domenica 7 febbraio 2016

L'ha detto... Rudyard Kipling

Fonte: Jambo Africa

Le parole sono la più potente droga usata dall'uomo. 

 Rudyard Kipling

venerdì 5 febbraio 2016

"Neve, cane, piede", Claudio Morandini - Dannatamente bravo...


Fonte: PascoloVagante

Oggi vi dirò cose che sono in contrasto con il consueto significato delle parole stesse. Questo libro rappresenta un ironico elogio di quanto possa essere affollata, a volte, la solitudine. Non è un libro noioso e ha anche un finale che nessuno si aspetterebbe e, quando lo chiuderete, sentirete la mancanza di quel vecchietto, che vuole essere percepito come un anaffettivo e bisbetico, che è Adelmo Farandola. Lui, il cane e il piede sapranno rimanere nelle vostre memorie grazie al particolare talento di Morandini di rendere leggeri anche i concetti difficili da affrontare come vecchiaia, demenza senile e, appunto, la solitudine. Ripeto difficile è annoiarsi come lo è il trattenere il sorriso, ma Adelmo, una volta conosciuto non lo lascerete più.

Adelmo Farandola vive in una baita vecchia e anche un po' diroccata, accanto ad una stalla che non ha più vacche. Lui ha scelto di vivere lì. Troppo complicato e rumoroso vivere fra la gente, che s'impiccia, che ha sempre qualcosa da dire o da suggerire! La gente di solito non pensa al "vivi e lascia vivere", ha bisogno di parlare e magari pretende di essere ospite a casa tua. Insomma, Adelmo vuole far da sé e rimanere nell'unico caos che concepisce: il silenzio della montagna intervallato dai rumori della natura che a questa appartiene. Si è comprato un grande pezzo di terra brulla proprio per questo motivo. Una volta l'anno, di solito prima che comincino le nevicate, Adelmo scende in paese per fare provviste e poi carica tutto in spalla e torna su certo che, questa tortura di dover parlare con la gente, non ricapiterà fino al prossimo anno. Ma quest'anno, nel bel mezzo della risalita, è comparso un cane che lo comincia a seguire. Non c'è verso di mandarlo via, il cane lo segue, prima a distanza - per schivare i sassi che Adelmo gli lancia-, poi un pochino più da vicino finché non arrivano insieme nella vecchia baita di Adelmo. "Dormirà sulla soglia!", pensa in maniera perentoria Adelmo. Le ultime parole famose! Non c'è cuore duro che non possa essere conquistato dell'amore incondizionato di un animale! Il cane prima è davanti alla porta fuori, poi dentro, successivamente vicino al fuoco e infine vicino al letto. Non sarà l'ultimo ad arrivare ma, questa parvenza di famiglia, alla fine rende Adelmo più attivo. Non deve pensare più solo a se stesso, ma non ha a carico nulla che non possa essere gestito. Ci vuole disciplina per entrambi. E intanto fuori dalla porta la neve comincia a cadere, sempre più fitta...

Vi ho già detto più di quel che volevo dirvi, anche se la parte succulenta non c'è (e che proprio con Morandini dovevo divenire brava? Giammai!) ma, per capire questo libro, dovete sbirciarlo, ovvero o date uno sguardo nel pezzo riportato nell'anteprima del mercoledì oppure ve lo andate a sbirciare il libreria. Vi assicuro che non lo metterete più giù. Il mix che lo rende speciale è una combinazione di scrittura e orchestrazione della storia che uniti insieme rendono la lettura scorrevole e leggera come se non steste leggendo un romanzo breve (sono circa 150 pagine) ma un racconto lungo. Il racconto lungo permette di avere lo spazio per la caratterizzazione dei personaggi e l'approfondimento delle situazioni senza dimenticare i punti cardine della storia, cosa che, nel romanzo - anche se breve -, un po' si perdono. Morandini, invece, tiene la storia in pugno e non si dilunga mai in melense descrizioni (tipiche dei romanzi ambientati in montagna) e nemmeno nella rappresentazione arricchita dei personaggi con ricami speciali tipo le descrizioni da venti righe della punta dello spillo. Come se fosse un racconto e nel pieno rispetto del personaggio principale la descrizione è realistica e mirata. La storia, l'ambiente, i personaggi sono perfetti castoni che si accoppiano facilmente e asservono il loro ruolo senza sbilanciarsi e invadere quelli altrui. Quindi l'unica ripetizione -che scandirà il ritmo della trama che sembra ricalcare i passi che si fanno mano mano pesanti mentre Adelmo si inerpica per la salita verso casa- sarà "Adelmo Farandola".
Ripetizione usata ad arte, che quando la sai fare come succede a Morandini è bellissima, che diventa ora frequente intercalare, come quando affretti il passo pensando che manca poco, e ora rada come quando ti assale la stanchezza e rallenti.  

