezzarsi, né riesce a sfondare, come se la cerchia esistesse e lo respingesse. Si trova a piazzale Michelangelo inevitabile se ti lasci guidare dai Viali. Nota il David, realizza di essere in quel posto là famoso, da cui si vede Firenze dall'alto, e scende.Si accende una sigaretta, fa qualche passo verso il muretto sotto al quale si apre la città, il Duomo e le basiliche come navi beccheggianti in un mare occiduo di tegole, e Freze gli appare non ferma, impegnata in un lunghissimo ralenti, come se stesse faticosamente scorrendo via. O come se fosse già altrove, e lì sotto di sé vedesse non già più la città ma soltanto il suo riverbero. Non c'è molta gente intorno a lui, è solo di fronte alla balaustra, i turisti si trattengono più indietro a scattare fotografie, finchè non vede spuntare da sotto una ragazza. [...]


Il libro da cui è tratto è:
Se fossi fuoco, arderei Firenze
Vanni Santoni
Laterza Editore, ed 2011
Collana "Contromano"
Prezzo 10,00€
  

domenica 19 febbraio 2012

L'ha detto... Henry David Thoreau


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Dovremmo essere prima uomini, e poi cittadini.

Henry David Thoreau


venerdì 17 febbraio 2012

"Un altro best seller e siamo rovinati", Marino Buzzi - L'avete mai visto ridere un libraio?

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Vi ricordate la letterina di Natale?? Ecco la risposta! E dire che io a Babbo Natale non ho mai dato un gran credito perché, avendo un padre che viaggiava sempre per il mondo e mi portava sempre il classico pensiero, continuavo a pensare che mio padre fosse più bravo a scegliere i regali! E' la risposta alle mie richieste perchè mi conferma che non sono solo io che noto gli "oddio-non-so-cosa-regalare-forse-in-libreria-trovo-qualcosa". La cosa brutta è che trovo conferma del fatto che non siano un'esclusiva del Natale (ma in quel periodo si notano di più perché muovono in massa alla ricerca della fantomatica rivelazione del regalo giusto!), ma di questo, devo ammettere, avevo già più di un sospetto!

Comunque Marino Buzzi, autore di questo irriventissimo quadro degli "acquirenti per caso" delle librerie, è colui che ci allieta le giornate anche con un blog che si chiama "Cronache dalla liberia"che vi consiglio caldamente di seguire perché ne vale veramente la pena. Il ritratto che ne restituisce non è dei più edificanti per noi clienti, ma è anche vero che nel nostro piccolo siamo veramente comici soprattutto in questi luoghi. Dico "siamo" perché in qualche descrizione mi sono rivista e in qualche altra avrei avuto la voglia di aggiungere la mia e forse, in futuro lo farò. In fondo, la libreria è quel luogo in cui, senza insegnamento preimpartito, quando entriamo, in maniera del tutto naturale abbassiamo inizialmente il tono di voce (salvo poi rialzarlo nei pressi di un ignaro e non colpevole altro cliente che, con interesse, sta cercando di capire se, quello che ha in mano, è un libro che gli interessa) per poi, in caso siamo giovani e ci muoviamo in gruppo (ma avviene anche a qualche adulto), passare da uno scaffale all'altro alzando le sopracciglia in segno di intesa indicando questo o quel libro ammiccando a chi ci sta attorno per fare la "battutona" del secolo. 
Se vi volete proprio divertire, provate a cercare il settore manuali e a verificare che ci siano i classici titoli "Come farla/o impazzire al letto" e via dicendo e appostatevi nelle vicinanze. Succederanno due cose differenti. Se passerà un adulto vi guarderà con disappunto, come foste un maniaco anche se state evidentemente sfogliando l' "Elogio della follia", ma la cosa più divertente saranno le circumnavigazioni di avvicinamento di qualche ragazzotto, che pensa di essere più furbo degli altri nell'aver scoperto l'esistenza di questa sorta di manuali e, secondo lui, senza dare nell'occhio con in mano un improbabile volume sul confronto delle credenze delle civiltà antiche, che sta facendo finta di consultare, butta un occhio sul libro e uno sugli scaffali alla ricerca della sezione che sta sperando di trovare. Una volta trovata non si fermerà lì ma correrà a cercare l'immancabile amico con il quale guarderà le foto sghignazzando sommessamente pensando di non essere visto!

