Vi ricordo, qualora non ci aveste fatto caso che, Marassi libri, ha cambiato sede e che in fondo ci sono tutti i riferimenti per mettersi in contatto con lei e vi lascio alla sua recensione.
Buone letture,
Simona Scravaglieri
Fonte: Natascia Mameli |
IL LIBRO DI OTTOBRE
Eccoci qui.
Finisce ottobre, qui a Genova il clima non sembra ancora autunnale ma si respira già un po' di aria natalizia. Le notizie dal mondo non sono sempre positive e noi ci rifugiamo nel regno immaginifico dei libri.
La recensione di ottobre mi ha portato via (in senso positivo) quasi più tempo che leggere il libro. Scherzo, ovviamente, ma direi, a occhio, che dovrebbe essere la più lunga che ho scritto finora. Vero è che i libri con ambientazione storica sono i miei preferiti, come vi ho già accennato, per cui non potevo non analizzarlo al meglio delle mie possibilità.
Anzi, ho cercato di trattenermi e di riportare in modo abbastanza organizzato la marea di appunti che ho preso durante la lettura del libro.
Titolo: Gli eredi della terra (titolo originale: Los herederos de la tierra)
Autore: Ildefonso Falcones de Sierra
Casa editrice: Longanesi, 2016
Traduttori (in ordine alfabetico): Marco Amerighi, Roberta Bovaia, Daniela Ruggiu, Marcella Uberti-Bona
(nota alla traduzione: il primo libro è stato tradotto solo da Roberta Bovaia, non so come mai per questo ne siano serviti addirittura 4, magari non c'è niente di misterioso nella questione ma mi piace usare la fantasia, in questi casi...)
Parto subito con una frase inevitabile: se non avete ancora letto "La cattedrale del mare" correte immediatamente ai ripari! Dopodiché potrete avventurarvi nella lettura di questo altro 'mastodonte'.
La mia edizione, illustrata, del primo libro ha 586 pagine, ma è, appunto, illustrata, per cui ha alcune pagine con disegni e potrebbe essere più spessa della versione normale uscita all'inizio del 2007 (quella illustrata uscì dopo, poco prima di Natale, me lo ricordo perché la comprai nei banchetti natalizi dentro a Galleria Mazzini, dove, all'epoca, lavoravo).
"Gli eredi della terra" (da notare: terra, non Terra) ne ha 900 esatti più altre 4/5 pagine in cui l'autore, come nel primo, da indicazioni sul rapporto tra la veridicità delle parti della sua storia e la Storia realmente accaduta.
Sappiate che non vi farò un riassunto della trama. Come sempre, la trovo una cosa inutile, dato che la trovate in qualsiasi sito, ma vi parlerò delle impressioni che ho avuto leggendolo. Precisando che mi ci sono voluti la bellezza di 20 giorni, per leggerlo. 20 giorni in cui non ho letto praticamente altro, 20 giorni in cui mi sono segnata quante pagine dovevo leggere (ogni volta dovevo ricalcolarle perché non riuscivo a rispettare la tabella di marcia. Strano, eh?) al giorno per poterlo finire in tempo!
Partiamo, allora, dal presupposto che abbiate letto 'La cattedrale del mare': che fine aveva fatto Arnau, dopo essere passato per mille vicissitudini? Lo avevamo lasciato nel 1383, all'ultimazione di Santa Maria del Mare, come membro rispettato della comunità, non solo dei bastaixos, ma anche come cittadino di Barcellona. Lo ritroviamo a ormai 60 anni passati, in un ruolo importante della comunità cittadina, umile ma ancora più rispettato dalla gente. Punto di riferimento di molte persone. Tra queste c'è Hugo.
Non vi illuderò, Arnau non è il protagonista di questa nuova storia e non lo è neanche Bernat, il figlio che abbiamo conosciuto nelle ultime pagine del primo libro (e vi dirò in seguito il mio parere sul perché di questa esclusione).
Hugo è, da subito, il personaggio #maiunagioia per eccellenza: è orfano di padre, rilegato a fare il ''porta-palla'' del 'genovese' (piccolo appunto personale: Falcones, che ho sempre amato, ha conquistato completamente il mio cuore semplicemente facendo dire al personaggio genovese 'Anemmu'), con il grande sogno di fare il maestro d'ascia, ma, come capisci già a pagina 28, destinato a una vita ''difficile'', per usare un eufemismo.
