domenica 31 marzo 2013

L'ha detto...Maurice Ravel

Fonte: Genteman_One


Sento che la musica deve toccare le emozioni prima, e l'intelletto poi. 
Maurice Ravel

domenica 24 marzo 2013

La tv dei lettori... Alessandra Casella e BooksWeb!

Questa domenica niente lezioni, anche se ho scoperto che fanno il tutto esaurito. Questa volta parliamo di un progetto, un bellissimo progetto che si chiama "BooksWeb". Dall'intervista della fondatrice di questo sito che è Alessandra Casella vi accorgerete che il format è diverso da quello offerto solitamente dalla televisione, BooksWeb è dedicato ai libri e agli scrittori ed è fatto per i lettori e solo questo trova spazio dentro queste interviste. Chi intervista conosce a perfezione il libro di cui si pala come lo scrittore e, non credo di poter essere smentita, oggi è cosa quantomai rara. A me piace entrare in questo piccolo salotto e lo propongo a voi con questa bella intervista a Carmen Covito famosa per un suo precedente libro che è "La bruttina stagionata" e che qui presenta il suo nuovo lavoro "Le ragazze di Pompei".
Buona visione e buone letture,
Simona Scravaglieri





Il libro di cui si parla nell'intervista è:

Le ragazze di Pompei
Carmen Covito
Barbera Edtore, ed. 2012
Collana "Centocinquanta"
Prezzo 13,00€

venerdì 22 marzo 2013

"Manuale di sopravvivenza per ragazze in crisi (Economica)" Sara Lorenzini alias Neve Morante - Decrescita felice...

Fonte: Psicologi-Italia

Mi sento un po' eretica a parlarvi di questo libro dopo aver citato Gadda, Pedullà e via dicendo. Ma la questione è che, questo libello elettronico, mi è capitato fra le mani per puro caso nella sua forma digitale e che l'ho trovato decisamente interessante. Non serve avere una laurea per capire di cosa si tratta ma, trovo utile specificare che è un "di cui" di un libro precedente che si chiama "45 Metri quadri - La misura di un sogno". Nel libro precedente si narra la storia di una giovane ragazza che dal Molise si trasferisce a Roma per trovare buone opportunità di lavoro e che invece trova un posto part-time in una agenzia di viaggi ed è così costretta a migrazioni tra una stanza in affitto e l'altra finché, alla morte dell'adorato nonno, scopre che le ha lasciato in eredità un piccolo gruzzolo che, dopo lunghe ricerche, le permetterà di comprarsi appunto una casa da 45mq. La storia è anche carina, raccontata così ma io mi sono imbattuta prima nel manuale, che è in vendita a 0,00€, attratta dal titolo e dalla geniale impaginazione della copertina e quindi oggi vi parlerò proprio di questo.

Non che sia una "Ragazza in crisi", ma trovo sempre utile trovare nuove forme di "guadagno" e , come sostiene anche l'autrice, anche "il risparmio è una forma di guadagno". Nello svolgersi dei capitoli ci sono numerosi riferimenti al libro principale ma ci sono, anche e soprattutto, una sorta di vademecum, che personalmente ho trovato molto concreti e non buttati lì a caso, che hanno una struttura ben precisa (e senza riferimenti farlocchi) sopratutto spiegati con estrema semplicità. E' un manuale nato con le motivazioni di chi ad un certo punto è stata costretta a fare economia anche sull'impossibile per poter arrivare a fine mese e, se anche non riusciamo ad attuare  tutto questo mantra del risparmio, possiamo comunque cogliere un sacco di spunti per poterci auto-gratificare nella nuova *moda* del momento, quella che io chiamo la "Modalità povera". E' una sorta di inversione di marcia e di decrescita felice in cui l'obiettivo del giorno non è accumulare per sentirsi felici di possedere cose che non ci servono, ma sapere che, per quello che non si è acquistato, si sono racimolati soldi per qualcosa di più grande: insomma una sorta di tessera punti personale che ci permette di fissarci obiettivi concreti e veramente desiderati.

Probabilmente questa guida mi è piaciuta tanto perché anche io ho attraversato una fase simile, dovuta a questioni di salute e non di soldi. Quindi il mio momento di decrescita felice l'ho avuto con l'adozione di alimenti vegani e di autoproduzione che mi hanno liberata per parecchio tempo dalla schiavitù del supermercato, regalandomi non solo la possibilità di accedere a "gusti nuovi" ma anche di trarre giovamento da quel che mangiavo e l'enorme soddisfazione di poter dire "Questo l'ho fatto io!". Quindi proprio per questo motivo, e per lo stile confidenziale e poco formale in cui è scritto questo manuale, lo consiglio a chi vuole fare una lettura alternativa, perché al di là del consiglio e della relativa spiegazione è veramente piacevole da leggere, anche per gli uomini. Si passa dal metodo dei coupon per fare gli acquisti vari al riuso di oggetti vecchi fino ad arrivare a guadagnare con la rivendita del proprio usato o di quello comprato apposta per essere rivenduto. Una miriade di consigli utili che permettono a tutti di organizzarsi con il minimo impiego di tempo e con la massima resa e soddisfazione di chi si cimenta.

Un consiglio in più mi permetto di darvelo io, anche perché nel testo non c'è e la protagonista è un'amante dei viaggi e io della lettura e quindi, nel mio campo, mi permetto di pensare di avere più occhio. Come detto nella mia bacheca FB quando l'ho preso, lo stile in cui è scritto fa venire voglia di comprare anche il libro precedente. Si da il caso che, quest'ultimo, sia in formato cartaceo e in digitale ma, il primo, con gli sconti lo trovate a 13,52€ mentre il secondo a 9,90€ che, come detto più volte, per me è un prezzo spropositato per un ammasso di bit. Tenendo conto che il digitale non si può rivendere e in deroga a tutte le regole citate in questo manuale una cosa che non si può rivendere o scambiare son soldi buttati, quindi vi consiglio di acquistare la versione cartacea. Se la differenza fra i due formati fosse stata veramente importante avrei fatto l'opposto, ma in regime di decrescita felice, anche queste piccole accortezze contano eccome!

