mercoledì 28 marzo 2018

[Dal libro che sto leggendo] Gli autunnali

Fonte: LettureSconclusionate
L'ossessione è stata spesso protagonista di romanzi e racconti, come anche quello di cui abbiamo parlato venerdì, ma come per "l'amore" è facile scadere nel già visto o anche nell'inconsistenza. I protagonisti sembrano più capricciosi che ossessionati e il tutto diventa fintamente fosco e anche parecchio noioso. Invece l'ossessione è una forma inconsistente e circolare che porta le persone a diventare "circolari" esse stesse, nei pensieri, nelle azioni e finanche negli sguardi. E' quello che succede qui, nel libro di oggi, dove l'ossessione che nasce da un disamoramento comincia in un piccolo cerchio di dubbi, di riflessioni e di pensieri sparsi e disorganizzati che, altrove magari sarebbero troppo filosofici ma qui il protagonista è uno scrittore, che si allargano a macchia d'olio amplificando la portata dell'impatto nelle azioni quotidiane e nel discernimento del nostro, perdonate la ripetizione, protagonista.

Non si scade nella follia con l'ossessione, l'ossessione diventa come l'amore una fase in cui ci piace cullarci perché ci da gli stessi sintomi dell'innamoramento. Semmai è la gestione dell'intimità che diventa complessa. L'oggetto dei nostri pensieri è lo stesso e man mano che visualizziamo e contestualizziamo sentiamo la necessità di rendere l'oggetto del nostro desiderio tangibile e parte integrante della nostra vita normale. In tutto questo non c'è nulla di fosco, anzi c'è la necessità di portalo alla luce, di dichiaralo al mondo di renderlo onesto, proprio come un amore clandestino. Questa è la storia di uno scrittore che, al ritorno dalle vacanze trova che nella sua vita sia stato rubato qualcosa. L'abitudine gli ha rubato il sentimento che fa andare la coppia. Poi un giorno un libro, una foto, una donna lo riportano dove vorrebbe essere.

Questo è un bel libro, non solo nei temi che tocca, ma anche per i tempi che utilizza per farlo. Più lungo sarebbe risultato stucchevole o ripetitivo, più corto invece avrebbe dato l'impressione di essere monco. Mi è piaciuto...e oggi ve ne faccio sbirciare qualche pagina.
Buone letture,
Simona Scravaglieri