Quello che ricorre sempre e indistintamente nei libri di Falcones, infatti, è l'accento sulla crudezza e crudeltà della vita nel medioevo: la giustizia e le regole ci sono ma i 'poteri forti', alla fin fine, riescono a fare quello che vogliono (spesso, ma non sempre). A farne le spese, ovviamente, è il popolo e, nella fattispecie, Hugo.
Il piacere che mi coglie leggendo questo genere di libri è soprattutto dovuto al fatto che non mi prende l'ansia da ''come andrà a finire, devo assolutamente sapere, ora, come andrà a finire tutto'' (per fortuna! Perché tenersi quell'ansia per 900 pagine sarebbe intollerabile), per cui riesco a godermi la lettura, attimo dopo attimo, di quanto viene raccontato.
Questo raccontare ''passo dopo passo'' (con i salti temporali), tra l'altro, nei romanzi con ambientazione storica (al contrario che nei thriller, o nella narrativa in generale) non è affatto appesantente, perché aiuta ad immergersi nell'atmosfera del tempo. In più c'è da dire che Falcones fa un ottimo uso delle parole, scegliendo, in maniera maniacale, esclusivamente termini adatti all'epoca (sembrerebbe una cosa banale, se non fosse che mi è capitato spesso il libro storico in cui ricorreva ''frizzante'', "adolescenza","bicchiere di vetro"... per fare qualche esempio).
Natascia Mameli
Marassi Libri
NB: dall'11 luglio 2016 nuovo indirizzo:
CORSO DE STEFANIS 55 R
16139
GENOVA
tel 010815182
Eccoci qui.
Finisce ottobre, qui a Genova il clima non sembra ancora autunnale ma si respira già un po' di aria natalizia. Le notizie dal mondo non sono sempre positive e noi ci rifugiamo nel regno immaginifico dei libri.
La recensione di ottobre mi ha portato via (in senso positivo) quasi più tempo che leggere il libro. Scherzo, ovviamente, ma direi, a occhio, che dovrebbe essere la più lunga che ho scritto finora. Vero è che i libri con ambientazione storica sono i miei preferiti, come vi ho già accennato, per cui non potevo non analizzarlo al meglio delle mie possibilità.
Anzi, ho cercato di trattenermi e di riportare in modo abbastanza organizzato la marea di appunti che ho preso durante la lettura del libro.
Titolo: Gli eredi della terra (titolo originale: Los herederos de la tierra)
Autore: Ildefonso Falcones de Sierra
Casa editrice: Longanesi, 2016
Traduttori (in ordine alfabetico): Marco Amerighi, Roberta Bovaia, Daniela Ruggiu, Marcella Uberti-Bona
(nota alla traduzione: il primo libro è stato tradotto solo da Roberta Bovaia, non so come mai per questo ne siano serviti addirittura 4, magari non c'è niente di misterioso nella questione ma mi piace usare la fantasia, in questi casi...)
Parto subito con una frase inevitabile: se non avete ancora letto "La cattedrale del mare" correte immediatamente ai ripari! Dopodiché potrete avventurarvi nella lettura di questo altro 'mastodonte'.
La mia edizione, illustrata, del primo libro ha 586 pagine, ma è, appunto, illustrata, per cui ha alcune pagine con disegni e potrebbe essere più spessa della versione normale uscita all'inizio del 2007 (quella illustrata uscì dopo, poco prima di Natale, me lo ricordo perché la comprai nei banchetti natalizi dentro a Galleria Mazzini, dove, all'epoca, lavoravo).
"Gli eredi della terra" (da notare: terra, non Terra) ne ha 900 esatti più altre 4/5 pagine in cui l'autore, come nel primo, da indicazioni sul rapporto tra la veridicità delle parti della sua storia e la Storia realmente accaduta.
Sappiate che non vi farò un riassunto della trama. Come sempre, la trovo una cosa inutile, dato che la trovate in qualsiasi sito, ma vi parlerò delle impressioni che ho avuto leggendolo. Precisando che mi ci sono voluti la bellezza di 20 giorni, per leggerlo. 20 giorni in cui non ho letto praticamente altro, 20 giorni in cui mi sono segnata quante pagine dovevo leggere (ogni volta dovevo ricalcolarle perché non riuscivo a rispettare la tabella di marcia. Strano, eh?) al giorno per poterlo finire in tempo!