Buone letture,
Simona Scravaglieri

Manuale di sopravvivenza per ragazze in crisi (Economica)
Sara Lorenzini alias Neve Morante
Mondadori Editore, ed. 2013
Prezzo 0,00€

Fonte: LettureSconclusionate

mercoledì 20 marzo 2013

[Dal libro che sto leggendo] Carlo Emilio Gadda. Storia di un figlio buonoannulla


Carlo Emilio Gadda
Fonte: Università Cattolica del Sacro Cuore

Trascrivere questo "Dal libro che sto leggendo" è un po' un azzardo. Avrei potuto trascrivere la prefazione, ma credo che non avrei reso l'idea del particolare fascino che scorre in questo testo. E quindi ho scelto un piccolo pezzo del primo capitolo per farvi fare questo giro sull'ottovolante che ho frequentato qualche mese fa. Quando sarete in alto, vi sembrerà di carpire perfettamente il senso di ciò che Pedullà dice e, quando scenderete in basso, vi troverete a veder sparire una per una le vostre certezze. Ma come per Gadda e per le sue storie, anche Pedullà prevede delle vie di uscita: Alcune sono situate alla fine del capitolo, dove velatamente suggerisce dei punti fermi e l'ultima, la decisiva, sta proprio alla fine. E se un saggio si potrebbe leggere anche selezionando i capitoli, far questo in "Storia di un figlio buonoannulla" non risolverà il rebus situato in questa frase, occorrerà arrivare sino in fondo per svelare il principio.
Un libro per veri duri? No, affatto, un libro per inguaribili curiosi che hanno voglia di innamorarsi di uno scrittore, che magari non conoscono, che potrebbe, con le sue "visioni", aprirci nuovi punti di vista.
Non ve ne pentirete,
buone letture,
Simona Scravaglieri

Svevo, Pirandello e Gadda sono tra quelli che sono "tornati a casa" dopo le guerre dell'Ottocento. Il Novecento s'è portato in casa i conflitti mortali. La famiglia nel nostro secolo ha compiuto stragi: specialmente parricidi e matricidi. Per lo più, in verità, con l'immaginazione. Non fu convocato infatti il criminologo, bensì lo psicologo, o più precisamente, lo psicanalista. Il corpo di Gonzalo è sano, il male è invisibile. Il corpo di Gonzalo è sano, il male è invisibile.
Sono stati mandati dal dottor Freud sia Svevo che Pirandello e Gadda, ma non confesseranno i loro segreti, ignoti d'altronde a loro stessi: specialmente i primi due. Il primo, Svevo, fu un paziente molto impaziente. Il terzo, Gadda, invece più che un paziente è un seguace. L'allievo ne quasi quanto il maestro. Ha fatto esperienza in casa. La famiglia Gadda era un terreno fertile per scoprire il segreto dei rapporti tra figli e genitori. Quella gaddiana è già una "famiglia che uccide". Carlo Emilio scriverà romanzi in cui i figli si prendono beffa o uccidono o delegittimano madri e padri. 
Il fatto ricorrente della sua narrativa è la beffa alla madre, un matricidio reale (Novella seconda), un matricidio psicologico (La cognizione del dolore), l'assassinino di una madre adottiva (Pasticciaccio). C'è una coazione a ripetere, potrebbe esserci un trauma. Il matricidio è solo un dato esterno: la sua radice è invisibile e affonda in un terreno fecondo e continuamente concimato. Cosa si può pensare di uno che uccide la madre? Se lo domandava Gadda: che non ha risposto in tre romanzi incompiuti. La Vecchia Signora muore per aver risposto male al figlio che l'adora. E' il conflitto mortale dei linguaggi materni e filiali. 
Gadda comincia con l'autobiografia come Savinio, come Tozzi e come l'ultimo Svevo. "Nascondono" invece fra mille fantasie la loro vita Pirandello, Palazzeschi, Bontempelli, Moravia, Landolfi, Fenoglio e D'Arrigo. Gadda non vuole nascondere nulla. E d'altronde è una necessità. E' un borghese, classe dominante, prepotente e decadente, ed è molto legat alla famiglia, cominciando dalla madre, personaggio che è già di suo è romanzesco. E' un uomo di transizione fra Otto e il Novecento: dall'oggetto al soggetto, dal meccanicismo alla probabilità, dalla casualità al caso, dall'unità alla scissione dell'io, atomo divis di inesauribile energia.
Girando sempre nei pressi della sua vita, Gadda fa vortice. La punta è indirizzata, più che verso il cuore, verso l'ombelico, o anche più giù. Non trascurate Eros e Priapo, coppia del più furioso testo di Gadda, antifemminista che fa coppia con antifascista. Ricordare: è colpa delle donne se sono nati tanti fascisti nella famiglia borghese.
Partendo dalla sua vita, da sua madre, dall'autobiografia, gadda ha trascinato dentro la propria narrativa tutto il secolo: la fisica dei quanti, la scissione dell'io, il flusso di coscienza, la quotidianità colloquiale, lo straniamento, la deviazione della norma, il poliprospettivismo, l'annegamento materico, la forma dell'informe, la libera associazione semantica. Un giorno, anzi, Gadda si rivolse persino al neoclassicismo, il linguaggio con cui torna al padre.
Un uomo d'ordine, egli ha provato anche con la letteratura "edificante": detto con l'ironia de "La Ronda". Naturalmente è tarato pure il ritorno all'ordine di Gadda. Le sue costruzioni non prevedono nemmeno più la figura del padre. Il genere umano, la continuità della specie, è a rischio nella narrativa di Gadda. Che però si sforza di innalzare un argine. Si sente l'urto dell'ondata che batte su ogni episodio dei romanzi gaddiani. Non è mai scomparso del tutto il "maroso" che apparve alle origini del narratore. Gadda è il cavallone e insieme il frangiflutto. 
Tre esperienze fondamentali nella vita - e nell'arte- di gadda: la borghesia, la guerra, il fascismo. Una cosa bella e due orrende. orrendi sono la borghesie e il fascismo, bella è la guerra. Gadda farà la guerra alla borghesia e al fascismo. Ci ha preso gusto: per lui infatti il fascismo è una questione di gusto. Non è bello il fascismo, che semmai è il brutto della borghesia. Il massimo della bruttezza è allora la borghesia fascista.


