mercoledì 25 luglio 2018

"Il grido", Luciano Funetta - Il grido diverso...

Fonte: Tides


Diversità e libertà sono i concetti base affrontati in questo libro e passano per un percorso inconsueto. In una società senza tempo e senza luogo, dove anche il singolo ha acquisito lo status agognato di essere un individuo la sorpresa è che nulla è cambiato, anzi peggio, il raggiungimento dell'obiettivo ha consentito la spersonalizzazione del gruppo e la creazione di una nuova massa che lo è per assonanza di genere e non per appartenere ad un obiettivo comune. La storia di oggi è quasi l'opposto di quel che rappresentano le teorie precedenti ma si inserisce lo stesso nel filone distopico con un ulteriore valore aggiunto: una narrazione minimalista, che non cede alle facili descrizioni inutili, ma che riesce a coinvolgere il lettore dalla prima all'ultima pagina lasciandolo con il fiato sospeso.
Intendiamoci non ha un finale aperto, è ben definito, ma la tensione che costruisce Funetta, con l'abile intessere personaggi, situazioni e ricordi, cresce in maniera costante fino allo zenit in cui tutto scompare dietro una quinta. Tu sai che significa, non serve dirlo, ma il fiato corto rimane.

Essendo altri i temi, il posto in cui ci si ritrova all'apertura de "Il grido" è un luogo come tanti e in un tempo come tanti. Lena è una ragazza che non ha più sorprese: passato e futuro sono chiari e visibili e l'unica possibile variante è un biglietto della lotteria che potrebbe aprire un qualcosa che nessuno sa in un mondo che nessuno conosce. Ma a Lena non interessa. Vissuta con la carità delle Dame, cresciuta e formata per diventare un perfetto ingranaggio di una macchina che non rivela sorprese, incuriosita dalla figura di Stephan che è il marito dell'amica recentemente morta, Lena non ha bisogno di sperare perché quello che vuole è rimasto in un orto anni prima in una sera qualunque. E quello che vuole è qualcosa che non può avere o ritrovare se non capendo che cosa sia e dove trovarlo.
Questa è la storia di Lena e di come ha trovato il modo per ritrovare la sua libertà. La storia di un punto rosso in un mare di punti grigi.

Ma "il grido" poi c'è? Ce ne sono tante di grida qui dentro. Il concetto è che se gridano tutti è come se si stesse tutti in silenzio. L'individualità del singolo, diventa sinonimo di anaffettività, solitudine e perdizione e la società disegnata da Funetta in questo frangente è perfettamente verosimile. E' divisa in due: gli ultimi e quelli dopo, il resto non c'è, o meglio si vocifera che ci sia ma ci è precluso. In un contesto così asfissiante, in cui sono negati tutti i riferimenti possibili che possano renderci, almeno in parte, comodo questo viaggio, come potrebbero essere spazio e tempo, qualsiasi gesto fuori dal comune è destabilizzante non tanto per un possibile controllore, perché dai tempi dei Lager e Gulag il controllore non serve più, ma per la comunità. Così Lena vive perfetta simbiosi tra il mondo degli ultimi e quelli che lo sono più degli ultimi, perché ironicamente non appartiene a nessuno dei due. Lena è avulsa dalla massa per la sua curiosità verso Stephen, per il suo fastidio nei confronti di Tito, nella sua voglia di rivalsa per Duilio e anche per la compassione per ogni ultimo degli ultimi che incontra per strada. 

Il percorso di Lena, fra le macerie di un mondo che non è, passa per giardini abbandonati, per foreste  e cimiteri virtuali alla ricerca di una risposta che richiede che si guardi ad un passato e un futuro già scritti per essere compresa appieno. E' una risposta scomoda e anche coraggiosa. In questo Funetta accompagna la sua protagonista senza interferire, la segue negli spazi presenti e passati come farebbe uno spettatore al cinema, le lascia lo spazio per provare a creare un senso di caldo con Stephen e la lascia mangiare nelle varie taverne della città. Lena così arriva quasi per caso al finale del grido e, combinando questa "casualità" con una voce narrativa forte ma non ingombrante, si costruisce un finale certo ma più d'impatto del previsto. Il grido, che prima apparteneva ad un coro di voci di cui non era parte se non come mero imitatore, si trasforma e diventa il grido di un silenzio che ha trovato una risposta.
E forse la voce narrativa, la scelta di essere anch'esso spettatore e non essere sempre presente nella vita di Lena è l'aspetto più affascinate di questo libro. Funetta sembra vivere le stesse ansie, la curiosità e anche lo stupore che vivono i suoi lettori, donando alla voce di questo libro un vibrato che affascina. Lettore e scrittore non possono che entrare in sintonia e lasciarsi con un piccolo rammarico.

Questo libro era finito nella mia wishlist perché nominato spesso da persone che seguo, ma non ero molto convinta di aver fatto la scelta giusta selezionandolo. E invece, nonostante dell'autore sapessi praticamente nulla, è stata una scelta felice. E' un raffinato cameo in un mondo culturale italiano troppo affezionato all'idea della bella scrittura per domandarsi se "la bella scrittura" non faccia a pugni con il genere che sta percorrendo. Ecco, lo stile ricorda un approccio americano, che si nutre di qualche frase, passatemi il termine, "epica" sparsa qui e lì, ma per il resto è asciutta e minimalista. Con questo espediente Funetta si può permettere di evitare di indulgere in lunghissime descrizioni perché nel minimalismo quello che hai attorno si presenta da sé senza bisogno di orpelli. 
Avviene anche per una particolare scena collettiva di "oblio" in cui l'opulenza della natura di un giardino abbandonato contribuisce a rendere ancora più intricato un viaggio di per se molto meno complesso. Le immagini di una mente sotto stupefacenti si mescolano con quelle reali del contesto costruendo un articolato viaggio al di fuori delle coscienze che assomiglia non poco alle immagini degli uomini che si buttano dai palazzi di quella visione dei personaggi di Wallace in quella calda serata preparata in un appartamento in un palazzo tutto a vetri per l'ultimo sballo. Sono due stili completamente differenti quelli degli autori citati, ma hanno in comune la capacità di captare il lettore e catapultarlo in situazioni che magari non vivrà mai in prima persona, ma che così gli rimarranno sempre come esperienze fatte.

Sono immensamente soddisfatta di questo acquisto e lo consiglio a chi voglia uscire come Lena dalle strade certe e stra-battute da molti. Non importa che uno sia un fan delle storie distopiche o no, perché la distopia è sempre stato il modo più semplice per riflettere sul presente. E in questo la storia funettiana ne è un perfetto esempio.

Buone letture,
Simona Scravaglieri

Il grido
Luciano Funetta
Chiarelettere Edizioni, Ed. 2018
Collana "Narrazioni"
Prezzo 16,00€






3 commenti:

  1. Ma che bello questo post! Mi vien voglia di tirar giù dalla libreria "Dalle rovine", il precedente romanzo di Funetta, edito da Tunuè, che acquistai a un PLPL. Poi, come sai, in mezzo a tanti libri che si accumulano...

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    1. L'ho recentemente comprato, ma se libraccio si degna di spedirmelo forse ce la faccio a leggerlo. M'è proprio piaciuto Il grido sono curiosa di leggere l'altro perché mi hanno detto che il precedente aveva anch'esso un ottimo svolgimento ma un finale che non convinceva... Ma io non so nemmeno di cosa parli, quindi aspetto di leggerlo per farmi un'idea... sempre Libraccio permettendo...

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