Partiamo, allora, dal presupposto che abbiate letto 'La cattedrale del mare': che fine aveva fatto Arnau, dopo essere passato per mille vicissitudini? Lo avevamo lasciato nel 1383, all'ultimazione di Santa Maria del Mare, come membro rispettato della comunità, non solo dei bastaixos, ma anche come cittadino di Barcellona. Lo ritroviamo a ormai 60 anni passati, in un ruolo importante della comunità cittadina, umile ma ancora più rispettato dalla gente. Punto di riferimento di molte persone. Tra queste c'è Hugo.
Non vi illuderò, Arnau non è il protagonista di questa nuova storia e non lo è neanche Bernat, il figlio che abbiamo conosciuto nelle ultime pagine del primo libro (e vi dirò in seguito il mio parere sul perché di questa esclusione).
Hugo è, da subito, il personaggio #maiunagioia per eccellenza: è orfano di padre, rilegato a fare il ''porta-palla'' del 'genovese' (piccolo appunto personale: Falcones, che ho sempre amato, ha conquistato completamente il mio cuore semplicemente facendo dire al personaggio genovese 'Anemmu'), con il grande sogno di fare il maestro d'ascia, ma, come capisci già a pagina 28, destinato a una vita ''difficile'', per usare un eufemismo.
Quello che ricorre sempre e indistintamente nei libri di Falcones, infatti, è l'accento sulla crudezza e crudeltà della vita nel medioevo: la giustizia e le regole ci sono ma i 'poteri forti', alla fin fine, riescono a fare quello che vogliono (spesso, ma non sempre). A farne le spese, ovviamente, è il popolo e, nella fattispecie, Hugo.
Il piacere che mi coglie leggendo questo genere di libri è soprattutto dovuto al fatto che non mi prende l'ansia da ''come andrà a finire, devo assolutamente sapere, ora, come andrà a finire tutto'' (per fortuna! Perché tenersi quell'ansia per 900 pagine sarebbe intollerabile), per cui riesco a godermi la lettura, attimo dopo attimo, di quanto viene raccontato.
Questo raccontare ''passo dopo passo'' (con i salti temporali), tra l'altro, nei romanzi con ambientazione storica (al contrario che nei thriller, o nella narrativa in generale) non è affatto appesantente, perché aiuta ad immergersi nell'atmosfera del tempo. In più c'è da dire che Falcones fa un ottimo uso delle parole, scegliendo, in maniera maniacale, esclusivamente termini adatti all'epoca (sembrerebbe una cosa banale, se non fosse che mi è capitato spesso il libro storico in cui ricorreva ''frizzante'', "adolescenza","bicchiere di vetro"... per fare qualche esempio).
Una cosa molto interessante dello stile dell'autore, che si riscontra sicuramente anche nelle altre sue opere, è l'abitudine di intrecciare la grande Storia con le piccole storie dei protagonisti. O meglio, di mettere in rilievo come la Storia incida nella vita dei singoli e quanto spesso questa riesca a trasformare anche notevolmente le sorti dei protagonisti. Solo in pochissimi casi, in effetti, il coinvolgimento dei personaggi nella storia della città (città di Barcellona, intesa come contea), di tutta la Catalogna e, anche, del Mediterraneo, sembra essere un tantino forzata. Per il resto, la Storia ci ha abituati a situazioni e stravolgimenti ben più incredibili di un corsaro che diventa Ammiraglio per lo stesso regno le cui navi attaccava...
Un'altra cosa che apprezzo molto del modo in cui scrive Falcones è la facilità con cui riesce, in uno stesso paragrafo, ad andare avanti e indietro nel tempo, ripercorrendo i ricordi dei protagonisti, per poi tornare al momento presente per proseguire il racconto. Devo dire che mi è capitato più di una volta di essere talmente immerso nel passato della memoria del personaggio da metterci alcuni secondi a ricordare in che momento storico era iniziato il paragrafo. Può sembrare una cosa negativa, ma a me pare invece che dimostri una capacità di scrittura non così usuale.