Carlo Emilio Gadda
Storia di un figlio buonoannulla
Editori Internazionali Riuniti, Ed. 2012
Collana "Navigazioni"
Prezzo 20,00€ 

domenica 17 marzo 2013

L'ha detto...Danilo Pennone


Fonte: Boofsbooks


I libri mi piacciono perché non strillano, sono silenziosi, eppure dicono un sacco di cose. Danilo Pennone

venerdì 15 marzo 2013

"Grazie, Jeeves", P. G. Wodehouse - Riflessioni....

Lyons Corner House, Tottenham Court Road, London 1934 by Wolfgang Suschitzky
Fonte: Steroge will do

L'anno in cui veniva scattata questa foto usciva il libro di cui vi parlerò oggi. Fa parte di una collezione denominata "I Jeeves" che ricsosse molto successo sin dall'uscita del primo libro nel 1922 e che è stata rispolverata dal Polillo Editore in una collana ad hoc che riporta il nome dell'originale. La motivazione per cui fu così gradita non è unanime ma rimane il fatto che, come cita anche Wikipedia, oggi ci rimane insieme al tipico umorismo inglese, di un uomo apprezzatissimo nel suo tempo, anche uno spaccato della vita e del modo di esprimersi di quel periodo che si situa fra le due guerre. Quello che infatti emerge leggendo Wadehouse è la sua spiccata propensione ai dialoghi tipica di un uomo che oltre ad aver scritto innumerevoli romanzi, umoristici e non, ha anche lavorato per il cinema e il teatro a lungo. La serie i Jeeves ha come protagonisti il "maggiordomo", saggio e estremamente signorile, Jeeves e il suo "padrone", l'egocentrico e decisamente maldestro, Bertie Wooster.
E come sempre avviene l'umorismo diventa il mezzo per mettere in luce non solo la differenza dei ceti sociali, ma sopratutto dei loro comportamenti che nella letteratura umoristica inglese è quasi un'usualità.

La storia è straordinariamente semplice, fin quasi troppo. Bertie Wooster ha una  passione per il banjoele e per questo viene quasi cacciato dal suo appartamento londinese; il suono  disturba i nervi della sua vicina di casa. Anche Jeeves non sopporta questo suo hobby e mette il suo padrone di fronte ad un bivio: o lui o il banjoele. Inutile dire che Wooster preferisce lo strumento e che decide, senza nemmeno riflettere, di trasferirsi in campagna nelle vicinanze dell'abitazione di un caro amico di scuola, Lord Chuffnell, che ha a sua disposizione un intero castello con tanto di paese annesso. Wooster andrà ad abitare un cottage sito di fronte al porto e sperando così di trovare finalmente l'agognata pace.   Invece, piomba nel tranquillo villaggio una famiglia di americani, padre con figlia in età da matrimonio ed ereditiera e il figlio più piccolo accompagnati da uno psicologo impiccione e spesso poco conciliante. Tutti si conoscono, molti hanno recriminazioni e antipatie o anche amori, e quel che hanno in comune di passato permette alla storia di continuare ad avere scene a sorpresa. Chiaramente, avendo spostato altrove la scena principale, alle dipendenze di Lord Chuffnel, compare anche Jeeves che, dopo esser stato scartato dal suo preferito, ha trovato lavoro da chi sembra apprezzarlo da una vita e compare qui e là per risolvere le varie situazioni ingarbugliate che si vengono a creare.

Quando ho messo il "Dal libro che sto leggendo" ho scritto che non era proprio tra i miei "preferiti". Sull'attimo, la motivazione era "lentezza nel far scorrere la storia" e l'eccessiva presenza di dialoghi, alcune volte ripetitivi. E in effetti anche oggi sosterrei tale tesi. Ma corre l'obbligo di analizzare anche lo stile che caratterizza questo testo al netto dei miei gusti. Infatti se si osserva con più attenzione questa storia ci si rende conto che, Wadehouse, scrive come se dovesse portare in scena questi testi e che, letti come tali e azzeccando le tonalità di chi parla, le frasi acquistano un altro sapore. Gli indizi ci sono un po' ovunque:
- numero di luoghi ben definito e mai eccessivo ovvero quattro;
- presenza di personaggi nelle scene clou tutti, ma in tempi adiacenti fra loro così da non affollare la scena; 
- dialoghi serrati che coinvolgono sempre un numero limitato di protagonisti;
- le scene secondarie non avvengono mai in presa diretta, ma vengono raccontate a posteriori;
- i personaggi secondari sono quasi inesistenti o ridotti a ruoli di mera presenza silenziosa nonostante alcuni di loro abbiano, per racconto di terzi, ampio spazio nella narrazione.
Questo fa sì che nella lettura, a meno di una immedesimazione quasi da attore, si finisca con il perdere la comicità dell'assurdo che viene man man proposta proprio perché tutte queste impostazioni diluiscono, nei dialoghi, i tempi della narrazione.

Rimane al lettore anche "il tema portante" della continua contrapposizione tra chi ha potere per questioni di sangue o di soldi e chi invece si deve guadagnare il pane. I primi riempiono la loro vita di immense futilità, crescono con la certezza di poter fare tutto senza il minimo impegno. Jeeves invece, oltre a fare il ruolo del classico "deus ex-machina", si propone come un conoscitore di letteratura, musica, bon ton e altro. L'insieme delle due facce della medaglia restituisce al lettore un'aristocrazia annoiata che, passando tra una cena e un ballo, cerca come può di passare il tempo di una vita che sembra scorrere sin troppo lentamente. Riflettendo questo libro mi fa pensare che dai tempi presi in giro dalla Austen fino all'epoca di questi scritti le cose non fossero poi molto cambiate e se la famosa scrittrice inglese si divertiva a prendere in giro le donne civettuole Wodehouse si sofferma a dipingere la caricatura della categoria maschile senza che il cambiamento di secolo abbia influito più di tanto sullo stile di vita generale di questi ceti imbalsamati.
In generale rimane una lettura per amanti del genere e completamente diversa da J.K. Jerome. Non è detto che a tutti piaccia, nel mio caso infatti non ha sortito l'effetto voluto , ma non mi negherò un altro libro della collezione per verificare se la questione risieda nella trama o nel modo in cui viene svolta.
E' comunque un autore della letteratura inglese che bisognerebbe conoscere.
Buone letture,
Simona Scravaglieri

