venerdì 11 novembre 2016

"Il petalo cremisi e il bianco", Michel Faber - Il fastidio...

Fonte: LettureSconclusionate

Quest'anno va un po' così, ci sono periodi che una alla fine riesce a fare tutto e periodi che invece no, per quanto ti impegni, ventiquattro ore non bastano. Ecco, è del secondo genere il periodo che sto attraversando con l'aggravante che, ogni volta che scrivo di un libro, non mi piace l'insieme di quello che vi racconto e questo limita le recensioni che sto pubblicando nell'ultimo periodo. Per cui oggi, accantoniamo un secondo i libri belli che ho letto e che ancora devo recensire, parliamo invece di una sonora delusione. Vent'anni di ricerche andate in fumo in una trama poco consistente e una mancata attenzione alle ripetizioni, ma povero editor noi lo perdoniamo perché quasi mille pagine sono una vera impresa, sono parte integrante di un libro che mi ha accompagnato per un paio di settimane di gara. Sarebbe stato davvero interessante riuscire a collimare questa ricerca raffinata e puntuale con un modo di costruire le trame, a cui evidentemente averebbe voluto tendere, di un autore che, nel 1875, ancora era famoso e che nomina almeno un paio di volte anche Faber: Wilkie Collins.

Ma di che parla questo libro? Cominciamo con il cancellare totalmente quello che vi ho detto nel Diario di Settembre: non è la storia della scalata sociale di Sugar prostituta dei bassifondi di una Lontra di fine ottocento, bensì la storia della famiglia Rackam. La vicenda inizia quando l'anziano padre deve trovare un erede, a cui affidare la sua ditta che produce prodotti di bellezza, tra i due figli di cui il primo, Henry, ha deciso di darsi alla vita religiosa e il piccolo, William, sembra invece un grande scapestrato. William vuole fare lo scrittore e invece si ritrova praticamente sul lastrico perché suo padre, per convincerlo a rinsavire, decide di tagliargli il mantenimento e ha una moglie completamente svanita, pazza per il dottore di famiglia, che alterna giornate buone a quelle cattive ma, in sostanza, vive come fosse una ragazzina senza responsabilità di alcun genere. Poi, all'ennesima difficoltà, William un giorno decide di trovare conforto nelle braccia di una donna e, dopo alterne vicende, arriva fra le braccia della strana e seducente Sugar, donna alta e filiforme che lo conquista con attenzioni, diverse da quelle che si aspettava da una prostituta, e che non sperava più di ricevere.

Sugar pertanto è una coprimaria, che ogni tanto sparisce per interi capitoli, che però molto spesso riveste ruoli secondari  e di risolutore nelle situazioni in cui la storia si arenerebbe. William la vuole, ma ci vogliono i soldi per mantenerla, e decide di fare quello che il padre gli chiede: crescere e prendere in mano le redini del patrimonio familiare. Ma cos'è che non va in questa storia? E' che la storia non va molto più avanti, quasi mille pagine di situazioni svolgono una trama povera che trascura le descrizioni più accattivanti, appiattendosi nel seguire lunghe descrizioni di attività giornaliere o di vita mondana o cittadina che, sono belle se dette una volta, ripetute più volte diventano ridondanti. La merda (lo dice lui) di cani, cavalli, il fango, il putridume, il piscio da catini svuotati dai piani alti delle case nelle strade di Londra ci accompagnano dalla prima all'ultima pagina. Ora, io capisco che vuoi farmelo sapere Faber e giuro che lo apprezzo ma, se 50 pagine prima mi hai descritto lo stato di quelle strade e ora mi parli di una donna che si accascia in una via secondaria, che senso ha elencare tutte le cose con cui si è macchiata il vestito da sera, lasciando invece poco spazio - mal disposto peraltro - all'incontro di due donne che, proprio in quella situazione, ricoprono un ruolo chiave? Io sarò anche precisetta, ma tu me le servi su un piatto d'argento!

Passiamo più di cento pagine a parlare del dilemma di William sul far contento il padre o no e poi, capitolo successivo e si riparte dicendo "erano quattro mesi che William aveva cominciato a gestire la Rackam"? E dove sono questi quattro mesi? Che ha fatto? Che ha detto? Il mondo dopo aver rischiato di morire di inedia nel trastullo del "lavoro o non lavoro" vuole sapere come ha fatto! E invece no... il tutto viene liquidato nel giro di qualche frase.
Se periodo storico e usanze sono davvero il fiore all'occhiello di questo scrittore, diverso è il trattamento della caratterizzazione dei personaggi. Agnes corrisponde in pieno a quella che è la descrizione e l'atteggiamento della donna rappresentata nel periodo, a Sugar vengono riservati ruoli differenti a volte è decisamente più moderna del suo tempo, in alcuni punti un po' troppo, in altri assume comportamenti del suo tempo anche se, mettendo i due lati sul piatto di una bilancia, la raffigurazione di questa donna dell'ottocento non gli si addice manco un po'. Stessa cosa dicasi per William, molto poco ottocentesco, decisamente troppo maschilista e poco intelligente. Forse i personaggi meglio centrati sono Agnes e Henry e la piccola che compare ad un certo punto della trama - ma non vi dico chi è perché sono una brutta persona!

Tutto questo calderone di considerazioni si traduce in una trama a tratti con ritmo e in alcuni casi decisamente lenta, che nicchia all'utilizzo di fine ottocento dei mille personaggi-che-ti-perdi-e-quasi-non-ricordi-chi-è-il-protagonista e che non ha centrato il punto principale dei grandi romanzi dell'epoca. C'erano sì tanti personaggi, ma ogni capitolo avrebbe potuto reggere come una puntata singola di un racconto che era un "di cui" di un progetto più grande che alla fine si traduceva in un romanzo. Che, per poter reggere e avere della vitalità, la storia avrebbe dovuto essere costruita a concatenazioni e non con un cipiglio moderno che fa sembrare il tutto molto pesante e che non punta a nulla. In sostanza, se avesse scritto un saggio, sarebbe venuto meglio e non avrebbe dovuto preoccuparsi di far incrociare le vite o caratterizzare i personaggi e, magari, le abluzioni della prostituta che non vuole rimanere incinta dopo il rapporto con il suo cliente sarebbero risultate più interessanti. In una cosa in particolare Faber ha fallito con me: mi ha fatto sentire una puritana.

