sabato 7 luglio 2018

"Un pomeriggio di un piastrellista", Lars Gustafsson - La straordinaria bellezza dell'imperfetta vita di un piastrellista...


Fonte: Depositphotos

È dallo scorso anno che vado dietro a questo libro che è uscito, credo, in contemporanea con un altro di cui mi ero appassionata e che poi ho comprato che è Miraggio 1938 - di cui peraltro ero convinta di aver già scritto la recensione e invece devo farlo ancora (è la grande dannazione di leggere ebook non li hai fisicamente ingombranti nello scaffale dei libri da recensire!). Il fattore comune fra i due è che, dalle premesse della sinossi, sono entrambi titoli "mainagioia" e invece alla fine, si rivelano più solari di quanto uno si aspetterebbe. Nel caso di Gustafsson c'è anche una particolarità in più: questo lavoro si può accostare per svolgimento a "La città degli angeli" della Wolf, a "Il sale" di Del Amo e anche a "The White family", ma supera quell'ostacolo che blocca tanti lettori della pesantezza e del ristagno delle situazioni, che ne permette l'assimilazione dell'esperienza, sedimentandosi nel suo lettore con un altro espediente decisamente riuscito ma che ovviamente non vi dirò perché situato alla fine del libro.

Il nostro protagonista è un anziano piastrellista che, come nella migliore tradizione dei libri di questo genere, è vedovo, ha perso il figlio, vive ai margini della società in una villetta trasandata, è solo e arrotonda con lavoretti in nero. L'azione inizia con una telefonata in cui un conoscente lo informa che c'è l'opportunità di un lavoretto in un villino in ristrutturazione: c'è da piastrellare inizialmente un bagno e una cucina, poi, quando l'affittuario del piano di sopra se ne andrà, ci sarà altro lavoro. Torsten accetta subito e segna l'indirizzo. Dopo la fatica di alzarsi, di cercare del materiale per ottimizzare il ricavo del lavoro, il nostro piastrellista si incammina. La casa è grande e bella, è vuota e ancora in costruzione, è in alcune parti con le finestre libere e quindi illuminata e in altre buia a causa dei cartoni a protezione dei vetri.
La storia narra di un pomeriggio qualunque in un giorno qualunque nella periferia bene di Uppsala in Svezia e di come un lavoro semplice e monotono possa essere interrotto da personaggi anche inesistenti, segnalati da un bigliettino, e da situazioni surreali, un po' come la vita di ognuno di noi, che a volte procede spedita e a volte rallenta per i casi della vita.

Non sono stata completamente esaustiva all'inizio, perché c'è un'altra caratteristica che differenzia questo lavoro dai precedenti ed è la scrittura. Gustafsson sembra scrivere, tra il divertito e l'incuriosito, seguendo il suo protagonista da vicino con lo stesso stupore di chi legge. Ne esce fuori un racconto lungo scorrevole, godibile e per alcuni tratti anche divertente. Dall'altro lato la metafora di una vita che nasce, cresce e si sviluppa, rappresentata dalla casa in costruzione è decisamente chiara. All'alba dei nostri giorni siamo come quella casa, quel che vediamo è quel che viviamo e quel che è in buio sono ambiti a noi inaccessibili finché non finiremo di costruire il nostro futuro che poi diventerà il nostro passato. Quindi in questa storia c'è un inizio che si confronta con una fine, quella di Torsten, uomo che si avvia alla fine di una vita vissuta, non sta a noi dire bene o male, e che la ripercorre saltellano di qui e lì nelle stanze della sua esistenza senza un nesso logico o soluzione di continuità. Il confronto nasce e cresce mentre la parete, inizialmente costruita male e parzialmente buttata giù dal piastrellista, piano piano viene ritirata sù. Un lavoro ripetitivo, che viene naturalmente fuori dalle mani di un esperto piastrellista diventa un lavoro automatico e l'automatismo da che mondo e mondo, permette alla mente di spaziare.

Nonostante Torsten non abbia avuto una vita facile e nonostante il fatto che non gli sia stato proprio risparmiato nulla del lato oscuro delle relazioni o delle mancanze, non si guarda indietro con dolore. Torsten guarda a ciò che ha vissuto con la stessa nostalgia che avrebbe una madre a guardare la stanza del figlio oramai cresciuto che è andato a vivere da un'altra parte. I ricordi si ammassano, brutto o belli non importa, ma fanno parte di un vissuto solido, umano e del tutto personale e non ripetibile in altre vite. Il suo tornare ai primi amori, al primo lavoro, sorvolare con un accenno al figlio e alla moglie, alle difficoltà incontrate formano un quadro che per nulla assomiglia ad una dolorosa elaborazione del lutto e, invece, restituiscono un quadro di uno uomo che prende atto di aver fatto e vissuto cercando di essere l'uomo che voleva essere anche se non sempre ci è riuscito. È un uomo di bassa estrazione, che non ha potuto o voluto studiare ma che nella vita ha imparato ad andare oltre di dictat di chi dice di sapere; Torsten ha imparato che per sapere devi conoscere.