  
Grazie, Jeeves
P.G. Wadehouse
Polillo Editore, ed. 2005
Collana "I Jeeves"
Prezzo 12,40€





mercoledì 13 marzo 2013

[Dal libro che sto leggendo] Castel Volturno. Reportage sulla mafia africana

Il libro del fotografo che firma la copertina di Castel Volturno,
Giovanni Izzo

Come accennato nella recensione di Venerdì ci sono saggi strettamente legati alla loro vena accademica e saggi invece nati con l'intento di raccontare e che quindi adottano uno stile meno formale. E' il caso anche di questo libro che vi ho già recensito a Febbraio qui: Castel Volturno. Il bello di questo tipo di libri è che non si pretende di far proseliti, non c'è l'obbligo didattico ma c'è solo uno sguardo disincantato su dei luoghi che si conoscono perché ci si è vissuti. Come è già successo in altri libri Nazzaro non racconta che improvvisamente questi luoghi sono diventati bellissimi e nemmeno che l'inferno sta in mezzo alla bellezza dello scritto. Eppure, certe storie, come avviene per questa di cui vi metto l'inizio ti rimangono sotto pelle e non tanto perché Kevin oggi può raccontare un passato che ha battuto, ma perché il resoconto di un inferno diventa come tutte le storie del sud e in particolare campane, un modo per imparare e ricordare il tutto senza far null'altro che leggere. Ci rimangono solo ed esclusivamente perché, attraverso il racconto fedele, diventano un po' nostre e Sergio Nazzaro anche questa volta compie la magia come negli altri libri.
Leggerlo è un modo per capire qualcosa che viviamo tutti, ma che solitamente non sappiamo vedere.
E se vi state chiedendo il perché dell'immagine è abbastanza semplice: Giovanni Izzo è l'autore della stupenda foto che è la copertina di questo magnifico libro quindi, visto che è da sempre narratore visivo di storie come queste e quando ho letto questo capitolo l'immagine di Kevin per me era quella della copertina di Promiseland ho pensato di suggerirla anche a voi.
Buone letture,
Simona Scravaglieri



Capitolo TerzoVergogno Me

Mi chiamo Kevin, ma il nome l'ho scelto quando sono arrivato in Italia. Come Kevin Carter, il fotografo suicida sudafricano. Quello della fotografia del bambino e dell'avvoltoio, Premio Pulitzer 1994. Quando non ha retto più si è ammazzato, non ho scelto a caso il suo nome. Se tutto andava male, avevo la mia via d'uscita, anche se non ho mai scattato una foto. Quando non hai un pezzo di carta puoi scriverli da solo i tuoi documenti. La differenza? nessuna. Se non lo ricordi a te stesso chi sei, alla fine lo dimentichi. Non ci sono tante persone che sanno chi sei, e se te lo dimentichi non puoi tornare indietro. Puoi solo andare avanti, arrivare, dopotutto, al grande villaggio di Castel Volturno. Ti racconto la storia vera del ragazzo che ero prima di diventare Kevin. Sono nato in un paese africano, ho imparato a contare, a leggere.Non sono mai stato nella periferia della mia generazione, ho sempre cercato di comprendere il mondo circostante. Avevo solo mia madre, non ho mai avuto una paternità biologica accertata, riconosciuta a livello giuridico. Mia madre lavorava in un istituto scolastico gestito da missionari. Una famiglia povera, di cinque figli, il cliché africano, ma non ci hanno mai messo su un poster di raccolta fondi della FAO, grazie a Dio. Mia madre perde il lavoro e cadiamo nel precipizio, Nel mio paese erano arrivate le grandi riforme strutturali del Fondo monetario internazionale. Quella crisi che voi bianchi sopportate oggi l'ho incontrata già tanti anni fa. Regole molto dure, che colpiscono anche gli istituti missionari che usufruiscono dei fondi statali. Un passo indietro del governo nazionale e si apre un precipizio. Abbiamo sofferto la fame, ma io studiavo in una buona scuola, almeno per i livelli del mio paese. Una scuola privata, perché tramite mia madre potevo accedere con una retta più bassa. Il precipizio? beh, comincio ad andare alla scuola pubblica e non più in quella privata. Se vuoi fare parte della feccia dell'élite del mio paese devi almeno studiare in una scuola privata. La scuola pubblica è per i poveri, ma allo stesso tempo è impossibile accedervi, perché tutti vogliono entrare e si deve pagare anche una retta. Mia madre ha provato ad inserirmi. All'epoca volevano l'equivalente di novecentomila lire, e mia madre quando lavorava ne guadagnava quattrocentocinquantamila. Erano gli anni del liceo. Mi dicono che rimango a casa, che per quell'anno al liceo non posso studiare, Non ho voluto arrendermi, e il primo giorno di scuola sono andato davanti ai cancelli a guardare gli altri ragazzi tutti con la divisa addosso. Io ero vestito con un paio di pantaloncini e i sandali. Davanti ai cancelli ho incontrato un amico, molto più grande di me, con cui giocavo a pallone. Lui faceva già l'università. Mi ha chiesto che cosa facessi lì davanti, e gli ho raccontato che per quell'anno non potevo studiare."Perché non me l'hai detto?""Che dovevo dirti, che non ho i soldi per la scuola?"

Questo pezzo è tratto da:

Castel Volturno
Reportage sula mafia africana
Sergio Nazzaro
Einaudi Editore, ed 2013
Collana "Passaggi Einaudi"
Prezzo 17,00€

domenica 10 marzo 2013

Luciano Canfora e la crisi politica ateniese

E' una lezione similare, per i temi anche se lo svolgimento era diverso, alla lezione di Dicembre tenutasi all'Auditorium di Roma e che ha aperto il ciclo "Lezioni di Storia" curato da Paolo Di Paolo e patrocinato da Laterza. Devo ammettere di aver cercato in lungo e in largo la registrazione di questa lezione che è stata più che avvincente e, invece, nonostante siano tutte lezioni molto seguite, non sono disponibili.
Pertanto ho ripiegato su questa e spero che vi piaccia come è piaciuta a me.
Però, a completamento di questa lezione, Luciano Canfora la settimana precedente al suo intervento all'Auditorium romano ha scritto un pezzo per Repubblica che vi segnalo e che trovate qui:


Buona visione e buone letture,
Simona Scravaglieri 




Qualche approfondimento sul tema della "democrazia" lo trovate riportato sul sito di Tecalibri:

Luciano Canfora
Ed. Laterza 2004

venerdì 8 marzo 2013

"Carlo Emilio Gadda. Storia di un figlio buonoannulla", Walter Pedullà - Quando, la soluzione del giallo, si nasconde nel titolo....