Io che ho letto davvero di tutto ho trovato veramente fuori luogo il passaggio da descrizioni delle trine e merletti, indossate dalle prostitute, interrotte da frasi tipo "tirò fuori il cazzo". Ecco, non è che io sia puritana è solo che questi bruschi cambiamenti di registro lo fanno assomigliare a quella narrativa che vorrebbe essere erotica e non riesce manco ad essere un porno. Perché a seguire affermazioni del genere non ci sono frasi dello stesso tono. Deduco che "fastidiare" le persone sia l'obiettivo di tali inserimenti che io, infastidita appunto, ho trovato decisamente volgari e fuori luogo. usate in questo modo.
Io la vedo così, magari a qualcuno è piaciuto e sono curiosa davvero di sapere il perché e il per come... magari scopro punti di vista che ho trascurato. Qualora voleste farmelo sapere sarò felice di leggere le vostre considerazioni. 

Buon fine settimana e buone letture,
Simona Scravaglieri 


Il petalo cremisi e il bianco
Michel Faber
Einaudi Editore, ed. 2010
Traduzione di Elena Dal Pra e Monica Pareschi
Collana "Super ET"
Prezzo 17,00€


Fonte: LettureSconclusionate


mercoledì 9 novembre 2016

[Dal libro che sto leggendo] I terribile segreti di Maxwell Sim

Fonte: Litteratures Europeennes
Vi sto trascurando e avete ragione, ma non riesco più a conciliare gli impegni fuori di casa con la mia vita personale. Non ho tempo! Non riesco a ritagliarmi un fine settimana di silenzio e tranquillità e il risultato è che leggo nei ritagli di tempo e campo con le sveglie che mi ricordano dove devo andare e quando. Così alla fine ho deciso: questo fine settimana taglio i ponti con il mondo e sarà finalmente silenzio, pace, bevande calde (anche perché la maledetta caldaia pare stia tirando le cuoia) e camino, libri e blog!

Il libro di oggi è quello che attualmente sto leggendo con uno sguardo un po' scettico perché, come vi dicevo nel Diario di Settembre di persone che amano alla follia Coe ne conosco un po' ma per ora il libro in questione, che per la verità non è fra i più nominati, non corrisponde affatto alle aspettative. La storia parte dal periodo oscuro che sta vivendo Maxwell Sim, ex "responsabile dei rapporti con i clienti" che dalla mattina alla sera vede la moglie far armi e bagagli e trasferirsi nel nord dell'Inghilterra, che non riesce ad avere un rapporto con il padre e che non ha amici. In preda ad una depressione è rimasto in congedo a casa dal lavoro e un bel giorno viene ritrovato nudo e ubriaco in una macchina con il portabagagli pino di spazzolini ecologici che doveva vendere per conto di una ditta specializzata.

Ora, non è che sia una tragedia se questo non mi piace, ne ho altri due suoi ma mi perplime il fatto che Maxwell debba essere assunto dalla citata ditta e che io sia oltre le cento pagine delle 363 della mia edizioni e ancora non si vede luce nemmeno dell'assunzione. Non sarà un po' troppo prolisso? Vedremo, frattanto a voi lascio sbirciare il prologo!
Buone letture,
Simona Scravaglieri 

Commesso viaggiatore trovato nudo nella sua auto 

   Nella notte di giovedì, una pattuglia della polizia di Grampian, perlustrando il tratto isolato dalla neve sulla A93, tra Braemar e Spittal of Glenshee, ha rinvenuto un’automobile apparentemente abbandonata sul ciglio della strada sotto il Glenshee Ski Centre. 
   A un esame più attento, è risultato che il conducente privo di sensi era ancora all’interno del veicolo. Gli abiti appartenenti all’uomo di mezza età, che era pressoché nudo, erano sparpagliati all’interno della vettura. Sul sedile del passeggero, accanto a lui, c’erano due bottiglie di whisky vuote. 
   Il mistero si è infittito quando i poliziotti hanno ispezionato il bagagliaio e hanno trovato due scatoloni contenenti più di 400 spazzolini da denti, e un grosso sacco della spazzatura pieno di cartoline dall’Estremo Oriente. 
   L’uomo era in stato di grave ipotermia ed è stato trasportato in aeroambulanza alla Royal Infirmary di Aberdeen. È stato in seguito identificato come Maxwell Sim, 48 anni, originario di Watford, Inghilterra. 
   Mr Sim era un rappresentante freelance della Guest Toothbrushes di Reading, una ditta specializzata in prodotti ecologici per l’igiene orale. La ditta aveva chiuso i battenti quella mattina. 
   Mr Sim si è ristabilito perfettamente e si pensa sia tornato a casa sua a Watford. La polizia non ha ancora confermato se lo denuncerà per guida in stato di ebbrezza.  

“Aberdeenshire Press and Journal”, 
lunedì 9 marzo 2009


Questo pezzo è preso da:

I terribili segreti di Maxwell Sim
Jonathan Coe
Mondolibri Edizioni, ed. 2011
Traduzione di Delfina Vezzoli
Prezzo 1,50€ (prezzo mercatino, mancando il presso Mondolibri)

mercoledì 2 novembre 2016

[Dal libro che sto leggendo] Il petalo cremisi e il bianco

Fonte: LettureSconclusionate


Oggi sono poco soddisfatta. In primo luogo il romanzo di cui vi accenno oggi, e vi parlerò in maniera più puntuale in recensione, non è stato quel gran lavoro che mi aspettavo e, in più, vista la naturale predilezione dell'autore alla descrizione minuziosa anche della capocchia dello spillo, la sbirciata - sono certa - non sarà sufficiente. In pratica quando pensate a Faber pensate alle macchine di una volta che quanto le andavi a ritirare, per un certo periodo, bisognava fare il rodaggio. Ecco, anche Faber, ha la partenza a scoppio ritardato!

