giovedì 15 giugno 2017

[Dal libro che sto leggendo] Cerchi infiniti

Fonte:La locanda dei libri


Certi viaggi hanno l’obiettivo segreto di «estraniarti dalle tue origini», «scardinarti l’esistenza»: «soltanto allora sei stato veramente via, così altrove da essere forse diventato un altro» Io il libro di oggi, in versione ebook, l'ho preso proprio per colpa Iperborea! Questa è la punta di uno spillo del testo che introduce e presenta il lavoro di Cees Nooteboom. Mi ha talmente colpito il concetto che rimanda alla cosmologia dell'autore che, forse per la prima volta in vita mia, ricordo il nome dell'autore e mai quello del libro!

Cees Nooteboom, scrittore e anche poeta di origine olandese, ha sempre amato i viaggi e quello di cui oggi vi innamorerete come ho fatto io non è altro che una raccolta di tutti i testi scritti in merito ai viaggi che ha fatto in Giappone. Perché, strano a dirsi, una delle cose che affascinano i lettore di questo autore sono proprio le descrizioni. Probabilmente perché non è sempre lo stesso viaggiatore, ma cambia approccio a seconda del luogo dove va. Ma una cosa è comunque certa: la sua scrittura è affascinante.

Non servono cambi repentini di ritmo o di narrazione perché leggere Nooteboom è un po' come averlo lì davanti a te che, comodamente seduto in poltrona e sorseggiando da un bicchiere di vetro un liquido dal colore ambrato, ti racconta del suo ultimo viaggio. Non può non catturarti e non affascinarti. Quindi il consiglio è: non leggetelo di corsa se poi dovete fare altro. Lasciategli una serata o un pomeriggio e non ve ne pentirete!
Buone Letture,
Simona Scravaglieri 



Capitolo 1 
Il compleanno dell’imperatore il pathos delle cose e altre esperienze giapponesi  

In cosa consiste l’immagine di un paese? Sono sdraiato per terra nell’aereo che da ormai quasi venti ore passando per il Polo è in viaggio per il Giappone. 
Intorno a me piedi dormienti. 
Ho un cuscinetto sotto la testa e una copertina azzurra della KLM sul corpo ma non riesco a dormire. 
Stranamente continuo a rivedere una stessa immagine: una foto che poco dopo la guerra... allora avevo circa dodici anni... mi colpì moltissimo. 
Un prigioniero australiano con un paio di quegli assurdi pantaloni inglesi coloniali color cachi seduto su uno sgabello o un tronco d’albero non ricordo più. 
Ha gli occhi bendati i capelli biondi leggermente scompigliati dal vento le mani legate con una corda. 
Alle sue spalle in piedi un giapponese. 
Lui ha in testa un kepi e porta pantaloni neri infilati negli stivali e una camicia bianca a maniche corte. 
Con entrambe le mani solleva in alto una grande spada più o meno come un campione di golf che tiene la mazza nella posizione più alta. 
Una frazione di secondo dopo colpirà la spada mozzerà di netto il collo dell’australiano la testa schizzerà via il sangue sgorgherà dal collo che adesso è ancora intatto e il corpo con le mani legate crollerà di lato. 
Questa in ogni caso è l’immagine del «Giappone» più vecchia che ho. 
Trent’anni di esperienze e conoscenze l’hanno corretta spiegata e circostanziata in tutti i modi eppure in questo preciso momento in cui io stesso tra un’ora di volo sarò in Giappone si risveglia in me insopprimibile una lieve sensazione di paura mista a stanchezza. 
Immagino milioni di persone su treni e metropolitane ma poi quelle immagini sono attenuate da giardini templi e composizioni floreali. 
Il termine «apprensione» forse descrive al meglio le emozioni di cui sono preda. 
L’interrogativo che mi impegna è quanto è «diverso» il Giappone. 
Negli ultimi anni ho letto romanzi di. Tanizaki Kawabata Kenzaburo Oè e Mishima che non mi hanno dato la sensazione che il «diverso» del Giappone sia un «diverso» diverso da quello tanto per dire del Brasile. 
Un certo esotismo negli usi sociali e religiosi piante diverse clima diverso ma persone diverse? 
Quei romanzi trattano di sentimenti e problemi che non mi sono veramente estranei; se tolgo l’esotismo o lo sostituisco con un altro ciò che mi resta non è qualcosa di cui non capisco nulla. 
Ma lo ritroverò anche fuori dal contesto dei libri? Mentre me ne sto qui sdraiato in terra a pensare sento sorgere dentro di me anche una gelosia incontrollabile. 
Perché devo andare in giro come una botte piena di pregiudizi e informazioni perché non si può mai andare in un posto di cui si ignora assolutamente tutto come Pizarro andò nel regno degli inca o i primi europei in Giappone? 
Non sapere nulla del prodotto interno lordo non avere mai visto un film giapponese; Hiroshima zen kabuki sumo kaiseki Sony samurai harakiri ikebana... suoni senza alcun significato. 
Quello che faccio io non si può quasi più chiamare viaggiare non si scopre più niente si digita controlla smentisce e conferma immagini e idee vengono confrontate con la «realtà» ciò che in ultima istanza vado a fare è vedere se il Giappone esiste davvero come se uno spettatore al cinema potesse entrare nello schermo e sedersi a tavola con i protagonisti.
Questo pezzo è tratto da:

