Parigi 1925 Fotografia di Roger-Viollet Fonte: Venets |
Ci sono storie del passato della letteratura che riescono ad
essere, ancora oggi, più affascinanti di quelle inventate per la letteratura.
Ci sono persone che hanno fatto per la letteratura internazionale molto più dei
patinati autori. Hanno permesso che questa evolvesse e diventasse quello che è
oggi, un immenso patrimonio culturale di memorie e di storie che, se lette, ci
rendono persone migliori e ci fanno vivere, guardare e ascoltare saltando fra
le epoche o vivendo nella fantasia, mille vite diverse. È un concetto un po’
strano detto così, diventa più chiaro se pensiamo all'immedesimazione che
avevamo da ragazzini leggendo le gesta dei nostri amati eroi nei fumetti e nei
libri illustrati. Ecco molte delle persone che si incrociano nel libro di oggi,
avevano lo stesso sguardo trasognato e vivevano i libri, le fascinazioni del
linguaggio e degli stili narrativi in maniera talmente totalizzante che,
leggendo questo memoir, non si può fare a meno di rimanere coinvolti.
Siamo nella prima metà del ‘900, il periodo di cui parliamo
è fra le due guerre fra il 1920 e la fine della seconda guerra mondiale. Il
luogo è Parigi. Parigi è quel luogo in cui tutto il mondo che si distacca per
convinzione o curiosità, nonché rifiuto delle convenzioni sociali si ritrova. È quel luogo
dove in ogni angolo il pullulare delle conversazioni, che ai più sembrano
astruse, ti raggiungono e stuzzicano la tua curiosità. Se tendete l’orecchio
potreste sentire la voce baritonale di Gertrude Stein che commenta nel suo studio il
primo quadro di Picasso che ha acquistato dicendo che la ragazzina rappresentata
ha i piedi grossi o sentire Apollinaire e Picasso che parlano impauriti della
collezione di oggetti africani che hanno acquistato e la cui provenienza non è
così chiara, oppure vi capiterà di osservare un omino minuto con il cappello di paglia e gli occhialini. Ieri spendeva e spandeva, oggi è di nuovo povero, ha una moglie e dei figli e ha vissuto per un certo periodo in Italia, a Trieste per la precisione. Si chiama James ma tutti lo conosceranno e ne parleranno solo come Joyce, cognome che ci fa pensare a quel mastodontico mattone che è l'Ulisse. Ecco, lo troviamo a Parigi perché lì c'è una simpatica e scavezzacollo americana che, supportata dalla amica che fa anche lei la libraia, ha aperto un negozio di libri che poi ha spostato dopo un anno per stare più vicino alla sua Adrienne. L'Adrienne in questione noi la conosciamo già, è Adrienne Monnier, e qui l'abbiamo incontrata con la raccolta degli scritti che ha redatto per varie occasioni nella sua libreria che in Italia si trova sotto il titolo "Rue de l'Odeòn. La libreria che ha fatto il Novecento"(era pubblicato da :duepunti Edizioni). La nostra intrepida americana invece si chiama Sylvia Beach e s'innamora subito del progetto di Joyce e lavora alacremente per pubblicare quello che nessuno mai oserebbe fare con un autore così. E' affascinata dal suo eterno spingersi oltre il linguaggio convenzionale per creare nuovi percorsi comunicazionali.
Parigi non è solo la culla delle arti in quel periodo ma anche di una nuova libertà: il vivere fuori dalle convezioni. Colette aveva divorziato, aveva pubblicato libri scritti in cui campeggiava il suo nome e si era data al teatro facendosi anche un amante giovane, Gertrude Stein viveva con Alice Toklas, compagna da una vita e Sylvia e Adrienne erano molto più che unite da una sola amicizia, eppure il fatto di fare lo stesso lavoro, di vedere alla vita e all'esplorazione dei nuovi mondi letterari come un'opportunità da perseguire, fu un'amplificazione dei sentimenti che le univano così profondamente. Fece sì che quella strada che, prima di giungere sulla Senna doveva passare accanto al teatro, diventasse essa stessa il teatro delle gesta che molti autori, scrittori, architetti, artisti e giornalisti fecero per rendere quella porzione di Novecento magico e che gli sopravvivessero parte delle correnti che diventeranno i pilastri della cultura contemporanea.