Frattanto di questo libricino non vi posso dir molto onde non togliervi il gusto di leggerlo tutto d'un fiato come ho fatto io. Posso dirvi che racchiude le classiche situazioni da acquisto dal "non mi ricordo il titolo" all'esercizio, comune a tutti, dello "storpiamento libero del titolo o del cognome dell'autore". A me, confesso, succede di cercare libri di autori stranieri di cui mai, nemmeno con altre 5 vite a disposizione, mi riuscirebbe di pronunciare i cognomi correttamente (ci ho messo solo 6 mesi e l'infinita pazienza della "fatina della lettura" per pronunciare correttamente Salamov e Kolyma!!) e dopo immense ricerche di avviarmi con il fare del condannato a morte al banco informazioni pronunciando solo il titolo del libro, nella speranza remota che non ve ne siano di similari! 

Ci sono una miriade di situazioni che sono rappresentate qui e una buona parte le ho presenti negli occhi, non solo perché anche io le ho vissute ma sopratutto perché sono uguali a quelle che ho visto in periodi differenti della mia vita. La differenza tra ieri e oggi è solo data dal mezzo da cui si prendono i riferimenti, ieri la radio o il giornale e oggi in TV da Fazio o su Bookstore di La7. Ma il frequentatore "tipo" delle librerie non cambia e non demorde rimanendo sempre fedele a se stesso. Mi consola immensamente sapere di non essere l'unica a notare e odiare quelle signore tutte d'un pezzo che entrano in libreria e che esclamano con fare di disappunto "Ho preso questo libro ma non è quello che cercavo, non è il mio genere e lo voglio cambiare!" oppure "Mia figlia mi ha detto che Carofiglio ha scritto un altro libro" e fissa il libraio come se l'informazione successiva (tiri fuori questo benedetto libro e si fustighi dopo perché, anche non conoscendomi perché entro una volta l'anno in questo esercizio commerciale, lei doveva sapere che io sono una lettrice di Carofiglio e bloccarmi in libreria finché non mi fossi convinta a pagarlo!) fosse insita in quel che ha appena sentenziato.

Lo scritto scorre velocemente e vi ritroverete quasi stupiti all'ultima pagina sentendo la mancanza del vostro libraio, a quel punto, divenuto improvvisamente il "preferito". Questo perché quella forma di vita mitologica del libraio "mezzo uomo e mezzo catalogo" improvvisamente assumerà sembianze umane, rivelando non solo quante domande idiote siamo in grado di fare, ma soprattutto,  con quanta ironia affronta la sua giornata lavorativa confermando che, se riusciamo a trovare il lato comico in quel che facciamo, magari la giornata non scorrerà più velocemente ma sicuramente durante il giorno ci saremo fatti un sacco di risate;)
Manco a dirlo è un libro veramente da leggere e da regalare. Chiaramente non finisce lì sulla cata....ma continua sul suo blog, riuscirete a rimanere senza Marino? Sono certa di no!
Buone letture,
Simona

p.s.: E' la prima volta che acquistando più copie di questo libro in libreria per regalarlo, mi capita di entrare in più negozi e alla richiesta "Sto cercando il libro << Un altro best...>> " vedere il libraio che improvvisamente ride e nel caso debba chiedere informazioni al collega dica "Ti ricordi quel libro, quello su cui ci siamo fatti un sacco di risate" e rivolgendosi a me con fare di scusa "sa, noi le viviamo ogni giorno quelle situazioni!". Che Buzzi sia riuscito anche a far breccia anche nei cuori dei colleghi? Ma voi, l'avete mai visto un libraio ridere?