Cerchi infiniti 
Viaggi in Giappone
Cees Nooteboom
Iperborea, ed. 2017
Traduzione di Laura Pignatti
Prezzo 15,00€

giovedì 8 giugno 2017

[Dal libro che sto leggendo] Come siamo diventati nordcoreani

Fonte: Codice Edizioni


Mi piacerebbe dirvi che sarà una passeggiata di salute, ma non è così per questo libro. Oddio, la scrittura è piacevole e scorrevole, vi ritroverete a metà libro senza accorgervi di come ci siete arrivati, ma non sarà così semplice riuscire a capire come si sia arrivati ad avere la Corea del Nord e quindi anche quella del sud e cosa realmente abbia comportato per gli abitanti di questo luogo, nascere da quel lato del confine.

A raccontare in prima persona la sua storia è proprio l'autrice, Krys Lee, che fugge un giorno, senza nessun preavviso lasciando tutto, in cerca di una libertà difficile da comprendere, perché quella conosciuta sino ad allora era diversa. Ma quale sia la differenza fra le due, può essere compresa solo da chi ha vissuto immerso nelle due realtà. Ed è questo esercizio quello che fa Krys: prende il suo vecchio mondo, lo ricostruisce attraverso i ricordi, e ce lo illustra illuminando particolari che altrimenti ci sfuggirebbero, perché occidentali e non disattenti, e li ingrandisce spiegandoceli.

Perché qui c'è un doppio problema: si parla di uno stato sotto assedio in un mondo orientale. Quindi al lettore è richiesto un atto di fiducia, ovvero quello di spogliarsi delle sovrastrutture della cultura occidentale e quello di accantonare per un momento la concezione di libertà individuali e collettive, che fanno parte del nostro DNA, e di lasciare che le parole dell'autrice lo facciano totalmente immergere nel clima e nelle situazioni qui raccontate. Solo allora potrà avere un quadro completo dell'orrore di cui tanto si parla ma di cui si hanno "certezze empatiche" da testimonianze terze molto spesso non spiegate sino in fondo. Per capire davvero una condizione bisogna immergersi nella cultura di riferimento e non guardarla dietro il filtro della nostra. Situazione che si verifica spesso sia per il mondo orientale quanto per quello mediorientale.

È talmente toccante che è un vero peccato farselo sfuggire. È un lavoro che vi consiglio caldamente, lasciate perdere che non vi piacciano le biografie o che vi annoi la politica internazionale. Lasciate solo parlare l'autrice in queste righe che vi riporto e probabilmente converrete con me che è un libro da leggere.
Buone letture,
Simona Scravaglieri 