Perché leggerlo e perché no. Il no è semplicissimo, inizia in un momento solo in apparenza utile e finisce che quasi nemmeno tene accorgi perché la storia è un "di cui" della ricerca che c'è dietro. Il sì è solo ed esclusivamente per la ricerca che, se riversata in un bel saggio, sarebbe stata eccezionale ma, forse, Faber si sarà fatto due conti: il saggio lo leggono in pochi, una storia invece arriva ai più. E infatti è arrivata, con esiti decisamente negativi - volevo ammazzare una delle protagoniste con le mie mani! - e la ricerca così ne subisce le conseguenze. Diciamocelo, un libro storico, che è anche romanzo, bello come "La dama nera" di Sonzogno ancora non s'è trovato!

Vi lascio alle prime pagine,
buone letture,
Simona Scravaglieri



Parte prima
Le strade 

Capitolo primo

Attento. Tieni la testa a posto: ti servirà. La città in cui ti conduco è vasta e intricata, e tu non ci sei mai stato prima. Puoi immaginare, da altre storie che hai letto, di conoscerla bene, ma quelle storie ti hanno illuso, accogliendoti come un amico, trattandoti come se fossi uno del posto. La verità è che tu sei un alieno, in tutto e per tutto, arrivato da un altro tempo e da un altro luogo. 
Quando ho catturato il tuo sguardo la prima volta e tu hai deciso di seguirmi, probabilmente pensavi di arrivare qui e sentirti a casa. Ma adesso ci sei davvero, in quest’aria fredda, tagliente, trascinato nell’oscurità piú nera, e inciampi su un terreno accidentato, senza riconoscere nulla. Scrutando a destra e a sinistra, strizzando gli occhi contro il vento gelido, ti accorgi di aver imboccato una strada sconosciuta di case buie piene di gente sconosciuta. 
E tuttavia non mi hai scelto a caso. Su, risparmiami la ritrosia: tu speravi che avrei soddisfatto desideri che non osi neppure nominare, o almeno che ti avrei intrattenuto un po’. Adesso esiti, ancora aggrappato a me, ma già tentato di abbandonarmi. All’inizio, quando mi hai scelto, non ti sei reso conto fino in fondo delle mie proporzioni, né ti aspettavi che ti avrei catturato cosí, e cosí in fretta. Il nevischio ti punge le guance, piccoli sputi taglienti e gelidi che sembrano di fuoco, braci ardenti nel vento. Incominciano a farti male le orecchie. Ma ti sei lasciato sviare, e adesso è troppo tardi per tornare indietro. 
È un’ora livida della notte, cinerea e quasi leggibile, come pagine intatte di un manoscritto bruciato. Avanzi arrancando nella nuvola del tuo respiro esausto, e continui a seguirmi. L’acciottolato sotto i tuoi piedi è bagnato e sudicio, l’aria è gelida e acre d’alcol e di sterco che si scioglie pian piano. Da qualche luogo nelle vicinanze arrivano attutite voci ubriache, ma dal poco che riesci a capire non sono certo gli incipit forbiti di un grande dramma romantico; al contrario, ti ritrovi a confidare in Dio che le voci non si avvicinino troppo. 
I personaggi principali di questa storia, di cui vorresti diventare intimo amico, non sono qui. Non ti stanno aspettando: tu non significhi niente per loro. Se pensi che abbiano intenzione di lasciare i loro letti caldi per venirti a conoscere, ti sbagli. Ti chiederai perché ti ho condotto qui. Perché tardano tanto quelli che avresti dovuto incontrare. La risposta è semplice: i loro domestici ti avrebbero lasciato alla porta. 
Quello che ti manca sono i contatti giusti, per questo siamo venuti qui, per i contatti. Una persona che non conta nulla ti presenterà a una persona che non conta quasi nulla, e quella persona a un’altra, e cosí via fino a quando potrai finalmente varcare la soglia, quasi come uno di famiglia. 
Per questo ti ho condotto qui, in Church Lane, a St Giles, dove ho trovato la persona che fa per te. 
Devo avvertirti, però, che partiamo dal basso, dai piú vili tra i vili. L’opulenza di Bedford Square e il British Museum saranno anche a poche centinaia di metri, ma tra quei quartieri e questo corre New Oxford Street, un fiume troppo ampio per attraversarlo a nuoto, e tu sei dalla parte sbagliata. Il principe di Galles, te l’assicuro, non ha mai stretto la mano a nessuno degli abitanti di questa strada, né accennato col capo un saluto occasionale, e nemmeno, col favore della notte, saggiato le prostitute. Perché sebbene in Church Lane abitino forse piú puttane che in qualunque altra strada di Londra, non si confanno certo ai gusti dei gentiluomini. Per gli intenditori, una donna dopotutto non è soltanto un corpo, e non si può certo pretendere che sorvolino sui letti sudici, lo squallore dell’arredo, i focolari gelidi e l’assenza di carrozze ad attenderli nella via.

