martedì 4 ottobre 2016

#regalamiunracconto: "Candyman", Vincenzo Zonno - Parte 1



Fonte (Immagine di sfondo): Grass Cloth Wallpaper

E siamo alla prima puntata dei racconti di #regalamiunracconto che mi sono arrivati in occasione del contest, per i sei anni del blog, fatto quest'estate a Giugno. Il primo ad arrivare è stato quello di Vincenzo Zonno che, per chi mi legge, è l'autore di "Non è un vento amico" (che se non avete letto, secondo me dovreste farlo!). Racconto decisamente bello e soprattutto ben scritto, cosa che salterà all'occhio anche a voi leggendolo.
Ricordo che il tema era "Il killer vegano" e il pezzo di oggi è la metà dell'originale - per la seconda parte dovete aspettare la prossima settimana!-.

Mi corre l'obbligo di specificare che i racconti che sono stati mandati dagli autori, nonostante siano pubblicati qui, sono di loro proprietà. E' severamente vietato copiarli, anche se solo in parte o nella totalità, senza la loro espressa autorizzazione.   Per informazioni e/o contatti, sarò felice di dare risposte a chi ne farà richiesta a me tramite la mail segnalata nei contatti.

Lo so, che queste specifiche non dovrebbero essere necessarie, ma purtroppo non tutti rispettano il lavoro degli altri.
Quindi vi lascio alla prima parte di "Candyman" e buone letture con Vincenzo!
Simona Scravaglieri





Candyman.




I 

In una piccola e buia cantina due uomini riempivano piccoli sacchetti con una polvere bianca che poi avrebbero ammassato in un angolo di un grande tavolaccio. Ma prima di ciò, uno di loro li avrebbe pesati accuratamente con un bilancino di bronzo lucente; l’altro aveva un quaderno sul quale segnava tutte le misurazioni. Avevano ambedue lo sguardo assente e si sarebbero detti dei duri, ma si sa: tanto più serio appare un uomo nel suo aspetto, tanto più sciocco è nell'anima.
Una lampada gialla tremolava sopra le loro teste generando soltanto una piccola bolla di luce appena sufficiente per il lavoro che li stava impegnando, mentre del resto della stanza non se ne vedeva la fine, né ciò che conteneva. Dal breve eco che dei ticchettii dei coltellini che stavano usando si sarebbe detta completamente vuota e... umida da far rivoltare lo stomaco: l’olezzo di muffa permeava ogni cosa e perfino loro stessi. Uno dei due sorrise e illuminò l’altro con una schiera di denti bianchissimi.
«Che dici, stavolta ce lo daranno un premio?»
«Sicuro, sicuro. Abbiamo fatto un bel lavoro. Candyman sarà contento.»
«Vuoi dire che parlerà di noi al capo?»
«Certo, vedrai che ci darà dei soldi extra.»
«Magari ce lì darà di persona, il capo...e? Che dici?»
«Spero proprio di no. Io non lo conosco e non voglio conoscerlo.»
«Neanche io lo conosco. Ma... perché...? Perché hai paura di conoscerlo?»
«Paura? È che fanno sempre una brutta fine quelli che lo vedono.»
«Ma Candyman lo conosce pure? Non mi sembra che abbia fatto una brutta fine, anzi.»
In quel momento entrò un omone squadrato, scuro e lucido neanche fosse fatto di legno. I suoi capelli lustri e incollati sul cranio brillarono appena fu sotto la lampada. Sorrideva come se quello fosse il giorno del suo matrimonio e lui fosse una ragazzina ancora vergine. Sembrava cantasse e le sue parole avevano la rima baciata... no, non proprio, ma questa era l’impressione che ne dava. Mangiava in continuazione delle palline gommose – le prendeva da un sacchetto di carta bianca – assaporandole con un’espressione comica e compiaciuta. Fece anche il gesto per offrirne, ma rapidamente tirò indietro il cartoccio e i due non ebbero modo di servirsene. Uno sbuffo di vapore fuoriuscì da un tubo nell'angolo in alto alle sue spalle creando un’inconsueta nebbia che avvolse tutti e tre, e alcune gocce si udirono precipitare subito dopo dallo stesso punto, sopra un qualche rottame in terra.
«Salve Candy.» Disse uno dei due. «Se sei già così allegro, fra un po’ inizierai a ballare.»
«Perché? Cosa è successo?»
«Abbiamo la roba e anche i soldi, e i messicani... la polizia li raccoglie a pezzi in un vicolo.»
«Bene! bene... non poteva andare meglio oggi. Fatemi vedere.»
Quello gli porse una borsa piena di soldi e strattonò l’altro che sorrise mostrando la sua valanga di denti. Candyman guardò un attimo il denaro poi la cocaina già divisa in piccoli sacchetti in un angolo del tavolo, quindi ne prese una dose e gliela lanciò, costringendolo a indietreggiare per prenderla al volo.
«Questa tenetela, è per voi; i soldi, invece, li giocate come al solito.»
«Per il capo.» Lo anticipò mentre osservava ingolosito il sacchetto di coca.
«Sì, per il capo... e poi compratemi ’sta roba» Mollò il mazzetto di banconote per le scommesse e poggiò un foglietto sopra il tavolo.
Quello prese il tutto e lesse il pezzo di carta – Beef jerky honey c’era scritto con una calligrafia tonda e armoniosa – poi lo mise in tasca, mentre i soldi se li infilò nei pantaloni sotto la pancia, stringendosi poi la cinghia.
«Ti porto tutto fra una mezz’ora, va bene?» Gli disse ammiccando con boria.
«Bravo! Sì, ho un affare. Un grosso affare che cambierà la mia vita, e anche la vostra. Vedrete.» Sentenziò soddisfatto Candyman.