Adelmo è un uomo solo ed è anche anziano. Non vuole essere ferito e quindi per primo si difende isolandosi in un mondo che lo accetta perché è suo di diritto legale e notarile. Quella terra, lui l'ha comprata e non permette a nessuno di avvicinarvisi. È uno scudo facile da tenere su e quando vivi da solo, anche la solitudine è capace di giocarti brutti scherzi. Adelmo lo sa perfettamente e quindi ha impostato la sua vita in una routine sempre uguale, ora dopo ora, giorno dopo giorno e anno dopo anno. La sua vita ha il ritmo della natura, con la sua neve che lo blocca agli alpeggi, che sboccia e che risveglia gli animali da cacciare. In tutto questo il cane è un imprevisto non da poco e la routine, per tornare di nuovo tale, ha bisogno di qualche aggiustamento. Adelmo si lascia andare solo grazie al silenzio di un animale e forse questa sua debolezza è l'annuncio di qualcosa che cambia, che non è detto che sia meglio o sia peggio, ma cambia ed evolve in un uomo che fino ad allora aveva un'immagine di sé e della sua vita del tutto diversa. 
Ma perché affollata? Perché in questa storia, nonostante non sia così evidente, grazie alla delicata penna morandiniana, ci sono un sacco di personaggi, anche se in fondo, Adelmo non sembra essere in compagnia di nessuno di loro. Lui non sa che una piccola apertura decreta poi che questa venga spalancata e, quando questo succede, Adelmo ancora ragiona come fosse da solo. Ma poi... non ve lo dico, dovete rimanere come me, come pesci lessi, a guardare la fine del libro e a dire "ma... ma... ma così non vale!"

Ma una cosa ve la posso dire sin da ora. Voi vivrete lo stesso percorso di Adelmo come lettori: inizierete leggendo divertiti, sarete un po' in ansia con le prime nevicate - anche se, in fondo è un personaggio e una storia eh! - e finirete con il rendervi conto di esservi fin troppo affezionati al personaggio per lasciarlo andare. È una cosa che succede anche ai migliori, quando lo scrittore ci sa fare e, l'autore in questione è dannatamente bravo!
Potrei dirvi "leggetelo che è bellissimo!" ma, mi limito a scrivervi, che non leggerlo sarebbe per voi un perdere una buona occasione per conoscere una buona "prova" di narrativa contemporanea.
La casa editrice in fondo non è nuova a queste belle sorprese visto che è la stessa de "La strage dei congiuntivi", quindi, fossi in voi, e dopo il libro di oggi sarete concordi con me, terrei d'occhio il loro catalogo. Ci darà grandi soddisfazioni, ne sono certa!
Buone letture,
Simona Scravaglieri

Neve, cane, piede
Claudio Morandini
Edizioni Exòrma, ed. 2015
Collana "Narrativa"
Prezzo 13,00€






Fonte: Una casa sull'albero

mercoledì 3 febbraio 2016

[Dal libro che sto leggendo] Armadale


Fonte: Catalogo Fazi Editore


Si può creare una versione differente di un lavoro partendo da una base simile ad un libro completamente diverso? Si può, eccome! Nella recensione de "La donna in bianco" di venerdì vi parlavo della costruzione della storia partendo dalle dichiarazioni dei vari testimoni che ricostruivano tutta la trama incastrandosi come fossero anelli. Anche in questo caso si parte da una costruzione simile ma differente. In questo caso gli anelli, invece di incastrarsi come testimonianze che si completano sono costituite dalle vite dei vari protagonisti e girano attorno ad un unico cognome: Armadale.