Settembre 
Ero in mutande alla finestra perché a settembre a Roma si cuoceva. Anche mi moglie Sandra era senza vestito, e stava sul letto, sopra le lenzuola, e mi guardava. Che cosa m'impediva di stendermi accanto a lei? Il filo dei pensieri partiva sempre con un'affermazione che poi, inesorabilmente, si convertiva in una domanda: "Mia moglie è bella, è bella mia moglie?" Mia moglie è sempre stata bella, mi dicevo, cercavo di riflettere. Una bellezza rinascimentale, dicevano di lei, color pastello, quella massa di capelli densamente castani, gli occhi grandi sul verde cenere (un colore inventato apposta per descriverli), il corpo massiccio ma proporzionato, un filo di cellulite appena a sfigurarla ("Sfigurarla" nell'accezione avanguardista, mi moglie era come la Gioconda con i baffi). E allora? Adesso quali cambiamenti potevo registrare? Era invecchiata, certo, ma l'invecchiamento poteva dirsi per forza di cose un peggioramento? Era ingrassata? Le si erano gonfiate le caviglie e i piedi, aveva la pancetta (nelle donne è insopportabile), le era venuto uno sguardo bovino? Quel pomeriggio, mentre svuotava le valigie del mare, l'avevo forse trovata patetica con quell'abbigliamento sportivo, maglietta, fuseaux e scarpette da tennis? Mi sentii con le spalle al muro e cacciai un tenue sospiro, restando sempre affacciato alla finestra. Provai a dirottare i pensieri su una qualsiasi inezia. Ma a cosa avrei potuto pensare? A cosa mai pensavano i coniugi dalla mattina alla sera se non al proprio partner? L'ossessione dell'amore non era niente al confronto dell'ossessione del disamore, solo che al confronto della prima la seconda era pura sconfitta, fallimento, annichilimento. Ebbi la tentazione di condividere parte di quei pensieri con Sandra. Ma poi, anche se fossi riuscito a non farmi mandare a quel paese, cosa sarebbe successo? La solitudine non si avvertiva maggiormente nel dialogo, nella condivisione, nello stare insieme? Avrei potuto prenderla e basta, senza dire una parola. Non c'era niente che me lo impedisse, la fede all'anulare mi autorizzava. Mancava la voglia perché era sparito il sentimento, o viceversa? Infine mi arresi e tornai a rimuginare. "Mia moglie è bella, è bella mia moglie?"
In quel momento Sandra si appoggiò di scatto alla testiera, e fu quasi peggio che se avesse sbuffato. Era un modo abbastanza inequivocabile per ricordarmi che quel pomeriggio d'inizio settembre - uno di quei pomeriggi in cui l'estate comincia timidamente a flirtare con l'autunno -, rientrati dalla villeggiatura al mare, dentro quella camera, esisteva anche lei. Che la mia vita era con lei, nel bene e nel male. Capii subito il senso di quel cambio repentino di posizione e mi avvicinai al letto. Se mi fossi deciso a stendermi, non ci sarebbe stato altro motivo se non quello di fare l'amore. Ma i coniugi smettevano abbastanza presto di fare l'amore e cominciavano a leccarsi le ferite. Non era un'immagine metaforica. Il sesso coniugale non veniva più compiuto per ricercare il piacere, bensì per procurare un sollievo. Diventava un lenitivo - perfino un anestetico - per la vita trascorsa insieme, giammai un eccitante. Il trantran dell'accoppiamento diventava molto poco avventuroso, perciò marito e moglie ripiegavano presto su consolazioni individuali, meno passibili di un qualche fraintendimento, tipo la filatelia o il giardinaggio o le riviste di moda o lo sporto in tv. Si cercavano oppiacei per dimenticare il dispiacere di non poter più condividere la passione del sesso, il furore del sesso e, allo stesso tempo, anche per allentare la morsa dell'affetto. Proprio così, l'affetto era sempre incombente, prepotente, ricattatorio.
"Mi dici a cosa diavolo stai pensando?" Mi chiese Sandra, palesemente indispettita.
"A niente, perché?" "Hai una brutta faccia."
Avrei dovuto essere contento che dopo tanti anni di matrimonio mia moglie ancora mi guardasse attentamente- Ma in fondo funzionava così per tutte le coppie. Le coppie ad un certo punto smettevano di parlare e cominciavano a guardarsi. Smettevano di parlare a tavola, smettevano di parlare in macchina, smettevano di parlare nelle sale d'attesa degli ambulatori, smettevano di parlare a letto. In passato lui e lei si erano amati da impazzire, ed erano stati ossessionati dall'idea di amarsi di meno. Oggi non ne potevano più e l'orizzonte della loro ossessione era mutato: controllavano a che punto era arrivata l'esasperazione e la noia dell'altro, volevano capire chiedei due stesse per esaurire la pazienza, fosse più vicino a mandare tutto a monte.
Questo pezzo è tratto da:

Gli autunnali
Luca Ricci
La Nave di Teseo, Ed. 2018
Collana "Oceani"
Prezzo 17,00€ 

venerdì 23 marzo 2018

"La guardarobiera", Patrick McGrath - L'arte dell'ossessione....

Opera di Ron Mueck, "Mask"
Articolo Tirso Valli , L'undici (Maggio 2013)


Se fosse facile tutti potremmo farlo. E invece scrivere cercando di svelare temi particolari in maniera interessante, facile, non lo è affatto. Ancora più difficile è distaccarsi dal momento o argomento perfetto finanche si tratti di stile. Credo che sia il dilemma di ogni scrittore che scriva un libro da tutti marcato come capolavoro è che ha il terrore di distaccarsene. Succede a gente come Saviano, che non riesce a scrivere che di mafie e succede anche a McGrath con Follia. Quello di cui parliamo oggi è proprio un lavoro così, La guardarobiera, che per alcuni versi è anche riuscito, ma per molti altri manca dello smalto della spontaneità. Da come se ne parlava sembrava un ritorno con il botto... e invece è un po' una lambretta. Sicuramente una bella storia che però si perde nelle intenzioni dell'autore di ripetere atmosfere interiori che già furono protagoniste in Follia: la donna, s'è capito, è facile da scegliere come protagonista nella sua complessità, un po' perché si sa, "donne, chi le capisce!" e poi perché le donne leggono, non tutte ma molte, e se conquisti una donna per la tua arte, questa non t'abbandonerà più. Doppio investimento? In parte sì, perché gli uomini di McGrath appaiono sempre meno spessi o consistenti; diventano una scusa per girare le situazioni che volgono alla stagnazione oppure come maschere per rinvigorire un dolore o uno spasmo.