È un libro talmente bello da avermi convinto a cercare altri lavori di questo scrittore perché, come detto, nonostante le premesse da mainagioia è un libro solare e che ti lascia una speranza: se non tradisci te stesso, la tua storia, anche se non va per il verso giusto, sarà sempre la tua storia e tu non potrai che guardarla che con nostalgia e non con dolore, apprezzando ciò che hai avuto e non rimpiangendo ciò che non c'è. Il punto non è vivere per essere qui anche se non ci siamo più, il punto è vivere per non sprecare la possibilità di aver vissuto e questa è l'eredità più bella che uno scrittore può lasciare al suo lettore indipendentemente alla fine del suo libro. La metafora della casa che si costruisce piano piano e di tutti gli accidenti che possono incorrere in una giornata che  è come una vita è geniale e la scrittura di ampio respiro, scorrevole e mai ristagnante con un connubio talmente micidiale che alla fine, quando le pagine stanno per finire, già lo starete rimpiangendo.

A questo devo aggiungere una nota del tutto personale: c'è una postfazione di Trevi alla fine che fa una riflessione che guarda a questo lavoro, probabilmente lui conosce Gustafsson molto meglio di me, in modo completamente diverso dal mio. La mia ricostruzione di questa storia è data dal fatto che leggendo il libro prima se fosse stato come la descrive lui, probabilmente io non guarderei a Torsten con la nostalgia di quelle con il sapore buono. Il suo pensiero di questo lavoro si fonda su presupposti diversi che inquadrano il personaggio in una sorta di rimpianto per una vita che non è andata come avrebbe dovuto e, a mio favore c'è, che appunto in questo genere di lavori, come quelli citati, la pesantezza che ferma tanti lettori, è data appunto da questa sorta di rimorso o senso di tradimento da parte della vita stessa dei suoi protagonisti che qui è totalmente mancante. In quel caso i ricorsi riaffiorano sparsi ma con una logica, che qui manca: Torsten guarda alla sua vita in maniera disordinata, aprendo le stanze della sua casa in maniera del tutto casuale seguendo l'estro del momento non è alla ricerca di qualcosa, è solo dettato dalla semplice curiosità di un uomo semplice, che guarda altrettanto con semplicità attorno a sé. Torsten ci tiene a ribadire più volte che il suo lavoro è ben fatto perchè lui sa farlo, perché sa come fare fughe perfette e questa affermazione continua non è rimpianto ma una vera affermazione di uno che sa che ha fatto tutto a regola d'arte, come da lui ci si sarebbe aspettati.
Ci sono anche parti di questa postfazione in cui concordiamo come: il finale che è una vera genialata, passatemi il termine che non mi viene altro in mente, e la critica, decisamente poco velata, ad una società, come quella Svedese, inquadrata, organizzata che viene spesso presentata come il modo per raggiungere il successo individuale che invece nasconde un grande lato oscuro. Per chi è impossibilitato, dalla vita o dalle situazioni, ad attenersi ai rigidi dettami e alle regole rimane una vita al margine non solo della società ma anche della vita stessa. E questa osservazione latente in buona parte di questa storia è un vero macigno più che una semplice riflessione, che rivela in maniera netta e chiara i limiti di un mondo che da sempre viene descritto come una macchina perfetta. 

Io questo libro l'ho proprio amato e rimarrà con me come tutti gli altri citati in calce a questa riflessione e sono contenta di non aver desistito dalla convinzione che avrebbe comunque dovuto essere mio, perché è stato un viaggio davvero imperdibile. Un libro davvero consigliato a chi vuole leggere una storia davvero straordinaria nella sua straordinaria semplicità.
Buone letture,
Simona Scravaglieri


Un pomeriggio di un piastrellista
Lars Gustafsson
Iperborea, ed. 2017
Traduzione a cura di Carmen Giorgetti Cima
Postfazione di Emanuele Trevi
Collana "Luci"
Prezzo 15,00€


Fonte: LettureSconclusionate

2 commenti:

  1. Ho avuto il piacere di ascoltarlo al Salone del libro di Torino, l'anno prima che morisse. Una persona mite, ironica (o, per lo meno, così apparve durante la presentazione), di quelle che parlano sottovoce, come gran parte degli scandinavi. Di quelli che pensavano che la bellezza fosse nelle piccole cose della vita. Ascoltandolo, non sembrava neanche di essere nel marasma del Salone del libro. Uscii dall'incontro rasserenata.

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    1. Mi ero persa questo tuo bel commento, posso dirti che scrive come ti è apparso e che ho trovato questo libro talmente bello che ne ho presi altri due da leggere tra i suoi e che ti presterò volentieri perché secondo me è un autore da leggere e anche rileggere. :)

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