1832 in un albergo di Wildbad in Germania stanno aspettando l'arrivo dei primi turisti di stagione. Ne devono arrivare due e di questi uno è veramente mal messo. Arriva prima il presuntuoso MR Neal che annuncia che l'altra famiglia attesa ha avuto dei problemi durante il tragitto e prega il dottore del paese di attenderli per aiutare il malato a riprendersi dal viaggio. MR Armadale non deve nemmeno parlare quando arriva. Al medico basta un'occhiata per capire la gravità della situazione; la moglie del malato è in lacrime perché sa già perfettamente in che condizioni è il marito e si preoccupa per se stessa e per il loro figlioletto Allan. Il giorno successivo, tutto ciò che non era umanamente intuibile al primo sguardo viene fuori. MR Armadale non sopravviverà per molto ma ha un'ultimo desiderio che può realizzare solo con l'altrui aiuto: deve finire di scrivere una lettera. Per la moglie la lettera è indirizzata ad una donna del passato e la cosa che la fa soffrire di più è che non è mai riuscita a contare per suo marito più di quanto pensi che la precedente riesca suo malgrado. La lettera ha un destinatario diverso da quello prescelto. L'orrore non si nasconde nel destinatario ma nel contenuto che Armadale si rifiuta di far conoscere alla donna; la lettera racconta fatti del passato che nessuno conosce e lascia una raccomandazione che ghiaccia chi la leggerà 20 anni dopo.

Quale sarà la raccomandazione? Che cosa nasconde la misteriosa lettera? Ora volete che ve lo dica proprio io? Non posso perché sono intorno a pagina 200 e me ne mancano ancora 608, ma non credo che ve lo dirò. Però una cosa la posso dire: anche questo si prospetta come un signor libro. Come potrete leggere dall'estratto di oggi, a Wilkie non mancano presenza di spirito e un po' d'ironia, quanto basta per rendere anche un tomo di 808 pagine leggero come uno di 200. Ne riparleremo in recensione e nel frattempo lasciatevi ammaliare da Armadale...
Buone letture,
Simona Scravaglieri