Attraversare 

1  

YONGJU 

Ancora oggi se chiudo gli occhi rivedo le immagini della mia terra. La metropolitana di Pyongyang, profonda come un bunker, gli anziani sulle sponde del Pothong che ballano ubriachi al suono tintinnante del kwaengwari, le recinzioni elettrificate intorno alle centinaia di campi di lavoro, su a nord, che noi fingevamo non esistessero. Sono queste le immagini della mia terra, la mia pena detentiva. La memoria però è una superficie scivolosa, uno specchio che va in frantumi appena lo sfioro. Mi sfugge tra le mani come le poesie che un tempo scrivevo e che non riuscivo mai a finire. È una persecuzione. E così mi ritrovo a cercare indizi del passato, a tornare di continuo al palazzo che galleggia nella luce, al nostro Paese che il mondo chiama Corea del Nord. 
Le parole di mia madre mi tormentano. Quell’ultima sera, mi disse, nessuno voleva trovarsi nel palazzo costruito su tunnel chilometrici usati come rifugio antiaereo. Lei e mio padre sfoggiavano lo stesso sorriso degli altri invitati, lo stesso cappotto di pelliccia e lo stesso Rolex con su inciso il nome del Caro Leader, il Grande Generale, l’uomo con decine di titoli onorifici. Sul cuore sfoggiavano lo stesso distintivo della famiglia Kim, una dimostrazione di fedeltà ai capi. 
Noi, i figli, non c’eravamo, eppure i nostri genitori, entrando nell’ampio salone allestito per il ricevimento, si salutavano con le solite frasi di circostanza: «Ho saputo che tuo figlio frequenterà il politecnico Kim Chaek. Sarai fiero di lui, immagino», oppure: «Ho visto tua figlia suonare il violoncello. Incantevole». 
Eravamo un argomento di conversazione sicuro. Si conoscevano tutti dai tempi della scuola e dei comitati di partito. I figli, come me, erano esentati dai dieci anni di servizio militare obbligatorio e studiavano nelle migliori scuole di Pyongyang, mentre le figlie come la mia sorellina erano destinate a sposare i loro pari. 
Nostra madre, in abito di seta, i capelli raccolti in uno chignon, si sedette a un lato del lungo tavolo di mogano; nostro padre, in completo nero, all’altro. Anche se sembravano divertirsi, avevano tutti paura. Non fosse stato per i distintivi e la presenza del Caro Leader, che li osservava dal suo posto a capotavola, sarebbe stata una festa come un’altra. 
Questa era la Pyongyang della mia famiglia nel 2009. Non conoscevamo nessuno di quelli che erano stati esiliati nelle tetre cittadine minerarie o che mettevano nello stufato corteccia triturata per riempirsi la pancia. Con i ragazzi che vivevano nelle province, costretti a lavorare nei campi di papaveri da oppio, o con la massa di persone che giravano in lungo e in largo il Paese in cerca di lavoro, per rimediare denaro e quindi cibo, avevamo in comune solo la cittadinanza. Quanto a me, conducevo la vita che mi era concessa dallo status sociale dei miei: leggevo e parlavo un inglese passabile, russo e un po’ di cinese, e immaginavo che avrei frequentato una scuola di specializzazione all’estero. Avevo ventun anni, e davo per scontato che la mia vita sarebbe stata tutto sommato facile. 
In quel salone, mentre si muovevano con disinvoltura sotto un lampadario pesante quanto un carro armato, i miei genitori sembravano intoccabili. È doloroso rievocare l’immagine di mia madre, famosa attrice: l’ovale innocente del suo viso, gli occhi color nocciola, quello sguardo penetrante e sincero ma allo stesso tempo diffidente. Si diresse verso l’amante di mio padre con quella sua andatura fluida, perfezionata da centinaia di ore di pratica. Dopo aver salutato le persone accanto a cui passava si sedette di fronte a una donna con le ciglia finte, e con un tono che di solito riservava ai bambini si rivolse a lui: «Venerdì sera hai fatto piuttosto tardi, vero tesoro?». 
