Il libro del fotografo che firma la copertina di Castel Volturno, Giovanni Izzo |
Come accennato nella recensione di Venerdì ci sono saggi strettamente legati alla loro vena accademica e saggi invece nati con l'intento di raccontare e che quindi adottano uno stile meno formale. E' il caso anche di questo libro che vi ho già recensito a Febbraio qui: Castel Volturno. Il bello di questo tipo di libri è che non si pretende di far proseliti, non c'è l'obbligo didattico ma c'è solo uno sguardo disincantato su dei luoghi che si conoscono perché ci si è vissuti. Come è già successo in altri libri Nazzaro non racconta che improvvisamente questi luoghi sono diventati bellissimi e nemmeno che l'inferno sta in mezzo alla bellezza dello scritto. Eppure, certe storie, come avviene per questa di cui vi metto l'inizio ti rimangono sotto pelle e non tanto perché Kevin oggi può raccontare un passato che ha battuto, ma perché il resoconto di un inferno diventa come tutte le storie del sud e in particolare campane, un modo per imparare e ricordare il tutto senza far null'altro che leggere. Ci rimangono solo ed esclusivamente perché, attraverso il racconto fedele, diventano un po' nostre e Sergio Nazzaro anche questa volta compie la magia come negli altri libri.
Leggerlo è un modo per capire qualcosa che viviamo tutti, ma che solitamente non sappiamo vedere.
E se vi state chiedendo il perché dell'immagine è abbastanza semplice: Giovanni Izzo è l'autore della stupenda foto che è la copertina di questo magnifico libro quindi, visto che è da sempre narratore visivo di storie come queste e quando ho letto questo capitolo l'immagine di Kevin per me era quella della copertina di Promiseland ho pensato di suggerirla anche a voi.
Buone letture,
Simona Scravaglieri
Leggerlo è un modo per capire qualcosa che viviamo tutti, ma che solitamente non sappiamo vedere.
E se vi state chiedendo il perché dell'immagine è abbastanza semplice: Giovanni Izzo è l'autore della stupenda foto che è la copertina di questo magnifico libro quindi, visto che è da sempre narratore visivo di storie come queste e quando ho letto questo capitolo l'immagine di Kevin per me era quella della copertina di Promiseland ho pensato di suggerirla anche a voi.
Buone letture,
Simona Scravaglieri
Capitolo TerzoVergogno Me
Mi chiamo Kevin, ma il nome l'ho scelto quando sono arrivato in Italia. Come Kevin Carter, il fotografo suicida sudafricano. Quello della fotografia del bambino e dell'avvoltoio, Premio Pulitzer 1994. Quando non ha retto più si è ammazzato, non ho scelto a caso il suo nome. Se tutto andava male, avevo la mia via d'uscita, anche se non ho mai scattato una foto. Quando non hai un pezzo di carta puoi scriverli da solo i tuoi documenti. La differenza? nessuna. Se non lo ricordi a te stesso chi sei, alla fine lo dimentichi. Non ci sono tante persone che sanno chi sei, e se te lo dimentichi non puoi tornare indietro. Puoi solo andare avanti, arrivare, dopotutto, al grande villaggio di Castel Volturno. Ti racconto la storia vera del ragazzo che ero prima di diventare Kevin. Sono nato in un paese africano, ho imparato a contare, a leggere.Non sono mai stato nella periferia della mia generazione, ho sempre cercato di comprendere il mondo circostante. Avevo solo mia madre, non ho mai avuto una paternità biologica accertata, riconosciuta a livello giuridico. Mia madre lavorava in un istituto scolastico gestito da missionari. Una famiglia povera, di cinque figli, il cliché africano, ma non ci hanno mai messo su un poster di raccolta fondi della FAO, grazie a Dio. Mia madre perde il lavoro e cadiamo nel precipizio, Nel mio paese erano arrivate le grandi riforme strutturali del Fondo monetario internazionale. Quella crisi che voi bianchi sopportate oggi l'ho incontrata già tanti anni fa. Regole molto dure, che colpiscono anche gli istituti missionari che usufruiscono dei fondi statali. Un passo indietro del governo nazionale e si apre un precipizio. Abbiamo sofferto la fame, ma io studiavo in una buona scuola, almeno per i livelli del mio paese. Una scuola privata, perché tramite mia madre potevo accedere con una retta più bassa. Il precipizio? beh, comincio ad andare alla scuola pubblica e non più in quella privata. Se vuoi fare parte della feccia dell'élite del mio paese devi almeno studiare in una scuola privata. La scuola pubblica è per i poveri, ma allo stesso tempo è impossibile accedervi, perché tutti vogliono entrare e si deve pagare anche una retta. Mia madre ha provato ad inserirmi. All'epoca volevano l'equivalente di novecentomila lire, e mia madre quando lavorava ne guadagnava quattrocentocinquantamila. Erano gli anni del liceo. Mi dicono che rimango a casa, che per quell'anno al liceo non posso studiare, Non ho voluto arrendermi, e il primo giorno di scuola sono andato davanti ai cancelli a guardare gli altri ragazzi tutti con la divisa addosso. Io ero vestito con un paio di pantaloncini e i sandali. Davanti ai cancelli ho incontrato un amico, molto più grande di me, con cui giocavo a pallone. Lui faceva già l'università. Mi ha chiesto che cosa facessi lì davanti, e gli ho raccontato che per quell'anno non potevo studiare."Perché non me l'hai detto?""Che dovevo dirti, che non ho i soldi per la scuola?"
Questo pezzo è tratto da:
Castel Volturno
Reportage sula mafia africana
Sergio Nazzaro
Einaudi Editore, ed 2013
Collana "Passaggi Einaudi"
Prezzo 17,00€
Nessun commento:
Posta un commento