Fonte: Wikipedia

Quando rispondi "saggio" alla domanda "che leggi?", la gente storce un po' il naso. Se poi dici che alla fine l'hai trovato divertente e loro, occhieggiando il libro con fare fintamente distratto, scoprono che si parla di Gadda allora vedrai che il sopracciglio poc'anzi alzato col far di disappunto, si arcua di più. Però in questo caso, purtroppo o per fortuna per voi, è proprio così. La cosa che spesso non si sa è che ci sono due correnti della saggistica, quella classica che potremmo definire un po' di impronta accademica, e poi ce n'è un'altra sicuramente di matrice più contemporanea che invece si presenta ai suoi lettori in una forma meno formale. Ecco, questo saggio, si situa in mezzo a queste due correnti perché la prima volta che fu pubblicato, con il titolo "Carlo Emilio Gadda. Il narratore come delinquente" (Rizzoli Editore), era il 1997. Dopo più di dieci anni, Walter Pedullà, riprende in mano il suo lavoro e, come dichiara nell'introduzione "taglia, toglie e aggiunge" consegnando nel 2012, a Editori Riuniti, un saggio rinnovato anche nel titolo, "Carlo Emilio Gadda. Storia di un figlio buonoannulla", che in alcune parti è estremamente contemporaneo (quindi narrativo e quasi informale) e in altre tiene gelosamente conservata la memoria accademica.
E' stata una lettura di quest'estate, fra Luglio e Agosto, e mi ha impegnato per ben tre settimane, ma sono state settimane ben spese che, devo ammettere, un po' mi mancano.

La domanda successiva, a quella riportata all'inizio, è accompagnata dal sorrisino tra l'ironico e il sarcastico, era: "E, scusa, cosa ci sarebbe di bello? E poi Gadda quale?".  Sarebbe troppo bello poter guardare il mio interlocutore e con estrema nonchalanche rispondere: "Gadda? E' il mio vicino di casa!" ma ero talmente contenta dell'acquisto che avevo fatto, da aver la pazienza di tentare di spiegare di che cosa si trattava ben sapendo che, dopo 10 minuti di delucidazioni, mi sarebbe stato risposto risposto: "Ah! Quel Gadda! Mi spiace i saggi, io, non li leggo!". 
Invece, la parte più bella di questo libro è l'interazione fra colui che viene raccontato e il narratore, ovvero in ordine Gadda e Pedullà, che non potevano essere connubio migliore. Per prima cosa Pedullà conosce talmente a fondo il suo soggetto, che in alcuni punti arriva a parlarne come di un amico intimo e con l'entusiasmo di chi ha capito, una per una, le nevrosi da cui si è liberato Gadda stesso nel 1973 quando è morto. E' un po' come se fosse certo che quell'atto estremo, il suicidio, lo abbia liberato o forse sarebbe meglio dire "sollevato" da quelle nevrosi e che questa nuova situazione permetta che se ne possa parlare quasi divertendosi un po' su quello che per la durata di un'intera vita si era rivelato come molto spaventoso.
Per sintetizzare per quali "percorsi" Pedullà si avventuri per presentarci Gadda dobbiamo avvalerci di parole chiave altrimenti potremmo scriverci l'ennesimo trattato.

Parole chiave "Nevrosi e Caporetto": stato psicologico ed evento storico italiano.
Tra le cose che vengono fuori dal quadro dipinto da questo professore emerito è che le nevrosi di Carlo Emilio, latenti anche prima, diventano marcate dopo Caporetto, ma  anche, che l'esperienza stessa regala all'umanità uno scrittore che, non riuscendosi a rapportare con i suoi colleghi di brigata, cerca forme di comunicazione alternative e le trova proprio nella scrittura. E se la scrittura è la sua "forma camaleontica di ricerca di un linguaggio" che lo renda meno solo, tramite l'espressione in tanti dialetti, la "nevrosi" è quella che gli permette di evolvere come scrittore trovando una via di narrazione completamente diversa e che poi avrà il suo apice in "Quer pasticciaccio de Via Merulana".

Parole chiave "Racconti e policentrismo": forme di scrittura e molteplicità di visioni.
Un classico dei suoi lavori è il fatto che essi siano composti di racconti. Non è tanto una questione voluta in forma di arte ma, in buona parte, è rappresentazione della sua insicurezza che lo spingeva spesso a pubblicare parti del suoi libri, nel pensiero di verificare, sul suo pubblico, l'appeal di quel che scriveva. Ma la formula "racconto" in forma di capitolo risponde anche ad un altro bisogno di Gadda quello del policentrismo, ovvero di poter vedere alle cose e alle situazioni da più punti di vista. Questo non solo richiede un approccio quasi "cubista" alla costruzione della trama, ma spesso diventa anche il motivo per cui, nei racconti-capitoli, ogni personaggio ha il suo momento da protagonista. 

Parole chiave "Multilinguismo e meticolosità nella costruzione della storia"
Il fatto che ci siano tanti "protagonisti", o meglio che lo riescano ad essere quasi tutti, crea una situazione nuova. La democrazia del piano di importanza/visibilità crea la necessità di evitare di farli sembrare tutti uguali. E' da qui, e dall'ansia di essere "capito" nella propria visione, che nasce la ricerca di formule nuove di comunicazione. Forme, che si esprimono non solo nel racconto e nel policentrismo, ma che diventano "tangibili al lettore" con le differenti espressioni con cui i protagonisti parlano ovvero con "la lingua" che appartiene al proprio vissuto e sopratutto al proprio ceto. Così anche gli scenari diventano anche dichiarazione al lettore delle differenze fra borghesia e popolino, ma il punto focale, che porta alla luce proprio Gadda, è per certi versi estremamente pungente: all'algida visione del mondo borghese fatto di oggetti, belle case e discorsi leziosi e affettati nonché vuoti corrisponde un mondo multilinguistico, poliedrico e colorato, anche nella sofferenza dello sfruttamento borghese, che si riempie di colori e di vita nonché di saggezza acquisita con l'esperienza.

