mercoledì 7 ottobre 2015

[Dal libro che sto leggendo] Florence Gordon

Fonte: LettureSconclusionate



Quando un libro è bello, lo è punto e basta. In questo caso, come forse vi sarete accorti dalla recensione di venerdì, è estremamente complicato parlare di un libro con cui si ha feeling e qualcosa da cui ci si stacca con difficoltà ma di cui ci si rende conto solo dopo averlo finito.
Probabilmente il tutto è generato dal personaggio principale che è tanto scostante da non farti rendere conto che, in fondo ti stai veramente affezionando.

E' stata una bella lettura e non nascondo di aver pensato "Oh, sta zitta Florence!" facendo le parti della giovane nipote Emily. Che si trova a dover trovare un punto di incontro con questa nonna fuori dagli schemi che per la prima volta riesce a frequentare con una certa frequenza. Da un lato la ricerca di attenzione sul suo lavoro e dall'altro la ricerca di un comportamento e di un modo di comunicare che le possa permettere di permeare il mondo di Florence.

Un libro veramente imperdibile! E qui i primi due mini capitoli per dar sfogo alla vostra curiosità!
Buone letture,
Simona Scravaglieri

1 
Florence Gordon stava cercando di scrivere un memoir ma due fattori giocavano contro di lei: era vecchia ed era un’intellettuale. E chi mai al mondo, si domandava a volte, avrebbe voluto leggere un libro che parlava di una vecchia intellettuale?
Forse c’era persino un terzo fattore, perché non era solo un’intellettuale, era anche femminista. E questo significava che, se mai fosse riuscita a finire quel libro, i critici lo avrebbero inevitabilmente bollato come polemico e petulante.
Se sei una vecchia femminista, qualsiasi cosa tu dica è polemico e petulante per definizione.
Florence chiuse il portatile.
Non ne vale la pena, pensò.
Ma poi lo riaprì.

2

Florence non si sentiva polemica o petulante. Non si sentiva nemmeno vecchia.
E comunque la vecchiaia non è più quella di una volta –o quantomeno era questo che continuava a ripetersi.
Per come la vedeva lei, le cose stavano così. Aveva settantacinque anni. In un’altra epoca, sarebbe stata davvero una vecchia signora a quell’età. Ma oggigiorno era diverso. Era stata giovane negli anni Sessanta, e se lo eri stata –«la beatitudine di essere vivi in quell’alba» –in qualche modo avevi la sensazione che non saresti mai invecchiata. Eri lì quando i Beatles erano sbarcati in America; eri lì quando era stato scoperto il sesso; eri lì quando era nata l’idea della liberazione; e se anche ti fossi ridotta a diventare una vecchia signora scorbutica che, pur orgogliosa del suo passato, voleva solo essere lasciata in pace a leggere, scrivere e pensare –se anche ti fossi ridotta così, qualcosa nel tuo animo sarebbe sempre rimasto verde.
Florence non era –è importante sottolinearlo –il tipo di donna che cercava di apparire più giovane. Non si tingeva i capelli; non aveva alcun interesse per il Botox; non si faceva sbiancare i denti. I suoi vecchi denti irregolari, ruvidi, onesti e mai ritoccati, le andavano più che bene così com’erano.
Florence non era il tipo di donna che desiderava riafferrare la giovinezza. In parte questo era dovuto al fatto che la vita che viveva ora le sembrava molto interessante.
Era una donna forte, fiera e indipendente, che accettava la vecchiaia ma si sentiva comunque fondamentalmente giovane.
Ed era anche, a sentire molte delle persone che la conoscevano e persino molte delle persone che l’amavano, un’autentica rompipalle.



Questo pezzo è tratto da:

Florence Gordon
Brian Morton
Sonzogno Editore, ed. 2015
Traduzione di Maura Parolini e Matteo Cutroni
Prezzo 17,50€

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domenica 4 ottobre 2015

L'ha detto... Stendhal

Fonte: Parole nel cuore


Non ci consoliamo dai dolori, semplicemente ce ne distraiamo. 
 Stendhal



venerdì 2 ottobre 2015

"Florence Gordon", Brian Morton - Lo spettacolo dei contrasti emozionali...