In questo rutilante mondo sono ambientate le memorie di Sylvia e, se pensate al fatto che quello che vi ho presentato è solo la minima parte di quel che smuove l'ambiente parigino, e poi leggere il libro lo troverete un po' sottono. Le descrizione dei metodi alquanto alternativi di Joyce di approcciare alla scrittura e gli aneddoti su di lui e su Hemingway rendono l'idea di quanto fossero uomini e al contempo geni questi artisti. Ce li rende più vicini, ma sebbene abbia dedicato una vita all'Ulisse, della Parigi fuori dal negozio ce n'è davvero poca rispetto ai lasciti della compagna. E' questo il neo di questo libro, che comunque andrebbe letto per avere una conoscenza in "presa diretta" e non solo accademica di Joyce. Perché Joyce, a quanto ci dice Sylvia non è l'Ulisse, è il contrario. Ogni parola scritta è una parola che non era abbastanza per significare il pensiero di colui che scriveva. L'ansia di comunicare una storia al di là della semplice comunicazione sino ad allora conosciuta e utilizzata è la stessa di Picasso alla ricerca del segno grafico unico e schematizzato che racconti la stessa storia. Se, come diceva la Stein, Picasso produceva tanti quadri e si accompagnava con soli scrittori perché in fondo era lui stesso uno scrittore e i suoi quadri pagine di storie, Joyce è uno scrittore pittorico che ha necessità di cesellare il linguaggio per poter tirare fuori tra le mille sfumature del significato quello nuovo, nascosto fino ad oggi ai più.
In questo Sylvia è più che puntuale, quasi una biografa d'eccezione e con un gran talento nella ricostruzione di questo ritratto così particolareggiato da risultare completamente diverso da quelli che si leggono in giro. La scrittura è scorrevole e piacevole, gli eventi sono raccontati in maniera che si susseguano uno dietro l'altro e mantengano il livello di coinvolgimento del lettore sempre alto; non sai mai che ti aspetterà alla pagina successiva eppure lo spirito voyeristico, che sobilla la scrittrice e che non sapevi di avere, ti porta a continuare a leggere per vedere che succederà ancora. Un libro bello, tutto sommato, anche se con questo neo di una occasione in parte persa perché, giusto da questi resoconti, abbiamo l'opportunità di tornare in quegli anni e continuare a sbirciare fra le strade di una città come nasce un nuovo mondo, quello che oggi abitiamo ma che non possiamo, perdendo la memoria, imparare ad apprezzare fino in fondo.
p.s.: L'originale libreria Shakespeare&Company è quella di Sylvia e non l'attuale. Venne chiusa all'inizio della guerra e Sylvia andò a lavorare con Adrienne a la "Maison des amis des livres" che invece rimase aperta anche durante tutto il periodo bellico. L'attuale Shakespeare&Co, ex Mistral, prese questo nome alla morte della Beach in suo ricordo.
Buone letture,
Simona Scravaglieri
Shakespeare and Company
Sylvia Beach
Edizioni Sylvestre Bonnard, ed. 2004
Traduzione a cura di Elena Spagnol Vaccari
Collana "Il piacere di leggere"
Prezzo 26,00€
Come dici tu, è bello riscoprire attraverso i libri le storie del passato, e soprattutto le storie dei luoghi che frequentiamo, quotidianamente o no.
RispondiEliminaInteressante la curiosità finale, non la conoscevo.
Le informazioni dulle date delle aperture di Shakespeare&Company le ho trovare prima sul libro della Monnier appena accennate e poi, pure in questo. Ma il dubbio mi è venuto guardando un celebre film che si chiama Julie&Julia, di cui in questo blog c'è la recensione del libro a cui è ispirato. Nel film "Giulia Child" va a cercare un libro di cucina francese in inglese in quella che l'odierna libreria, ovvero l'ex Mistral, che però, all'epoca in cui la Child era in Francia non si chiamava ancora Shakespeare and Company, perché la Beach era ancora in vita e la sua libreria, che era da un'altra parte a Rue del l'Odéon era già chiusa da una decina di anni.
EliminaBuona domenica! Simona