Fonte: Room Series |
Siamo su una stazione nello spazio dove hanno trovato rifugio gli uomini dopo una guerra che ha contaminato tutta la terra. Tutti gli occupanti hanno un solo comandante, chiamato Cancelliere, che fa si che vengano applicate le leggi. Chi non rispetta la legge viene condannato per i propri errori e le punizioni possono arrivare fino alla condanna a morte; solo nel caso in cui il colpevole sia minore di 18 anni viene processato, mandato in prigione e riprocessato al raggiungimento della maggiore età. Fra i giovani condannati c'è Clarke, che non vi dirò perché è stata condannata, ma che sta scontando la sua pena in attesa di essere processata e forse condannata. Negli ultimi tempi si stanno verificando strane cose sulla stazione spaziale. Prima si era portati a perdonare i delitti fatti in giovane età, a meno che non gravissimi, ora invece chiunque venga riprocessato si ritrova condannato a morte. Tutti finché non viene messo in campo un nuovo esperimento: i ragazzi che giacciono in prigione, o meglio 100 di loro, verranno inviati sulla terra per verificare che ora, a distanza di 90 anni, la terra sia nuovamente vivibile. Se sopravviveranno e confermeranno che si può tornare a casa la loro colpa sarà perdonata altrimenti avranno comunque scontato la loro pena. Questa è la storia del viaggio dei cento e di quello che trovarono sulla terra.
Diciamo che voglio lasciar depositare quello che ho letto, pertanto il mio non è un no definitivo ma solo un "ni", però vi invito a porre l'attenzione nel momento in cui lo leggerete, non l'estratto di oggi ma il libro, sullo scenario dipinto dall'autrice. Anche in questo caso ci sono caratteristiche originali che ricordano qualcosa di Ballard e altre di Orwell. Come al solito non credo che sia una scelta oculata, pensata e voluta ma, il libro, rispetto alla serie tv, mette in evidenza fattori interessanti come successe per Divergent. Ne riparleremo in recensione e, nell'attesa, attenti a ciò che piove dal cielo... non si sa mai!
Buone letture,
Simona Scravaglieri
CAPITOLO 1
Clarke
La porta scorrevole si aprì e Clarke capì che era giunta la sua ora.
Con lo sguardo inchiodato agli stivali della guardia, si fece forza in attesa dell’inevitabile ondata di panico, ma quando si alzò sui gomiti, scollando la maglietta dalla branda intrisa di sudore, provò invece uno strano sollievo.
Era stata trasferita in isolamento dopo aver aggredito una guardia, ma per Clarke non esisteva una cosa come la solitudine. Sentiva voci dappertutto. La chiamavano dagli angoli bui della sua cella. Riempivano il silenzio fra un battito del cuore e l’altro. Gridavano dai più profondi recessi della sua mente. Non desiderava la morte, ma se quello era l’unico modo per mettere a tacere le voci, allora era pronta a morire.
Era stata condannata per alto tradimento, ma la verità era peggiore di quanto si potesse immaginare. Se per miracolo l’avessero perdonata al processo d’appello, non sarebbe stata una vera consolazione. I suoi ricordi erano più opprimenti delle mura di una prigione.
La guardia si schiarì la voce e spostò il peso da un piede all’altro. «Detenuta 4098, in piedi, prego.» Era un ragazzo più giovane di quanto si fosse aspettata: l’uniforme abbondante gli cascava sul corpo smunto, segno che era stato reclutato di recente. Un paio di mesi di razioni militari non erano sufficienti ad allontanare lo spettro della malnutrizione che tormentava le navi spaziali più esterne e povere, la Walden e l’Arcadia.
Clarke trasse un profondo respiro e si alzò. «I polsi» disse il giovane prendendo un paio di manette dalla tasca dell’uniforme azzurra. Clarke rabbrividì al contatto delle dita di lui con la sua pelle. Non vedeva altre persone da quando l’avevano rinchiusa in quella nuova cella, figurarsi poi toccarle.
«Troppo strette?» le domandò lui, il tono brusco venato da una nota di compassione che le strinse il cuore. Era passato tanto tempo dall’ultima volta che qualcuno che non fosse Thalia, la sua ex compagna di cella e l’unica amica che avesse al mondo, le aveva mostrato un po’ di umanità.
Rispose di no con la testa.
«Ora siediti sulla branda. Il dottore sta per arrivare.»
«Hanno intenzione di farlo qui?» domandò Clarke con un filo di voce, come se le sue stesse parole le avessero seccato la gola. Se stava per arrivare un dottore, allora significava che non ci sarebbe stato nessun processo di appello. Tutto sommato la cosa non avrebbe dovuto sorprenderla. Secondo le leggi della Colonia, gli adulti venivano giustiziati subito dopo l’arresto, mentre i minorenni restavano confinati fino al raggiungimento dei diciotto anni, quando erano sottoposti a un nuovo processo che offriva loro l’ultima opportunità di perorare la propria causa. Tuttavia negli ultimi tempi la gente veniva giustiziata a poche ore dal processo di appello per crimini che, fino a un paio di anni prima, sarebbero stati perdonati.