E così, a cinque anni dalla fine della seconda guerra mondiale, ci ritroviamo in una Londra ancora distrutta e martoriata, dal razionamento e dagli effetti dei bombardamenti. Siamo nello specifico ad un funerale. La salma è stata salutata per l'ultima volta e chi l'ha conosciuto è al ricevimento in sua memoria. Lui era Gricey, conosciuto attore teatrale che lascia una moglie, capo guardarobiera in un teatro, e una figlia che si è sposata da qualche anno con Julius. Julius è molto più grande di lei e prima aveva un suo teatro, che ha perso in un bombardamento, e che ha deciso di rimanere comunque nel campo reinventandosi come produttore teatrale. A questo gruppo di parenti ristretti si aggiunge quella che, da alcuni, viene definita come sorella, da altri la cugina e dai più malevoli una "chissà che ci fa con lui". È una donna scostante, a volte brusca e peggio in altre estremamente confusa, che parla spesso in tedesco e che in realtà è un'ebrea, fuggita dalla Germania nazista, che Julius ha aiutato a salvarsi portandola da Parigi in Inghilterra. In questo ricevimento molto strano, le voci che, ora ci sono e poi spariscono - ne riparleremo dopo-, ci fanno capire che questo gruppo di persone si distingue dalla massa non solo per il grado di parentela e conoscenza ma anche per un'ombra gettata sulle cause della morte di Gricey. Quello che colpisce, invece, gli astanti ignari è il dolore composto della vedova, una donna così bella e signorile, che non molla per un secondo il suo atteggiamento austero. Quello che non sanno è che lei a casa avrà un bel da fare con quello che è il guardaroba del suo defunto marito, perché lì vede il mezzo per riaverlo indietro, toccando e annusando, nonché prendendosi cura dei suoi vestiti. E il guardaroba ad un certo punto si comincerà a svuotare, come man mano il dolore della perdita di un congiunto smette di mozzarti il fiato.

Ogni pezzo non solo segnerà un allontanamento, ma anche una nuova certezza o sguardo alla figura mitizzata del marito e il passaggio al successivo pezzo, alla successiva analisi e infine scoperta. Mezzo perché questa via crucis si avveri è il sostituto di Gricey in teatro. Il Malvolio che cammina sulle tavole di quel palco, ha così ben imitato il marito che ne potrebbe interpretare anche il sostituto nella vita vera, cominciando con l'indossare i suoi vestiti. Comincia come un aiuto ad uno squattrinato, poi diventa il mezzo per cancellare ciò che di lui era meglio non sapere.
Questo è in sostanza da dove si parte a raccontare. Donne complesse e contorte, strettamente legate alla loro privacy, che vedono nella mancanza, un elemento destabilizzante, incapaci di opporre a questo vuoto alcunché di costruttivo. Eppure da come ce le presenta madre e figlia hanno avuto un discreto successo e sono rispettate da tutti. Ma di questa contrapposizione fra prima e dopo, McGrath non se ne fa cruccio, la usa come perno per evidenziare meglio la rottura che avviene nell'anima della vedova. Per una parte dello svolgimento la storia è anche pertinente e, sebbene situazione e ambientazione siano differenti, viene quasi naturale sentirsi in un dejà vu. Ma ad un certo punto la trama si ferma, rallenta e la vedova sembra non aver più motivazioni per essere disperata, il Malvolio per essere il sostituto, la figlia per nascondersi al marito e via dicendo e se ne accorge anche lui e aggiunge necessarie spiegazioni che possano rivoluzionare lo scenario.

E tutto invece torna appannato, come nel finale allungato di Follia, solo che qui non sono poche pagine, i personaggi fingono nevrosi che non sembrano verosimili ma di facciata, le paure diventano di plastica e ti sembra che la magia sia persa per sempre. Torna ad essere una storia normale, un modo per leggere una cosa scritta bene, se sorvoliamo sulla traduzione un po' bislacca e libertina (a parte le "iii" per indicare III che mi dicono essere una probabile "scelta di redazione" e per me sono un grossolano errore in italiano, abbiamo un bel "mento feroce" e una serie di enunciati che non stanno in piedi da soli ma ricalcano in maniera pedissequa l'originale in inglese), e che ha un inizio alla fine. Ma questo te lo aspetti da un autore qualunque e non da McGrath; da lui ti aspetti anche un libro complesso, che parli anche di altro ma che ti rapisca come fu per l'ossessione di una donna che vive il suo amore distruttivo, quasi per continuare a gioire del male che si fa. Quindi si spera che la prossima sia migliore. Ci sono autori che per tutta la vita ti conquistano come le loro belle storie, ce ne sono altri che continuano a sbagliare e sarebbe naturale dire "Vabbé lascio stare...". Il problema è che, fra questi ultimi ce ne sono alcuni che, nonostante gli svarioni o le storie che non vanno ogni volta per un motivo, tu seguirai sempre lo stesso; non è legato alla "mania della crocerossina" delle donne, ma piuttosto al fatto che, nonostante tutto, per un pezzo della storia o in momenti particolari sanno ricreare magie e mondi che quelli sempre bravi non riusciranno mai a tangere e tu continui a leggere nella speranza che la prossima storia sia quella davvero perfetta.  Fino ad oggi in questa categoria, per me, rientrava solo Scarlett Thomas. Ho scoperto con questo libro che si è aggiunto Mcgrath, senza il mento feroce però...

