mercoledì 2 novembre 2016

[Dal libro che sto leggendo] Il petalo cremisi e il bianco

Fonte: LettureSconclusionate


Oggi sono poco soddisfatta. In primo luogo il romanzo di cui vi accenno oggi, e vi parlerò in maniera più puntuale in recensione, non è stato quel gran lavoro che mi aspettavo e, in più, vista la naturale predilezione dell'autore alla descrizione minuziosa anche della capocchia dello spillo, la sbirciata - sono certa - non sarà sufficiente. In pratica quando pensate a Faber pensate alle macchine di una volta che quanto le andavi a ritirare, per un certo periodo, bisognava fare il rodaggio. Ecco, anche Faber, ha la partenza a scoppio ritardato!

Perché leggerlo e perché no. Il no è semplicissimo, inizia in un momento solo in apparenza utile e finisce che quasi nemmeno tene accorgi perché la storia è un "di cui" della ricerca che c'è dietro. Il sì è solo ed esclusivamente per la ricerca che, se riversata in un bel saggio, sarebbe stata eccezionale ma, forse, Faber si sarà fatto due conti: il saggio lo leggono in pochi, una storia invece arriva ai più. E infatti è arrivata, con esiti decisamente negativi - volevo ammazzare una delle protagoniste con le mie mani! - e la ricerca così ne subisce le conseguenze. Diciamocelo, un libro storico, che è anche romanzo, bello come "La dama nera" di Sonzogno ancora non s'è trovato!

Vi lascio alle prime pagine,
buone letture,
Simona Scravaglieri



Parte prima
Le strade 

Capitolo primo

Attento. Tieni la testa a posto: ti servirà. La città in cui ti conduco è vasta e intricata, e tu non ci sei mai stato prima. Puoi immaginare, da altre storie che hai letto, di conoscerla bene, ma quelle storie ti hanno illuso, accogliendoti come un amico, trattandoti come se fossi uno del posto. La verità è che tu sei un alieno, in tutto e per tutto, arrivato da un altro tempo e da un altro luogo. 
Quando ho catturato il tuo sguardo la prima volta e tu hai deciso di seguirmi, probabilmente pensavi di arrivare qui e sentirti a casa. Ma adesso ci sei davvero, in quest’aria fredda, tagliente, trascinato nell’oscurità piú nera, e inciampi su un terreno accidentato, senza riconoscere nulla. Scrutando a destra e a sinistra, strizzando gli occhi contro il vento gelido, ti accorgi di aver imboccato una strada sconosciuta di case buie piene di gente sconosciuta. 
E tuttavia non mi hai scelto a caso. Su, risparmiami la ritrosia: tu speravi che avrei soddisfatto desideri che non osi neppure nominare, o almeno che ti avrei intrattenuto un po’. Adesso esiti, ancora aggrappato a me, ma già tentato di abbandonarmi. All’inizio, quando mi hai scelto, non ti sei reso conto fino in fondo delle mie proporzioni, né ti aspettavi che ti avrei catturato cosí, e cosí in fretta. Il nevischio ti punge le guance, piccoli sputi taglienti e gelidi che sembrano di fuoco, braci ardenti nel vento. Incominciano a farti male le orecchie. Ma ti sei lasciato sviare, e adesso è troppo tardi per tornare indietro. 
È un’ora livida della notte, cinerea e quasi leggibile, come pagine intatte di un manoscritto bruciato. Avanzi arrancando nella nuvola del tuo respiro esausto, e continui a seguirmi. L’acciottolato sotto i tuoi piedi è bagnato e sudicio, l’aria è gelida e acre d’alcol e di sterco che si scioglie pian piano. Da qualche luogo nelle vicinanze arrivano attutite voci ubriache, ma dal poco che riesci a capire non sono certo gli incipit forbiti di un grande dramma romantico; al contrario, ti ritrovi a confidare in Dio che le voci non si avvicinino troppo. 
I personaggi principali di questa storia, di cui vorresti diventare intimo amico, non sono qui. Non ti stanno aspettando: tu non significhi niente per loro. Se pensi che abbiano intenzione di lasciare i loro letti caldi per venirti a conoscere, ti sbagli. Ti chiederai perché ti ho condotto qui. Perché tardano tanto quelli che avresti dovuto incontrare. La risposta è semplice: i loro domestici ti avrebbero lasciato alla porta. 
Quello che ti manca sono i contatti giusti, per questo siamo venuti qui, per i contatti. Una persona che non conta nulla ti presenterà a una persona che non conta quasi nulla, e quella persona a un’altra, e cosí via fino a quando potrai finalmente varcare la soglia, quasi come uno di famiglia. 
Per questo ti ho condotto qui, in Church Lane, a St Giles, dove ho trovato la persona che fa per te. 
Devo avvertirti, però, che partiamo dal basso, dai piú vili tra i vili. L’opulenza di Bedford Square e il British Museum saranno anche a poche centinaia di metri, ma tra quei quartieri e questo corre New Oxford Street, un fiume troppo ampio per attraversarlo a nuoto, e tu sei dalla parte sbagliata. Il principe di Galles, te l’assicuro, non ha mai stretto la mano a nessuno degli abitanti di questa strada, né accennato col capo un saluto occasionale, e nemmeno, col favore della notte, saggiato le prostitute. Perché sebbene in Church Lane abitino forse piú puttane che in qualunque altra strada di Londra, non si confanno certo ai gusti dei gentiluomini. Per gli intenditori, una donna dopotutto non è soltanto un corpo, e non si può certo pretendere che sorvolino sui letti sudici, lo squallore dell’arredo, i focolari gelidi e l’assenza di carrozze ad attenderli nella via.