Così facendo stava ricordando a quella donna che c’era una sola moglie, e che era stata proprio la generosità della moglie a permettere al marito l’incontro con l’amante. Il suo orgoglio feroce nascondeva le ferite come un manto. 
Mio padre, uomo sicuro di sé, non sembrava particolarmente turbato, e mentre si sedeva accanto a mia madre sorrise. Dirigeva l’ufficio governativo del commercio, una carica importante e misteriosa perfino per la sua famiglia: per lui c’erano sempre questioni più serie delle donne. Tuttavia, mentre l’amante arrossiva e si voltava come un girasole verso l’ignaro marito, sussurrò a mia madre: «Era proprio necessario?». 
Lei rispose: «Ha importanza?», poi raddrizzò il mento, sollevando la scollatura per nascondere gli impercettibili ma inevitabili segni che il tempo aveva lasciato sul suo fisico durante gli anni del matrimonio, combinato dal Grande Generale in persona. Mio padre non notava quei dettagli, o forse non lo interessavano. Lei invece ci teneva a non avere il rossetto sbavato e a proteggere la propria dignità. Quell’ultima sera interpretò la parte alla perfezione, finché non ci fu più nessuna parte da interpretare. 
Alla moglie del numero undici del partito, seduta accanto a lei, chiese: «Com’è andato l’intervento di tua suocera?», e poi: «Era buono il miele che vi ho mandato?». Circondata dai quaranta invitati e dalle loro limitate libertà, la mia pragmatica madre curava le proprie alleanze. Alcuni minuti dopo, al numero sette del partito seduto di fronte a lei disse: «I piani di sviluppo che hai esposto nel tuo discorso faranno un gran bene al Paese». 
Mentre lui arrossiva e pontificava di strategie commerciali, lei sospese le bacchette sulle striscioline di pesce palla e di tonno che guizzavano ancora nel piatto, parte dell’ultimo carico arrivato dal mercato ittico Tsukiji di Tokyo a bordo di un jet privato. Mio padre pregustava il brandy che sarebbe stato servito alla fine: gli faceva venire nostalgia dei viaggi di lavoro in Europa, un continente, mi aveva detto, in cui tutto il mondo è in vendita. Questa era la nostra vita. 
Prima che gli inservienti portassero via gli avanzi dalla tavola imbandita e la fontana mobile di Chivas Regal, la mamma sfiorò il piede di papà con il suo, gli occhi fissi sul bicchiere che aveva davanti. Cogliendo il segnale, lui alzò il calice per brindare alla salute del Caro Leader e disse: «Al nostro Grande Generale!». Finalmente tutti osarono guardarlo. 
Il Caro Leader bevve alla propria salute. Solo allora gli altri bicchieri si sollevarono in successione. «Al nostro Grande Generale!» dissero tutti, con sorrisi smaglianti e spaventati.
 Forse si sentiva a disagio anche lui, avvolto nella sua giacca maoista di seta grigia. Mi chiedo se mentre rifletteva sui suoi possibili successori si toccasse un neo schiarito che lo impensieriva o i capelli radi pettinati all’insù, per controllare che fossero ancora al loro posto. Eppure sapeva bene su cosa poteva fare affidamento quando non gli restava altro: la curiosa gestualità delle mani, le parate di soldati che marciavano con il passo dell’oca, la vista sulla distesa di monumenti celebrativi. Sprofondò nella sedia e attirò l’attenzione degli astanti con un movimento stanco del braccio. 
Vorrei che la scena si fermasse qui. Vorrei poter impedire gli eventi che mi raccontò mia madre la notte in cui lasciammo per sempre Pyongyang. Vorrei che la lingua del mio struggimento fosse più forte del tempo. Ma non posso far altro che ricordare, immaginare, credere all’unica storia che mi resta di mio padre. 
Lì, in quel salone così grande da sentire l’eco delle voci, il Caro Leader alzò la mano verso la parete più a nord, e quella si aprì.