Parole chiave "La lezione manzoniana e la mamma"
Gadda amava tre cose, a detta di Pedullà. Una cosa passata "Manzoni", presente "sua madre" e una che si proiettava al futuro "Montale".
Passato e futuro, in qualche modo,  lo ripagano. Il primo rimanendo con lui accano in forma di lezione quando scrive: "Quando la storia (leggi trama) langue fai ricorso alla Storia (leggi periodo storico)". Ed è così che agisce Gadda, quando le sue storie lo portano ad un vicolo cieco perché ha voluto soffermarsi su minuzie e lo chiudono in un angolo come avesse deciso di dipingere un pavimento partendo dall'angolo della stanza sbagliato, è proprio alla Storia che si rivolge ed essa non lo tradisce mai. Invece, per Montale, la questione è diversa lo sente affine e ne ammira l'opera e a lui, per questo, permette cose che a nessun altro, a partire dai critici affezionati per finire dai colleghi, permette. Come quando Montale espresse qualche dubbio su un suo racconto. Lui, poteva.
E arriviamo al presente: la madre, matrona e matrigna che con due figli al fronte, quando muore il maggiore, si dimentica, nel suo dolore luttuoso, quasi dell'altro. La necessità da figlio di trovare l'approvazione diventa quasi una paranoia e anche se lei, ad un certo punto, si svegliasse da questo suo stato di rifiuto per un mondo che le ha tolto il figlio maggiore, la colpa di questa reazione primaria continuerebbe a torturare Gadda da giovane e anche da vecchio. E' anche la madre, insieme a Caporetto, a regalarci lo scrittore, che è anche ingegnere, ma che nella vita cerca la rivalsa in qualcosa, che non è certo come la matematica, e che fonda il suo fragile equilibrio sulle sfumature di significato delle parole e delle metafore. Ma Gadda diventa altro, diviene anche matricida, perché se il bene filiare non glielo permette nella realtà, perché la privazione fisica produrrebbe un nuovo dolore, la vendetta viene servita nelle varie rappresentazioni di queste donne che a volte, come ne la "Cognizione del dolore", vengono uccise e più spesso rappresentate nella loro tragicomica futilità.

Cosa rimane, quindi, in fondo? Il finale! Che però non è mai certo come pensavo. Perché dopo tutti questi aspetti che creano e restituiscono la complessità dell'anima gaddiana ce n'è ancora uno che è rimasto in sospeso e quasi nascosto anche ai lettori. Che dopo la sua morte, tra le carte che sono rimaste, c'era revisioni di tanti finali di romanzi che pensavo fossero definitivi e completi ma il loro autore non era dello stesso avviso. Questo perché Gadda, aveva la profondità della visione di quel che era veramente la differenza di classe e se anche la mano popolare si alzava per uccidere l'oppressore, cercava una mediazione che rendesse la scoperta del colpevole che aveva creato il giallo anche la vittima di tanto sfruttamento e prevaricazione. In una parola la vittima doveva essere più colpevole e il colpevole la vera vittima e la questione, ribaltando il risultato, aveva effetti svilenti sulla costruzione principale. E' questa sua ricerca di perfezione della trama e della giustizia sociale (e anche familiare) che lo portano a rivedere e ripubblicare il suo lavoro.

Questo è quello che ho letto io mesi fa. E Pedullà dichiara alla fine che, in fondo, questo saggio ha un segreto: la soluzione è nel titolo, ma solo leggendolo potrete svelare l'arcano. E questo arcano è l'aspetto chiave di questo autore che permette di riassumere tutti gli aspetti citati sopra in 5 parole.
Una lettura complicata che passato il capitolo di Caporetto, sul quale insiste forse un tantino troppo, regala al lettore momenti veramente piacevoli.
Leggere questo saggio non dovrebbe corrispondere tanto ad imparare a memoria le caratteristiche di Gadda scrittore e uomo - anche se alla fine, per eccesso di rimandi, vi succederà di averli imparati quasi a memoria - quando di cominciare ad apprezzare un lavoro durato una vita per il quale i suoi contemporanei ebbero parole di elogio e che anche oggi, in un certo senso, rimane comunque di attualità.
Buone letture,
Simona Scravaglieri


Carlo Emilio Gadda. Storia di un figlio buonoannulla
Walter Pedullà
Editori Riuniti, Ed. 2012
Collana "Navigazioni"
Prezzo 20,00€



Fonte: LettureSconclusionate


mercoledì 6 marzo 2013

[Dal libro che sto leggendo] Gli anni di nessuno


Fonte: Repubblica

Libro controverso. Decisamente tanto, questo perché, a detta di chi non legge Aloe, non è un libro malvagio e invece per me, che ho praticamente letto quasi tutto non lo è affatto. La storia è sua, c'è tutto lo scrittore in queste righe ma vuoi per quest'aura plumbea un po' forzata e un po' per questa storia che apre questioni che non si chiudono la magia sembra un po' sparita. Eppure quelle che solo le regole di scrittura di questo autore ci sono tutte,  introversione, una causa scatenante la vicenda estremamente presente, silenzi che bilanciano il vociare esterno e descrizioni della vista di città conosciute ma mai nominate.
E per me è un vero peccato. Non smetterò di leggere Aloe per questo, ma un po' mi dispiace perché è diventato una compagnia costante nelle mie letture come anche altri autori di cui a scatola chiusa acquisterei qualsiasi libro perché sono garanzia di qualità.
Non è un libro che ho letto oggi, ma a Dicembre 2012 e credo che per la recensione ancora ci vorrà un certo periodo di "digestione". Ma se non vi volete cimentare con questo provate con quello citato giust'appunto venerdì scorso: La logica del desiderio.
Buone letture,
Simona Scravaglieri