Ah dimenticavo, le voci. Mentre in follia il resoconto è del medico curante qui ci sono le voci, si parla sempre al plurale, quasi in un coro greco a commento di una tragedia. Qui, quella che potrebbe essere considerata un'innovazione rispetto l'arte greca, fallisce. Le voci compaiono e scompaiono senza un motivo e non riescono a donare il naturale ritmo al susseguirsi delle vicende. Cessano di essere voci a commento e sembrano soltanto ricoprire quelle del gossip facilone e disturbante, nicchiando a questioni che non verranno né risolte e tanto meno spiegate. 
Buone letture,
Simona Scravaglieri

La guardarobiera
Patrick McGrath
La Nave di Teseo, ed. 2018
Traduzione a cura di Carlo Prosperi
Collana "Oceani"
Prezzo 19,00€


Fonte: LettureSconclusionate

mercoledì 21 marzo 2018

[Dal libro che sto leggendo] I figli del male

Antonio Lanzetta
Fonte: Il Libraio
E sono di nuovo qui. In questo periodo di fermo e di riflessione ho fatto anche un giro alla fiera di Tempo di Libri ed è stato illuminante, sebbene a volte sia faticoso conciliare lavoro e blog, ho difficoltà a lasciare questo passatempo di cogliere ogni occasione buona per rompervi con i libri che leggo e quindi ricominciamo da qui, anzi da Salerno, da un thriller fresco di stampa che mi è piaciuto molto. Comprato completamente senza sapere di chi fosse Lanzetta (perdono qualora passassi di qua!) e convinta dall'entusiasmo della ragazza dell'ufficio stampa e della collega, mi sono ritrovata a fare il viaggio di ritorno con il pensiero di voler scoprire se davvero fosse quello che prometteva.

Il bello di questa storia è che non sembra di essere di "plastica"; succede spesso che i thriller italiani che siano ambientati in Italia sappiano di falso perché copiano caratteristiche di oltre oceano che non appartengo al nostro mondo. In questo caso non succede, il romanzo è verosimile, in tutti i limiti della nostra italianità. C'è la fatica dell'indagine corroborata dalla burocrazia che ne blocca ogni avanzamento, le fughe di notizie e i controlli a tappeto, c'è il commissario che chiude un occhio su pratiche non ortodosse pur di evitare di rinvenire un altro cadavere. Ci sono molti dubbi, sul perché alcuni morti sono ritrovati con un messaggio in bocca e sul perché, quel che si legge, evochi ricordi che si sperava di dimenticare. E c'è anche Damiani, scrittore che dai fatti di cronaca trae romanzi di successo analizzando cause ed effetti dei più efferati omicidi.

"La storia si ripete" sottintende l'autore, la storia e anche gli eventi. Per capirla bisogna vederla scorrere in un parallelo, fra il presente narrativo e un passato mai troppo lontano, in un intreccio mortale e spaventoso che può rivelare un'unica verità che è quella che nessuno, compreso Damiani e il suo amico Flavio, vorrebbero sentirsi dire. E' davvero un ottimo libro di cui riparleremo in recensione e quindi oggi vi lascio sbirciare le prime due pagine del prologo certa che come me, vorrete saperne di più anche voi.
Buone letture,
Simona Scravaglieri