PROLOGO 

 I  
I viaggiatori 
Era l’apertura della stagione del 1832, alle terme di Wildbad. Le ombre della sera cominciavano a infittirsi sulla tranquilla cittadina tedesca e la diligenza era attesa da un momento all’altro. Sulla porta della locanda principale, ad aspettare l’arrivo dei primi ospiti dell’anno, erano riuniti i tre notabili di Wildbad e le rispettive mogli: il sindaco, in rappresentanza degli abitanti; il dottore, in rappresentanza delle acque; il locandiere, in rappresentanza del proprio esercizio. Oltre a questa cerchia ristretta, in piccoli gruppi sparpagliati qua e là sulla linda piazzetta antistante la locanda, si vedevano i cittadini comuni, talora mescolati con gli abitanti del contado che aspettavano pazienti la diligenza nel loro caratteristico costume tedesco: gli uomini in giacchetta nera corta, stretti calzoni al ginocchio e tricorno di castoro; le donne con i lunghi capelli biondi raccolti in una grossa treccia penzoloni lungo la schiena, e la gonna corta di lana che per modestia prevedeva la cintura all’altezza delle scapole. Tutto attorno al bordo esterno della folla così composta, distaccamenti volanti di bambini biondi e paffuti scorrazzavano di gran carriera senza mai fermarsi, mentre, misteriosamente in disparte rispetto al resto degli abitanti, i musicisti delle terme stavano riuniti in un cantuccio, aspettando che apparissero i primi ospiti per intonare il primo motivo della stagione in forma di serenata. La luce di una sera di maggio risplendeva ancora sulle cime delle grandi colline boscose che dall’alto vegliavano sulla città a destra e a sinistra; e la fresca brezza che arriva prima del tramonto spirava portando con sé un’intensa fragranza, colma dell’odore balsamico degli abeti della Foresta Nera. 
«Signor locandiere», disse la moglie del sindaco (chiamando il locandiere con il suo titolo), «aspetta ospiti stranieri per questo primo giorno della stagione?». 
«Signora sindachessa», replicò il locandiere (contraccambiando il complimento), «ne attendo due. Mi hanno scritto, l’uno per mano del proprio servitore, l’altro apparentemente di proprio pugno, per riservare le loro camere; e vengono entrambi dall’Inghilterra, credo, stando ai loro nomi. Se mi domanda di pronunciarli, la mia lingua esita; se mi domanda come sono scritti, eccoli lettera per lettera, primo e secondo in ordine di arrivo. Primo, un nobile straniero (dal titolo di Mister), che si presenta in otto lettere, A-r-m-a-d-a-l-e, e viaggia nella propria carrozza. Secondo, un nobile straniero (anch’egli Mister), che si presenta in quattro lettere, N-e-a-l, e arriva malato con la diligenza. Sua eccellenza di otto lettere mi scrive (tramite il suo servitore) in francese; sua eccellenza di quattro lettere mi scrive in tedesco. Le stanze di entrambi sono pronte. Altro non so». 
«Forse», suggerì la moglie del sindaco, «il signor dottore ha avuto notizie di questi illustri stranieri?». «Solamente di uno, signora sindachessa; ma non proprio dall’interessato in persona. Ho ricevuto un rapporto medico di sua eccellenza di otto lettere, e il suo sembra un brutto caso. Il Signore lo aiuti!». 
«La diligenza!», gridò un bambino ai bordi della folla. I musicisti imbracciarono gli strumenti, e sull’intera comunità cadde il silenzio. Da lontano, nei meandri della gola della foresta, il suono fievole dei campanelli dei cavalli si udì chiaro nella quiete della sera. Quale carrozza stava arrivando: quella privata con Mr Armadale o quella pubblica con Mr Neal? 
«Suonate, amici!», gridò il sindaco ai musicisti. «Carrozza o diligenza, ecco che arrivano i primi malati della stagione. Facciamoci trovare allegri». 
La banda suonò un vivace motivo di danza, e i bambini nella piazza si misero a ballare allegramente a tempo di musica. In quello stesso momento, gli adulti nei pressi dell’ingresso della locanda si fecero da parte e rivelarono la prima ombra di tristezza che calò sull’allegria e la bellezza della scena. Tra le due ali di persone, si fece avanti una piccola processione di robuste ragazze di campagna, ciascuna delle quali si tirava dietro una sedia a rotelle vuota; ciascuna in attesa (e nell’attesa lavorava a maglia) dei disgraziati paralitici che allora arrivavano a centinaia (e che arrivano a migliaia ora) alle terme di Wildbad per trovare sollievo. 
Mentre la banda suonava, mentre i bambini ballavano, mentre il brusio delle tante voci aumentava, mentre le giovani e robuste infermiere degli storpi in arrivo sferruzzavano imperscrutabili, nella moglie del sindaco si fece largo l’insaziabile curiosità di una donna verso le altre donne. Presa da parte la locandiera, le sussurrò una domanda su due piedi. 