1.
Il professore è morto. Diceva così la voce al telefono. Cha voce era? Aveva qualcosa di familiare. Un tono, una cadenza. E' morto all'alba.
In quel momento ero dietro la finestra. Erano le cinque di mattina. Le cinque passate. La città era chiusa in un sonno sgradevole. Avevo fatto un bagno interminabile. L'acqua era diventata fresca: Le mani porose. Probabilmente avevo preso sonno nella vasca. Mi sembrava, mentre indossavo l'accappatoio, che ne rimanessero dei vaghi ambiti. Non so, un'uscita, un sole smagliante, una donna che si lanciava dal balcone, un cortile rosso.
Forse per questo non avevo riconosciuto la voce. Stavo ancora vagando in quelle immagini. Forse la donna era mia madre. O una sconosciuta che avevo incontrato per strada il giorno prima. Bassa, i capelli colorati, una voglia sul mento, le mani che tenevano due buste stracolme. Si buttava dal balcone con le buste e le teneva strette fino allo schianto. Ricordo che nel lancio la gonna le si apriva leggermente, come un paracadute difettoso.
Durante la notte mi ero svegliato di soprassalto. Avevo girato gli occhi al soffitto. Non riuscivo a riconoscere né la stanza e né me stesso. Uno sconosciuto in casa d'altri. Quella luce, mi dicevo, che luce è? Veniva da fuori come se fosse sceso un angelo ad irradiare l'ultima parte della notte. Un angelo o un riflettore. Ma di quelli da milioni di watt. Un angelo da milioni di watt. Un riflettore da campo da calcio. Tutto il soffitto era illuminato. Avevo chiuso gli occhi, me li ero sfregati con forsa e riaprendoli mi ero accorto che la luce era sparita. La stanza era di nuovo al buio. Ma che stanza era? Perché mi avevano trascinato in quella camera aperta a tutte quelle complicazione? Era stato in quel momento che mi ero sollevato w come per uno scatto di coscienza avevo riconosciuto la mia camera. Da un quadretto appeso alla parete. Un quadretto innocuo. Piccolo. La cornice azzurra che conteneva il disegno di una vacca rossa con il muso allungato. Una stampa inglese. Era rossa come se già prefigurasse il macello. E in effetti le volte che incontravo lo sguardo ne intravedevo un'infinita malinconia. La curiosità che si piega alla disperazione di chi va a morire. Era la mia stanza, con i suoi armadi, la scrivania, la sedia marrone, la porta a vetri aperta verso il corridoio, l'assenza di rumori, di voci,di fischi. Era proprio la mia casa. La casa di nessuno.
Cosa sto a fare a letto? Mi ero detto mentre guardavo anche la parete e il quadretto. Meglio alzarsi. E' così che avevo pensato di fare un bagno caldo. Erano quasi le quattro. un'ora pericolosa. Mi muovevo adagio. Avevo indossato un maglione. Eravamo già a Novembre e la stagione si presentava furibonda. Pioveva da giorni. Il cielo si era come abbassato. Proprio sopra le teste. Minaccioso. Come se dovesse calare da un momento all'altro, e noi con lui. Schiacciati dal cielo. Lo guardavo. Un tracollo senza precedenti, pensavo. Il cielo che cade sul mondo. Questa massa informe che precipita sulla città con un boato prodigioso. Il sapore delle mie catastrofi, le chiamava il professore sorridendo. E anzi se le trascriveva su un taccuino per le sue letture serali. Mi fanno compagnia, mi rasserenano, mi diceva. Lui leggeva le mie catastrofi e si rassicurava. Gli davano la sensazione della fantasia che lavora, che non si ferma a fare le ragnatele sul muro. Sono immagini di grande freschezza, diceva sorridendomi.

Questo pezzo è tratto da:

Gli anni di nessuno
Giuseppe Aloe
Giulio Perrone Editore, Ed. 2012
Collana "Hinc"
Prezzo 13,00€

domenica 3 marzo 2013

L'ha detto...Jean Paul Sartre



Fonte: F.C. "G. Pelagalli"



Si è sempre responsabili di quello che non si è saputo evitare. 
Jean Paul Sartre


venerdì 1 marzo 2013

"La logica del desiderio", Giuseppe Aloe - Ripensando a Roth...

Fonte: LinkFacebook

Di questo romanzo vi avevo accennato nel "Dal libro che sto leggendo" quest'estate qui: La logica del desiderio. La questione interessante è che non è un libro facile da raccontare , nonostante sia veramente bello. La difficoltà sta nel rendere al lettore le straordinarie immagini che l'autore descrive, nel percorso di crescita di un giovane studente, e nel non rivelare praticamente tutta la storia. Percorso, che rientra in una delle caratteristiche della "modalità di scrittura" di Aloe, ovvero, il crescendo che culmina sempre con un "cambio di stato" e, questo libro non fa eccezione rispetto ai precedenti ( e nemmeno al successivo "Gli anni di nessuno", Giulio Perrone Editore, ed. 2012 ).

La storia è anche abbastanza semplice, quasi come una ricetta. Prendi una cittadina del sud e mettici l'estate calda aggiungici un palazzo con i tipici ballatoi, che sono luogo di rifugio e di refrigerio per chi abita in quel genere di condomini. Mettici anche un cortile interno, dove i ragazzi possono giocare e gli adulti incontrasi, quando parcheggiano le macchine, e che funge da ingresso anche ad una serie di villette. Ora inseriamo i protagonisti, e ne servono un po',   per realizzare questa pietanza: c'è il giovane universitario, che studia lettere e vorrebbe scrivere, e c'è suo padre che, vedovo, continua la sua vita con una regolarità conquistata e messa a punto in una vita intera. Sono una famiglia, ma, come spesso avviene, il figlio non lo sa e il padre forse non riesce a spiegarglielo. Così se lo raccontano nei silenzi, nelle frasi dette tanto per intervallare un silenzio con l'altro e anche in quelle che, una volta che si inizia a pronunciarle, muoiono in un sussurro. C'è anche una giovane coppia, lui e lei, appena sposati e pronti a vivere la loro nuova vita. Per il ragazzo fermo sul ballatoio, a studiare, sono l'immagine di quel che potrebbe essere il suo futuro e per la donna, che invece scarica le scatole con il marito, è la speranza che questa strada intrapresa porti ad una nuova vita che sia ricca di sorprese e che non assomigli alla grigia routine che lei ha sempre rifiutato.