PROLOGO


Il freddo le strisciava addosso come una cosa viva. Sulla pelle, lungo le braccia, avvinghiato alle gambe nude. Lacerava la carne, i muscoli, scavando i solchi  nelle ossa, Il freddo era consapevolezza. L'idea che, se anche avesse lottato, se lo avesse desiderato con tutte le forza, non sarebbe potuta tornare indietro.
Indietro. Sì, ma dove?
La ragazza tossì, inarcando la schiena sul tavolo d'acciaio. Si sentiva come un cadavere nella sala di un obitorio, con solo un lenzuolo sporco sulla faccia e un cartellino appeso al piede. Forse era davvero morta. Proprio come aveva sperato tutte le volte che aveva sentito il rumore dei loro passi nel corridoio. Le voci attutite dal cemento. Voci che aveva imparato a odiare più della sua immagine riflessa in uno specchio.
Lei era un giocattolo, nient'altro che un giocattolo di carne nelle loro mani.
Morta.
Poi il bambino si mosse. Una debole vibrazione dentro di lei a ricordarle che era ancora viva, in un modo o nell'altro. Serrò le labbra spaccate e deglutì un grumo di saliva che le incendiò la gola. Tentò di allungare un braccio, quanto bastava per sfiorarsi l'addome, ma non ci riuscì. Si sentiva a pezzi, così debole che il semplice respirare le costava fatica.
Quando le avevano detto che era incinta, aveva vomitato. Sapeva cosa sarebbe accaduto, lo aveva visto fare alle altre e questo la terrorizzava.Il mostro era dentro di lei. Si contorceva nel suo addome, tentacoli appuntiti che le rovistavano la pancia, succhiandole il cibo, rubandole il sonno e la vita. Avrebbe voluto strapparselo via, se solo avesse potuto. Afferrare una forchetta e squartarsi la pancia. Ridurre la pelle a un foglio stracciato.
Era l'unico modo per uscire da quella casa. Morta.Solo che loro non lo avrebbero lasciata morire, non finché avesse avuto quello che volevano. La controllavano, non la lasciavano mai sola. Nemmeno quando dormiva.
Un gemito.
Provò a sollevare la testa ma pesava come un blocco di cemento. La nuca rimbalzò sul tavolo, il braccio disteso lungo un fianco. Non poteva muoversi. Era spossata, il cuore che le batteva all'impazzata e un ronzio costante nelle orecchie. Tossì, ancora una volta, e un conato di vomito le tolse il respiro. Si morse un labbro e piegò il capo di lato, distogliendo lo sguardo dalla  chiazza di luce del neon che penzolava dal soffitto. Vide le croste di muffa che si arrampicavano sulla parete, l'intonaco gonfio e le sbarre davanti ai vetri luridi di una finestra.
Sono nel seminterrato.
Cercò di afferrare i ricordi sepolti da qualche parte nella sua testa. Era come se qualcuno avesse premuto un tasto e resettato gli ultimi istanti della sua vita. quando era stata portata in quella stanza? Rabbrividì, la pelle increspata dal gelo. Il freddo non le lasciva tregua.
Si era svegliata nel cuore della notte con la sensazione di non essere più sola. C'era qualcuno seduto ai piedi del letto. Un uomo che la stava fissando.
L'albanese.
 
Questo pezzo è stato tratto da:

I Figli del male
Antonio Lanzetta
La corte Editore, Ed. 2018
Collana "Underground"
Prezzo 17,50€ 

venerdì 9 febbraio 2018

"L'estate degli inganni", Roberto Perrone - Quando le tue convinzioni vengono messe alla prova...

Fonte:Comune di San Giorgio (Pistoia)

Devo ammettere che quando mia madre mi ha portato questo libro avevo pensato di leggerlo più in là. Poi, visto il periodo di letture varie e, a volte, un po' impegnate, ho deciso di dare uno sguardo al primo capitolo e di lì non l'ho lasciato più finché non l'ho finito. È un libro interessante per come è costruito l'intreccio delle varie situazioni e che permette di svagarsi e rilassarsi con la formula del classico giallo. Un autore italiano che proprio non conoscevo ma che si è rivelato una piacevole scoperta. In più, pur leggendo parecchia narrativa italiana contemporanea mi accorgo sempre che, in questo genere - ovvero il giallo -, i libri che ho all'attivo sono davvero pochi. Indagando sul perché potrei dire che in parte risiede nel fatto che i gialli nostrani tendono spesso ad essere troppo aderenti a tematiche nostra che non trovo particolarmente rilassanti (politica, stragi, prima Repubblica) e di solito in questo caso prediligo i classici ai contemporanei. Il classico ha dalla sua il fatto di puntare a situazioni reali o inventate che si riferiscono a fatti storici da cui ho un approccio ad una certa distanza naturalmente perché li marco come fatti storici; con i contemporanei è più complesso, l'eco di fatti conosciuti o sentiti mi impedisce di distaccarmi poco dalla realtà per cedere il passo alla trama fantastica. L'altro motivo è che sono pochi gli autori del genere a cui mi affido ciecamente, ma non saprei spiegare il motivo. 
Il libro di oggi fa parte di una serie dedicata al colonnello Annibale Canessa ma che, per nostra fortuna, non necessita di essere letto in una particolare sequenza. È auto-concludente e rimane in correlazione con i precedenti grazie a qualche leggero, o accennato fate voi, riferimento che non ne guasta l'assetto generale ma che serve a spiegare le relazioni fra i protagonisti che compongono il, chiamiamolo, cast della storia.