«Ancora una parola, signora», disse la moglie del sindaco, «sui due stranieri che vengono dall’Inghilterra. Le loro lettere sono esplicite? Hanno delle signore con loro?». 
«Quello in diligenza, no», rispose la locandiera. «Ma quello nella carrozza privata, sì. Viene con un bambino, con una bambinaia, e...», concluse, «viene con una moglie». 
La moglie del sindaco si illuminò, la moglie del dottore (presente al colloquio) si illuminò, la locandiera annuì eloquentemente. Nelle menti di tutte e tre lo stesso pensiero prese vita nel medesimo momento: «Vedremo le ultime mode!». 
Un minuto dopo, ci fu un movimento improvviso nella folla e un coro di voci proclamò che i viaggiatori stavano arrivando. 
A questo punto il veicolo era ormai in vista e non ci fu più alcun dubbio. Era la diligenza quella che si avvicinava per la lunga strada che conduceva alla piazza, e fu la diligenza (appena verniciata di un giallo sfolgorante) a depositare i primi ospiti della stagione alla porta della locanda. Dei dieci viaggiatori emersi dallo scompartimento di mezzo e da quello posteriore della vettura (tutti provenienti da varie parti della Germania), tre furono portati fuori di peso e posti sulle sedie a rotelle per essere trasportati ai loro alloggi in città. Lo scompartimento anteriore conteneva solamente due passeggeri: Mr Neal e il servitore che viaggiava con lui. Sorretto da entrambi i lati, lo straniero (la cui malattia sembrò riguardare esclusivamente un piede menomato) riuscì a discendere gli scalini della carrozza con una certa facilità. Mentre si sistemava in piedi da solo con l’aiuto del bastone, lanciando più di un’occhiata paziente verso i musicisti che intonavano per lui il valzer di Der Freischutz , il suo aspetto raffreddò alquanto l’entusiasmo del piccolo circolo di amici riuniti per porgergli il benvenuto. Era un uomo magro, alto, serio, di mezz’età, con freddi occhi grigi e un lungo labbro superiore, con le sopracciglia sporgenti e gli zigomi alti, un uomo che era quel che sembrava: uno scozzese dalla testa ai piedi. 
«Dov’è il proprietario di questo albergo?», domandò, parlando tedesco con fluidità di espressione e distaccata freddezza di modi. «Mi chiami il dottore», continuò, quando il locandiere si fu presentato, «voglio vederlo immediatamente». 
«Sono già qui, signore», disse il dottore, facendo un passo avanti agli altri, «e i miei servigi sono a sua completa disposizione». 
«Grazie», rispose Mr Neal, guardandolo come di solito si guarda un cane che arriva al richiamo del nostro fischio. «Sarò lieto di avere un consulto con lei domani mattina alle dieci a proposito del mio caso. Per il momento la disturberò unicamente con un messaggio che ho preso l’impegno di riferire. Lungo la strada abbiamo superato una carrozza con un signore, un inglese credo, che sembrava seriamente malato. Una signora che viaggiava insieme a lui mi ha pregato di venire da lei non appena arrivato, per assicurare la sua assistenza professionale nel trasporto del paziente. Il loro corriere ha avuto un incidente ed è rimasto indietro lungo la strada, e loro sono costretti a viaggiare molto lentamente. Se si farà trovare qui tra un’ora, potrà riceverli in tempo. Questo è il messaggio. Chi è questo gentiluomo che appare così ansioso di parlarmi? Il sindaco? Se vuole vedere il mio passaporto, signore, il mio servitore glielo mostrerà. No? Desidera darmi il benvenuto e offrirmi i suoi servigi? Sono infinitamente lusingato. Se ha l’autorità per abbreviare l’esibizione della vostra banda cittadina, mi farebbe una gentilezza nell’esercitarla. Ho i nervi fragili e detesto la musica. Dov’è il locandiere? No, voglio vedere le mie stanze. Non ho bisogno del suo braccio, posso arrivare di sopra con l’aiuto del mio bastone. Signor sindaco e signor dottore, non c’è alcun bisogno che ci tratteniamo oltre. Vi auguro buona notte». 
Sindaco e dottore seguirono con lo sguardo lo scozzese mentre saliva claudicante le scale e scossero simultaneamente la testa in muta disapprovazione. Le signore, come al solito, si spinsero oltre ed espressero la propria opinione apertamente e con parole chiare. Il caso in questione (per quanto le riguardava) era il caso scandaloso di un uomo che le aveva oltrepassate senza degnarle nemmeno di uno sguardo. La moglie del sindaco attribuì un tale affronto unicamente all’innata ferocia di un selvaggio. La moglie del dottore espresse un giudizio ancor più duro e lo considerò come la conseguenza della connaturata brutalità di un maiale. 