Insomma, questo è tutto un altro mondo, dove la prosperità è un sogno esotico remoto come le stelle. Church Lane è il tipo di strada dove anche i gatti sono magri e stralunati per mancanza di cibo, dove gli uomini che si professano lavoratori apparentemente non lavorano mai e le cosiddette lavandaie di rado lavano qualcosa. I benefattori non possono fare alcun bene qui, e vengono ricacciati con la disperazione nel cuore e le scarpe sporche di merda. Un ospizio modello per poveri meritevoli, aperto con gran clamore filantropico vent’anni fa, è presto caduto nelle mani di gente di malaffare, ed è ormai in rovina. Gli altri edifici, piú vetusti, anche se di due o perfino tre piani, trasudano un’atmosfera sotterranea, quasi fossero stati riesumati da una grande fossa, reperti in decomposizione di una civiltà perduta. Costruzioni vecchie di secoli si sostengono su stampelle di tubi di ferro, ferite e acciacchi medicati con cataplasmi di stucco, imbracati con corde da bucato, rappezzati con legno marcescente. I tetti sono una disparata accozzaglia, le finestre dei piani superiori incrinate e nere come i mattoni, e il cielo sovrastante piú denso di quanto sia l’aria, un cielo a volta come il tetto di vetro di una fabbrica o di una stazione ferroviaria: un tempo scintillante e tersa, ora coperta di lordura. 
Comunque, dal momento che sei arrivato alle tre meno dieci di una gelida notte di novembre, non sei certo propenso ad ammirare il panorama. La tua preoccupazione immediata è trovare scampo al freddo e al buio, per diventare quello che pensavi di poter essere semplicemente posando la mano su di me: uno di qui. 
A parte il bagliore fioco dei lampioni a gas, in lontananza, non vedi nessuna luce in Church Lane, ma questo è perché l’umanità che veglia si rivela di solito con segnali piú potenti del barbaglio fievole di due candele dietro un vetro fuligginoso. Tu vieni da un mondo dove l’oscurità è spazzata via dallo scatto di un interruttore, ma non è questo equilibrio di forze che la vita consente. Sono possibili patti molto piú precari. Sali con me nella stanza dove brilla quel lume fioco. Lasciati trascinare all’interno dalla porta sul retro, lasciati guidare per un corridoio claustrofobico che odora di tappeti intrisi d’acqua e biancheria sudicia. Lascia che ti ripari dal freddo. Conosco io il modo. 
Attento ai gradini, alcuni sono marci. So io quali, fidati. Sei arrivato fin qui, perché non spingerti un po’ oltre? La pazienza è una virtú, e sarà ampiamente ricompensata. È chiaro –non te l’avevo detto? –che sto per abbandonarti. Sí, purtroppo è cosí. Ma ti lascio in buone mani, ottime, anzi. Qui, in questa minuscola stanza ai piani superiori dove brilla quella tenue luce, stabilirai il tuo primo contatto. È una creatura gentile, ti piacerà. E in caso contrario, poco importa: appena ti avrà messo sulla buona strada, potrai abbandonarla senza tante cerimonie. Nei cinque anni in cui si è fatta largo nel mondo, non si è mai trovata a portata di voce di quei signori e quelle signore tra cui ti muoverai in seguito; lavora, vive e senza dubbio morirà in Church Lane, saldamente incatenata a questa piccionaia. 
Come molte donne del popolo, prostitute soprattutto, si chiama Caroline, e in questo momento la trovi accovacciata sopra un grande catino di ceramica pieno di una mistura tiepida d’acqua, allume e solfato di zinco. Usando uno stantuffo ricavato da un cucchiaio di legno e vecchie bende, tenta di avvelenare, risucchiare o in qualche modo distruggere quello che solo pochi minuti prima le ha lasciato dentro un uomo che per un soffio tu non hai incontrato. Mentre Caroline impregna a piú riprese lo strumento, l’acqua si fa via via piú lurida: chiaro segno, cosí pensa, che il seme dell’uomo guizza lí sotto e non dentro di lei. 
Asciugandosi con l’orlo della sottoveste, Caroline si accorge che le due candele stanno per spegnersi; una è già un mozzicone gocciolante. Ne accenderà altre? 
Be’, dipende dall’ora della notte, e Caroline non possiede un orologio. In Church Lane sono in pochi ad averne uno. Pochi sanno che anno è, o perfino che diciotto secoli e mezzo fa, a quanto si dice, un ebreo facinoroso veniva trascinato sul patibolo per aver sconvolto la quiete pubblica. Questa è una strada dove la gente non va a dormire a un’ora precisa, ma quando fa effetto il gin, o quando lo sfinimento non consente ulteriori violenze. È una strada dove la gente si sveglia quando l’oppio nell’acqua zuccherata dei lattanti smette di sedare i piccoli sventurati. È una strada dove gli spiriti piú deboli si trascinano a letto al calar del sole e rimangono svegli ad ascoltare i ratti. È una strada dove le campane della chiesa e le trombe della corona risuonano fievoli, troppo fievoli. 
L’orologio di Caroline è il cielo greve e il suo contenuto fosforescente. Le parole «le tre del mattino» possono anche non avere alcun senso per lei, ma capisce perfettamente la relazione tra la luna e le case dall’altra parte della strada. In piedi davanti alla finestra, cerca per un momento di scrutare attraverso i vetri incrostati di sporco congelato, poi gira la nottola e spalanca la finestra. Uno schianto fragoroso le fa temere per un momento di averla rotta, ma è solo il ghiaccio che si infrange. Una gragnuola di piccole scaglie si rovescia sulla strada sottostante. 
Lo stesso vento che ha fatto rapprendere il ghiaccio aggredisce anche il corpo seminudo di Caroline, impaziente di trasformare il sudore lucente sul petto lentigginoso in un velo scintillante di brina. Raccoglie nel pugno le gale sfilacciate dell’ampia sottoveste e se le stringe intorno alla gola, sentendo un capezzolo indurirsi sotto l’avambraccio. 
Fuori il buio è quasi completo, perché il lampione piú vicino è a una mezza dozzina di case piú in là. L’acciottolato di Church Lane non è piú bianco di neve, il nevischio si è coagulato in grumi vischiosi e mischiato a scie di fanghiglia, come mostruose emissioni di sperma che risplendono giallastre nella luce dei lampioni. Tutto il resto è nero. 
Il mondo esterno ti sembra svuotato, mentre, fermo alle sue spalle, trattieni il respiro. Ma Caroline sa che con ogni probabilità altre ragazze come lei sono sveglie, oltre a sciacalli, guardiani e ladri d’ogni genere, nonché un farmacista dei paraggi che rimane aperto nel caso qualcuno voglia del laudano. Ci sono ancora ubriachi nelle strade, assopiti nel mezzo di una canzone o quasi morti di freddo, e sí, è anche possibile che in giro ci sia ancora qualche lussurioso in cerca di una ragazza a buon mercato. 
Caroline medita se le convenga vestirsi, mettersi lo scialle e uscire per tentare la sorte nelle vie intorno. È a corto di soldi, dal momento che ha passato quasi tutto il giorno a dormire e poi si è lasciata sfuggire un potenziale cliente perché non le piaceva il suo aspetto: aveva tutta l’aria di un sifilitico. Adesso rimpiange di averlo lasciato perdere. Ormai dovrebbe aver imparato che è inutile aspettare l’uomo perfetto. 
Tuttavia, se adesso esce di nuovo, significa accendere altre due candele, le ultime che le rimangono. Anche il clima rigido va tenuto in conto: tutto quel dimenarsi a letto fa alzare la temperatura, che crolla di colpo appena si esce al freddo; una volta uno studente di medicina, tirandosi su i pantaloni, le ha detto che quello era proprio il modo di beccarsi la polmonite. Caroline ha un sano rispetto per la polmonite, anche se la confonde col colera e pensa che abbondanti gargarismi di gin e bromuro le garantiscano buone possibilità di sopravvivenza. 
Di Jack lo Squartatore non deve preoccuparsi; mancano ancora quasi quattordici anni, e quando farà la sua comparsa lei sarà morta per cause piú o meno naturali. Comunque, non si darà certo la pena di venire a St Giles. Come ti ho detto, qui partiamo dal basso.