Annibale Canessa è un colonnello di una certa età - non sono riuscita a capire quanti anni abbia! Non è un pupo insomma!-, in pensione precoce, con una giovane fidanzata, Carla, che fa la giornalista. Ha una famiglia composta dalla cognata, vedova di suo fratello Napoleone, e da sua figlia. Collabora saltuariamente con la procura per la quale segue anche qualche caso laddove gli venga richiesto; ha un passato nell'antiterrorismo ma è da tutti apprezzato per il cipiglio e l'attenzione, nonché la sua sete di giustizia, che gli permettono di chiudere i casi sempre con successo. Repetto è il suo ex collega, congedato anche lui, e che si trova coinvolto nel caso che sconvolge l'amico proprio ad inizio libro. È appena tornato da Israele dove si trovava in vacanza con cognata e nipote e, l'ultimo giorno, ha avuto un contatto con il Mossad entrando in possesso di uno strano fascicolo. "Strano" perché riguarda un caso chiuso da anni e nello specifico la strage della stazione di Torino avvenuta trent'anni prima. Caso chiuso quasi subito; "quasi" perché "la giustizia deve fare il suo corso", in Italia si traduce in "tempi lunghissimi". Il fascicolo non solo mette in discussione i "perché" della strage ma anche e soprattutto evidenzia che i colpevoli che sono in prigione siano estranei almeno a quell'avvenimento e che l'impianto, su cui si basavano le prove, è stato volutamente inquinato o peggio che il giudizio sia stato pilotato. Ma da chi? E chi l'ha commesso? Il primo viaggio è alla volta dell'Austria e di lì il baratro si apre e, per non rimanerne inghiottiti, l'unica cosa da fare è risolvere l'enigma. 

Per il mio modo di vedere questo libro ha molti punti di forza e uno solo di debolezza che però non limita le potenzialità della storia e il brivido del giallo. La debolezza, che un po' fa pensare che chi scrive abbia - come in effetti è- un passato da giornalista, e fa si che, trattandosi di un giallo che tange anche la politica, in alcuni punti, per spiegare le linee che connettono i fatti riguardanti trent'anni prima del presente della storia, rallenta indulgendo sulle figure chiave un po' più di quanto non faccia con il presente e i protagonisti del momento. Sono capitoli che aiutano le svolte che permettono all'indagine di andare avanti e quindi sono necessari, ma a volte troppo lunghi rispetto agli altri. I punti di forza sono rappresentati dalla prosa sciolta, informale e in alcuni punti quasi confidenziale; sembra quasi di sentire la voce dell'autore, che non si palesa mai direttamente con il suo lettore, sussurrare suggerimenti che possano aiutare a capire gli umori di Canessa o le percezioni su lui di quelli che gli satellitano accanto. Cosi Carla, Repetto, il Vampa - non è che vi possa spiegare tutto, lo conoscerete leggendo il libro - diventano reali non grazie alle loro descrizioni ma grazie agli scambi di battute o ai confronti con il colonnello investigatore.

Non c'era molta certezza che mi piacesse un lavoro del genere con i presupposti esposti all'inizio di questa recensione, eppure, nonostante sia ancora convinta di quanto su detto in questo caso il libro mi è piaciuto, forse per come l'autore stesso gestisce i rimandi con possibili reali avvenimenti. La storia è di fantasia, ma gioca su quelle che sono le nostre emozioni remote riguardo fatti o situazioni attraverso parole o situazioni chiave: politica, terrorismo, indagini internazionali e via dicendo. La storia diventa verosimile grazie al suo rimandare e ricalcare eventi noti ai più: una strage alla stazione, le revisioni degli atti di altre indagini, lo spione, l'hacker, il Mossad, diventano le chiavi conosciute nella realtà su cui costruire una serie di delitti internazionali, che vedono coinvolta un'intera nazione che, come dice uno dei cattivi, "è pronta a sopportare tutto, tranne la verità". Questo espediente permette a Perrone di evitare di soffermarsi in grandi descrizioni, contando sull'empatia del lettore, e concentrarsi sull'indagine e sui continui ostacoli che i suoi personaggi si trovano volta per volta a dover fronteggiare. Ne esce fuori una storia piacevole e intrigate. Il ritmo, a parte per i capitoli riguardanti il passato, è un crescendo che ci accompagna verso un finale difficile da anticipare ma che non rimane sospeso. Quindi è stata una grande soddisfazione leggere un lavoro così costruito e che consiglio con una certa convinzione. Se avessi letto la sinossi mi sarei fatta qualche scrupolo per le mie convinzioni personali e invece, in fondo, è andata bene così. Avanti con gli italiani allora! 