Questo pezzo è tratto da:

Armadale
Wilkie Collins
Fazi Editore, Ed. 2016
Traduzione a cura di Alessandra Tubertini
Collana "Le strade"
Prezzo 18,50€



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domenica 31 gennaio 2016

L'ha detto... Simone Weil

Fonte: @tuttostorico Twitterhttps://twitter.com/tuttostorico


La storia non è altro che una compilazione delle deposizioni fatte dagli assassini circa le loro vittime e sé stessi. 

 Simone Weil

venerdì 29 gennaio 2016

"La donna in bianco", Wilkie Collins - La mistificazione della verità...



Fonte: Necronomicon

Se mercoledì scorso, per il libro di Morandini, aveva ragione Silvia oggi la ragione è di Nick. Hornby. Quando a Settembre ho recuperato il libro che mi mancava di leggere, della sua raccolta di articoli del The Biliever (Una vita da lettore, Edizioni Guanda), devo ammettere di essere stata un po' scettica riguardo Wilkie Collins. Non è solo riguardo il "romanzo" in generale, quanto per la definizione di "il padre del poliziesco moderno". Ecco, non è facile pensare ad uno che è vissuto alla metà dell'Ottocento, che fra i suoi estimatori contava pure gente del calibro di Dickens e che potesse, a suo tempo, essere il creatore di una tendenza e di un genere così particolare. E, invece, non solo ci riesce egregiamente ma, con qualche escamotage messo ad arte, riesce ad essere anche particolarmente moderno nel suo stile. A suo vantaggio ci sono due fattori in questo caso: il primo è che scrive una storia a puntate per una rivista - e quindi non deve ricorrere alla prosa "sorvegliata e altolocata"- dall'altra una formula particolarmente felice.

Siamo in un periodo non ben specificato e la nostra storia si svolge fra Londra, il Cumberland e lo Hampishire. Tutto comincia una tranquilla notte di fine estate in cui un insegnante di disegno, che torna dalla casa della madre verso il suo appartamento londinese, si prende un bello spavento. In una strada apparentemente vuota, dal nulla, spunta una mano che gli tocca la spalla. Quando si volta, quella mano appartiene ad una misteriosa fanciulla vestita completamente di bianco. Ha bisogno di indicazioni e di compagnia per raggiungere il centro di Londra e, il nostro insegnante gentiluomo l'accompagna dove potrà prendere una carrozza che la porti sana e salva a destinazione. Facciamo un salto nel tempo. Siamo nel Cumberland e il nostro insegnante è lì perché assunto per rimettere a posto delle stampe di pittori famosi e far da insegnante di disegno alle due ragazze che vivono nella casa di Mr Fairy. Sono sorelle per madre e una delle due colpisce subito il nostro protagonista; non è solo la sua bellezza che attira la sua attenzione ma c'è anche altro... Una somiglianza... Laura, la ragazza in questione, è promessa ad un uomo, Sir Percy, da quando suo padre morì - è stato il suo ultimo desiderio -, eppure, l'arrivo di questo insegnante fa nascere in lei un sentimento che non può portare avanti. Sir Percy non sarà giovanissimo e nemmeno il massimo della simpatia ma, è suo dovere, rispettare il volere del padre anche se una lettera mette in dubbio la vera natura del suo promesso sposo e la sconvolge più di quanto ella avrebbe potuto pensare.

Per tutto il resto di quel che vi dirò, tenete presente che "La donna in bianco" è un romanzo uscito dalla fine dell'estate del 1859 fino al novembre del 1860 in puntate settimanali cosa che, è sia punto di forza che una possibile debacle. Perché permette, da un certo punto di vista, ampio margine d'azione all'autore che può permettersi di approfondire le varie situazioni contando sulla diluizione della formula di pubblicazione ma, dall'altro, deve tenere sempre in tensione il lettore perché possa continuare ad essere stimolato per attendere e leggere la puntata successiva. In questo caso ci viene incontro una considerazione che, nel libro di Hornby poc'anzi citato, Nick fa riguardo la narrativa di Dickens. Collins e Dickens capitano in mano a Hornby pressoché nello stesso mese e, da un confronto che ne viene fuori nei mesi successivi, il nostro autore sottolinea che la forza di Dickens nel Copperfield sta nel riuscire a creare migliaia di personaggi ognuno con la sua storia che si presentano come mini-romanzi o racconti. Quindi la trama, che altrimenti sarebbe lineare, si compone invece in questo caso attraverso i segmenti delle storie personali dei vari personaggi in cui il protagonista mano a mano incappa. La formula scelta da Collins è differente anche se molto simile. 

