venerdì 22 luglio 2011

“Sezione suicidi”, Antonin Varenne - Quando la traduzione tradisce l’origine di chi l’ha fatta...


Immagine presa da qui


Questo libro mi ha riappacificato con Einaudi. E’ un giallo-noir, è costruito bene e credo che la fascetta non sia nemmeno da prendere in considerazione. Lo sò non c’entra nulla con la presentazione del libro, ma è una cosa che mi preme dire come anche “Buttate tutte le recensioni provenienti da scrittori e giornalisti ove si paragoni questo scrittore con la Vargas” è un’eresia e un’offesa per Varenne!

Sembra che per far leggere un nuovo scrittore sia per forza necessario catalogarlo come l’ater ego di Vargas quello che scrive nella terra di Maigret. Non serve non è necessario e in più non corrisponde a ciò che vi apprestate a leggere se vi avvicinate a questo libro. Come nella maggior parte della tradizione della letteratura francese e anche nella filmografia, non c’e’ una grande necessità di avere grossi colpi di scena per avere comunque un risultato ottimale e in questo Varenne è un maestro.

Il suo protagonista è un commissario di cui la polizia non ha potuto attuare l’epurazione sperata perchè ritenuto colpevole del suicidio di un collega ma che è stato relegato nella sezione Suicidi. E qui comincia l’interessante di questo approccio. La sezione suicidi è un angolo morto. Lì si indaga il minimo necessario che è dato per stabilire perché ci si ammazza, come lo si è fatto, sentire se ci sono state omissioni. Se c’e’ un minimo dubbio che non sia suicidio il caso passa ad un altro ufficio, la sezione omicidi. Quindi Varenne sceglie di partire da un uomo chiuso in un angolo dal quale non riesce ad uscire. Per complicare più le cose gli mette accanto un assistente che è molto creativo nell’approccio con gli altri e con i parenti delle vittime, tanto da sembrare un sempliciotto e narra la sua storia, ovvero, la voglia di riscatto del commissario in questione, continuando a descrivere la sua routine quotidiana. Lenta, inesorabile, fatta di chiamate in lacrime, di lampeggianti della polizia e dell’ambulanza e di medici legali che hanno visto talmente tanti morti da non impressionarsi più. E la cosa più sorprendente è che ogni caso sembra il principale, che invece si muove sotto tutti gli altri in silenzio e facendosi intravedere ogni tanto come una persona che cerchi di passare inosservata fra la gente e ogni tanto se ne veda fra i corpi ammassati ora un braccio, ora un pezzo di testa e via dicendo.

E’ una magistrale gestione degli intrecci che viene man mano svolta in meno di 300 pagine, con un linguaggio scorrevole e tenendo sempre il ritmo. E’ la dimostrazione che la semplicità che non ricerca il colpo di scena alla “Thriller dell’ultima moda” può essere più accattivante di quel che si pensi. Tutti i personaggi, tanti per dir la verità, sono descritti debitamente senza lasciare apparenti zone d’ombra. Si ferma a descrivere tutte le vittime i luoghi e i parenti e il lettore rimane appeso sempre con il dubbio del “suicidio o omicidio?” ed è la classica tensione che ricorda i casi dei grandi giallisti. E’ vero il protagonista lascia al suo personaggio il modo di muoversi e l’ambito in cui vive con caratteristiche tipiche del noir, ma nulla a che vedere con la Vargas più intenta nella delineazione dell’ambiente che crea “il caso” che nel “caso” stesso. In questo testo invece l’ambiente è un palcoscenico che viene descritto per tutto il libro e sul quale gli attori si muovono vivono e muoiono e interagiscono e nei loro movimenti mentre sono con il faro puntato, per mettere in evidenza ciò che fanno in scena, lasciano intravedere il fondale.

“Sì, Simò ma perchè quel titolo per la recensione??” Direbbe una mia amica. Semplice. C’e’ un’unica pecca in questo libro ed è un solo termine che stona con tutto il resto ed è una esclamazione “Ostia!”. Per chi non è del nord e che non ha mai avuto l’occasione di sentire questo termine che è un intercalare tipico, mi sembra del nord-est, questo termine , nello specifico io l’ho sentito pronunciare come “Osti” viene usato come sostitutivo di “diamine!”, “accidenti!” e via dicendo e suppongo che nell’intercalare contemporaneo sia anche un termine dialettale in disuso fra i giovani. Ma quel che ho detto alla fatina della lettura lo dico anche a voi:

“Ce lo vedete nel sud della Francia, un nonnetto (di quelli che hanno sempre una storia sulla guerra da propinarvi) in una piazzetta di un paesino, assolata e silenziosa, in un pomeriggio estivo e caldo, seduto al bar del paese che vedendo arrivare in lontananza una macchina per le stradine strette di paese (con la marmitta bucata che fa un rumore assordante e rovina la poesia tutta provenzale del momento) esclama “Ostia??”

A voi l’ardua sentenza ma il libro, nonostante questo, rimane un imperdibile per gli amanti del genere!



Sezione Suicidi
Antonin Varenne
Einaudi Editore, ed 2011
Collana “Stile libero Big”
Prezzo 18,00€



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