II

Sara alzò il viso e guardo il cielo terso di un azzurro irreale, e il sole le illuminò un attimo gli occhi generando uno scintillio. Lei imprecò. Fu per caso che alcuni minuti dopo l’apertura del laboratorio di un calzolaio, proprio sulla strada che stava percorrendo, le si ruppe una scarpa. Stava con un piede nudo, e la calzatura era rimasta lì in terra e sembrava la guardasse ridendo: canticchiava una nenia, a sfotterla.
E ora che si fa? Le diceva quell'oggetto.
Comicamente la prese, quindi saltellò dentro il locale che aveva accanto; il ciabattino parve inspiegabilmente stupito da quell'improvviso ingresso.
Sara era una bella donna dalla pelle chiara e i capelli castani, e stava in bilico su una gamba. Dondolava da una parte all'altra pur tenendosi con una mano sul bancone. Portava la scarpa in mano e stringeva le dita del piede nudo come se volesse nasconderlo alla vista. Ansimava leggermente dalla fatica di aver percorso quel breve tratto di strada saltellando, e attese alcuni minuti prima di parlare.
«Sì, lo so, le sembrerà assurdo, ma mi si è rotta una scarpa proprio qui fuori.»
«Mi faccia vedere.» Le rispose quello.
L’uomo, un dipinto antico frutto di luoghi comuni e strampalate consuetudini, strofinava continuamente le mani sul grembiule di cuoio e guardava tirando giù il mento in modo da poter scansare le lenti dei propri occhiali. Prese la calzatura e iniziò a esaminarla da ogni lato. Di tanto in tanto si fermava e rifletteva. Lo si capiva... lo diceva.
Si portava una mano al mento e guardava verso l’alto.
«Mi lasci riflettere... la deve lasciare. Dovrò cucirla e incollarla in più punti. Ci vorrà tempo.»
«Ma... non è possibile. Come vuole che torni a casa?»
«Già, come tornerà in casa?»
«Già!»
Il ciabattino le guardò il piede nudo abbassando il capo per scansare gli occhiali, quindi tornando ai propri pensieri sparendo dietro una porticina di là dal bancone. Ricomparve dopo alcuni minuti con in mano una scarpa simile alla sua. Aveva anche questa un laccetto per la chiusura laterale, un po’ di tacco e la punta leggermente arrotondata. Poteva passare tranquillamente per la gemella della sua scarpa, se non fosse che la prima era di un marrone chiaro leggermente scolorita in alcuni punti, mentre l’altra era di un rosso brillante che lei non avrebbe indossato neanche a una festa in maschera.
«Non vorrà mica che io vada in giro con quel...colore?»
«Io faccio quello che posso. E questa è l’unica cosa che io posso fare per lei, ora.»
«Maledizione. Va bene, mi dia l’altra.»
«Io ho solo questa.»
«Una sola?»