Un'altra cosa che apprezzo molto dello scritto di Falcones è che ha l'abitudine di far seguire, al nominare di personaggi che non ricorrono da diverse pagine, piccoli 'appigli' a cui il lettore può attaccarsi per ricordarsi chi è e dove lo avevamo ''visto'' l'ultima volta. Così fa anche per episodi lontani nel tempo: come dei piccoli ''nelle ultime puntate'', mette delle frasi che ci aiutano a riallacciarci. Del resto 900 pagine sono tante e, se pur è vero che, evitando tutti questi richiami, le pagine diminuirebbero, è inevitabile che una persona normale (figuriamoci gente con la mia memoria da criceto) non possa ricordare tutto, a meno di non prendere appunti (cosa che *coff coff* ho anche fatto, ma tant'è è capitato che, leggendo un nome mi dicessi 'e questo/a chi è, prima di leggere il riferimento lasciato dall'autore... penso, ad esempio, a Caterina nel palazzo dei Puig)
Parlando invece della storia, delle vicende narrate, posso dire tranquillamente che, come dimostrato negli altri libri, l'autore è uno dei più fantasiosi che io conosca: il susseguirsi di intrecci, vicissitudini, sfortune e brevi periodi di vita felice è, a tratti, spaventoso. Leggendo mi sono chiesta come sarebbe avere davvero una vita così altalenante (anche in epoca moderna). Come doveva essere veramente vivere nel Medioevo è quasi impossibile da definire: Falcones è bravo anche a tenere in bilico tutti gli aspetti di quel intricatissimo periodo storico. Le religioni (che nel Medioevo, soprattutto nella penisola iberica, non potevano che essere importantissime) e i conflitti tra queste; l'Inquisizione; le differenze sociali e la miseria; le lotte per il potere e per la sopravvivenza; i soprusi e le ipocrisie dell'epoca sono tutti elementi tenuti in equilibrio (con qualche sbilanciamento verso le ingiustizie) come un giocoliere che fa continuamente ruotare le palle per non farle cadere tutte a terra.
All'inizio mi sono chiesta come mai l'autore avesse voluto portare avanti la storia di Barcellona abbandonando in modo così netto Arnau e suo figlio Bernat per seguire la vita di Hugo. Soprattutto, volendo portare avanti la Storia ancora per altri 40 anni, come mai non aveva scelto di seguire Bernat? Mi sono risposta mooooolte pagine dopo. Credo, ma forse è solo una mia idea, che Bernat sia figlio di Arnau ma non abbia gli stessi valori che Arnau impersonava. Hugo invece, non è figlio di Arnau, ma sembra essere spinto dalla stessa 'filosofia di vita' (se così si può dire) di Arnau: nuocere il meno possibile, non rinunciare a quanto si desidera, non uccidere se non per difendere chi si ama (anche quando la vendetta contro chi gli ha fatto del male è a portata di mano). In definitiva, una 'correttezza' e un rispetto verso la vita che forse stride fortemente con quello che è il nostro immaginario sulla coscienza comune nel Medioevo. Questo, comunque, esattamente come era stato per Arnau, non fa di Hugo un eroe puro, senza macchia. Anzi. Contro i cattivi, Hugo usa l'astuzia, più dell'onestà e della correttezza. E, come abbiamo visto, è capace di uccidere, anche se per ''buone ragioni''. Ed è capace di essere crudele, ma solo quando non vede altre vie d'uscita. Questo è esattamente l'opposto di quanto si percepisce di Bernat, un ragazzo che, ancora prima di diventare un nobile arrogante, ancora prima di divenire un crudele corsaro, è un ragazzino accecato dall'odio e dalla vendetta.
Quello che preserva Hugo è, come in Arnau, la fede. Ma, mentre in Arnau, la fede per la Madonna era quasi cieca. In Hugo questa fede vacilla spesso. Lui si fa domande, teme la Madonna e si chiede se lo punisca attraverso tutte le avversità che è costretto ad affrontare, si chiede se ciò che fa (innamorarsi di un'ebrea, ad esempio) possa rendergli avversa la Madonna che Arnau tanto amava. C'è un personaggio però che riesce, dapprima, ad avvicinare Hugo alla fede e, in qualche modo, lo avvia sul sentiero giusto: è Arsenda, sua sorella che, costretta, suo malgrado, alla vita monastica, gli fa promettere che non odierà. Cosa, di per sé, impossibile e inutile ma che lo porta, secondo me, a mettere in dubbio l'odio che prova verso coloro che gli fanno del male, e a scegliere un'altra opzione.