In questo caso, infatti, Wilkie dichiara da dove ha preso spunto per l'organizzazione del testo che viene redatto come fosse la raccolta delle trascrizioni delle deposizioni di un processo. La storia pertanto non ha una sola voce narrante ma diverse e, a questo, si aggiunge anche la caratterizzazione del tipo di narratore dal registro linguistico che viene volta per volta cambiato a seconda di chi depone la sua verità. È simile alla formula dickensiana perché anche qui la trama è composta da segmenti che si devono per forza intersecare ma, in questo caso, sono strettamente correlati uno con l'altro per la necessità di svolgere volta per volta il mistero. Tutto è come ci appare, la nostra realtà è il frutto della sintesi dei nostri sensi veicolati dalle nostre emozioni. Però non sempre quello che ci sembra reale e veritiero è così come noi lo vediamo. Le cose cambiano di prospettiva a seconda di quello che vediamo di ciò che ci accade intorno. Quindi il bello può essere bello solo nella parte che vediamo noi e il buono magari nasconde dei lati bui o una farsa. Collins partendo da assunti simili ricostruisce una vicenda, a tratti a tinte gotiche, che comprende rapimenti, morti sospette, nascondigli e una manipolazione della realtà magistrale e verosimile e ogni volta che, potenzialmente, la storia potrebbe arenarsi, l'autore, con estrema naturalezza, propone ai suoi lettori situazioni risolutive credibili.

Come ci riesce? Semplicemente incastrando una confessione con l'altra; confessione che non inizia mai dove finisce la precedente, come sembra succedere per Dickens, ma che, in maniera dichiarata o no, riprende quello che è stato dichiarato prima completando mano a mano i "momenti bui" della storia ancora non chiariti. A questo aggiungiamo la soluzione modernissima della mistificazione del delitto che si nutre di elementi che ancora oggi vengono usati nelle serie tv, nei thriller e polizieschi moderni. Quindi pensare a Collins come il padre del poliziesco moderno, in un romanzo dove la polizia non c'è, è possibile perché la struttura della trama segue le classiche fasi dell'indagine che oggi affidiamo ai nostri "investigatori letterali". A questo si aggiunge che, il fatto di far parlare tanti personaggi per raccontare la loro verità, aiuta la storia a presentare i personaggi nella loro totalità grazie alle percezioni personali dei singoli narratori. Quindi anche  la caratterizzazione dei personaggi viene costruita come la trama ricomponendola con le percezioni sulla loro natura di ogni narratore.

Nonostante le sue 700 e passa pagine, tutto il romanzo risulta scorrevole e avvincente al punto tale che ci sono dei momenti particolari in cui è difficile chiuderlo e pensare ad altro. La segmentazione dei resoconti garantisce una tensione costante che tiene il lettore sempre in attesa del colpo di scena successivo. E anche quando, ad un certo punto, sembra che l'autore non abbia voluto intraprendere la strada più semplice, lui riesce sempre a cavarsela proponendo una situazione imprevedibile che rende la sua precedente finta leggerezza un'azione dovuta alla visione d'insieme della storia. È un classico affascinante e accattivante che ho sempre avuto in casa da quando Fazi ha rimesso a nuovo le sue copertine, ma che non avevo aperto mai (anche perchè in questo caso l'ho aperto per vedere come iniziava e dopo un paio d'ore stavo già a pagina 100!), e che invece ho decisamente rivalutato - mi ha fatto addirittura venire voglia di rileggere Dickens! -. Quindi non mi sono persa l'ultima uscita di Fazi del 18 Gennaio di "Armedale" che ha un inizio decisamente accattivante e di cui spero di riuscirvi a parlare a Febbraio.

Io fossi in voi uno sguardo lo darei a questo lavoro che si presenta come un classico e che invece riesce ad essere avvincente e mai noioso, poi fate voi... ma sono certa che non vi pentirete se deciderete di seguire il consiglio!
Consigliatissimo,
Simona Scravaglieri


La donna in bianco
Wilkie Collins
Fazi Editore, Ed. 2006
Traduzione di Stefano Tummolini
Collana "Le Porte"
Prezzo 18,50€



Fonte: Letture Sconclusionate




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