III 

Sara percorreva la via del centro che a quell'ora era in fermento. Molta gente si recava nel proprio posto di lavoro e altri già erano indaffarati in quei particolari mestieri dove non si produce niente e si fatica tanto per non fare alcunché se non andare avanti e indietro lungo marciapiedi affollati. Tutti guardavano i suoi piedi, o almeno questa era la sua impressione, e lei continuava a fissare questa sua nuova calzatura brillante che ciclicamente sembrava rivelarsi dal nulla sbucando da sotto l’ampia gonna grigia. La rendeva nuda davanti al mondo. Spuntava all'improvviso e brillava investita dalla luce del sole che picchiava particolarmente a quell'ora, poi spariva per ricominciare daccapo.




IV

«Ho le costolette d’agnello.»
«Mangiale pure. Che non rimanga più niente.»
Davanti a un enorme radioricevitore rumoroso di fischi e scricchiolii, il semplice ciabattino aveva cambiato atteggiamento e persino aspetto. Ora era rude, deciso e aveva uno sguardo serio. Parlava nel microfono dell’enorme CB guardandosi continuamente attorno. Non portava più quegli occhiali che probabilmente erano inutili così come il grembiule di cuoio che ora era poggiato per terra.
«Falle sparire appena sarà possibile. E che non rimanga più niente. Poi avrai le tue caramelle.» 
Questo era ciò che gli avevano ordinato infine dall'etere, ma furono le prime parole che l’avevano scosso. Non fu tanto per il significato intrinseco, che per quanto duro – ormai non gli faceva più effetto da tantissimi anni – ma il pensiero di appoggiare una pecora sulla lingua, gli attorcigliava le budella. Per un attimo immaginò ogni parte di quell'animale a rotolargli fin dentro lo stomaco, e a seguire pensò anche al suo latte e tutte quelle cose che lui ripudiava per il sol fatto di essere state estorte a un qualsiasi essere vivente per nutrire l’uomo.
«Farò come al solito, e non ne rimarrà più nessuna traccia.» Rispose storcendo il muso.
Poggiò il microfono e si voltò a guardare una donna seduta dietro di lui. Erano ambedue nello stanzino sul retro del negozio; vi era poca luce irradiata da una lampadina sul soffitto e si vedevano appena le varie cianfrusaglie sparse nella stanza, ma non se ne riconoscevano a sufficienza le forme per capirne l’utilizzo. Lei era legata e aveva un bavaglio sulla bocca. La guardò attentamente piegando la testa verso la propria spalla destra, ma non riuscì a coglierne le caratteristiche del viso e non ricordava neanche le sue forme fisiche. Lei indossava una gonna di jeans corta sulle ginocchia e una camicetta leggera azzurra. Non sapeva chi fosse quella donna; gliela avevano portata così: come un pacco postale completamente avvolta in corde e nastri adesivi, e lui l’aveva semplicemente stipata nel retro.
Stava pensando se non fosse il caso di approfittare di quella situazione per divertirsi un po’ prima di toglierla di mezzo... era la prima volta che gli accadeva. Sì, di pensare queste cose: di solito si disinteressava completamente del materiale che gli veniva consegnato o che rintracciava per portare a termine i propri singolari compiti. 
Tanto deve comunque morire. Gli diceva qualcosa da un angolo nascosto del proprio cervello. Sto invecchiando e do i numeri. Si rispose come se stesse davvero parlando con un essere dentro di sé.
Durarono poco questi pensieri contrastanti. Scordò tutto in un attimo e rabbrividì quando i suoi occhi si fermarono prima sulle gambe e poi sui piedi di quel fagotto umano. Le mancava una scarpa: una delle due eleganti calzature rosse di vernice che indossava non c’era più.
«Se ne fanno di sciocchezze, ma certe volte queste acquistano lo spessore di un’opera d’arte...» Disse a bassa voce a se stesso. «L’apoteosi della stupidità.» Scosse il capo.
Cosa poteva fare ora...?
Fino a quel momento si era interessato poco a questa vicenda. Queste erano cose che gli davano da vivere e non si faceva troppe domande, ma in quell'istante tutto sembrò cambiare.