Questo pezzo è tratto da:

Il petalo cremisi e il bianco
Michel Faber
Einaudi Editore, ed. 2010
Traduzione di Elena Dal Pra e Monica Pareschi
Collana "Super ET"
Prezzo 17,00€


- Posted using BlogPress from my iPad

martedì 1 novembre 2016

#RegalamiUnRacconto il racconto vincitore: "Martedì", l'amico di Murakami



Fonte (immagine di sfondo): Spazio cibo


E siamo finalmente arrivati al racconto vincitore che, caso ha voluto, fosse anche l'ultimo dei due dell'amico di Murakami. Chiaramente, visto che io e lui la pensiamo allo stesso modo, a lui questo racconto proprio non piaceva, l'ha mandato solo per fare "numero" e infatti per me, e la giuria di qualità, ha vinto. Questo mi fa pensare che dovrei leggere tutto quello che scrive e che reputa una schifezza e chissà quante chicche si nascondono! Mi insegna un'altra cosa anche che è meglio non stare con lui nella stessa stanza in cui siano presenti dei coltelli... non si sa mai! XD

È un racconto coinciso e preciso e colpisce in pieno il tema del concorso #regalamiunracconto e, anche se lui non è molto d'accordo, il protagonista ricorda un po' l'autore di queste righe - uccisioni a parte s'intende -.

Corre l'obbligo di specificare che i racconti che sono stati mandati dagli autori, nonostante siano pubblicati qui, sono di loro proprietà. E' severamente vietato copiarli, anche se solo in parte o nella totalità, senza la loro espressa autorizzazione. Per informazioni e/o contatti, sarò felice di dare risposte a chi ne farà richiesta a me tramite la mail segnalata nei contatti.

Con questo racconto si conclude la lista di quello che mi è arrivato e che ho letto per #RegalamiUnRacconto, ringrazio tutti e tre i partecipanti e anche coloro che si sono divertiti con me a leggere queste storie. Dovremo riempire i martedì d'ora in poi ma, sinceramente, non ho ancora pesato a cosa possa avere una ricorrenza tale quindi vedremo...

Vi lascio alla lettura di questo splendido racconto comunicandovi che, l'amico di Murakami ha scelto il suo premio che è "L'incubo di Hill House" di Shirley Jackson ripubblicato recentemente, proprio a giugno mi sembra, da Edizioni Adelphi.

Buona giornata e buone letture,
Simona Scravaglieri



Martedì 
Racconto dell'amico di Murakami (alias) 

Mi appoggio, spingo e cerco di avvicinarmi per vedere meglio, l'iPhone in mano per fare qualche fotografia se capitasse l'occasione. Niente: i curiosi sono arrivati tutti prima di me e allora mi sposto, cerco un posto più comodo e guardo da lontano.
La folla spinge ma la polizia tiene tutti alla larga mentre gli agenti fanno avanti e indietro dal portone di via Anguissola. Ogni tanto un poliziotto esce portando via qualcosa e sale su una delle auto, che parte a sirene spiegate. Chiedo alle persone vicino a me se sanno cosa sia successo. Un omicidio, pare, una donna che abitava lì è stata uccisa stanotte o forse ieri; la donne delle pulizie viene tutti i sabati e quando è entrata stamattina l'ha trovata nel letto. Un ragazzo mi informa che è stata accoltellata, ma la signora dai capelli rossi di fianco a lui non è d'accordo: le hanno sparato, dice e i due iniziano a discutere.
Resto lì ancora qualche minuto cercando di ignorarli poi me ne vado, ho visto qualcuno che conosco bene e che sta cercando di parlare con i gli agenti e i vicini della vittima. "Ciao Paola", inizio, "Non adesso, sto lavorando", mi risponde allontanandosi e lanciandomi un'occhiataccia.
Allora decido di mandarle un messaggio, ci vediamo più tardi, prendiamo qualcosa insieme? e per fortuna dopo qualche minuto guarda il suo telefono, poi guarda me, sorride e risponde OK, all'una, giapponese, scegli tu un posto qui vicino.
Manca ancora quasi un'ora e qui nessuno sembra sapere bene cosa sia successo, quindi decido di andarmene; un ciclista si infila in mezzo a noi, cerca di passare, quasi mi investe, alla fine si rassegna e si ferma. Troppa gente e io non reggo la calca: attraverso, mi allontano poi dall'altra parte della strada salgo un paio di gradini a dall'ingresso del negozio di fumetti di fronte scatto un paio di foto con il cellulare. Mi serviranno dopo. Nel frattempo, ho un ristorante da scegliere.
Per fortuna qua intorno ce ne sono tanti.