Fonte: Le emozioni più forti

Diciamocelo, io e Morton ci siamo incontrati per caso. È come quando, nella tua cerchia di amici, senti spesso parlare di una persona che non conosci. Ecco, a Luglio, avevo letto che sarebbe uscito e che c'era una discreta attesa. Poi alla fine di Agosto, non mi chiedete dove perché non me lo ricordo, ho sentito dire una frase del tipo "una volta conosciuta Florence Gordon ne sarete rapiti". Rapiti? Ecco io avevo proprio bisogno di essere rapita da qualcuno; se poi il rapimento fosse stato a causa di un bel libro, meglio ancora. E visto che quest'anno mi sono fatta trascinare più di una volta dal mondo dei consigli posso dire che, anche questo caso, si sono rivelati giusti. Florence Gordon è talmente cocciuta, scostante, sopra le righe - e anche un tantinello strafottente - che ne rimarrete impressionati. Anzi, per la precisione, finito il libro, molto probabilmente vi mancherà.

Anche nella sua struttura il libro è atipico, non c'è un capitolo che sia lungo come gli altri, ma ognuno racchiude un'immagine o una situazione. A volte i capitoli lunghi una pagina si susseguono come la storia che salta da un punto all'altro della città in cerca di questo o quel personaggio. Altre volte la situazione richiede un lungo fermo che lasci il tempo all'autore di farci comprendere la situazione appieno. Allo stesso modo è anche Florence, divisa fra il suo essere una donna che capisce bene chi gli sta attorno e quella che invece però non vuole essere compresa. Non è un capriccio o un dispetto, Florence non ama il contatto fisico e nemmeno quello emozionale e non lo ama per non essere ferita. E' una forma di difesa che si traduce in un distacco che pare esternamente un attacco. A fare da contraltare alla nonna C'è Emily, nipote sconosciuta e per questo difficilmente comprensibile. È giovane, al passo con i tempi, collegata con il mondo "sociale" interenettiano che, alla nonna non sembra così necessario come le sue battaglie reali. Florence, così schiva e poco disponibile, la conosciamo attraverso il rapporto burrascoso e all'apparenza superficiale con la nipote. I loro scontri, i loro mancati appuntamenti o le mancate risposte, le ricerche, mettono a nudo sia la nonna che la nipote in un percorso di conoscenza lungo una stagione. 

Di che parla questo libro? Di una stagione a New York, quella autunnale che segna la fine del periodo di riposo e che è anche il momento in cui si fanno programmi e promesse per il nuovo anno. Una sorta di capodanno secondario quello che non si festeggia ma che si tenta di seguire almeno per qualche mese. Florence ha appena compiuto 72 anni, è una scrittrice di quelli che si chiamano "long-seller" ovvero saggi che si vendono ma sulla distanza del tempo e non sono mai enormi successi da titoloni su giornali. Eppure, quando si appresta a scrivere il suo Memoir, la sua vita cambia. La nuora è venuta a NY per una borsa di studio nella sua materia, psicologia, e sembra essere ancora una fan beota, mentre la nipote ha raggiunto la madre dopo aver lasciato il college. Il figlio di Florence e padre di Emily ha raggiunto la sua famiglia per una vacanza presa dal suo lavoro di poliziotto e, cosa più grave, il suo storico editor ha deciso di andare in pensione. La svolta si ha quando il nuovo editor ottiene una pre-lettura da parte di una rivista la cui giornalista studiosa ha preannunciato che uscirà un pezzo in onore di Florence e della sua carriera. Tutta NY vuole sapere di più sulla nuova stella e Saul, l'ex marito di Florence, caduto in disgrazia già molto tempo prima fatica a digerire il successo della ex moglie.

A questa storia principale fa da contraltare quella della famiglia del figlio. Daniel e Janine, sono sempre stata una coppia normale. Lui molto posato e lei irrequieta, lui comprensivo e lei sempre in cerca di conferme, anche da parte di quella suocera con la quale si sente sempre colei che fa le domande stupide. La separazione non è la ragione della crisi, quanto l'impossibilità di comunicare immagini ed emozioni. Se la madre e il padre di Daniel sembrano quasi professionali nel rapporto matrimoniale e poi in quello da divorziati, Daniele e Janine lo sono molto meno, ma, pur rimanendo insieme sembrano sortire gli stessi effetti finché un giorno tutto cambia. Il problema è la comunicazione, l'ascolto e l'amore. Senza una l'altra non salva i rapporti e viceversa. Si può amare quanto si vuole ma se non si sa farlo sapere o saperlo ascoltare tutto va a rotoli. Ma Amore-Comunicazione-Ascolto non servono solo nel matrimonio, bensì negli affetti in generale. Così quando Emily cerca di capire com'è che le amiche della nonna trovino Florence degna del loro affetto, la risposta è proprio questa Amore Ascolto e Comunicazione. Certo applicare questa regola con un personaggio ostico come la Gordon richiede una buona dose di pazienza e applicazione, ma a volte bisogna proprio lasciarsi la possibilità di provare.