Una piccola nota: durante la lettura ci si imbatte in una scena quasi tragicomica nelle stanze da letto del re Martino a Bellesguard: non scenderò nei dettagli ma, nel caso foste tra quelli che poi le note alla fine del libro non le leggono e foste tra quelli, in questo caso come me, che hanno trovato quella scena molto poco credibile, beh, in realtà è un fatto riportato da qualche storico. Credo che sia importante saperlo (comunque le note leggetele, che sono interessanti!)
L'ultimo appunto sul libro che mi preme di fare è sulla città di Barcellona: Falcones la descrive così bene, talmente per filo e per segno, che se uno si volesse mettere a fare una cartina delle vie della zona medioevale intorno a Santa Maria del Mar (avendo capacità migliori delle mie, ma ci vuole davvero poco!) lo potrebbe tranquillamente fare. Sarà banale dire che la città, in fondo, è la prima protagonista del libro (come del primo) ma non ci si può esimere dal farlo.
Citazione preferita:
"I cantieri navali, Santa Croce, Santa Maria del Mar, il palazzo di via de Marquet e il castello di re Martino a Bellesguard... Hugo poteva rivedere tutta la sua vita che gli passava davanti attraverso quei grandi edifici di Barcellona"
Un'altra cosa che apprezzo molto del modo in cui scrive Falcones è la facilità con cui riesce, in uno stesso paragrafo, ad andare avanti e indietro nel tempo, ripercorrendo i ricordi dei protagonisti, per poi tornare al momento presente per proseguire il racconto. Devo dire che mi è capitato più di una volta di essere talmente immerso nel passato della memoria del personaggio da metterci alcuni secondi a ricordare in che momento storico era iniziato il paragrafo. Può sembrare una cosa negativa, ma a me pare invece che dimostri una capacità di scrittura non così usuale.
Un'altra cosa che apprezzo molto dello scritto di Falcones è che ha l'abitudine di far seguire, al nominare di personaggi che non ricorrono da diverse pagine, piccoli 'appigli' a cui il lettore può attaccarsi per ricordarsi chi è e dove lo avevamo ''visto'' l'ultima volta. Così fa anche per episodi lontani nel tempo: come dei piccoli ''nelle ultime puntate'', mette delle frasi che ci aiutano a riallacciarci. Del resto 900 pagine sono tante e, se pur è vero che, evitando tutti questi richiami, le pagine diminuirebbero, è inevitabile che una persona normale (figuriamoci gente con la mia memoria da criceto) non possa ricordare tutto, a meno di non prendere appunti (cosa che *coff coff* ho anche fatto, ma tant'è è capitato che, leggendo un nome mi dicessi 'e questo/a chi è, prima di leggere il riferimento lasciato dall'autore... penso, ad esempio, a Caterina nel palazzo dei Puig)
Parlando invece della storia, delle vicende narrate, posso dire tranquillamente che, come dimostrato negli altri libri, l'autore è uno dei più fantasiosi che io conosca: il susseguirsi di intrecci, vicissitudini, sfortune e brevi periodi di vita felice è, a tratti, spaventoso. Leggendo mi sono chiesta come sarebbe avere davvero una vita così altalenante (anche in epoca moderna). Come doveva essere veramente vivere nel Medioevo è quasi impossibile da definire: Falcones è bravo anche a tenere in bilico tutti gli aspetti di quel intricatissimo periodo storico. Le religioni (che nel Medioevo, soprattutto nella penisola iberica, non potevano che essere importantissime) e i conflitti tra queste; l'Inquisizione; le differenze sociali e la miseria; le lotte per il potere e per la sopravvivenza; i soprusi e le ipocrisie dell'epoca sono tutti elementi tenuti in equilibrio (con qualche sbilanciamento verso le ingiustizie) come un giocoliere che fa continuamente ruotare le palle per non farle cadere tutte a terra.