Paola mi raggiunge dopo molto più di un’ora, ma me lo aspettavo, ormai la conosco. Mi abbraccia, posa la borsa, si siede e tuffa la testa nel menu prima ancora di dire una parola.
"Ciao" inizio. Fa un cenno con la testa e subito dopo alza gli occhi "Ciao" e chiama una cameriera per ordinare. Con lei è facile, è sempre lo stesso: sushi vegetariano, cetriolo o avocado.
Mentre aspettiamo cerco di farla parlare. "Allora? Hai saputo qualcosa che puoi dirmi? A voi giornalisti le cose le raccontano. Di nuovo lui?"
"Sei sempre curioso. Ma a me dicono solo quello che sanno già tutti"
"Quindi è stato ancora lui", insisto "Anche questa ragazza è morta nello stesso modo?"
Intanto iniziano a portarci quello che abbiamo chiesto, ma Paola aspetta un attimo prima di iniziare.
"Sì, come le altre quattro prima di lei. Legate al letto e accoltellate al cuore."
"Ma anche loro avevano appena mangiato vero? Le costringe a mangiare e poi le ammazza".
Annuisce, giocherellando con il cibo con le bacchette.
"Ed è sempre un piatto vegano? Per questo lo chiamate 'Il Killer vegano'?
A questo punto fa una smorfia, vorrebbe dire qualcosa ma si trattiene. "Non mettertici anche tu, non so chi abbia avuto quest'idea, odio quel nome! Comunque... sì. E visto che vuoi i dettagli, questa ha mangiato carote e nocciole e quella prima carciofi, credo. Soddisfatto? Ma adesso basta"
"Scusa" cerco di rimediare, e la lascio stare; poi, appena penso sia un po' sbollita provo a riappacificarmi. "Qualcuno invecchia, la prossima settimana, vero?" dico. Mi guarda, decide di sorridere "Allora? Se anche fosse?"
"Possiamo vederci se ti va, che ne dici?"
"Vado via per qualche giorno, parto mercoledì. Però... se vuoi possiamo cenare insieme prima, ok? Da me."
"Va bene. Io porto qualcosa di dolce, magari. Niente uova, niente latte e niente miele per te, giusto?". Se non altro, approva
Continuiamo a mangiare poi riprendo il discorso, cerco di raccontarle. "Sai la prima ragazza... ti ricordi... la conoscevo anche io, lo sai". Si irrigidisce, poi si rilassa "Ah..., avevate lavorato insieme vero? Non mi ricordavo, non avevo collegato, scusa, capisco che ti abbia fatto effetto e tu voglia saperne di più"
Si interrompe "Devo andare! sono in ritardo! Paghi tu, vero?"
Rinuncio e dico di sì mentre mi saluta e scappa via; poi me la prendo comoda per finire il pranzo e andare a casa.
Il solito tragitto in metropolitana e poi un pezzo a piedi, ma finalmente arrivo. Sento un rumore e mi guardo intorno. Niente. Apro il portone, salgo in ascensore: forse sono nervoso, con tutto il movimento di oggi.
Entro in casa e richiudo la porta, prendo il libro che avevo lasciato sul tavolino e mi metto comodo. Non ho voglia di uscire di nuovo, ma domani dovrò andare davvero a fare la spesa. A preparare. Per Paola.
Apro il libro, riprendendo da dove mi ero fermato. Mi è sempre piaciuto questo vecchio ricettario.
Leggo: Strudel di legumi e verdure, Stufato di carciofi, Torta di carote e nocciole senza uova ah ecco Torta di carruba, forse non è proprio adatta per un compleanno comunque andrà bene lo stesso. Scorro gli ingredienti, faccio mentalmente una lista: farina di carruba, latte di mandorle, olio di semi... penso di ricordarmi. Ho tempo per fare tutto senza fretta per quando ci vedremo. Mi alzo. Prendo il coltello che ho pulito per bene e guardo i riflessi sulla lama. Mi amerai anche tu, Paola. Martedì.

lunedì 31 ottobre 2016

Le letture della Centuriona: Gli eredi della terra

E siamo arrivati anche alla fine di Ottobre e questo mese, Natascia si è superata con una mega maratona di 900 pagine! La scelta questo mese è caduta su "Gli eredi della terra" e, a me , questa recensione è piaciuta veramente tanto e, in più, oggi grazie a lei trovate in fondo l'immagine, presa dal Maps di Google dell'interno della Cattedrale del Mare (bellissima!).
Vi ricordo, qualora non ci aveste fatto caso che, Marassi libri, ha cambiato sede e che in fondo ci sono tutti i riferimenti per mettersi in contatto con lei e vi lascio alla sua recensione.
Buone letture,
Simona Scravaglieri
Fonte: Natascia Mameli

IL LIBRO DI OTTOBRE

Eccoci qui.
Finisce ottobre, qui a Genova il clima non sembra ancora autunnale ma si respira già un po' di aria natalizia. Le notizie dal mondo non sono sempre positive e noi ci rifugiamo nel regno immaginifico dei libri.
La recensione di ottobre mi ha portato via (in senso positivo) quasi più tempo che leggere il libro. Scherzo, ovviamente, ma direi, a occhio, che dovrebbe essere la più lunga che ho scritto finora. Vero è che i libri con ambientazione storica sono i miei preferiti, come vi ho già accennato, per cui non potevo non analizzarlo al meglio delle mie possibilità.
Anzi, ho cercato di trattenermi e di riportare in modo abbastanza organizzato la marea di appunti che ho preso durante la lettura del libro.



