Fonte: Venegoni.it |
Come detto nella recensione di Operazione Compass, saggi come questi, permettono di avvicinarsi alla storia in maniera documentata e soprattutto di riscoprire la grande differenza che passa da una letteratura romanzata e d'intrattenimento ad una nata su basi ben diverse ovvero la ricerca. In questo caso il tema principale, nonostante il primo capitolo introduttivo di cui oggi trovate riportato i passi iniziali, non è la storia del fascismo in tutte le sue sfaccettature, bensì il rapporto fra Mussolini, l'editoria e la carta stampata. E c'è un forte paradosso che viene fuori, ovvero che Mussolini diventa come la storia ce lo descrive grazie ad un libro che, come sottolinea Bonsaver due volte in questo passo, apparteneva a quella categoria che lo preoccupava di meno. Anzi, in effetti furono due libri, "Colloqui con Mussolini" di Emil Ludwig, pubblicato nel 1932 - dove trovandosi in alcuni passi dell'intervista rilasciata al giornalista più debole di quanto avesse voglia di apparire chiede per ben tre volte alla stampa a mezzo veline di ignorare la pubblicazione mondadoriana-, e poi "Dux" di Margherita Sarfatti - uscito prima in versione inglese nel 1925 con il titolo "The life of Benito Mussolini" e poi tradotta e pubblicata da Mondadori l'anno successivo, 1926, in versione censurata rispetto a quella inglese -. Paradosso ancora più grande era che, la Sarfatti, era di fatto il gostwrhiter del Duce sia in Italia ma sopratutto per le testate internazionali e che che a creare il Duce, che nel '38 decide di introdurre le leggi razziali, sia stata una donna ebrea.
Scorrendo queste pagine pertanto non troverete solo storie del Duce ma anche di chi, come tanti intellettuali dovette fare i conti con una dittatura e con il lavoro che aveva scelto per vivere. Editori conniventi più per convenienza che per credo, sotterfugi per poter pubblicare o rifiuti perché non si vuole rischiare e altri costretti ad espatriare pur di poter continuare a fare il loro lavoro. Ci sono casi di autori che non compaiono nelle liste di testi e autori non graditi, solo perché usavano uno pseudonimo com Ignazio Silone e ci sono le lettere di Moravia, all'anagrafe Pincherle, che chiedeva giustizia al Duce per certe voci sulla sua origine ebrea. Moravia, aveva il padre ebreo ma come scrive a Mussolini è cresciuto cattolico e pertanto sceglierà alla fine di cambiare il cognome, non con quello della madre, ma addirittura della nonna.
Per concludere, nonostante fosse, forse, uno dei primi capi di stato, all'epoca, ad aver capito l'importanza dell'informazione Mussolini non era in grado di gestire questa sua intuizione. Bonsaver lo descrive come "accentratore che però non sa guardare alla totalità ma che si sofferma al particolare" e questo fu il suo più grande limite. Ma capire come possa essersi risolta a lavorare l'editoria italiana in un contesto simile è molto interessante e un testo scritto in una maniera così scorrevole non tarderà a farsi amare proprio per questa sua esigenza di rappresentare un mondo spesso conosciuto per sentito dire (o per qualche testo scolastico poco accorto) per quello che era realmente, ovvero un sistema clientelare e poco flessibile destinato ad autodistruggersi proprio grazie ai suoi attori principali.
Buone letture,
Simona Scravaglieri
1. L'opposizione da sopprimere
Una volta al governo, Mussolini si preoccupò di creare le condizioni per una progressiva fascistizzazione della cultura italiana. Nel campo editoriale non erano tanto i libri a dargli pensiero quanto la stampa periodica. Non a caso, l'Ufficio stampa del ministero dell'Interno fu rapidamente posto sotto la direzione del suo fedelissimo, Cesare Rossi, e, per assicurargli completa libertà di manovra, nell'agosto 1923, venne spostato sotto il controllo del Duce e due anni dopo ribattezzato Ufficio Stampa del Capo del Governo. Come sappiamo, Mussolini si servì di Cesare Rossi per agire entro e oltre la legalità. Il rapimento e l'uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti fu l'episodio più violento e più avventato di questa deriva criminale, tanto che il governo stesso vacillò e Rossi si dette alla macchia portando con sé i faldoni di documenti con i quali ricattare Mussolini se questi avesse deciso di fare di lui un caprio espiatorio. Tuttavia passata la crisi dell'estate del 1924, come sappiamo, il governo non cadde; anzi, Mussolini riuscì a volgere la crisi a suo favore spingendo l'Italia verso la dittatura. Da qui l'introduzione delle nefaste "leggi fascistissime" con le quali il governo impose il bavaglio all'opposizione politica nonché ai mezzi d'informazione. Non fu però una rivoluzione come lo squadrismo avrebbe desiderato. O meglio, non fu solo attraverso la violenza squadristica che Mussolini raggiunse i propri obiettivi. Onde evitare una presunta degenerazione del dibattito politico, il governo promulgò una serie di leggi che fornivano poteri draconiani ai prefetti, dando loro la possibilità