Insomma, questo è tutto un altro mondo, dove la prosperità è un sogno esotico remoto come le stelle. Church Lane è il tipo di strada dove anche i gatti sono magri e stralunati per mancanza di cibo, dove gli uomini che si professano lavoratori apparentemente non lavorano mai e le cosiddette lavandaie di rado lavano qualcosa. I benefattori non possono fare alcun bene qui, e vengono ricacciati con la disperazione nel cuore e le scarpe sporche di merda. Un ospizio modello per poveri meritevoli, aperto con gran clamore filantropico vent’anni fa, è presto caduto nelle mani di gente di malaffare, ed è ormai in rovina. Gli altri edifici, piú vetusti, anche se di due o perfino tre piani, trasudano un’atmosfera sotterranea, quasi fossero stati riesumati da una grande fossa, reperti in decomposizione di una civiltà perduta. Costruzioni vecchie di secoli si sostengono su stampelle di tubi di ferro, ferite e acciacchi medicati con cataplasmi di stucco, imbracati con corde da bucato, rappezzati con legno marcescente. I tetti sono una disparata accozzaglia, le finestre dei piani superiori incrinate e nere come i mattoni, e il cielo sovrastante piú denso di quanto sia l’aria, un cielo a volta come il tetto di vetro di una fabbrica o di una stazione ferroviaria: un tempo scintillante e tersa, ora coperta di lordura. 
Comunque, dal momento che sei arrivato alle tre meno dieci di una gelida notte di novembre, non sei certo propenso ad ammirare il panorama. La tua preoccupazione immediata è trovare scampo al freddo e al buio, per diventare quello che pensavi di poter essere semplicemente posando la mano su di me: uno di qui. 
A parte il bagliore fioco dei lampioni a gas, in lontananza, non vedi nessuna luce in Church Lane, ma questo è perché l’umanità che veglia si rivela di solito con segnali piú potenti del barbaglio fievole di due candele dietro un vetro fuligginoso. Tu vieni da un mondo dove l’oscurità è spazzata via dallo scatto di un interruttore, ma non è questo equilibrio di forze che la vita consente. Sono possibili patti molto piú precari. Sali con me nella stanza dove brilla quel lume fioco. Lasciati trascinare all’interno dalla porta sul retro, lasciati guidare per un corridoio claustrofobico che odora di tappeti intrisi d’acqua e biancheria sudicia. Lascia che ti ripari dal freddo. Conosco io il modo. 
Attento ai gradini, alcuni sono marci. So io quali, fidati. Sei arrivato fin qui, perché non spingerti un po’ oltre? La pazienza è una virtú, e sarà ampiamente ricompensata. È chiaro –non te l’avevo detto? –che sto per abbandonarti. Sí, purtroppo è cosí. Ma ti lascio in buone mani, ottime, anzi. Qui, in questa minuscola stanza ai piani superiori dove brilla quella tenue luce, stabilirai il tuo primo contatto. È una creatura gentile, ti piacerà. E in caso contrario, poco importa: appena ti avrà messo sulla buona strada, potrai abbandonarla senza tante cerimonie. Nei cinque anni in cui si è fatta largo nel mondo, non si è mai trovata a portata di voce di quei signori e quelle signore tra cui ti muoverai in seguito; lavora, vive e senza dubbio morirà in Church Lane, saldamente incatenata a questa piccionaia. 
Come molte donne del popolo, prostitute soprattutto, si chiama Caroline, e in questo momento la trovi accovacciata sopra un grande catino di ceramica pieno di una mistura tiepida d’acqua, allume e solfato di zinco. Usando uno stantuffo ricavato da un cucchiaio di legno e vecchie bende, tenta di avvelenare, risucchiare o in qualche modo distruggere quello che solo pochi minuti prima le ha lasciato dentro un uomo che per un soffio tu non hai incontrato. Mentre Caroline impregna a piú riprese lo strumento, l’acqua si fa via via piú lurida: chiaro segno, cosí pensa, che il seme dell’uomo guizza lí sotto e non dentro di lei. 
Asciugandosi con l’orlo della sottoveste, Caroline si accorge che le due candele stanno per spegnersi; una è già un mozzicone gocciolante. Ne accenderà altre? 