Un altro best seller e siamo rovinati
Diario semiserio di un libraio
Marino Buzzi
Ugo Mursia Editore, ed. 2011
Prezzo 9,90€




mercoledì 15 febbraio 2012

[Dal libro che sto leggendo] Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del '500

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Non ho scelto questo libro per mio gusto personale, probabilmente se mi fosse capitato sotto mano lo averi comprato ugualmente perché attirata dal titolo molto particolare, ma la lettura è legata ad un esame universitario che sto preparando. Ma la sorpresa più grande di questo lavoro è stato trovare temi che tutt'ora sono molto discussi anche nella nostra epoca dove nonostante l'alfabetizzazione delle masse, la recezione della "cultura questa sconosciuta" è volutamente relegata a "hobby da topi di biblioteca". Menocchio il protagonista di questo libro è un mugnaio e che nell'epoca più oscura del periodo che esce dall'era medievale, affacciandosi a quella moderna, ha la possibilità di imparare a leggere e a scrivere. E non si limita a questo, cerca di elaborare quel che legge per poter dar voce alle sue convinzioni e frustrazioni. Potremmo affermare che Menocchio attraverso i libri e la lettura cerca di dar voce al suo io e come afferma alla fine di questo pezzo Ginzburg ha la necessità di confrontarsi con chi detiene la cultura. Menocchio morirà per questa sua ansia di espressione e di confronto e sopratutto per averla voluta condividere con chi non ha parole... ma questo ce lo diremo nella recensione. Per ora, buone letture, 
Simona


Nei discorsi del Menocchio vediamo dunque affiorare, come una crepa del terreno, uno strato culturale profondo, talmente inconsueto a risultare quasi incomprensibile. In questo caso, a differenza di quelli esaminati finora, non si tratta di una reazione filtrata da una pagina scritta, ma di un residuo irriducibile di cultura orale. Perché questa cultura diversa potesse venire alla luce c'erano volute la Riforma e la diffusione della stampa. Grazie alla prima, un semplice mugnaio aveva potuto pensare di prendere la parola e dire le proprie opinioni sulla Chiesa e sul mondo. Grazie alla seconda, aveva avuto delle parole a disposizione per esprimere l'oscura, inarticolata visione del mondo che gli gorgogliava dentro. Nelle frasi o nei brandelli di frasi strappate ai libri egli trovò gli strumenti per formulare e difendere le proprie idee per anni, prima con i compaesani, poi contro i giudici armati di dottrina e di potere.
In questo modo aveva vissuto in prima persona il salto storico di portata incalcolabile che separa il linguaggio gesticolato, mugugnato, gridato della cultura orale da quello , privo d'intonazioni e cristallizzato sulla pagina, della cultura scritta. L'uno è quasi un prolungamento corporeo, l'altro è "cosa mentale". La vittoria della cultura scritta sulla cultura orale è stata anzitutto una vittoria dell'astrazione sull'empirismo. Nella possibilità di emanciparsi dalle situazioni particolari è la radice  del nesso che ha sempre inestricabilmente legato la scrittura e potere. Casi come quelli dell'Egitto e della Cina, dove caste rispettivamente sacerdotali e burocratiche monopolizzano per millenni la scrittura geroglifica e ideografica, parlano chiaro. L'invenzione dell'alfabeto, che una quindicina di secoli prima di Cristo spezzò per la prima volta questo monopolio, non bastò a mettere la parola scritta alla portata di tutti. Solo la stampa rese questa possibilità più concreta.
Menocchio era orgogliosamente consapevole della originalità delle sue idee: per questo desiderava esporle alle più alte autorità religiose e secolari. Nello stesso tempo, però, sentiva il bisogno di impadronirsi della cultura dei suoi avversari. Capiva che la scrittura, e la capacità di impadronirsi e di trasmettere la cultura scritta, sono fonti di potere.  Non si limitò quindi a denunciare un  "tradimento de' poveri" nell'uso della lingua burocratica ( e sacerdotale) come il latino. L'orizzonte della sua polemica era più ampio. "Che credi tu, l'inquisitori non vogliono che sappiamo quello che sanno loro" esclamò molti anni dopo i fatti che stiamo raccontando, rivolto a un compaesano, Daniel Jacomel. Tra "noi" e "loro" la contrapposizione era netta. "Loro" erano i "superiori", i potenti - non solo quelli situati al vertice della gerarchia ecclesiastica. "Noi", i contadini. Quasi certamente Daniel era analfabeta (allorché riferì, nel corso del secondo processo, le parole del Menocchio, non firmò la deposizione). Menocchio, invece, sapeva leggere e scrivere: ma non per questo pensava che la lunga lotta che aveva intrapreso contro l'autorità riguardasse lui solo. Il desiderio di "cercar le cose alte", che aveva ambiguamente sconfessato dodici anni prima dinanzi all'inquisitore a Portogruaro, continuava ad apparirgli non solo legittimo, ma potenzialmente alla portata di tutti. Illegittima, anzi assurda doveva sembrargli invece la pretesa dei chierici di mantenere il monopolio di una conoscenza che si poteva comprare per "doi soldi" sulle bancarelle dei librai di Venezia. L'idea della cultura come privilegio era stata ferita ben gravemente (certo non uccisa) dall'invenzione della stampa. 


