mercoledì 27 luglio 2016

[Dal libro che sto leggendo] Ruggine

Fonte: Wall Paper stock

Questa è una lettura recentissima. Ho comprato questo libro incuriosita dai tanti commenti positivi e l'ho letto un paio di settimane fa. In effetti, più che un romanzo, è un racconto lungo e non è nemmeno male. C'è qualcosa da dire sicuramente in merito alla tecnica che sembra essere stata usata ma ne riparleremo in recensione.

Gina è una ottantenne schiva e solitaria che subisce gli attacchi del tempo. Quello più vistoso è la schiena piegata da un invisibile peso che la costringe ad enormi fatiche per muoversi e fare anche le più elementari azioni. E' vedova e il figlio non vive più con lei e in paese si sussurrano brutte storie. Gina allo stato attuale ha una sola preoccupazione, conservare la casa che il suo proprietario di casa vuole toglierle per venderlo alla coppia di professori che hanno comprato l'appartamento adiacente. E poi c'è Ruggine che l'ha scelta come compagna di vita. E' stato più cocciuto di lei e lei non ha resistito a provare per l'ultima volta a mostrare un po' d'affetto per un altro essere vivente... 

Libro decisamente ben scritto, accurato che con le descrizioni ben bilanciate nella storia, della serie difficilmente vi annoierete, e se siete lenti come me, vi occuperà il tempo di un pomeriggio. Provare per credere!
Buona letture,
Simona Scravaglieri