Buone letture,
Simona Scravaglieri

L'estate degli inganni
Roberto Perrone
Rizzoli, ed. 2018
Collana "Nero Rizzoli"
Prezzo 19,50€


Fonte: LettureSconclusionate




venerdì 26 gennaio 2018

"Come tessere di un domino", Zigmunds Skujinš - Bello ma...

Fonte: Seda College

Il libro di oggi non è malvagio, anzi, sono due storie che si svolgono in due periodi storici differenti e che, in momenti diversi dello scorrere della trama, ti prendono e fanno sì che tu rimanga ancorato al libro per vedere come va a finire. Da un lato un ragazzino, suo nonno e uno strano fratello che vivono i tempi che precedono l'invasione della Lettonia - dalla Russia prima e dalla Germania Nazista poi - insieme ad una zia governante e una padrona di casa Baronessa di origini ebree, l'altra si svolge intorno al 1700 e vede un'altra Baronessa destreggiarsi tra Riga e la Russia della Zarina Caterina II, al seguito del Conte Cagliostro alla ricerca di risposte. Lei ha perso il marito in guerra, eppure non si rassegna alla sua morte visto che è partito poco dopo che si sono sposati, reclamando con forza la sua vita da moglie prima di doversi rassegnare a vivere quella da vedova. In mezzo misteri, la politica fallimentare di una Russia ieri dominata dalle manie di una donna e oggi dalle limitazioni del potere comunista.
Eppure questo lavoro, anche se, in alcuni punti della seconda storia ricalca un p' i toni e le atmosfere di Puškin che tanto mi piacevano, ha qualcosa che non lo rende eterno.

Premettiamo che non sarei in grado di dirvi la differenza tra il lettone e l'italiano, ma temo che in parte sia dovuto ad un diverso modo di concepire le frasi e in parte dovuto a come è stato costruito questo romanzo. Credo di aver rotto le scatole a chiunque mi sia capitato a tiro mentre lo leggevo, ma il mio dubbio sulla concezione delle frasi viene dal fatto che il testo viene spezzettano in enunciati che non sempre sembrano stare a galla da soli e che, per contro, in un italiano corrente starebbero nella metà dei periodi che invece vengono utilizzati. Sì, lo so, la traduzione deve essere il più fedele possibile, ma per chi legge quanto è scritto deve essere scorrevole altrimenti la lettura diventa un po' ardua. Così, dicevo, ogni tanto ti capitano a tiro pezzi come questo:


"[...]Era forse per riequilibrare le cose che il governo autonomo possedeva la meraviglia delle meraviglie: una gigantesca Rolls-Royce, quasi un teatro d'opera su ruote. Si raccontava che anni prima fosse stata l'orgoglio dell'ambasciata cinese a Berlino. Quando la Germana si alleò col Giappone la rappresentanza cinese a Berlino fu chiusa. Non si riuscì a vendere la bizzarra automobile perché ingollava benzina a fiumi. Divenuta sempre più bizzarra - dotata di un generatore di gas alimentato a legna - arrivò infine a Riga.[...]"


Con il mio modo di fare sarebbero venute fuori due o tre frasi, magari più lunghe e articolate e invece tutta questa frammentazione interrompe la fluidità del racconto che, in altri punti, scorre piacevolmente e armoniosamente. E io mi aspettavo molto peggio visto che, stando a Wikipedia, questo romanzo è uscito quando lo scrittore aveva 73 anni, nel 1999. Invece mi ha regalato il piacevole sapore di quel Puškin che ricordo di aver letto da ragazzina perché era un libro da grandi (solo per le fattezze del libro fisico all'epoca, per me inizialmente era solo un romanziere come tanti altri me ne erano capitati che però utilizzava un sacco di nomi di personaggi impronunciabili). Del "modo" puskiniano ha quella leggerezza e precisione che utilizza per dipingere le opulenze in cui si svolge la vicenda del moderno "Barone dimezzato". Il dramma di una donna che vuole, in funzione del suo ruolo, e combatte contro la sua natura di donna che sente il bisogno di un contatto umano, anche se di natura carnale, e che cerca anche delle risposte su un marito per capire il proprio futuro. A farle da contraltare l'immagine della Zarina, donna brusca e annoiata, che ha un problema e svogliatamente si rivolge al Conte Cagliostro il quale arriverà, in una Mosca  d'altri tempi con tutta la sua baracca di spiritualisti. Si svolge tutto all'interno di stanze sontuose ora addobbate di tutto punto e in piena luce ora nascoste in penombra, se non al buio completo, definite negli spazi dai sussurri degli partecipanti all'evento esoterico. 