Be’, dipende dall’ora della notte, e Caroline non possiede un orologio. In Church Lane sono in pochi ad averne uno. Pochi sanno che anno è, o perfino che diciotto secoli e mezzo fa, a quanto si dice, un ebreo facinoroso veniva trascinato sul patibolo per aver sconvolto la quiete pubblica. Questa è una strada dove la gente non va a dormire a un’ora precisa, ma quando fa effetto il gin, o quando lo sfinimento non consente ulteriori violenze. È una strada dove la gente si sveglia quando l’oppio nell’acqua zuccherata dei lattanti smette di sedare i piccoli sventurati. È una strada dove gli spiriti piú deboli si trascinano a letto al calar del sole e rimangono svegli ad ascoltare i ratti. È una strada dove le campane della chiesa e le trombe della corona risuonano fievoli, troppo fievoli. 
L’orologio di Caroline è il cielo greve e il suo contenuto fosforescente. Le parole «le tre del mattino» possono anche non avere alcun senso per lei, ma capisce perfettamente la relazione tra la luna e le case dall’altra parte della strada. In piedi davanti alla finestra, cerca per un momento di scrutare attraverso i vetri incrostati di sporco congelato, poi gira la nottola e spalanca la finestra. Uno schianto fragoroso le fa temere per un momento di averla rotta, ma è solo il ghiaccio che si infrange. Una gragnuola di piccole scaglie si rovescia sulla strada sottostante. 
Lo stesso vento che ha fatto rapprendere il ghiaccio aggredisce anche il corpo seminudo di Caroline, impaziente di trasformare il sudore lucente sul petto lentigginoso in un velo scintillante di brina. Raccoglie nel pugno le gale sfilacciate dell’ampia sottoveste e se le stringe intorno alla gola, sentendo un capezzolo indurirsi sotto l’avambraccio. 
Fuori il buio è quasi completo, perché il lampione piú vicino è a una mezza dozzina di case piú in là. L’acciottolato di Church Lane non è piú bianco di neve, il nevischio si è coagulato in grumi vischiosi e mischiato a scie di fanghiglia, come mostruose emissioni di sperma che risplendono giallastre nella luce dei lampioni. Tutto il resto è nero. 
Il mondo esterno ti sembra svuotato, mentre, fermo alle sue spalle, trattieni il respiro. Ma Caroline sa che con ogni probabilità altre ragazze come lei sono sveglie, oltre a sciacalli, guardiani e ladri d’ogni genere, nonché un farmacista dei paraggi che rimane aperto nel caso qualcuno voglia del laudano. Ci sono ancora ubriachi nelle strade, assopiti nel mezzo di una canzone o quasi morti di freddo, e sí, è anche possibile che in giro ci sia ancora qualche lussurioso in cerca di una ragazza a buon mercato. 
Caroline medita se le convenga vestirsi, mettersi lo scialle e uscire per tentare la sorte nelle vie intorno. È a corto di soldi, dal momento che ha passato quasi tutto il giorno a dormire e poi si è lasciata sfuggire un potenziale cliente perché non le piaceva il suo aspetto: aveva tutta l’aria di un sifilitico. Adesso rimpiange di averlo lasciato perdere. Ormai dovrebbe aver imparato che è inutile aspettare l’uomo perfetto. 
Tuttavia, se adesso esce di nuovo, significa accendere altre due candele, le ultime che le rimangono. Anche il clima rigido va tenuto in conto: tutto quel dimenarsi a letto fa alzare la temperatura, che crolla di colpo appena si esce al freddo; una volta uno studente di medicina, tirandosi su i pantaloni, le ha detto che quello era proprio il modo di beccarsi la polmonite. Caroline ha un sano rispetto per la polmonite, anche se la confonde col colera e pensa che abbondanti gargarismi di gin e bromuro le garantiscano buone possibilità di sopravvivenza. 
Di Jack lo Squartatore non deve preoccuparsi; mancano ancora quasi quattordici anni, e quando farà la sua comparsa lei sarà morta per cause piú o meno naturali. Comunque, non si darà certo la pena di venire a St Giles. Come ti ho detto, qui partiamo dal basso.

Questo pezzo è tratto da:

Il petalo cremisi e il bianco
Michel Faber
Einaudi Editore, ed. 2010
Traduzione di Elena Dal Pra e Monica Pareschi
Collana "Super ET"
Prezzo 17,00€


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