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Quello che vi presento oggi è un vero e proprio libro da leggere ma sopratutto da vivere. Con questo in particolare, perché ne ha scritto più di uno, Aloe è arrivato fino alla rosa dei "magnifici sette dello Strega", poi inspiegabilmente è stato scartato a favore di altri. Trascurando il mio pensiero sulle modalità, alquanto bizzarre, di scelta dello Strega (non è questa la sede adeguata per discuterne) tralasciare di leggere questo titolo a mio avviso sarebbe un vero peccato. In un momento in cui, per accalappiare i lettori si predilige la letteratura d'effetto, questo lavoro di Aloe ci riporta indietro nel tempo, quando la letteratura teneva avvinghiati i suoi lettori con la magia della parola che restituisce alla fantasia di chi vive letteralmente quel libro non solo immagini ma sopratutto le descrizioni profonde e sentite delle emozioni. La storia è estremamente elementare, ma è la caratterizzazione, la selezione dei vocaboli e il ritmo del racconto che costruiscono il carattere dello scritto e che trasforma il suo ideatore un vero e proprio scrittore. Non servono grandi castelli o panorami mozzafiato le grandi storie che cambiano la vita di molti lettori, riservandosi un posticino nella loro anima forse per l'eternità, non hanno per forza necessità degli spazi illimitati; nascono come in questo caso in un cortile qualunque e in un posto qualsiasi in un tempo senza tempo. Perchè l'importante non è la scenografia esterna, bensì quella interiore che racconta dell'intimo dolore della crescita. Forse non ci saranno voli carpiati e nessuno vi potrà presentare questo scritto con quella orribile espressione "scritto di pancia", perchè questo è uno scritto intimo e silenzioso è una storia che non si urla ma che si sussurra in un orecchio e queste 200 pagine sono riuscite nell'intento di tenermi attaccata al libro per ben 3 ore senza avere nemmeno la voglia di prendere anche un bicchiere d'acqua. Se è avvenuta con me la magia, potrebbe avvenire anche a voi...
Buone letture,
Simona
1.
Da qualsiasi parte prenda questa benedetta faccenda, è sempre la parte sbagliata. Alle volte, da solo, a casa, seduto, me la ripasso in mente, come si faceva ai tempi della scuola, quando si doveva imparare a memoria una poesia. Leggevi un brano, posavi il libro, e ripetevi. Una terzina, una quartina. Poi riprendevi il libro e passavi alla successiva. Alla fine ripetevi tutto.
E come al solito qualche parola, un intero verso magari, non ti rimaneva a mente. Perché c'era qualcosa che nel ritmo ti fermava, che rimaneva appeso, e così non riuscivi ad andare avanti.
Ecco, esattamente così. C'è sempre qualcosa che sfugge. qualcosa che se non sta al suo posto la storia non prosegue, o se prosegue, prosegue a sbalzi, a spintoni. Fa salti di metri in metri, per poi tornare indietro. Che sia questo il vero andamento dei desidero? Mi chiedo.
Allora devi procedere con calma, ripassare i motivi, la struttura, le vicende, metterle una dietro l'altra, come se fosse una storia letta su un libro senza figure. E forse così puoi iniziare a fare il conto. A mettere il tre prima del quattro, e il trentasei dopo il trentacinque.
Altrimenti ogni elemento acquisisce un'ombra di disordine e le vicende, i tempi, le frasi inevitabilmente si intrecciano.Per questo motivo devo iniziare proprio così: anni fa conobbi una ragazza, si chiamava Vespa, eravamo vicini di casa. Abitavamo in un cortile interno di un palazzo di inizio secolo. Era un posto tranquillo. Io vivevo con mio padre.All'epoca era ancora in forze. Ogni mattina si alzava alle cinque si lavava sommariamente, indossava gli abiti che aveva già preparato la sera precedente, e usciva. Ore cinque e mezza usciva. Ci fosse il solleone o la neve. Lui usciva. Dove andava? Prendeva la strada che portava verso il centro e camminava, Ritornava dopo un paio di ore rinfrancato e sorridente.Io a quell'ora ero ancora pieno di sonno. Mi aggiravo per casa, lui invece, vigoroso e abile, entrava dalla porta - Ancora in questo stato! mi diceva a voce sostenuta - e andava in poltrona a leggere il giornale. Mi ero svegliato da un paio di minuti. In quale altro stato potevo trovarmi?La nostra casa si affacciava su un ballatoio lungo e stretto. Fuori dalla porta avevo sistemato un tavolino di ferro e una sdraio.Ammonticchiavo i giornali sul tavolino. Giornali e libri, e quando le giornate iniziavano a diventare tiepide me ne stavo pomeriggi interi a leggere fuori. Devo dire che ne traevo grande piacere.Delle volte distoglievo gli occhi dal libro per seguire certe evoluzioni di gatti. Ce n'erano parecchi in quel caseggiato. Dalle forme più stravaganti. Sembravano sempre in guerra. Bande rivali. Lanciavano urla di sfida, lottavano. Ma bastava un gridaccio per disperderli. Dopo di che li vedevi sciamare sulle scale, sui ballatoi, addirittura fuori dal portone.Fu proprio durante uno di questi pomeriggi che li vidi, marito e moglie, arrivare con la loro bella macchina grigia, seguiti da un camioncino. Era piena estate.Avevano comprato la villetta a due piani che copriva il lato occidentale del cortile. Non c'ero mai stato dentro, ma da fuori, in quel suo bel giallo antinebbia, mi sembrava accogliente, specialmente per una coppia di giovani sposi. La casa dove si possono ricomporre alcuni torti e godere di incessanti passioni.
Il libro da cui è tratto è:
La logica del desiderio
Giuseppe Aloe
Giulio Perrone Editore, ed 2011
Collana "Hinc"
Prezzo 13,00€
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