È questa la storia che ti prende da subito, ti avvolge e quasi quasi surclassa l'altra. Ti viene voglia di saltare i capitoli per capire come vada a finire e le vicende del bambino con il suo strano fratello, un nonno con una grande collezione di cappelli, cavalli e carrozze funebri, che vivono in un maniero diviso a metà fra loro, e convivono con Baronessa e zia governante, e un aviatore la cui figura si svela solo in alcuni punti cruciali, diventa quasi d'intralcio. 
Per contro dopo la metà del libro la vicenda del 1700 si appanna un po' e, nelle varie fasi dell'occupazione l'attempato autore ci mette del suo dopotutto, il secondo conflitto bellico, lo ha vissuto in prima persona e ha anche combattuto. E' in questo momento che la vicenda della Lettonia moderna prende vita e le situazioni che si susseguono una dopo l'altra incalzano il ritmo della narrazione, lo stile si raffina e, seppure descrivano eventi cruenti e crudeli, il ricordo è quello di un  ragazzino che vede e non riesce a capire appieno quel che gli succede intorno ma al contempo riesce bene a raccontare le sensazioni e gli umori che lo circondano. 
Il mondo bucolico in cui fino ad allora aveva  vissuto si sgretola, ma oltre conoscere i "modi" dell'invasione e in suoi tempi, è in grado già da allora di carpine - anche se non sempre coscientemente- i limiti. L'ignoranza, l'uniformazione, la delazione, la solitudine, la paura cementano le immagini che man mano scorrono sostituendosi al verde, alle persone tranquille, alle abitudini e agli sguardi. È quel periodo in cui la parte nord della Russia, che poi si allargherà fin dentro le regioni Baltiche, individua in questi luoghi il posto giusto dove mettere coloro che per grado e per lignaggio non possono morire nei Gulag ma che al contempo per gli stessi motivi, accompagnati da quelli politici o religiosi, vengono puniti e spediti al confino.

In questo punto si potrebbero anche confrontare le due voci completamente diverse e che avranno due percorsi molto distanti fra loro ma che  hanno entrambe scritto di questi luoghi in età adulta. Una è quella di Skujinš che mette nei ricordi del giovane bambino lo stupore per tutta l'ansia di uniformare e indottrinare il pensiero dell'invaso attraverso la cancellazione della cultura che va a prevaricare. Quasi fosse necessario annullare per poter dichiarare al mondo di esserci e di avere il potere. L'altra è quella di Salamov che a 64 anni scrive nel 1971 le sue memorie di gioventù a Vologda (La quarta Vologda), a circa 1.200 km da Riga, ricordandosi di una società fatta di nostalgici e fiduciosi di essere reintegrati. Il punto di vista che vive Salamov è quello dell'occupante, anche se lui è nato lì. Ed è un po' come confermare una sensazione che il libro si Salamov ti da all'inizio e che in "Come tessere di un domino" trovi verso la fine: occupanti e occupati non sono così diversi in quei momenti. Due mondi diversi, sicuramente, anche perché nel caso di Salamov, la sua Vologda, non è ancora toccata dai conflitti bellici, ma che in comune hanno, come detto, il forte sapore del confino - cosa peraltro strana nel caso del ricordo lettone-, e il senso di temporaneità e non di stabilità.

A questo libro sicuramente manca un collegamento certo per il finale. Le due storie si congiungono in un labile e appena sussurrato raccordo facendo rimanere il dubbio della necessità della storia del 1700. Non è una storia epica, ma è un bel lavoro piacevole da leggere e interessante nel disegnare mondi assai lontani nello spazio e nel tempo e nel saperlo fare con una certa maestria. Un libro da leggere e da consigliare ma ben tenendo presente i difetti e i limiti che ci sono, non posso negarlo.
Buone letture,
Simona Scravaglieri 

Come tessere di un domino
Zigmunds Skujinš 
Iperborea, Ed. 2017
Traduzione a cura di Margherita Carbonaro
Collana "Narrativa"
Prezzo 18,50€


Fonte: LettureSconclusionate


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