Questo prezzo è tratto da:

Come siamo diventati nordcoreani
Krys Lee
Codice Edizioni, Ed. 2017
Traduzione di Stefania Franco, Flavio Iannelli e Daria Restani
Collana "Narrativa"
Prezzo 18,00€


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lunedì 5 giugno 2017

1...2...7! Buon compleanno LettureSconclusionate!

Fonte: A living monstrance

Sette anni sono passati dal giorno che ho deciso di dar vita a questo spazio. Sette lunghi anni di recensioni e riflessioni in cui ho scritto più per me che per altri. Questo è stato l'anno più difficile, un po' perché scrivevo da altre parti, un po' perché mi ero impegnata con altri blogger e un po' tanto per la crisi del lettore che mi ha accompagnato da Agosto fino a Marzo. Questo anno è stato un periodo di decisioni, come quella che vedrà a Gennaio 2018 il trasloco di questo spazio su Wordpress, come quella di decidere di non scrivere in siti che non hanno a cuore la comunicazione basata su fatti e sulla qualità, ma che vedono la pubblicazione come una sorta di spamming di milioni di notizie trattate alla bell'e meglio tanto alla fine la gente non legge. Ecco, quando mi sono resa conto che per me questo era importante, ho smesso di indugiare e ho imparato a dire "no". È stato anche un anno fiacco di recensioni, perché cercavo un modo nuovo per parlarvi dei libri che leggevo che non rientrassero nel "mordi-e-fuggi" e che al contempo mi lasciassero lo spazio per essere davvero un tramite tra noi per poter sbirciare libri senza dover andare il libreria o di aver notizia dei libri che non rientrano nei circuiti "Siore e siori il libro che ha venduto mille milioni di copie ancora prima di essere pubblicato!".

Qualcosa è cambiata ovvero che, a parte la recensione di Sesto per la quale mi sono fatta prendere la mano lo ammetto, nelle altre sono diventata più sintetica (non molto) ma non sono tutte lunghe come una quaresima. Per cui il nuovo obiettivo di quest'anno è riprendere il ritmo senza lasciar correre quello che in questo ultimo anno ho imparato. Però quest'anno ha portato anche cose positive come: l'iniziativa de "Il maggio dei libri", la conoscenza di nuovi blogger tramite un'iniziativa che ho abbandonato a metà maggio e anche qualche pessimo elemento. Non penso che tutto il mondo dei blogger mi debba essere tutto simpatico, ma mi piace pensare che chi riesce sia colui che ha a cuore il mestiere del blogger, che sappia che non è Dio sceso in terra a dire a discepoli imploranti ciò che è bello da ciò che non lo è, ma nemmeno che per pura piaggeria dica che tutto è bellissimo. Con il tempo ho imparato ad apprezzare di più chi sceglie al massimo di non parlare dei libri che non sono piaciuti. È più onesto. Comprendo perfettamente che il mio punto di vista possa essere condivisibile oppure no.

L'anno che si conclude è stato un momento di autoanalisi profonda scaturita da una mia crisi che, per contro, è stata corrisposta da una grandissima partecipazione in visualizzazioni di pubblico che sinceramente non mi aspettavo. È  quindi proprio per questo che mi impegnerò a ritornare ai vecchi ritmi, cercando di dimenticare la stanchezza derivante da lavoro e traffico e dalle incombenze personali, ricordando che questo spazio è stato anche quel luogo magico che mi ha aiutato ad affrontare periodi difficili della malattia e che grazie al ritmo costante degli impegni di pubblicazione io ho potuto ritrovare anche quelli di vita personale. Un collega mi dice sempre che, nel ripetere le mie liste mentali delle cose da fare, io dico sempre "devo far questo e devo far quello...". Forse ha ragione lui, devo -eh questo passamelo Antonio!- cambiare il verbo in voglio. Perché voglio che questo spazio continui ad esistere indipendentemente dalla piattaforma che lo ospita.

Vi ringrazio pertanto tutti, uno ad uno per nome non posso elencarvi, un po' perché i commenti sono un po' sparsi fra social e quelli privati, un po' perché verrebbe un post lungo una quaresima anche solo scrivendo quelli che invece conosco. Quindi dico solo:

Grazie a tutti!

E, già vi sento, lo so per i consueti festeggiamenti ci aggiorniamo in un altro post, sono ancora in cerca di idee o meglio l'idea di base ce l'ho, ma devo ragionare su come organizzarla e, sì, anche quest'anno libri in palio ci saranno.
Quindi buona giornata, 
auguri a me e a voi che passate di qua,
Simona Scravaglieri




mercoledì 31 maggio 2017

[Dal libro che sto leggendo] Le cento vite di Nemesio #MaggioDeiLibri

Joyce e "Le cento vite di Nemesio"
Fonte: LettureSconclusionate


Ultimo giorno di maggio, abbiamo iniziato con un [Dal libro] e finiamo con un altro. E che estratto direi! Libro che mi ha stupito, è un libro strano, perché non mi sarei mai aspettata, pensando al Marco Rossari che mi è capitato di ascoltare in alcune presentazioni, di scoppiare a ridere qui e lì. Io amo questo libro! Ma lo amo in modo particolare per il mezzo scelto per raccontare un secolo di storia che è "appena" passata. La fine dell'ottocento, la prima e la seconda guerra mondiale, il periodo post bellico. Tutto ciò che Nemo racconta ricalca l'immagine di un tempo che fu e che oggi leggiamo sui libri di scuola.

