venerdì 5 novembre 2010

Scene dalla vita di un villaggio. Amos Oz-Recensione di Elèna Italiano




“Scene dalla vita di un villaggio” è l’ultimo romanzo edito da Feltrinelli scritto da Amos Oz. Il titolo è emblematico: scene, affreschi, scorci di vita quotidiana appunto. Ma il testo non è solo un rullo di descrizioni, come potrebbe trarre in inganno il titolo. Nulla è come appare, nulla è come sembra in questo romanzo che comprende otto racconti, di cui uno scritto in prima persona.

La capacità descrittiva di Amoz Oz è in grado di materializzare davanti agli occhi del lettore un paesaggio, una strada, una stanza, una cantina, un viale consentendo ad esso di ritrovarsi, così, inavvertitamente, dentro la pellicola del film, nella sequela di immagini in cui tuttavia non sembra agevole sentirsi protagonisti, ma solo spettatori.

I personaggi di Oz non sono quasi mai descritti dettagliatamente, la loro caratterizzazione fisica o sociale è solo abbozzata, eppure sembra di conoscerli così intimamente questi uomini soli, tristi, titubanti, impauriti, rassegnati, infelici, perché è nel tratteggio psicologico che Oz affonda l’inchiostro. E qui risiede la sua ineccepibile bravura. L’interiorità dei personaggi di Oz è ritratta in cammino, un cammino lento, stanco, faticoso, fiacco che improvvisamente si blocca, fermandosi. E’ qui, in questa fase di stallo, che il lettore diventa protagonista. Entra nelle pagine del romanzo proprio lì dove l’originario personaggio è incapace di proseguire, si sostituisce ad esso mutuando il gravoso compito di rispondere alla domanda madre di ogni quesito: perché?
Un perché spesso destinato a non avere risposta, perchè forse, la risposta è dentro ognuno di noi. D’altronde come scrive Haarez in quarta di copertina“ le cose più importanti sono quelle che rimangono non dette, ma che nella notte, nel silenzio possono essere udite”. Se si ha la fortuna di terminare la lettura del romanzo, di notte, magari prima di addormentarsi senza dover continuare il tram tram giornaliero che poco tempo lascia alla risoluzione degli innumerevoli perché, si riesce a sentire dentro la risposta. “E’ la disperazione”.
L’empasse delle storia non conclusa, è la metafora di una vita faticosa, sempre più faticosa, dove ogni risoluzione positiva non riesce ad affiorare, dove ogni epilogo sembra affogare nella palude della tristezza, nel fango e nel puzzo stantio della rassegnazione. Speranza è un sentimento che queste pagine mai suscitano nel lettore; c’è solo, forse, un ardore di essa, quando vari personaggi volgono lo sguardo alla luna. E sappiamo che in poesia, come in prosa, quando l’uomo si rivolge alla luna, cerca in essa quel confidente notturno, quella compagnia silenziosa, misteriosa, da cui ne è calamitamente attratto e di cui, nella contingenza, avverte tristemente l’assenza.

Un “senza fine” anima le pagine di questi otto racconti che si svolgono nel villaggio immaginario di Tel Ilan, in Israele, inizialmente immerso in una quiete bucolica. Inizialmente, perché, nulla è come appare e ogni impressione positiva sembra essere destinata alla dimostrazione del suo opposto. Così Isreale diventa molto più di un luogo fisico, geografico. E la sua tradizionale particolarità si sparcellizza di fronte alla sofferenza umana, alla disperazione, al senso di impotenza, all’impossibilità di realizzazione. E così il dolore unisce tutti, universalmente, quale ne sia la storia individuale. Il vuoto e l’impotenza consegnato al lettore dalla stasi dei personaggi fanno desiderare quel languore di dolcezza, tanto agognata da uno dei personaggi, forse il più burbero e il più antipatico di tutti, ma che alla fine, risulterà essere il più familiare. E’ lui che, irandosi contro la figlia perché gli nasconde la cioccolata, afferma “Ogni tanto ho bisogno di un pezzetto di cioccolato, per addolcire un poco questa vita così buia, invece lei me lo tiene nascosto, come fossi un ladro. Non capisce niente. Pensa che io voglia il cioccolato per vizio. Macchè! Ne ho bisogno perché l’ organismo ormai ha smesso di produrre dolcezza. Non ho abbastanza zucchero nel sangue e nei tessuti. Non capisce niente, quella lì! E’ così crudele!Crudelissima!” In fondo il vecchio ama sua figlia Rachel; la cioccolata altro non è che il desiderio della normalità, desiderio negato constantemente dalla “crudelissima” contemporaneità, da “ questi brutti tempi in cui al mondo non c’è più ombra di bontà fra la gente, né pietà, compassione, gentilezza”. Insomma, dove impera solo il calcolo e, con esso, il profitto, punto.

Recensione di Elèna Italiano gentilmente concessa per questo blog!

Scene dalla vita di un villaggio.
Amos Oz
Feltrinelli Editore, ed. 2010
Collana "I narratori"
Prezzo 16,00€




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