mercoledì 31 agosto 2016

[Dal libro che sto leggendo] L'anima di Hegel e le mucche del Wisconsin. Una riflessione su musica colta e modernità

Fonte: Wise society


Devo dire che, un tempo, ero più brava a scegliermi i titoli da leggere e da comprare: in parte perché tenevo ben saldi i riferimenti ai filoni a cui associavo i libri da prendere, questo è legato ad un percorso di lettura sull'estetica della musica, in parte perché mi lasciavo meno affascinare da copertine e titoli o dagli scrittori. Che Baricco fosse un buon saggista era cosa che mi era nota ma che fosse stato critico musicale invece è stata una vera e propria scoperta.

Se poi a questo ci si aggiunge una penna decisamente pertinente e particolarmente talentuosa nel descrivere con poche parole, persone, fatti o atteggiamenti, il saggio scritto con sincera onestà e fuori dai denti è servito. Il Baricco di queste righe non fa sconto a nessuno, dalla critica fino allo snob ascoltatore domenicale ognuno ha colpe e meriti nella marcata differenziazione fra musica "colta" e musica "leggera". 

Se dopo aver letto queste righe vi verrà voglia di leggere questo saggio sappiate che:
- c'è un'introduzione alla Baricco-complicato: non fatevi spaventare, leggetela e poi rileggetela alla fine del libro. La prima volta vi aiuterà a capire a cosa si riferisce con musica alta o colta o contemporanea e la seconda vi servirà per capire le spiegazione della logica che lo ha mosso prima a scrivere e poi a mettere insieme questi quattro saggi.
- la restante parte del libro scorre che è una bellezza, quindi è una lettura decisamente piacevole.
Sappiate che è i circolazione una edizione più recente della mia che vi segnalo in fondo al post.

Buone letture e buon mercoledì!
Simona Scravaglieri
1. L'IDEA DI MUSICA COLTA


Analogamente a quelli di certi immensi imperi del passato, i confini della musica colta hanno un che di ipotetico e insieme di certissimo. Nessuno sa bene dove sono, ma è chiaro che da qualche parte ci sono. Si dà per scontata una geografia dell’esperienza musicale che disegna e sancisce frontiere ineludibili e meticolose: quelle per cui, comunque la si rigiri, a Brahms e ai Beatles competono paesaggi e idiomi differenti. Ma le mappe di un simile mondo rimangono vagamente fiabesche, volutamente imprecise e sempre provvisorie. Con imperturbabile ed efficace ottusità le usa l’industria culturale, facendole passare per vere, e disegnando su di esse una spartizione di mercati che ha ormai rivelato una sua felice funzionalità. Quanto al pubblico, si adegua di buon grado, rassicurato da un sistema che dà ai suoi bisogni un utile ordine, non dissimile da quello già sperimentato nella lieta frequentazione dei supermercati. 
Come spesso accade, anche qui l’infondatezza del sistema non incrina la sua funzionalità: conformemente a un verdetto che perfino la filosofia, che è la scienza dei fondamenti, si è rassegnata ormai a controfirmare. Come spesso accade, però, anche qui si fa strada la tendenza a dimenticare l’infondatezza di partenza tributando alla convenzione un preciso valore di verità. In tale operazione si distingue, per pervicacia e pedanteria, il consumatore di musica colta. È lui, più di qualsiasi altro, che teme un rimescolamento delle carte e che tende dunque a considerare l’ordine stabilito come un a priori indiscutibile, e vero. Il perché è elementare: del mondo della musica il consumatore di musica colta è convinto, non completamente a torto, di abitare la Svizzera: un'oasi nel mare della corruzione del gusto. Nel difendere l'ordine stabilito egli difende  la propria diversità e il proprio primato.
Più di quanto si sia disposti in genere ad ammettere, si tratta in verità di una crociata  tanto energica quanto cieca: il consumatore di musica colta difende qualcosa che non conosce. Come in certo immensi imperi del passato, anche qui è più facile trovare qualcuno disposto  a combattere per i confini del regno che qualcuno che quei confini li abbia visti. Sulla diversità della musica colta e sul suo supposto primato culturale ci si interroga raramente e con blando rigore: ridotti a slogan senza fondamento fanno da guanciale teorico ai sonni del perbenismo in abbonamento. Perfino i teorici di professione mostrano un qualche imbarazzo ad abbozzarne una plausibile legittimazione. Perché mai dovrebbe essere in grado di farlo la gente?
Se si chiedesse alla gente, alla gente dei concerti, cosa mai distingua la musica cola da quella popolar-leggera, Berio da Sting e Vivaldi da Elvis, ci si farebbe un'idea sui mille equivoci che circolano attorno alla faccenda. È facile presumere che con quella intelligenza sintetica che è la controparte della desuetudine a riflettere, la gente metterebbe a fuoco alcune argomentazioni- base del tipo "la musica colta è più difficile, più complessa", oppure "la musica leggera è un fatto di consumo e basta, quella classica invece ha un contenuto, una natura spirituale, ideale". Frasi come queste condividono con qualsiasi altro luogo comune il privilegio di pronunciare, in modo falso,  qualcosa di vero. Vi si riconoscono le due facce di un'unica convinzione: la musica colta deve la sua diversità e il suo primato alla capacità di evadere - grazie alla superiore articolazione del suo linguaggio - dai confini dell'immanenza, introducendo in un al di là non ben identificato ma comunque coniugabile approssimativamente con parole come cuore, spirito, verità. Prima di chiedersi se tutto ciò sia vero o falso, non è inutile cercare di capire come ci si è arrivati. Come tutti i pregiudizi, anche questo ha una sua storia da racontare.
Non è illecito affermare che dobbiamo la creazione al romanticismo: e più precisamente al suo promartire: Beethoven. È probabile che egli abbia svolto una funzione, nella storia della musica, affine a quella che, nella storia ella filosofia, Nietzsche attribuiva a Socrate: quella di sacralizzare una pratica fino ad allora squisitamente laica, per non dire commerciale. Ciò che accadde con Beethoven è che per la prima volta, e sotto la legittimazione del genio, si sovrappongono tre significativi fenomeni:
1) Il musicista mira a evadere da una concezione semplicemente commerciale del suo lavoro;
2) la musica ambisce, anche esplicitamente, a un significato spirituale e filosofico;
3) la grammatica e la sintassi di quella musica raggiungono una complessità che sfida spesso le capacità ricettive di un normale pubblico. 
Come si vede i tre differenti tasselli sono saldamente tenuti insieme dal fatto di legittimarsi a vicenda: isolato dagli altri, ciascuno di essi non sarebbe altre che una vacua ipertrofia. 

Questo pezzo è tratto da:

L'anima di Hegel e le mucche del Wisconsin. 
Una riflessione su musica colta e modernità
Alessandro Baricco
Feltrinelli Editore, ed. 2009
Collana "Economica universale Feltrinelli"
Prezzo 6,50€

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