Uno  

Non era che una vecchia. Non le sembrava di aver avuto una giovinezza, una maturità. Molti avvenimenti del passato li aveva dimenticati. 
Vecchia e sola contro tutti durante una vita intera, s’era saputa difendere, era riuscita a sopravvivere. 
In fondo quella sua condizione le sarebbe perfino piaciuta –solo una persona antica può avvicinare i misteri del mondo –se non fosse stato per il suo busto: s’inclinava in avanti ogni anno un poco di più come se, per trovare sollievo dai dolori che la tormentavano, cercasse di non opporre resistenza alle leggi della vita che impongono, a chi non è toccato dal privilegio, di chinare la schiena. 
Stare eretta le provocava infatti un forte male ai lombi, per cui non cercava più di contrastare quella postura gobba che ormai era diventata un suo segno caratteristico. 
Il dolore dal dorso migrava spesso in altre parti, sporadico o durevole, e Gina viveva paventandone l’arrivo. Lo sentiva muoversi subdolamente nella sua carne come meditando in che punto attaccare, passare dai lombi alla coscia trafiggendo il muscolo con una fitta lancinante, o infiammando un nervo della testa che la faceva lacrimare e la costringeva a stendersi sfinita e vinta: a quelle crisi seguivano periodi di requie, in cui recuperava la forza e la speranza. Era come se la sua anima, oppressa da una pena greve, ne volesse spartire il peso col corpo. 
Le mani di Gina, giallastre e rugose, punteggiate da qualche macchia scura, sembravano quelle di una mummia, quasi il sangue le avesse abbandonate. 
La pelle le s’increspava in grinze sul collo e sulle braccia, e non pareva possibile neppure a lei che un tempo fosse stata liscia e tesa sulla carne soda. 
I capelli, quelli erano ancora rigogliosi, attaccati tenacemente alla cute, bianchi con qualche ciocca d’argento, cui riusciva a dare un riflesso violetto con una lozione a buon mercato. 
Aveva sempre sospettato che al di là di questa vita ci fosse il nulla e ora che la morte s’approssimava le sembrava più che mai evidente. 
Quel che il prete predicava in chiesa a Gina pareva una favola per quelli che, per paura della morte, sono disposti a credere a tutto. Disprezzava quei “fedeli”: convinti di far parte di una congrega di giusti, erano pieni di presunzione. 
Per Gina su questa terra non c’erano che il bene e il male, che si affrontavano ogni giorno in una lotta all’ultimo sangue, e uno doveva decidere da che parte stare. Gina sapeva riconoscere dai tratti del volto chi dice di volere il bene, ma poi non sa cosa siano la generosità e la compassione. Per questo anche da giovane era rimasta inavvicinabile, segreta, disillusa come una che ha già molto vissuto. 
Il parroco della chiesa di Santa Lucia, situata nello slargo su cui s’affacciavano due finestre di Gina, era morto e il suo posto era stato preso da un giovane originario della Giamaica, che aveva scelto di farsi prete per poter campare. 
Lui, il giamaicano, non si sentiva migliore di nessuno e aveva chiaro che la vita è una bestia che stritola nelle sue spire. 
Si chiamava George e lo avevano ribattezzato col nome di don Feliciano: passava a Gina qualche soldo affinché spazzasse la sagrestia e cambiasse i ceri e i fiori dei vasi sull’altare. 
Gina lo aiutava volentieri: quelle incombenze le impedivano di pensare al dolore subdolo che sarebbe arrivato puntuale, a volte così insistente e acuto da lasciarla sfinita sul letto. 
Sperava di riuscire a consumare il resto dei suoi giorni con dignità, senza che il male avesse la meglio su di lei e che, sporca e sciatta per non essere più riuscita ad alzarsi, il Sestini, padrone della casa in cui viveva, con sua soddisfazione la trovasse morta. 
Voleva rimanere lì, in quelle stanze in affitto dove era vissuta per tanti anni e dove aveva cominciato una nuova vita. 
Lì, in quella casa, davanti al caminetto, quella sera s’era chiesta quale fosse stato il filo conduttore che l’aveva guidata nella sua esistenza. Cosa le avesse dato la forza di tirare avanti e, da ultimo, di combattere il dolore che a un certo momento era comparso e non l’aveva più lasciata piegandole la schiena. 
«I suoi muscoli so’ sani, non si spiega perché le fanno male», sentenziava il dottor Mangiavacchi. 
Una volta il Mangiavacchi, sul sagrato della chiesa dove non metteva mai piede –non gli era necessario per esser rispettato, la gente aveva bisogno di lui –, le aveva detto sornione: «Le sue fitte se n’andranno così come so’ venute, quando la su’ schiena curvandosi avrà raggiunto il punto d’equilibrio». Era convinto che Gina esagerasse le sue sofferenze. Il male era, secondo lui, lo scorrere del tempo che costringe alcuni a piegarsi a poco a poco, mentre altri li annienta con un colpo secco. 
Quell’uomo approssimativo non sapeva vedere nei mali del corpo un riflesso di quelli dell’anima e un giorno, mentre le infilava l’ago nel braccio con un’espressione infastidita che sembrava un tacito invito a togliersi di mezzo per far posto ai giovani e agli efficienti, Gina aveva temuto che le stesse iniettando gocce di veleno. Non era di farmaci che aveva bisogno: sarebbe guarita solo se lui l’avesse trattata con considerazione e rispetto. 
Da allora aveva preso a curarsi da sé, sostenuta nella sua voglia di vivere dalla fascinazione che dopotutto provava ancora per quanto la circondava. L’esperienza con quel dottore l’aveva fatta riflettere: lei non avrebbe negato attenzione a chi ne aveva bisogno. Bastava poco, due parole, un consiglio; avrebbe saputo ascoltare, guardare negli occhi. 
Per quanto diffidasse degli uomini, l’interesse per loro non era mai venuto meno. Nel silenzio di quelle stanze dove viveva sola, s’appostava spesso alla finestra per osservare quanto accadeva in strada. Era attratta dai volti dei passanti, dai loro gesti che tradivano i più reconditi pensieri, le preoccupazioni, le speranze, le notti insonni, e fin da ragazza aveva imparato a leggere nelle rughe della pelle e nei lineamenti, il destino che ciascuno porta scritto in faccia. 
Da altri indizi –l’intonazione della voce, un’ombra d’ambiguità nello sguardo –era capace di intercettare la perfidia, così come di scoprire in un cenno d’esitazione, in un gesto franco una bontà nascosta, che la riempiva d’incredulità come avesse trovato una pepita nel suolo arido dell’animo umano. 
Amici non ne aveva e, a pensarci, non ne aveva mai avuti, anche se da qualche tempo spartiva la casa con Ferro. 
A vederlo immerso in un sonno profondo, inerme e inoffensivo con le zampe ciondolanti fuori dalla sedia, nessuno avrebbe potuto immaginare quanto quel gatto fosse guerrafondaio e opportunista. 
Le era venuto dietro per la via, sbucato da chissà dove. Era molto giovane, forse abbandonato da chi l’aveva messo al mondo. La prima volta l’aveva seguita fino all’uscio e mentre introduceva la chiave nella serratura –una chiave difettosa che prendeva tempo a girare nella toppa –lui s’era messo a strusciare il naso umido contro le sue gambe inarcando la schiena. Gina l’aveva sollevato col piede e spostato più in là cercando di entrare rapida in casa per chiudergli la porta sul muso. Da tanto tempo non permetteva a qualcuno di varcare quella soglia. 
Ma lui non s’era dato per vinto. 
Lo aveva incontrato di nuovo alla fontanella, poi alla bottega del Cioni: sembrava essere lì ad aspettare lei e l’aveva di nuovo seguita fino a casa. Stupita da quella costanza, una sera Gina si disse: “Le madri li abbandonano in un campo, in un fosso, i più soccombono, quelli che sopravvivono diventano randagi o si mettono in cerca d’un padrone. Lui ha scelto me”. 
L’aveva fatto entrare. In quelle stanze poteva starci anche lui. Era solo, come lei. 
Non appena in casa quell’essere morbido e selvatico aveva preso a darle piccoli morsi al polpaccio, come volesse dimostrarle la sua gratitudine: Gina aveva sentito che, insieme, avrebbero potuto farsi scudo l’un l’altra contro le insidie del mondo. Lo aveva chiamato Ferro, per il color fuliggine della pelliccia che sulla punta delle orecchie, sulla coda, sul petto dava in un rosso aranciato come una patina di ruggine. 
A quel nome accorreva. Un giorno lo chiamò e lui non obbedì, segno che non era più tanto fragile e indifeso e Gina ne trasse un senso di sollievo.


Questo pezzo è tratto da:

Ruggine
Anna Luisa Pignatelli
Fazi Editore, ed. 2016
Collana "Le strade"
Prezzo 16,00€


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4 commenti:

  1. Anch'io l'ho letto, ma non l'ho amato, anche se non c'è un motivo oggettivo particolare. Riconosco che è ben scritto, ma forse rappresenta una situazione troppo classica per i miei gusti, ha un non so che di già sentito, sia nello stile sia nell'intreccio.

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    1. Ecco, il fatto che non sono l'unica a pensare che qualcosa non quadra, mi consola, ne riparliamo settimana prossima con la recensione se vorrai passare di qui. Simona

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  2. Ciao, ho appena scoperto il tuo blog e mi sono aggiunta tra i lettori fissi :-)
    Non conosco questo romanzo ma mi pare che tratti di una tematica molto particolare e mi incuriosisce...

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    1. Ciao Ariel grazie, se riesco a chiudere la recensione ne parlo domani!
      Benvenuta e buona serata!

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