Non per questo è un libro noioso e pesante. Nemo, che in effetti si chiamerebbe come suo padre Nemesio, è un guardiano in una delle gallerie del Museo dell'avanguardia delle avanguardie. Stesso museo in cui è stata allestita una mostra dedicata a suo padre che compirà 100. Artista poliedrico e apprezzato, Nemesio senior ha perso presto il proprio figlio. Non c'era comunicazione fra loro. Il padre settantenne si era ritrovato con un frugoletto da crescere e Nemesio Junior ad un certo punto non ne può più e per un motico che ancora non ho scoperto - ma manca poco- un giorno imbocca la porta di casa per non far più ritorno. Ai festeggiamenti succederanno delle cose che a volte sembrano avere a che fare con quello che succede al giovane trentenne che si ritrova invischiato in una storia strana: ogni volta che chiude gli occhi è come se viaggiasse nel tempo. Non è lui, ma si parla di qualcosa che a lui stava a cuore e che invece, mai commentata, sarebbe potuta perdersi nei meandri della mente anziana del genitore.

È complicatissimo parlarvi di una storia senza anticiparvi la parte più succulenta, quindi accontentatevi! E non perdetevi questo delizioso libro che davvero merita per scorrevolezza e freschezza nella narrazione. Nonostante tratti dei temi importanti, nonostante dalle prime pagine al lettore sembra che il tono sia completamente diverso, serio ed impettito, forse anche un po' ingessato ad un certo punto la prosa di Rossari esplode con tutti i suoi colori e le sue situazioni surreali che si intrecciano con la Storia e risulta davvero godibile. Non ve ne pentirete!

Mi corre l'obbligo ringraziare per aver intrapreso con me questo pazzo mese del #MaggioDeiLibri (in ordine alfabetico):

Amina Sabatini di My Day Worth
Angela Cannucciari del canale Angela Cannucciari
Barbara Porretta di Libri in valigia
Daniela Mionetto di Appunti di Una lettrice
Giada del canale Dada who?
Natascia Mameli di Marassi Libri
Nereia di Librangolo Acuto
Paola C. Sabatini di My Day Worth

È stata una bellissima avventura condividere le ansie del capire come rispondere ai tag dell'iniziativa, lo stress della programmazione per non sovrapporci e i post e i video bellissimi che sono stati condivisi. Che dire mi mancherà un po' questo planning settimanale e speriamo di poter replicare il prossimo anno!Grazie di cuore a tutte!
Buone letture,
Simona Scravaglieri