A ogni modo stentava ancora a credere che lo avrebbero fatto lì, nella sua cella. In fondo, pur essendo un desiderio malsano, aveva sperato in un’ultima visita all’ospedale, dove aveva trascorso tanto tempo durante il suo tirocinio medico, un’ultima occasione di ritrovare qualcosa di familiare, fosse stato anche solo l’odore di disinfettante o il ronzio del sistema di ventilazione, prima di perdere per sempre la capacità di sentire qualcosa.
La guardia parlò senza guardarla negli occhi.
«Senti, devi sederti.»
Clarke fece qualche passo incerto e sedette con la schiena rigida sul bordo della branda. Sebbene sapesse che l’isolamento alterava la percezione del tempo, non riusciva a credere che fossero già passati sei mesi da quando l’avevano rinchiusa in quella cella. L’anno che aveva trascorso con Thalia e la terza compagna di cella, Lise, una ragazza dall’espressione arcigna che aveva sorriso per la prima volta il giorno che avevano portato via Clarke, le era parso eterno. Ma non c’era altra spiegazione. Quel giorno doveva essere il suo diciottesimo compleanno, e come unico regalo avrebbe ricevuto una iniezione che le avrebbe paralizzato i muscoli finché il suo cuore non avesse cessato di battere. A quel punto, il suo corpo senza vita sarebbe stato lanciato nello spazio, com’era consuetudine della Colonia, fluttuando per sempre alla deriva nella galassia.
Una figura si stagliò sulla soglia, poi un uomo alto e snello entrò nella cella. Malgrado la targhetta che portava sul bavero del camice da laboratorio fosse in parte coperta dai capelli grigi, lunghi fino alle spalle, Clarke non aveva bisogno di un distintivo per riconoscere il direttore sanitario, consulente medico del Consiglio. Aveva passato la maggior parte dell’anno precedente al Confinamento seguendo il dottor Bhatnagar come un’ombra, e non si contavano le ore in cui gli aveva fatto da assistente durante gli interventi chirurgici. Gli altri tirocinanti avevano invidiato l’incarico di Clarke e si erano lamentati del nepotismo quando avevano scoperto che il dottor Bhatnagar era un intimo amico di suo padre. O meglio, lo era stato prima che i genitori di Clarke fossero giustiziati.
«Salve, Clarke» la salutò l’uomo con garbo, quasi che si fossero incontrati nella sala mensa dell’ospedale invece che nella sua cella. «Come stai?»
«Meglio di come starò fra qualche minuto, immagino.»
Di solito il dottor Bhatnagar sorrideva alle battute sarcastiche di Clarke, ma stavolta fece una smorfia e si rivolse alla guardia. «Puoi toglierle le manette e lasciarci soli per un momento, per favore?»
La guardia esitò, a disagio. «Ho l’ordine di non perderla mai di vista.»
«Puoi aspettare fuori dalla porta» insistette il dottor Bhatnagar con malcelata impazienza. «È solo una ragazza di diciassette anni, disarmata. Credo di poter gestire la situazione da solo.»
La guardia evitò lo sguardo di Clarke mentre le toglieva le manette. Rivolse un cenno del capo al medico e uscì dalla cella.
«Voleva dire una ragazza di diciotto anni» osservò Clarke abbozzando un sorriso. «O si sta trasformando in uno di quegli scienziati pazzi che non sanno mai che anno è?» Suo padre era stato un tipo del genere. Dimenticava di regolare le luci circadiane nel loro appartamento e finiva per lavorare alle quattro di notte, troppo assorto nelle sue ricerche per notare che i corridoi della nave erano deserti.
«Hai ancora diciassette anni, Clarke» disse il dottor Bhatnagar con il tono calmo e rassicurante che usava con i suoi pazienti quando si svegliavano dall’anestesia. «Sei stata in isolamento per tre mesi.»
«E allora cosa è venuto a fare?» domandò lei, incapace di nascondere il panico che le incrinava la voce. «La legge stabilisce che dovete aspettare i diciotto anni.»
«C’è stato un cambiamento nei piani. È tutto quello che sono autorizzato a dire.»