Titolo: Gli eredi della terra (titolo originale: Los herederos de la tierra)
Autore: Ildefonso Falcones de Sierra
Casa editrice: Longanesi, 2016
Traduttori (in ordine alfabetico): Marco Amerighi, Roberta Bovaia, Daniela Ruggiu, Marcella Uberti-Bona
(nota alla traduzione: il primo libro è stato tradotto solo da Roberta Bovaia, non so come mai per questo ne siano serviti addirittura 4, magari non c'è niente di misterioso nella questione ma mi piace usare la fantasia, in questi casi...)

Parto subito con una frase inevitabile: se non avete ancora letto "La cattedrale del mare" correte immediatamente ai ripari! Dopodiché potrete avventurarvi nella lettura di questo altro 'mastodonte'.
La mia edizione, illustrata, del primo libro ha 586 pagine, ma è, appunto, illustrata, per cui ha alcune pagine con disegni e potrebbe essere più spessa della versione normale uscita all'inizio del 2007 (quella illustrata uscì dopo, poco prima di Natale, me lo ricordo perché la comprai nei banchetti natalizi dentro a Galleria Mazzini, dove, all'epoca, lavoravo).
"Gli eredi della terra" (da notare: terra, non Terra) ne ha 900 esatti più altre 4/5 pagine in cui l'autore, come nel primo, da indicazioni sul rapporto tra la veridicità delle parti della sua storia e la Storia realmente accaduta.

Sappiate che non vi farò un riassunto della trama. Come sempre, la trovo una cosa inutile, dato che la trovate in qualsiasi sito, ma vi parlerò delle impressioni che ho avuto leggendolo. Precisando che mi ci sono voluti la bellezza di 20 giorni, per leggerlo. 20 giorni in cui non ho letto praticamente altro, 20 giorni in cui mi sono segnata quante pagine dovevo leggere (ogni volta dovevo ricalcolarle perché non riuscivo a rispettare la tabella di marcia. Strano, eh?) al giorno per poterlo finire in tempo!

Partiamo, allora, dal presupposto che abbiate letto 'La cattedrale del mare': che fine aveva fatto Arnau, dopo essere passato per mille vicissitudini? Lo avevamo lasciato nel 1383, all'ultimazione di Santa Maria del Mare, come membro rispettato della comunità, non solo dei bastaixos, ma anche come cittadino di Barcellona. Lo ritroviamo a ormai 60 anni passati, in un ruolo importante della comunità cittadina, umile ma ancora più rispettato dalla gente. Punto di riferimento di molte persone. Tra queste c'è Hugo.
Non vi illuderò, Arnau non è il protagonista di questa nuova storia e non lo è neanche Bernat, il figlio che abbiamo conosciuto nelle ultime pagine del primo libro (e vi dirò in seguito il mio parere sul perché di questa esclusione).
Hugo è, da subito, il personaggio #maiunagioia per eccellenza: è orfano di padre, rilegato a fare il ''porta-palla'' del 'genovese' (piccolo appunto personale: Falcones, che ho sempre amato, ha conquistato completamente il mio cuore semplicemente facendo dire al personaggio genovese 'Anemmu'), con il grande sogno di fare il maestro d'ascia, ma, come capisci già a pagina 28, destinato a una vita ''difficile'', per usare un eufemismo.
Quello che ricorre sempre e indistintamente nei libri di Falcones, infatti, è l'accento sulla crudezza e crudeltà della vita nel medioevo: la giustizia e le regole ci sono ma i 'poteri forti', alla fin fine, riescono a fare quello che vogliono (spesso, ma non sempre). A farne le spese, ovviamente, è il popolo e, nella fattispecie, Hugo.

Il piacere che mi coglie leggendo questo genere di libri è soprattutto dovuto al fatto che non mi prende l'ansia da ''come andrà a finire, devo assolutamente sapere, ora, come andrà a finire tutto'' (per fortuna! Perché tenersi quell'ansia per 900 pagine sarebbe intollerabile), per cui riesco a godermi la lettura, attimo dopo attimo, di quanto viene raccontato.
Questo raccontare ''passo dopo passo'' (con i salti temporali), tra l'altro, nei romanzi con ambientazione storica (al contrario che nei thriller, o nella narrativa in generale) non è affatto appesantente, perché aiuta ad immergersi nell'atmosfera del tempo. In più c'è da dire che Falcones fa un ottimo uso delle parole, scegliendo, in maniera maniacale, esclusivamente termini adatti all'epoca (sembrerebbe una cosa banale, se non fosse che mi è capitato spesso il libro storico in cui ricorreva ''frizzante'', "adolescenza","bicchiere di vetro"... per fare qualche esempio).
Una cosa molto interessante dello stile dell'autore, che si riscontra sicuramente anche nelle altre sue opere, è l'abitudine di intrecciare la grande Storia con le piccole storie dei protagonisti. O meglio, di mettere in rilievo come la Storia incida nella vita dei singoli e quanto spesso questa riesca a trasformare anche notevolmente le sorti dei protagonisti. Solo in pochissimi casi, in effetti, il coinvolgimento dei personaggi nella storia della città (città di Barcellona, intesa come contea), di tutta la Catalogna e, anche, del Mediterraneo, sembra essere un tantino forzata. Per il resto, la Storia ci ha abituati a situazioni e stravolgimenti ben più incredibili di un corsaro che diventa Ammiraglio per lo stesso regno le cui navi attaccava...

Un'altra cosa che apprezzo molto del modo in cui scrive Falcones è la facilità con cui riesce, in uno stesso paragrafo, ad andare avanti e indietro nel tempo, ripercorrendo i ricordi dei protagonisti, per poi tornare al momento presente per proseguire il racconto. Devo dire che mi è capitato più di una volta di essere talmente immerso nel passato della memoria del personaggio da metterci alcuni secondi a ricordare in che momento storico era iniziato il paragrafo. Può sembrare una cosa negativa, ma a me pare invece che dimostri una capacità di scrittura non così usuale.