Il libro da cui è tratto:
Il formaggio e i vermi
Il cosmo di un mugnaio del '500
Carlo Ginzburg
Editore Einaudi, ed 2009
Collana "Piccola Biblioteca Einaudi"
Prezzo 21,00€

domenica 12 febbraio 2012

Maria Paola Colombo, "Il negativo dell'amore"- Intervista

Questo è un libro di cui si parla un po' e al contempo è uno di quelli che mi lasciano un po' indifferente. questo perché ascoltando l'intervista, non scatta quella curiosità che ti spinge a comprarlo, almeno così è successo a me.
Però a quanto pare (io non l'ho ancora letto!) il libro è scritto bene ed è uscito da poco, ovvero il 31/1/2012. Se lo leggete o lo avete letto, fatemi sapere che ne pensate, magari cambio idea!:)
Buone letture,
Simona


Il libro di cui si parla nel video è:
Il negativo dell'amore
Maria Paola Colombo
Mondadori Editore, Ed 2012
Collana "Scrittori italiani e stranieri"
Prezzo 18,00€

venerdì 10 febbraio 2012

"Uomini che odiano le donne", Stieg Larsson - Ma come non l'hai letto??


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Non è un libro che ho letto recentemente, ma qualche tempo fa, parecchio a dirla tutta. Ma visto che ho 6 recensioni che non mi convincono del tutto (come al solito scritte in mille versioni) ho deciso di postarne una vecchia ma di cui a suo tempo mi sono fidata.
Chiaramente, come dico sempre, lo stile si sarà evoluto, ma quel che ho scritto ieri è anche quel che penso oggi. L'unica cosa che è cambiata è che ieri, avrei salvato forse l'ultimo capitolo di questa trilogia, oggi la considero tutta "dimenticabile".
Buone letture a tutti, 
Simona


Eh si... non l'avevo letto...
Un pò mi spiace scriverne così, pero' non e' un granchè questo libro.
Passi, che il libro e' stato scritto un pò prima del 2004 (data della morte del giornalista scrittore) nonostante questo pare che il successo in Italia sia arrivato solo ora (2010). Hanno scritto anche un libro a complemento che si chiama "Hacker Republic" che prende spunto, per parlare di Hacking, partendo da una dei protagonisti Lisbet (hacker quasi ventenne bloccata in un corpo da quindicenne) anche se per stessa ammissione dell'autore di questo libricino di hacking, qua, c'e' poco e niente, serve solo per svolgere la matassa che si e' creata nella storia e che rischia di farla finire in un nulla di fatto.

Passi altresì che la mia prima riflessione fatta su questo libro, è che questo è il primo scritto svedese, almeno a mio ricordo, che leggo e che, probabilmente, non conoscendo altri scrittori, magari non capisco meccanismi classici del loro approccio alla scrittura. Ma se faccio un parallelo con un libro quasi contemporaneo italiano, che veramente fu un caso, ovvero "Io uccido" di Giorgio Faletti (2002), qui, in "Uomini che odiano le donne", il giallo non e' mai partito. Eppure gli elementi ci sono tutti (hacker, complotti, violenza, sopruso, sparizioni, omicidi..etc) come Agatha Christie comanda; il problema e' che il libro li attraversa e li elabora placidamente. Non c'e' suspance. Non ti viene voglia di vedere come va a finire tenendoti incollato alle pagine.