Mio padre, il secolo 

LUNEDÌ 

«Sono nato da uno sperma vecchio». 
Ogni mattina, verso l’alba, allo scoccare dell’ora che nei grandi romanzi russi era deputata ai duelli in una campagna maestosamente livida, il nostro protagonista si svegliava in una periferia squallidamente plumbea con questa frase stampata in testa. 
Tutti i giorni le stesse parole. 
Da una vita Nemo –nomignolo aberrante, ma guai a chiamarlo «Nemesio», com’era stato registrato all’anagrafe dal padre –apriva gli occhi con quelle parole da rimuginare e si rigirava nel letto in un angolo del monolocale. 
Nel cranio non aveva più un cervello, ma una centrifuga che rivoltava sempre la stessa frase, come un paio di calzini sporchi. Era un tarlo, un’idea fissa che gli rendeva amaro il mattino con la puntualità di una sveglia satellitare, che comunque non aveva. 
Ed era anche la verità. 
Il venerando padre, Nemesio il Vecchio, suo omonimo –rinnegato non solo di nome, ma anche di fatto, visto che non si rivolgevano la parola da anni –aveva scagliato la fionda del proprio inossidabile seme nella vagina della madre all’importante età di settant’anni, in un’epoca –il 1969, appunto –nella quale le pasticche blu erano associate al massimo a una spiacevole emicrania. 
Pittore di grido, non pago di avere attraversato in prima linea due guerre mondiali, una partigiana, una fredda, ogni tipo di contestazione, qualche movimento di avanguardia, una prima moglie (deceduta), un primo figlio (morto in circostanze misteriose), migliaia di cause perse e di occasioni colte, allo scoccare delle settanta primavere era riuscito a ingravidare la seconda moglie (deceduta in corso d’opera, per così dire). Un’ombra, quella della madre, che Nemo si portava dietro da trent’anni. 
A quei tempi, meditava il nostro con la prima luce che filtrava dalle imposte –per di più dalle propaggini grigie dell’hinterland milanese, ahilui, non da una tenuta in rovina con tanto di samovar e tenera babushka –non si parlava di fecondazione assistita o utero in vitro: l’unica era pregare il proprio dio. Nel caso specifico quello che aveva fallito, cioè il comunismo, la bandiera sotto la quale il padre di Nemo –da pittore scomodo, Grande Non Recluso del Novecento –aveva militato per una vita. Essendo rimasto di stanza proprio a Berlino, nella ex Germania Est, fino a poco prima, il dio gli aveva dato retta e l’ovulo aveva accolto l’avanguardia operaia. 
Non si poteva nemmeno dire che nel corso degli anni una prolungata inattività dei lombi avesse caricato a molla la virilità paterna per quell’ultimo balzo nel vuoto, visto e considerato che per tutta la vita –a quanto ne sapeva Nemo –il genitore aveva copulato con ragguardevole generosità. Prima del suo concepimento, certo, ma con tutta probabilità anche dopo. 
Le vittime del satiro? Modelle cui fare il ritratto, servette, dame di Weimar, poetesse scappate dalla Grecia dispotica, perfino qualche moglie: il Maestro si era concesso all’eterno femminino senza risparmio e senza confini. Aveva sondato i bordelli a ridosso del fronte austroungarico e flirtato con le ballerine del Berliner Ensemble, partecipato alla battaglia partigiana proprio a Salò e alla bohème parigina proprio a Parigi, scorrazzato per Mosca e Budapest negli anni della guerra fredda, per giunta d’inverno. Se esisteva un fallo internazionalista, quello era il suo. 
Qualche giornalista dalla penna intinta nel calamaio delle banalità avrebbe detto che Nemesio Viti, detto il Vecchio, Artista Contro del Novecento, Gigante della Pittura, si era concesso alla vita
Ma di quale pasta fosse fatta la materia seminale che gli aveva regalato quel figlio tanto inaspettato e tardivo, dopo la scomparsa del primogenito, Nemo poteva dedurlo dalla sostanza povera dei propri giorni. Cosa ci si poteva aspettare da uno sperma vecchio, acquoso, modesto che, per qualche laicissimo miracolo, non certo con l’impeto di un fiume in piena ma piuttosto con l’ignavia dell’ultima goccia spremuta da un limone rinsecchito, era scivolato fino all’ovulo? 
Plic! 
Ed era nato lui. 
Dal seme rancido non nascono i fior. 
Altrimenti non era spiegabile la fatica cosmica che Nemo impiegava non solo per sbozzolare il corpo dal piumone, ma soprattutto per affrontare l’esistenza scialba che gli era stata donata da quei testicoli vizzi. 
Era materiale di risulta, scarto vivido, eco sbiadita di una vita precedente.

Questo pezzo è tratto da:

Le cento vite di Nemesio
Marco Rossari
Edizioni E/O, Ed. 2017
Collana "Dal Mondo"
Prezzo 18,00€


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sabato 27 maggio 2017

#MaggioDeiLibri #recensioni Le letture della Centuriona: Dentro l'acqua





'La ragazza del treno', esordio della giornalista inglese Paula Hawkins, è stato il caso editoriale di tutto il 2016 (pur essendo uscito a metà del 2015), grazie anche al film (che però pare non abbia avuto il successo sperato, peccato, perché a me, la Blunt piace parecchio)
Io lo avevo letto, mi ricorda Goodreads, a settembre del 2015, in 3 giorni. Mi era piaciuto. Parecchio. 
Quindi cosa ne penso di questo secondo romanzo, che si è fatto attendere quasi 2 anni e per cui c'era tanta attesa?


