Alfonso Cruz Fonte: Wook |
Ve ne ho parlato venerdì di " La bambola di Kokoschka" e oggi, giusto per battere il ferro finché è caldo, vi faccio sbirciare il primo capitolo. E' un puzzle di vite e di vicende che va sbrogliato leggendo il libro dall'inizio alla fine, un po' come l'ha concepito l'autore. A Roma a Dicembre, in una intervista rilasciata ai blogger, a domanda diretta, ha spiegato di aver costruito le storie quasi simultaneamente e che queste alla fine si sono riunite naturalmente. E, in effetti, ci sta; il racconto ricostruisce la scena finale passo dopo passo creando nel lettore l'effetto di aggirare il tempo e lo spazio mentre, quando lo guardi alla fine, tutto insieme, il tempo non è stato modificato o artefatto. La storia ha seguito passo dopo passo il tempo che scorreva, ma la realtà del lettore sembra rimanere ferma mentre i fotogrammi di queste vite gli scorrono davanti.
Questo permette all'autore di tessere i fili di tutte le vite dei personaggi incastrandoli in una tela ramificata e perfetta che alla fine ti ammalia. È un lavoro complesso ma davvero affascinante che, difficilmente, non vi lascerà incantati.
Con il capitolo dell'estratto di oggi siamo a Dresda, sotto assedio. C'è un negozio di uccelli, il cui proprietario è Bonifaz Vogel. Non è che lui volesse proprio il negozio, ma i suoi parenti sono tutti morti e quindi il negozio è rimasto a lui che, tutte le mattine, si alza, si lava e si veste e va in negozio. Entra, fa le pulizie e si siede sulla sedia di paglia ascoltando i trilli dei canarini. Poi un giorno, il pavimento parla, poi comparirà un ragazzo e poi anche una donna. Ci sarà un'altra città, che verrà dopo una notte di tantissime bombe e poi tanto altro.
In fondo all'estratto ci sono i riferimenti di questo libro.
Buone letture,
Simona Scravaglieri
La voce che proviene dalla terra
All'età di quarantadue anni, o più precisamente due giorni dopo il suo compleanno, Bonifaz Vogel cominciò a sentire una voce. All'inizio pensò che fossero i topi. Poi, pensò di chiamare qualcuno per liberarsi dai tarli. Qualcosa glielo impedì. Forse il modo in cui la voce glielo aveva ordinato, con l'autorevolezza delle voci che ci abitano più profondamente. Sapeva che tutto ciò che succedeva nella sua testa, ma aveva la strana sensazione che le parole venissero su dal parquet e passassero attraverso di suoi piedi. Provenivano dalle profondità della terra e riempivano il locale che ospitava il negozio di uccelli. Bonifaz Vogel indossava sempre i sandali, anche d'inverno. Sentiva le parole intrufolarsi tra le unghie ingiallite, tra le dita che si contraevano, e si sforzava di ascoltare frasi intere che sbattevano contro le piante dei suoi piedi, si arrampicavano sulle sue gambe bianche e ossute e rimanevano prigioniere nella sua testa grazie al cappello. Provò più volte a toglierselo, per qualche secondo, ma si sentiva nudo.
I capelli di Bonifaz Vogel, molto soffici, erano sempre pettinati, bianchissimi, e sormontati da un cappello di feltro (che alternava, d'estate, con un altro cappello più leggero).
Passava le sue giornate seduto su una sedia in paglia di Vienna che uno zio gli aveva portato dall'Italia.
Ci si era seduto il duce, gli aveva detto suo zio.
Il giorno in cui ricevette la sedia come regalo di compleanno, Bonifaz Vogel la provò e gli piacque. La trovò confortevole, era un bel pezzo d'arredamento, con delle gambe robuste. La prese, la sollevò sopra la testa e la portò nel negozio di uccelli. Un pappagallo fischiò al suo passaggio e Vogel sorrise. Posò la sedia vicino ai canarini e si sedette sotto ai trilli, lasciando che gli riempissero la testa di spazi vuoti.
Quando gli uccessi cantavano con maggiore intensità, Bonifaz Vogel se ne stava buono per paura che, se si fosse alzato, avrebbe battuto la testa sui trilli belli.
Questo pezzo è tratto da:
Alfonso Cruz
La Nuaova Frontiera, ed. 2016
Traduzione a cura di Marta Silvetti
Collana "Liberamente"
Prezzo 17,00€
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