Forse e' piu' quello che si e' creato attorno a questa trilogia ad averne fatto un capolavoro a parole e non nei fatti. Mi spiace perche' adesso quando mi chiederanno "e questo lo ha letto?? che ne pensi?" dovro' trovare parole accettabili per una serie di amanti di Laarson per dire che c'e' poco di tutto e di niente. Forse con i prossimi capitoli della trilogia si riprende...vi faro' sapere... 

Uomini che odiano le donne
Stieg Larsson
Marsilio Editore, Ed. 2007
Collana "Farfalle- I Gialli"
Prezzo 21,50€






mercoledì 8 febbraio 2012

[Dal libro che sto leggendo] A Mosca, a Mosca!


MGU-Mosca
Immagine presa da qui

Questo è proprio un assaggio di un libri la cui recensione è dello scorso anno e la trovate qui. Avevo dimenticato di segnalare un pezzo in questa categoria e così l'ho trovato ancora nella borda sei libri su cui devo ancora fnire la segnalazione sul blog. La borsa è piena, nonostante mi sembri sempre di leggere poco e l'unica regola perchè un libro esca da lì è che il suo spazio sia fra le recensioni e sia fra i [Dal libro...] sia stata completata.
Come detto a suo tempo, questo è un viaggio fra i ricordi di Serena Vitale e come avviene per questioni fisiche un pensiero, anzi meglio, lo scorrere dei ricordi è più intenso quando li si visualizza e rivive nella propria intimità. La vitale sceglie di fare questo giro fra i cassetti mentali che conservano questa sua esperienza che ha fortemente influito sul suo lavoro e di metterla per iscritto. Pertanto non è lo scrittore che si deve ingraziare il destinatario finale quando è quest'ultimo che deve essere presente e attento correndo dietro le divagazioni dell'autrice.
Da leggere,
buone letture,
Simona



A Mosca, a Mosca! Con tre compagne dell'università di Roma e una borsa di studio. Il 16 settembre 1967 ci insediamo nel convitto dell'Università Statale di Mosca (MGU, pronuncia: Emmgheù, con lugubre eco da upupa foscoliana), sulle Colline Lenin: il più alto dei sette autarchici grattacieli - più esattamente incroci fra gigantesche torte nuziali e piramidi azteche - voluti da Stalin, "il più grande architetto di tutti i popoli e paesi", come orgogliosa risposta agli skyscrapes americani.. "Empire sovietico" (Roma antica e antica Russia, un tocco di gotico), l'Emmegheù occupa centosessantasette ettari nel luogo più alto di mosca, lì dove anche Napoleone si soffermò per ammirare la città che credeva definitivamente sua. Quarantamila tonnellate di cemento armato, centosettantacinque milioni di mattoni, ducentottantamila metri quadrati di ceramica: nessuno è mai riuscito a a contare le colonne, esterne, interne, funzionali o solo ornamentali. I ventiquattro piani dei quattro torrioni laterali ospitano i pensionati, come le tozze ali di raccordo con la torre centrale (duecentotrentasei metri, trentasei piani) sormontata da una guglia (cinquanta metri) su cui campeggia una stella (dodici tonnellate) dai riflessi dell'oro nell'abbraccio di due colossali spighe. Il "Tempio della scienza" possiede l'orologio, il barometro e il termometro più grandi del mondo; centoundici fra ascensori e montacarichi possono scarrozzare su e giù più di millecinquecento persone contemporaneamente. Per visitarne i cinquantamila locali bisognerebbe percorrere a piedi centocinquantaquattro chilometri.... L'Emmegheù, calcolai, poteva contenere metà della mia nativa Brindisi.[...] 

Il libro da cui è tratto:

A Mosca! A Mosca!
Serena Vitale
Mondadori Editore, ed. 2010
Collana "Scrittori Italiani"
Prezzo 19,00€

domenica 5 febbraio 2012

L'ha detto...Gore Vidal

Immagine presa da qui


Strana questa cosa dei viaggi, una volta che cominci, è difficile fermarsi. È come essere alcolizzati.

Gore Vidal


venerdì 3 febbraio 2012

"Sangue di cane", Veronica Tomassini - Dipendenze d'amore...

