mercoledì 24 dicembre 2014

[Dal libro che sto leggendo] Alla fine John muore...

Fonte: Fotos Photos

In effetti, fra i generi che qui - in questo spazio - mancano c'è anche l'horror. Non che sia proprio appartenente al genere, da quel che leggo è inserito in una sotto categoria che si chiama "splatter" le cui caratteristiche principali, stando a Wikipedia, sono:
"[...]l'estremo realismo degli effetti speciali, che descrivono lo schizzare del sangue ("To splat", in inglese) o la lacerazione dei corpi umani, con conseguente fuoriuscita di interiora. Spesso dal realismo si è passati all'esagerazione, allo scopo di disgustare o anche di far ridere gli spettatori.[...]".

Se avessi avuto un'idea più precisa di ciò che andavo a leggere, probabilmente questo sarebbe uno di quei libri da leggere ad Anzio. Non che sia noiosa la vita di mare, ma quando non sei in giro e stai a casa e non c'è telefono internet o anche la TV, anche il romanzo più strano ti sembra un'ottima alternativa alla noia. E infatti i libri più strani o noiosi li ho letti sempre al mare! 
Tra i difetti fisici c'è che il tomo, di 496 pagine effettive, è che è rilegato come se non dovesse essere aperto (ed è una fatica leggerlo senza sventrarlo, ve lo assicuro) ed è scritto un po' in un carattere più piccolo dello standard. Forse la versione ebook sarebbe stata, per me, la scelta migliore.

Detto ciò, riguardo le mie manie da lettrice, non ho un'idea precisa, a pagina 100, di quel che sto leggendo, sono certa che sto affrontando un testo che all'apparenza è ben tradotto e basta.
Vi farò sapere come è quando lo finisco.
Buone letture e buone feste,
Simona Scravaglieri 