di arrestare cittadini e sospendere attività a monte del coinvolgimento della magistratura. La facilità con cui Vittorio Emanuele III firmò tali decreti e l'efficienza con cii i prefetti assolsero i propri compiti sono di per sé segno evidente dell'ampio consenso su cui il giovane Presidente del Consiglio Benito Mussolini poteva già contare. Con il Testo unico pubblica sicurezza, introdotto nel novembre 1926, lo svuotamento dei diritti democratici nell'Italia liberale fu pressoché completo.In n telegramma circolare a tutti i prefetti del Regno d'Italia, spedito il 5 gennaio 1927 e diffuso pubblicamente attraverso la stampa, Mussolini mise in chiaro che cosa si aspettasse da loro. Fu una delle prime occasioni in cui utilizzare l'espressione "Prefetti fascisti", e in quel ruolo li invitò a farsi " tutela dell'ordine morale" e a "prendere tutte le iniziative che tornino di decoro al regime, o ne aumentino la forza e il prestigio, tanto all'ordine sociale, così come in quello intellettuale". Più interessante ancora una lettera riservata di qualche mese più tardi [aggiunta mia da nota 30.09.1927]. In questo caso Mussolini tenne a ribadire la sua intenzione di tenere sotto il proprio controllo ogni attività censoria. Ordinò infatti ai prefetti di "non assumere iniziativa alcuna di divieti o sequestri giornalistici senza la mia preventiva autorizzazione che giungerà esclusivamente per mezzo del Capo Ufficio stampa del governo".Un esempio della collaborazione tra Mussolini e le prefetture italiane ci viene da Torino. Come si diceva in apertura, Mussolini non riteneva i libri uno strumento particolarmente pericoloso. A capo di una delle nazioni con il tasso più alto d'analfabetismo dell'Europa occidentale, egli sapeva benissimo che l'editoria si rivolgeva a un pubblico elitario, ben distante dalle masse che lui mirava a guidare e a istruire. Detto questo, vi erano casi eccezionali cui era d'obbligo occuparsi. Uno di questi riguardò una delle figure più potenti e carismatiche dell'opposizione al fascismo: un giovane intellettuale torinese di nome Piero Gobetti.Nel 1922, a soli ventun anni, Gobetti poteva già considerarsi una voce ascoltata e temuta dell'antifascismo. Alla rivista "La Rivoluzione Liberale", fondata nel gennaio di quell'anno, Gobetti aveva fatto seguire la creazione di ma casa editrice, la Piero Gobetti Editore, con la quale contava di chiamare a raccolta le voci più lucide e più intransigenti dell'antifascismo. Maestri delle generazioni precedenti, come Luigi Einaudi, Giuseppe Prezzolini e Gaetano Salvemini, così come giovani intellettuali del calibro di Natalino Sapegno, Giovanni Ansaldo, Santino Caramella, Manlio Bosio e Augusto Monti, risposero alla chiamata. Si consideri inoltre la collaborazione di Gobetti nella veste di critico teatrale all' "Ordine Nuovo" di Antonio Gramsci, segno della sua attenzione verso il movimento comunista con il quale condivideva l'opinione che ormai solo un insurrezione popolare avrebbe potuto frenare lo scivolamento dell'Italia verso la dittatura fascista.I toni della critica di Gobetti al fascismo e il sarcasmo tagliente con il quale si riferiva a Mussolini rinvigorirono dopo la Marcia su Roma. Nel suo tentativo di mettere a nudo le radici più violente e illiberali del movimento, Gobetti osò sfidare apertamente la violenza squadristica. Esortò i propri compagni a considersi una sorta di "futura compagnia della morte", li incitò a prepararsi all'inevitabile persecuzione, e ai fascisti richiese pubblicamente "le frustate perché qualcuno si svegli, chiediamo il boia perché possa veder chiaro".Purtroppo non dovette attendere a lungo.Già durante i primi mesi al potere, un telegramma al prefetto di Torino, inviato il 6 febbraio 1923, non lascia dubbi sulle intenzioni di Mussolini, noepresidente del Consiglio, di utilizzare ogni mezzo legale a sua disposizione:Ordinole perquisire immediatamente redazione amministrazione giornale "RIVOLUZIONE LIBERALE" sequestrando schedari abbonati corrispondenza libri amministrativo. Contemporaneamente provvederà arresto nominato Pietro Gobetti e redattori provvedendo a denunciarlo autorità giudiziaria per intelligenza coi comunisti sovversivi. Attendo risultato operazione telegraficamente. Massima energia e durezza.
Questo pezzo è tratto da:
Mussolini censore
Storie di letteratura, dissenso e ipocrisia
Guido Bonsaver
Editori Laterza, ed 2013
Collana "I Robinson/Letture"
Prezzo 18,00€
- Posted using BlogPress from my iPad
No, dico!
RispondiEliminaIo ti penso moribonda o ad esequie già avvenute, ti sommergo di mails, cerco il tuo numero per ogni dove, mannaggiammè ed alla mia abitudine di non registrarli mai, e poi mi viene in mente di cercare il tuo blog, ma come dann si chiamava, Oltre il portone! No, DIETRO il portone! Nemmeno, ma come porc.. proviamo Sim Scrav, ed eccoti qua, fresca come una farfalla, che scrivi scempiaggini insensibile alla preoccupazione di chi è in angoscia per te.
Nun se fa così Scrav, nun se fa...