Un'altra cosa che apprezzo molto dello scritto di Falcones è che ha l'abitudine di far seguire, al nominare di personaggi che non ricorrono da diverse pagine, piccoli 'appigli' a cui il lettore può attaccarsi per ricordarsi chi è e dove lo avevamo ''visto'' l'ultima volta. Così fa anche per episodi lontani nel tempo: come dei piccoli ''nelle ultime puntate'', mette delle frasi che ci aiutano a riallacciarci. Del resto 900 pagine sono tante e, se pur è vero che, evitando tutti questi richiami, le pagine diminuirebbero, è inevitabile che una persona normale (figuriamoci gente con la mia memoria da criceto) non possa ricordare tutto, a meno di non prendere appunti (cosa che *coff coff* ho anche fatto, ma tant'è è capitato che, leggendo un nome mi dicessi 'e questo/a chi è, prima di leggere il riferimento lasciato dall'autore... penso, ad esempio, a Caterina nel palazzo dei Puig)

Parlando invece della storia, delle vicende narrate, posso dire tranquillamente che, come dimostrato negli altri libri, l'autore è uno dei più fantasiosi che io conosca: il susseguirsi di intrecci, vicissitudini, sfortune e brevi periodi di vita felice è, a tratti, spaventoso. Leggendo mi sono chiesta come sarebbe avere davvero una vita così altalenante (anche in epoca moderna). Come doveva essere veramente vivere nel Medioevo è quasi impossibile da definire: Falcones è bravo anche a tenere in bilico tutti gli aspetti di quel intricatissimo periodo storico. Le religioni (che nel Medioevo, soprattutto nella penisola iberica, non potevano che essere importantissime) e i conflitti tra queste; l'Inquisizione; le differenze sociali e la miseria; le lotte per il potere e per la sopravvivenza; i soprusi e le ipocrisie dell'epoca sono tutti elementi tenuti in equilibrio (con qualche sbilanciamento verso le ingiustizie) come un giocoliere che fa continuamente ruotare le palle per non farle cadere tutte a terra.

All'inizio mi sono chiesta come mai l'autore avesse voluto portare avanti la storia di Barcellona abbandonando in modo così netto Arnau e suo figlio Bernat per seguire la vita di Hugo. Soprattutto, volendo portare avanti la Storia ancora per altri 40 anni, come mai non aveva scelto di seguire Bernat? Mi sono risposta mooooolte pagine dopo. Credo, ma forse è solo una mia idea, che Bernat sia figlio di Arnau ma non abbia gli stessi valori che Arnau impersonava. Hugo invece, non è figlio di Arnau, ma sembra essere spinto dalla stessa 'filosofia di vita' (se così si può dire) di Arnau: nuocere il meno possibile, non rinunciare a quanto si desidera, non uccidere se non per difendere chi si ama (anche quando la vendetta contro chi gli ha fatto del male è a portata di mano). In definitiva, una 'correttezza' e un rispetto verso la vita che forse stride fortemente con quello che è il nostro immaginario sulla coscienza comune nel Medioevo. Questo, comunque, esattamente come era stato per Arnau, non fa di Hugo un eroe puro, senza macchia. Anzi. Contro i cattivi, Hugo usa l'astuzia, più dell'onestà e della correttezza. E, come abbiamo visto, è capace di uccidere, anche se per ''buone ragioni''. Ed è capace di essere crudele, ma solo quando non vede altre vie d'uscita. Questo è esattamente l'opposto di quanto si percepisce di Bernat, un ragazzo che, ancora prima di diventare un nobile arrogante, ancora prima di divenire un crudele corsaro, è un ragazzino accecato dall'odio e dalla vendetta.

Quello che preserva Hugo è, come in Arnau, la fede. Ma, mentre in Arnau, la fede per la Madonna era quasi cieca. In Hugo questa fede vacilla spesso. Lui si fa domande, teme la Madonna e si chiede se lo punisca attraverso tutte le avversità che è costretto ad affrontare, si chiede se ciò che fa (innamorarsi di un'ebrea, ad esempio) possa rendergli avversa la Madonna che Arnau tanto amava. C'è un personaggio però che riesce, dapprima, ad avvicinare Hugo alla fede e, in qualche modo, lo avvia sul sentiero giusto: è Arsenda, sua sorella che, costretta, suo malgrado, alla vita monastica, gli fa promettere che non odierà. Cosa, di per sé, impossibile e inutile ma che lo porta, secondo me, a mettere in dubbio l'odio che prova verso coloro che gli fanno del male, e a scegliere un'altra opzione.

Una piccola nota: durante la lettura ci si imbatte in una scena quasi tragicomica nelle stanze da letto del re Martino a Bellesguard: non scenderò nei dettagli ma, nel caso foste tra quelli che poi le note alla fine del libro non le leggono e foste tra quelli, in questo caso come me, che hanno trovato quella scena molto poco credibile, beh, in realtà è un fatto riportato da qualche storico. Credo che sia importante saperlo (comunque le note leggetele, che sono interessanti!)

L'ultimo appunto sul libro che mi preme di fare è sulla città di Barcellona: Falcones la descrive così bene, talmente per filo e per segno, che se uno si volesse mettere a fare una cartina delle vie della zona medioevale intorno a Santa Maria del Mar (avendo capacità migliori delle mie, ma ci vuole davvero poco!) lo potrebbe tranquillamente fare. Sarà banale dire che la città, in fondo, è la prima protagonista del libro (come del primo) ma non ci si può esimere dal farlo.

Citazione preferita:
"I cantieri navali, Santa Croce, Santa Maria del Mar, il palazzo di via de Marquet e il castello di re Martino a Bellesguard... Hugo poteva rivedere tutta la sua vita che gli passava davanti attraverso quei grandi edifici di Barcellona"


Natascia Mameli
Marassi Libri
NB: dall'11 luglio 2016 nuovo indirizzo:
CORSO DE STEFANIS 55 R
16139
GENOVA
tel 010815182

Immagine di Google Maps

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...