All'inizio mi sono chiesta come mai l'autore avesse voluto portare avanti la storia di Barcellona abbandonando in modo così netto Arnau e suo figlio Bernat per seguire la vita di Hugo. Soprattutto, volendo portare avanti la Storia ancora per altri 40 anni, come mai non aveva scelto di seguire Bernat? Mi sono risposta mooooolte pagine dopo. Credo, ma forse è solo una mia idea, che Bernat sia figlio di Arnau ma non abbia gli stessi valori che Arnau impersonava. Hugo invece, non è figlio di Arnau, ma sembra essere spinto dalla stessa 'filosofia di vita' (se così si può dire) di Arnau: nuocere il meno possibile, non rinunciare a quanto si desidera, non uccidere se non per difendere chi si ama (anche quando la vendetta contro chi gli ha fatto del male è a portata di mano). In definitiva, una 'correttezza' e un rispetto verso la vita che forse stride fortemente con quello che è il nostro immaginario sulla coscienza comune nel Medioevo. Questo, comunque, esattamente come era stato per Arnau, non fa di Hugo un eroe puro, senza macchia. Anzi. Contro i cattivi, Hugo usa l'astuzia, più dell'onestà e della correttezza. E, come abbiamo visto, è capace di uccidere, anche se per ''buone ragioni''. Ed è capace di essere crudele, ma solo quando non vede altre vie d'uscita. Questo è esattamente l'opposto di quanto si percepisce di Bernat, un ragazzo che, ancora prima di diventare un nobile arrogante, ancora prima di divenire un crudele corsaro, è un ragazzino accecato dall'odio e dalla vendetta.
Quello che preserva Hugo è, come in Arnau, la fede. Ma, mentre in Arnau, la fede per la Madonna era quasi cieca. In Hugo questa fede vacilla spesso. Lui si fa domande, teme la Madonna e si chiede se lo punisca attraverso tutte le avversità che è costretto ad affrontare, si chiede se ciò che fa (innamorarsi di un'ebrea, ad esempio) possa rendergli avversa la Madonna che Arnau tanto amava. C'è un personaggio però che riesce, dapprima, ad avvicinare Hugo alla fede e, in qualche modo, lo avvia sul sentiero giusto: è Arsenda, sua sorella che, costretta, suo malgrado, alla vita monastica, gli fa promettere che non odierà. Cosa, di per sé, impossibile e inutile ma che lo porta, secondo me, a mettere in dubbio l'odio che prova verso coloro che gli fanno del male, e a scegliere un'altra opzione.
Una piccola nota: durante la lettura ci si imbatte in una scena quasi tragicomica nelle stanze da letto del re Martino a Bellesguard: non scenderò nei dettagli ma, nel caso foste tra quelli che poi le note alla fine del libro non le leggono e foste tra quelli, in questo caso come me, che hanno trovato quella scena molto poco credibile, beh, in realtà è un fatto riportato da qualche storico. Credo che sia importante saperlo (comunque le note leggetele, che sono interessanti!)
L'ultimo appunto sul libro che mi preme di fare è sulla città di Barcellona: Falcones la descrive così bene, talmente per filo e per segno, che se uno si volesse mettere a fare una cartina delle vie della zona medioevale intorno a Santa Maria del Mar (avendo capacità migliori delle mie, ma ci vuole davvero poco!) lo potrebbe tranquillamente fare. Sarà banale dire che la città, in fondo, è la prima protagonista del libro (come del primo) ma non ci si può esimere dal farlo.
Citazione preferita:
"I cantieri navali, Santa Croce, Santa Maria del Mar, il palazzo di via de Marquet e il castello di re Martino a Bellesguard... Hugo poteva rivedere tutta la sua vita che gli passava davanti attraverso quei grandi edifici di Barcellona"
Natascia Mameli
Marassi Libri
NB: dall'11 luglio 2016 nuovo indirizzo:
CORSO DE STEFANIS 55 R
16139
GENOVA
tel 010815182
Ciao! Bella recensione, io sto leggendo La cattedrale del mare e lo sto trovando meraviglioso..Mi isolo dal mondo quando ho in mano quel libro *_* E oltre a questo seguito, vorrei anche leggere gli altri due di Falcones, un autore che per me è stata una bellissima scoperta :)
RispondiEliminaIo lo adoro, davvero: ho trovato 'la mano di fatima' di nuovo molto bello. un po' meno, per essere sincera, 'la regina scalza'. In certi punti sembrava un po' a corto di idee, ma è più che comprensibile, dato la mole di pagine che scrive! 'La mano di Fatima' invece mi ha insegnato davvero tante cose che non sapevo! altamente consigliato <3
EliminaMi fa piacere che La mano di Fatima sia altrettanto bello, l'ho trovato proprio ieri in un mercatino e non ho esitato a comprarlo <3
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