Il titolo 'Dentro l'acqua' non potrebbe essere più azzeccato, e neanche per il motivo scontato che potete pensare. La copertina è interessante. Non so voi, ma io ci ho messo qualche giorno prima di accorgermi della figura che si riflette nell'acqua, solo perché, sul retro, senza la scritta, l'immagine mi è risultata più pulita e più comprensibile.


La Hawkins scrive bene, questo, secondo me, è innegabile. Cioè, scrive come piace a me. Stringata, niente giri di parole, niente similitudini forzate, niente metafore incomprensibili.
Certo, la struttura non è altrettanto semplice. 
Il romanzo, infatti, si suddivide in 4 parti e in ben 86 capitoli, per lo più molto brevi (a volte, di appena una pagina) e ha la bellezza di 10 + 1 protagonisti.
Perché +1?

Vi spiego: l'autrice ha strutturato il libro facendo alternare (come nel precedente, ma in versione 3.0) le voci dei protagonisti (alcuni dei quali parlano in prima persona gli altri invece in terza -immagino l'autrice abbia anche avuto una motivazione per suddividerli in questo modo, ma la mia pigrizia mi impedisce di scavare più a fondo, anche se un'idea ce l'ho) di questa intricata faccenda che si sviluppa, complessivamente, tra il 1679 e il 2015.

Oltre alla vera protagonista principale, che possiamo individuare in Jules, non fosse per altro che è colei che occupa più capitoli (25 in tutto, mentre gli altri arrivano al massimo a 12), la storia ci viene sottoposta dal punto di vista, spesso accuratamente falsato (ahhahahahah, mica poteva essere così semplice), di altri 9 personaggi vivi + quello di Nel, che è la sorella di Jules ed è appena morta, attraverso le pagine del manoscritto su cui stava lavorando. 

Manoscritto che è il filo d'unione di tutta la storia. O meglio, lo sono le donne 'piantagrane' (la Hawkins proprio a questo genere di persone dedica il libro) che Nel dipinge nel manoscritto.
Il proposito della sorella, infatti, è quello di trovare un collegamento tra quel posto, lo stagno delle Annegate, e le strane morti che sono capitate proprio in quel punto del fiume.
Omicidi? suicidi? streghe? mogli? donne sofferenti senza via d'uscita?
Qual è la verità?

Anche questa volta, la Hawkins riesce a fare in modo che siano i personaggi stessi, pian piano, tra una bugia e un'altra (alcune dette agli altri, alcune dette a sé stessi) e tra un'incomprensione e un'altra, a rivelarci cosa è successo. Quello che è successo a Nel e alle donne che l'hanno preceduta.
Certo, riuscire a stare dietro a così tanti punti di vista non è facile. E forse l'autrice ha difettato un po' nel caratterizzare la scrittura a seconda del protagonista. Una maggiore caratterizzazione penso mi avrebbe evitato di chiedermi, per le prime 100 pagina, 'Aspetta, chi è più questo Mark?/ chi è più questa Erin?'. Cosa non da poco. Ma, alla fine, memorizzato (ahhaha, non è vero, me li sono scritti) i nomi dei protagonisti, non è affatto difficile riuscire a seguire la storia. E non è affatto difficile capire che, più di ogni altra cosa, la vita tende a fregarci facendo leva sulle nostre certezze. L'autrice è proprio brava a spiegarcelo.

L'ultimo consiglio che vi do, per questo libro, è questo: se siete di quei folli (detto con benevolenza) lettori che hanno la strana abitudine di leggere il finale prima di iniziare il libro, NON FATELO! Per una volta, fidatevi ciecamente della Paula e aspettate ad arrivarci.

Detto questo, buona lettura e buon fine #MaggioDelLibro!

Nastascia Mameli
Marassi Libri
Corso De Stefanis 55/R
16139
Genova
010815182


Il calendario di questa settimana:


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