Immagine presa da qui




Le "dipendenze d'amore" che solitamente, nei libri, sono descritte come appetibili e necessarie qui si vestono di nuovo. 
Questo perché l'accoppiamento delle parole, cui la gergalità dà un senso differente da quello che usualmente avrebbe, nella parola "dipendenza" trova invece la testimonianza di quando l'amore possa essere *malato*. Dipendere da qualcosa o da qualcuno non è bello. Ma la dipendenza può anche essere il passo verso l'evoluzione di se stessi, agendo come una sorta di selezione; puoi scegliere la strada più semplice e continuare a dipendere oppure puoi decidere di andare oltre e trasformarti in altro. Il problema è che, se la dipendenza diventa come quella raffigurata nell'immagine che ho scelto per questa recensione, è difficile non sperare in un'evoluzione, ma è altrettanto difficile affrontare la propria quotidianità se uno dei componenti del gruppo abbandona gli altri. Ma come avviene quasi sempre, l'abbandono dalla dipendenza, spezza questi legami quasi avesse necessità di evitare di fare una selezione fra ciò che può rimanere e ciò che invece deve assolutamente essere eliminato, per non ricadere nelle vecchie abitudini, e, a chi resta, non rimane che cercare le spiegazioni della "negazione di appartenenza" di chi li ha abbandonati.

La storia qui raccontata narra proprio di questo, di un legame talmente forte da essere considerabile al pari di una "dipendenza" e per questo abbandonato e negato. Narra di un processo di elaborazione di questo lutto. Perché se devi lasciar andare un ricordo o una persona, devi prendere in mano le fasi salienti della storia e le motivazioni per le quali è nato un legame e comprendere minuto per minuto la sua nascita e la sua evoluzione. Devi essere certa di aver analizzato a fondo le scelte operate e le motivazioni che le hanno generate per essere pronta a dirti che, nonostante tutto, puoi andare avanti e puoi anche far da sola.

La nostra protagonista è una donna che deve rielaborare la sua storia, un rapporto che ha voluto fino in fondo e che ha condiviso con la dipendenza dall'alcol del proprio uomo, straniero e senzatetto e che lei ha voluto vivere nonostante le convenzioni.
Sceglie sin da giovane il *non imborghesimento* e in fondo, proprio ciò che rifiuta è quello cui poi aspira ed è una fase naturale della crescita umana. Ma quando dire basta e dove trovare la forza? E sopratutto come affrontare un taglio netto che tu non hai saputo porre, ma lo ha fatto proprio colui che ti ha tenuta legata a sè anche a volte respingendoti?
Ci sono tante domande in questo libro e poche hanno risposta; questo perché sono la trasposizione di quello che è la vita reale popolata di tanti "se" e "ma" e mai con una risposta certa e definitiva ma sempre con quel velato senso del "E se avessi...". 


Leggere questi pensieri all'inizio, come detto nel [Dal libro che sto leggendo], è un po' una sfida perché, per tutte le motivazioni sopra descritte, è un libro cocciuto che va avanti anche senza il lettore. Perché la revisione di quel che è stato il trascorso di una vita solitamente non richiede spettatori. Leggerlo fa capire perché questa giovane è andata oltre *nonostante tutto*, o meglio fa capire le motivazioni che l'hanno mossa, e fa pensare che, in fondo, qualsiasi scelta si operi è sempre una delle tante e mai una delle migliori. Però il cipiglio non è quello di una che sta condannando quelle scelte, perché nel momento in cui sono state operate, lei, ci credeva completamente e probabilmente questa è la chiave del libro: "non lasciare mai alle scelte non fatte di dirti che hai sbagliato" perché non potrai mai pentirti di questo se, e solo se, ci credevi quando le hai scartate e hai operato per un cambiamento con tutte le tue forze. La forza di una scelta sta in fondo proprio in questo, nel crederci e nel perseguirla. Se ci credi, soppesi le varie opzioni e se visceralmente operi per creare determinate condizioni ma queste non si avverano non è mai una sconfitta ma è un'esperienza. L'esperienza genera l'evoluzione dell'uomo e questa non è mai indolore, ma è necessaria per potersi costruire quella corazza che ci aiuta ad affrontare la vita di tutti i giorni e le successive evoluzioni.