Jack aveva questo negozio da ciabattino nel quale passava la maggior parte del proprio tempo, ma ci lavorava poco. I clienti erano occasionali, perché la sua vera occupazione era molto diversa. Aveva passato quasi tutta la sua vita nell'oscurità ad assolvere ai compiti che gli venivano affidati, e di questo lui viveva. Gli commissionavano omicidi e senza chiedersi troppo, li eseguiva, faceva sparire i corpi e ogni indizio che avvalorasse anche la stessa esistenza passata delle sue vittime, quindi andava avanti scordando tutto. Non faceva domande, non gli importava chi fossero quelle persone e perché dovessero morire. Lui eseguiva i propri doveri con freddezza e professionalità.
Si fa queste domande un ciabattino? Questa era la sua stramba filosofia.
Questa volta qualcosa era andata storta, e un’azione stupida che lui mai non si sarebbe mai aspettato da se stesso, lo scosse scardinando le sue certezze. D’improvviso si sentì vulnerabile e si stava chiedendo, per la prima volta, chi fosse questa tizia che avrebbe già dovuto eliminare da ore. Si avvicinò a quell'essere impaurito e le tolse il bavaglio.
«Chi sei?»
La donna non rispose, si limitò a guardarlo con gli occhi spalancati e le labbra tremanti.
«Chi sei? L’hai un nome? Il mio è... Thomas.»
«Cinzia, mi chiamo Cinzia. Sai i risultati delle partite di calcio?»
«Partite di calcio? Che partite? No, non li so.»
«Non fa niente.»
«Senti, facciamo un patto: se stai tranquilla ti libero dai legacci. Ma tu non costringermi a essere pericoloso.»
La donna annuì e per lui fu un sollievo. La slegò e le sedette di fronte continuando a studiarla rendendosi sempre più conto di aver di fronte un essere umano.
«Sai che volevo approfittarmi di te? Già, è la prima volta che mi accade. Uhm... ci stavo pensando a ’sta cosa. Vuoi dirmi qualcosa? Vuoi chiedermi...?»
«Ho fame... devo fare la pipì.»
Jack fece segno verso una porticina appena visibile accanto a una scansia. Cinzia si alzò senza neanche voltarsi a guardare in quella direzione, quindi passò oltre il mobile di metallo ed entrò nel piccolo bagno. Si alzò la gonna e dopo aver tirato giù gli slip di un solo palmo, sedette sulla tazza senza chiudere la porta.
Non conosco le donne... non conosco le persone. Pensò Jack mentre osservava attentamente tutte le comiche e al contempo sensuali azioni di Cinzia.
Ha fame...? Già!
Di certo, lui non aveva cibo nel negozio, ma una borsetta era poggiata davanti la sua sedia – l’avevano portata assieme a lei – la aprì e vi rovistò dentro. Fra i tanti oggetti sconosciuti e inutili agli occhi di qualsiasi uomo, saltò fuori una confezione colorata di una qualche merenda, la portò verso la luce e ne lesse il contenuto: carne secca al miele.
«Ma che schifo!» Urlò sputando versi attraverso le labbra serrate per non essere udito.
A suo avviso, la gente mangiava cose disgustose e orribili, e si voltò verso Cinzia che con il viso fra le mani continuava a star seduta attenendo chissà cosa. Con la confezione che continuava a tenere – ma con solo due dita dopo averne scoperto il contenuto – Jack si guardò attorno cercando un qualche bidone di rifiuti in cui cacciarla via. 
Ma questa ha fame... del resto la mangia lei, mica io... Pensò, ma come spesso accade a chi si accanisce sul cibo, non riusciva a sopportare l’idea che qualcun altro potesse ingoiare ciò che lui rinnegava. Devo comprare qualcosa di decente... non può mangiare ’sta porcheria. Ci mettono pure il miele...che schifo.
Non troppo lontano c’era un negozio dove avrebbe sicuramente trovato qualcosa di sufficientemente nutriente e sano che non provenisse dal mondo animale, ma doveva lasciare la donna da sola. Ci pensò un po’ e la guardò più volte cercando di coglierne la personalità, che pareva abbastanza sommessa e incapace di azioni eroiche. In pochi minuti si convinse della tranquillità della situazione, fatto sta che non si pose più molti dubbi: si alzò e uscì dalla stanza, serrò la porta che da dietro il bancone introduceva nel retro e andò via senza chiudere il negozio

To be continued...

Martedì 11 sempre stesso blog!

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