«Quindi è autorizzato a giustiziarmi ma non a parlarmi?» Le tornò in mente il processo dei suoi. All’epoca aveva interpretato l’espressione accigliata del dottor Bhatnagar come una critica nei confronti del procedimento, ma adesso non ne era più tanto sicura. L’uomo non aveva detto una sola parola in loro difesa. Nessuno l’aveva fatto. Si era limitato a restare seduto in silenzio mentre il Consiglio dichiarava i suoi genitori, due degli scienziati più brillanti della Fenice, colpevoli di aver violato la Dottrina di Gaia, il sistema di regole stabilite dopo il Cataclisma per garantire la sopravvivenza del genere umano. «E i miei genitori? Ha ucciso anche loro?»
Il dottor Bhatnagar chiuse gli occhi, come se le parole di Clarke si fossero trasformate da semplici suoni in qualcosa di visibile. Di grottesco. «Non sono qui per ucciderti» disse in tono sommesso. Aprì gli occhi e indicò lo sgabello ai piedi della branda di Clarke.
«Posso?»
Vedendo che Clarke non rispondeva, l’uomo si avvicinò e sedette di fronte a lei. «Mi fai vedere il braccio, per favore?» Clarke si sentì stringere il petto in una morsa e faticò a respirare. Il medico stava mentendo. Era un metodo crudele e contorto, ma sarebbe tutto finito in meno di un minuto.
Tese il braccio. Il dottor Bhatnagar si frugò nel taschino del camice e trasse una piccola garza dall’odore pungente. Clarke non poté trattenere un brivido quando l’uomo le passò la garza imbevuta di antisettico sull’interno del braccio. «Non temere. Non ti farà male.»
Clarke chiuse gli occhi.
Rammentò lo sguardo disperato che Wells le aveva rivolto mentre le guardie la scortavano fuori dall’aula consiliare. Sebbene la rabbia che aveva minacciato di distruggerla durante il processo fosse ormai sbollita da tempo, ripensare a Wells le provocò una nuova ondata di calore che le pervase il corpo, come una stella morente che emette un ultimo lampo di luce prima di estinguersi definitivamente.
I suoi genitori erano morti, ed era stata tutta colpa di Wells.
Il dottor Bhatnagar le prese il braccio, e le sue dita le tastarono la pelle in cerca della vena.
Mamma, papà, sto arrivando.
La stretta del medico si rafforzò. Era il momento.
Clarke trattenne il fiato nel sentirsi pungere l’interno del polso.
«Ecco fatto.»
Clarke spalancò gli occhi di colpo. Abbassò lo sguardo e vide che un bracciale metallico le cingeva il polso. Provò a rigirarlo e trasalì quando si sentì trafiggere la pelle da una dozzina di sottilissimi aghi.
«Che cos’è?» domandò terrorizzata, ritraendo il braccio.
«Rilassati» disse lui con una calma irritante. «È un transponder di parametri vitali. Serve a monitorare la respirazione e la composizione del sangue, e a raccogliere tutta una serie di altre informazioni utili.»
«Informazioni utili a chi?» ribatté Clarke, anche se avvertiva la risposta del medico prendere forma nel nodo di terrore che le attanagliava le viscere.
«Ci sono stati alcuni interessanti sviluppi» disse il dottor Bhatnagar con un tono che ricordava vagamente il padre di Wells, il Cancelliere Jaha, quando teneva uno dei suoi discorsi nel Giorno della Memoria. «Dovresti essere molto orgogliosa. È tutto merito dei tuoi genitori.»
«I miei genitori sono stati condannati a morte per alto tradimento.»
Il dottor Bhatnagar le scoccò un’occhiata di disapprovazione. Soltanto un anno prima Clarke si sarebbe fatta piccola piccola per la vergogna, ma adesso sostenne il suo sguardo con fierezza. «Non rovinare tutto, Clarke. Hai l’opportunità di fare la cosa giusta, di rimediare allo spregevole crimine dei tuoi genitori.»
Risuonò uno schianto secco quando il pugno di Clarke colpì il volto del dottor Bhatnagar, seguito da un tonfo sordo quando la testa del medico batté contro la parete. Un istante dopo comparve la guardia e in men che non si dica aveva già bloccato le mani della ragazza dietro la schiena. «Tutto bene, signore?»
Il dottor Bhatnagar si alzò a sedere adagio massaggiandosi la mascella mentre scrutava Clarke con un misto di collera e ironia. «Se non altro adesso ho la certezza che saprai cavartela in mezzo a tutti quegli altri delinquenti quando arriverete lì.»
«Lì dove?» ringhiò Clarke, tentando di divincolarsi dalla stretta tenace della guardia.
«Oggi sgomberiamo il centro di detenzione.
Cento criminali fortunati avranno l’occasione di fare la storia.» La bocca del medico si piegò in un sorrisino compiaciuto. «Andrai sulla Terra.»
Questo pezzo è tratto da:
The 100
Kass Morgan
Rizzoli Editore, ed. 2016
traduzione di M. C. Scotto di Santillo
Prezzo 16,90€
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