Libro scostante che non è per tutti e che non va affrontato come si fa di solito leggendolo un po' per volta. Va preso come una medicina, tutto insieme, per non lasciargli lo spazio di convincerci che in fondo questa cosa non ci riguarda e che non vogliamo affrontare questa via crucis. Vorrei dirvi di più ma, nonostante le circa duecento pagine, farlo significherebbe rovinarne l'atmosfera. Sostanzialmente un bel libro che però nella vita affronti una volta sola, perché è arduo non abbandonarlo quanto smettere di leggerlo, ma che, una volta calati nell'atmosfera scorre anche abbastanza velocemente. 




Sangue di cane
Veronica Tomassini
Laurana Editore, ed 2010
Collana "Rimmel"
Prezzo 16,00€





mercoledì 1 febbraio 2012

[Dal libro che sto leggendo] Igiene dell'assassino

Immagine presa da qui


E' veramente un piccolo pezzo di questo spettacolare romanzo dalle tinte un pochino noir. La scelta è voluta per vari motivi tra i quali spicca un'infinità di pezzi che sarebbero non solo da riportare ma da ripetere come una nenia ricordandosi perchè si legge, si scrive o si parla di libri e come lo si fa.
Poi c'e' il fatto che questo libro è talmente piccolo da leggersi in un pomeriggio e quindi qualsiasi pezzo riporti potrei rischiare di anticipare qualcosa sui passi successivi della storia stessa.
Quindi, ammesso che il mio consiglio possa contar qualcosa sulle vostre decisioni di acquisto, questo è un libro da comprare, leggere e tenere nella propria biblioteca.
Tach è lo scrittore, che scopre che un tumore lo porterà alla morte che viene intervistato prima che questo possa accadere. 
Buone letture,
Simona 


[...]

[Tach] - Mi capita di pensare che tutte le vite si equivalgano. Di sicuro, non ho rimpianti. Se avessi di nuovo diciotto anni e lo stesso corpo ricomincerei, riprodurrei esattamente quello che ho vissuto, per quello che ho vissuto.
[Giornalista] - Scrivere non è vivere?
- Non sono nelle condizioni di rispondere a questa domanda. Non ho mai conosciuto altro.
- Ventidue romanzi sono già stati pubblicati, e a quanto mi dice ce ne saranno altri. Nella folla di personaggi che animano quest'opera immensa, ce n'e' uno al quale lei assomiglia in modo particolare?
- Nessuno.
- Davvero? Le devo confessare una cosa: c'è uno dei suoi personaggi che mi sembra il suo sosia.
- Ah.
- Sì, il misterioso venditore di cera, in La crocifissione indolore.
- Lui? Che idea assurda.
- Le dirò anche il perché: quando è lui che parla, lei scrive sempre 'crocifinzione'.
- E allora?
- Non si lascia abbindolare. Sa che è una finzione.
- Anche il lettore lo sa. Non mi assomiglia, comunque.
- E quella mania di fare calchi di cera dei volti dei crocifissi è lei, vero?
- Non ho mai fatto calchi dei crocefissi, glielo assicuro.
- Certo, ma è una metafora di quello che fa lei.
- Che ne sa delle metafore, giovanotto?
- Ma... quello che sanno tutti.
- Eccellente risposta. La gente non sa niente delle metafore. E' una parola che vende bene, perché ha un portamento fiero. "Metafora": l'ultimo degli ignoranti percepisce che viene dal greco. Una raffinatezza incredibile, queste etimologie fasulle - fasulle, veramente: quando si conosce la spaventosa polisemia della preposizione meta' e le neutralità buona per tutte le stagioni del verbo phéro, fora' significa qualunque cosa. D'altronde, a sentire l'uso che se ne fa, si arriva a conclusioni identiche. 
- Che intende dire?
- Esattamente quello che ho detto. Non mi esprimo per metafore, io.
- Ma i calchi di cera, allora?
- Quei calchi di cera sono calchi di cera, giovannotto.
- Adesso tocca a me essere deluso, signor Tach, perché se esclude ogni interpretazione metaforica, delle sue opere resta solo il cattivo gusto.
- C'è cattivo gusto e cattivo gusto [...]

Igiene dell'assassino
Amélie Nothomb
Voland Editore, ed. 1997
Collana "Amazzoni"
Prezzo 13,00€


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