Prologo

Risolvere il seguente enigma rivelerà il terribile segreto che si cela dietro l’universo, posto che non diventiate completamente matti nel tentare di farlo. Se per caso già conoscete il segreto che si cela dietro l’universo, sentitevi liberi di passare oltre.
Diciamo che avete un’ascia. Una da quattro soldi, presa da Home Depot. In un pungente giorno d’inverno, usate la suddetta ascia per decapitare un uomo. Non preoccupatevi, l’uomo era già morto. O forse dovreste preoccuparvi, perché siete voi ad avergli sparato.
Era un tizio corpulento e irrequieto, con la pelle dalle vene prominenti tirata sui gonfi bicipiti e una svastica tatuata sulla lingua. I denti limati a forma di taglienti canini appuntiti... conoscete il tipo. E voi gli state mozzando la testa perché, anche con otto fori di proiettile in corpo, siete abbastanza sicuri che stia per saltare di nuovo in piedi, pronto a strapparvi dalla faccia quello sguardo di terrore che la attraversa.
Con l’ultimo colpo, tuttavia, il manico dell’ascia si spezza. Ora avete un’ascia rotta. Così, dopo una lunga notte passata a cercare un posto dove abbandonare l’uomo e la sua testa, vi decidete a fare un salto in città con la vostra ascia. Andate dal ferramenta, facendo passare per salsa barbecue le macchie rosso scuro sul manico spezzato. Uscite dal negozio con un manico nuovo di zecca per la vostra ascia.
L’ascia aggiustata resta indisturbata nel vostro garage fino a primavera, quando, in una mattina piovosa, trovate in cucina una creatura che dall’aspetto sembra essere un lumacone con un sacco pieno di uova attaccato alla coda. Le sue mandibole spezzano in due una delle vostre forchette apparentemente senza grandi sforzi. Andate a prendere la fidata ascia e fate quella cosa a pezzi. All’ultimo, però, l’ascia colpisce una gamba di metallo del tavolo da cucina e al centro della lama si apre una tacca.
Ovviamente, una lama scheggiata significa un’altra puntata dal ferramenta. Vi vendono una testa nuova per la vostra ascia. Appena tornati a casa, incontrate il corpo rianimato del tipo che avete decapitato tempo prima. Anche lui ha una nuova testa, attaccata al collo con quello che sembrerebbe del filo di plastica per tosaerba, e sul volto ha la caratteristica espressione rancorosa di chi sta pensando: Ecco quello che mi ha ucciso l’inverno scorso. Un’espressione in cui raramente ci si imbatte nella vita di tutti i giorni.
Brandite la vostra ascia. Il tipo guarda a lungo l’arma con i suoi occhi appiccicaticci e decomposti e, con una voce simile a un gargarismo, grida: «Quella è la stessa ascia con cui mi hai decapitato!»
HA RAGIONE?
Erano le tre del mattino quando, spaparanzato nel portico di casa mia, stavo riflettendo su questo enigma, le guance e i lobi delle orecchie intorpiditi da una brezza gelida che mi spostava i capelli sulla fronte facendomi il solletico. Avevo i piedi sulla ringhiera e la schiena appoggiata alla spalliera di una di quelle sedie da giardino in plastica, del tipo che se ne vola per il prato a ogni temporale. Sarebbe stata una buona occasione per fumare la pipa, se ne avessi avuta una e fossi stato sui quarant’anni. Era uno di quei momenti di pace mentale che mi capitano di rado ormai, di quelli che non si apprezzano finché non...
Il mio cellulare prese a vibrare, il suono simile al ronzio di un’ape. Tirai fuori il sottile telefonino dalla tasca della giacca, lanciai uno sguardo al numero e sentii la paura diffondersi nelle vene. Rifiutai la chiamata senza rispondere.Tornò a regnare il silenzio, a parte il lieve applauso degli alberi fruscianti nel vento e le fragili foglie secche che scricchiolavano sul selciato. Quello e il dimenarsi di un cane mentalmente disturbato che cercava di arrampicarsi sulla sedia accanto a me. Dopo aver tentato per due volte di montarci sopra, Molly riuscì a farla cadere su un fianco con un gran rumore metallico. Fissò la sedia rovesciata per qualche secondo e poi iniziò ad abbaiarle contro.
Ancora il telefono. Molly ringhiò alla sedia. Chiusi gli occhi, dissi una rabbiosa preghiera e risposi.
«Pronto?»
«Dave? Sono John. Il tuo magnaccia dice di portare la partita di eroina stasera o sarà costretto a farti fuori. Raggiungilo dove abbiamo seppellito la puttana coreana. Quella senza pizzetto.»
Era un linguaggio in codice. Significava: ‘Vieni da me appena puoi, è importante.’ Un codice, sapete, nel caso il telefono fosse intercettato.
«John, sono le tre del...»«Oh, domani è il giorno in cui uccidiamo il presidente, non scordartelo.» Clic. Aveva riagganciato. Quell’ultima parte stava per ‘fermati a comprarmi le sigarette lungo la strada’.A dire il vero, il telefono probabilmente era intercettato, ma chi lo stava facendo avrebbe potuto altrettanto facilmente intercettare a distanza le nostre onde cerebrali se avesse voluto, perciò la cosa era irrilevante. Due minuti e un sospiro profondo più tardi, stavo canticchiando nella notte a bordo del SUV , aspettando che dalle bocchette del climatizzatore uscisse aria calda e cercando di non pensare a Frank Campo. Accesi la radio, nella speranza di tenere a bada la paura. Capitai sulla stazione della destra locale.
«Sono qui per dirvi che... l’immigrazione, sono come ratti su una nave. L’America è la nave e tuuutti questi topi stanno salendo a bordo, chiaro? E voi sapete cosa succede quando su una nave ci sono troppi topi? Affonda. È così.» Mi chiesi se una nave fosse mai davvero affondata in quel modo. Mi chiesi come mai nella mia macchina ci fosse quell’odore di uova marce. Mi chiesi se la pistola fosse ancora sotto il sedile del guidatore. Mi chiesi...Si era mosso qualcosa là dietro, nell’oscurità? Lanciai un’occhiata allo specchietto retrovisore. Mi venne in mente Frank Campo.

Questo pezzo è tratto da:

Alla fine John muore
David Wong
Fanucci Editore, ed. 2014
Collana "Chrono"
Traduttore Federico Lopiparo
Prezzo 20,00€

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2 commenti:

  1. Dovrei leggere anch'io un horror, credo che manchi totalmente tra le mie letture... I Piccoli Brividi non valgono, vero?

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    Risposte
    1. No, credo che non valga... Che si deve fare per essere completamente sconclusionate lettrici :DD
      Buone feste Paola!

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