I giorni passano, anche gli anni, il giovane e la donna si studiano da lontano. E inaspettatamente un giorno avviene un contatto. La donna, per il giovane, d'ora in poi avrà una voce, uno sguardo particolare mentre dice certe cose e altre sfumature per altri pensieri. La prospettiva di vita che il giovane osserva da lontano è sbiadita, non sa realmente cosa avviene quando la porta di quella  casa si chiude alle spalle dei due sposi e, lei, non dice nulla mentre si scontra con la realtà della routine che  fa parte del naturale decorso di una vita regolata da impegni e, in fondo, normale. Poi un giorno un bacio fra lo studente e la giovane donna porta il futuro di lui a contatto con il passato di lei e salta la "logica del desiderio": ciò che prima era solo pensiero e costruzione di un sogno diventa contatto, sapore e realtà.

La storia non finisce qui, ma la logica di questo desiderio accompagna i protagonisti - questi sono solo una parte - fino alla fine. La logica che è sinonimo di evoluzione e di crescita nonché di morte.  Eccessivo? Per come lo spiega Aloe e riprendendo quei critici, che si svenano nei saggi sulla cosmologia alcuni autori particolari, potremmo dire che è "naturale" ( ma leggetelo come "appartenente alla natura"), dopotutto, l'uomo è uno degli elementi del grande insieme della natura. Esso preso, al netto delle sollecitazioni esterne, è "desiderio" perché questo sentimento è connaturato nella sua natura e lo distingue dagli altri esseri viventi. E il desiderio non è una "necessità", ma è "altro", ovvero, il "pensiero di mettere in prospettiva la propria vita e di trovare un posto", una definizione. E forse con questa ultima frase potremmo dire che la differenza fra noi e gli altri esseri viventi dell' "universo-natura" è proprio che non sappiamo qual è il nostro posto. Nel suo disegnare il "desiderio", in questo libro Aloe fa un'azzardo, che riesce in maniera del tutto inaspettata, contrapponendo più desideri diversi come quello fisico dell'appartenenza amorosa, quello del futuro che si vorrebbe che venisse in fretta e del passato che ci sembra, perdonate la ripetizione, "passato troppo in fretta" quando la morte si avvicina. E queste fasi che si potrebbero facilmente descrivere come circolari, perché si ripetono nella vita di tutti, qui invece vengono usate come una scala da salire e arrivare allo step successivo della conoscenza e della realizzazione del proprio io. La relazione fra la ripetizione di ciò che è già successo non c'è, perché sebbene i gradi di crescita siano per tutti simili, non sono mai uguali così come i caratteri di chi li vive.

Philip Roth, ne "Il professore di desiderio", nicchiava alla definizione per la quale noi viviamo una realtà in cui "siamo in quanto desideriamo". Qui Aloe invece sembra rispondere a quella definizione di "desiderio" - che, nel libro citato, trova la realizzazione partendo proprio dal "desiderio fisico" che porta all'auto-definizione di sé stessi -, che questa impostazione non è decisiva, ma è solo un tramite, e che la "definizione-di-sé-stessi" è una conseguenza del desiderio realizzato. Quindi i desideri, che qui in parte si avverano o che vengono negati, producono un cambiamento di status che a sua volta produce una scalfittura nell'io dei protagonisti. Ma è il risultato della somma di queste modellazioni, che vengono  fuori da dolori e realizzazioni, a rendere la definitiva immagine finale dell'uomo cresciuto e che non è più studente. E l'evoluzione non si ferma qui, prosegue, e Aloe ce e fa vedere tutte insieme su personaggi diversi. E' probabilmente per questo che tanti personaggi e tante vite così diverse sono, per chi legge questo libro, così armoniche perché in pratica sono proiezioni del futuro e del passato dei protagonisti che vengono rappresentate contestualmente. Quindi il desiderio di un rapporto di coppia maturo del giovane studente si confronta con la realizzazione del bacio ma anche con la privazione della sua sfera familiare e così avviene per i desideri di tutti i protagonisti in un gioco di specchi che rimandano le conseguenze dei desideri riflettendo però contemporaneamente i desideri del proprietario.

E se il desiderio negato permette naturalmente la crescita grazie alla delusione,, quello realizzato fornisce una soddisfazione labile e che necessariamente si nutre di nuovi desideri che potrebbero annientare anche lo status appena ottenuto. Anche questo per Aloe è un dato di fatto; il desiderio non è detto che sia necessariamente realizzabile, anzi stando a guardare la vita del padre di questo studente è bene che rimanga "a un soffio dal dito teso per toccarlo", perché è in questo modo che desiderio e negazione riescono a dare il meglio di sé. E quando finalmente lo scopri, sei pronto per la prossima rampa di scale e la prossima scalfittura che modellerà il tuo "io" verso una perfezione che tu non sai nemmeno di cercare. E quindi, l'ultimo atto della vita, viene naturalmente spiegato. Spesso si dice che quando si invecchia si diviene saggi. Secondo la cosmologia, che sembra applicata a questo libro, dire "saggio" non è corretto, ma si diventa più vicini ad una perfezione, che non è dettata da canoni estetici, ma è definita e sopratutto modellata dalla sommatoria dei nostri desideri che a mano a mano tra concessioni e negazioni restituiscono un'immagine di noi. E chissà se dopo, passato il guado della vita, il desiderio rimarrà nel mondo dei vivi o trapasserà in quello dei morti... ma questa è un'altra storia.

Probabilmente è per questa "molteplicità di significati", che non ci si aspetterebbe di avere in un romanzo di 200 pagine, che il libro è entrato nel settebello del Premio Strega. Ma, mi piace pensare, che lo sia stato anche per l'estrema naturalezza con cui Aloe affronta il tema traducendolo in una storia che è metafora e rappresentazione della vita e dell'io umano e mortale. Il tutto senza alcuna intromissione dell'autore, che non compare mai nemmeno come voce narrante, quasi a dire ai propri lettori che non si può giudicare la vita degli altri, ma solo vederla scorrere davanti agli occhi come in un film continuando a percorrere anche la nostra per permettere agli altri di guardarci.
  
Buone letture,
Simona Scravaglieri


La logica del desiderio
Giuseppe Aloe
Giulio Perrone Editore, Ed. 2011
Collana "Hinc"
Prezzo 13,00€



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