Florence e il suo periodo di gloria, non si sarebbe mai aspettata di diventare famosa come non aveva previsto che questo fosse il momento per rimettere a posto le cose sospese. E la casualità vuole che nessuno, lei compresa, sappia quello che passa nella vita degli altri eppure tutti sono, inconsapevolmente colpiti dalla stessa necessità. La questione interessante sarebbe capire come un autore sessantenne, professore di scrittura creativa, pluripremiato, che ha avuto diverse cariche universitarie sia riuscito a delineare questo ritratto così perfetto senza farsi scoprire attraverso un dialogo o una svista. Se non lo avessi saputo prima, avrei scommesso che questi ritratti fossero tutti opera di una mano femminile. L'unica cosa che posso aggiungere è che la sua bravura si spinge anche oltre, quando arriva a lasciarti con fiato sospeso con una frase. Il resto è il magone che mi è rimasto tutto sabato quando ho concluso questo bel libro. Ma non perché fosse finito, bensì per come viene comunicata tale fine. Ma per saperlo, dovete leggervelo. 

Un libro  divertente e un po' chiassoso come la città che vede svolgersi questa storia, con tutti quei ristoranti, convegni e con le strade affollate che vedono le pedine di Morton muoversi nella trama. Al contempo è un lavoro caldo e sicuro, che ti conquista senza che nemmeno tu te ne possa accorgere e difficilmente potrete non essere d'accordo con me.
Consigliatissimo.
Simona Scravaglieri



Florence Gosrdon
Brian Morton,
Sonzogno Editore, Ed. 2015
Traduttore M. Paolini e M. Curtoni
Prezzo 17,50€



Fonte: LettureSconclusionate

mercoledì 30 settembre 2015

[Dal libro che sto leggendo] Eureka Street


Belfast
Fonte: Language Discount


Libro appassionante e dannato quello di oggi, ambientato a Belfast dove due giovani amici stanno per vedere la fine delle ostilità dei gruppi terroristici. Due persone completamente diverse per religione, un cattolico e un protestante, per cultura, uno laureato e uno no, si trovano a vivere in una città che sopravvivere nonostante omicidi e bombe. Una città che nonostante tutto non si arrende e cerca la propria normalità anche nei piccoli gesti.

Jack abbandona il lavoro che lo fa stare tanto male del "recupero crediti", in effetti è uno di quelli che entrano a casa per requisire la merce acquistata a rate e non pagata e Chickie invece è un nullafacente. Il primo vorrebbe ritrovare quella pace domestica distrutta quando la sua ex, Sarah, lo ha lasciato per ritornare nella tranquilla Inghilterra, l'altro invece vuole una vita diversa e una rivalsa verso il vecchio e povero quartiere in cui è cresciuto: Eureka street. Due cambi di vita drastici per motivazioni differenti che li porteranno a cambiare la loro vita definitivamente entrando a pieno titolo nel mondo degli adulti.

E' decisamente scorrevole, ben tradotto e verosimile. Alla storia dell'autore fanno da sfondo i movimenti politici e terroristici della fine degli anni '80 e degli inizi degli anni '90. un libro con delle tinte fosche a volte che però non lascia aperta la porta alla speranza di poter desiderare di vivere una vita migliore.

Buone letture,
Simona Scravaglieri 


Uno 
Tutte le storie sono storie d’amore.  

Venerdì sera. Sei mesi fa (Sarah se n’era andata da sei mesi). In un pub. 
Stavo facendo la corte a una cameriera di nome Mary: capelli corti, culo a mandolino e due occhioni da bambino infelice. La conoscevo da tre ore e avevo già perso la testa per lei. 
Chuckie Lurgan si era tolto dai piedi da una mezz’oretta, dopo aver beatamente ignorato almeno venti minuti di cenni impazienti da parte mia e non prima di aver elegantemente dato fondo al contenuto delle sue tasche e all’ultimo goccio di birra. 
Mary era una delle tante cameriere del pub, ma aveva fatto in modo di farsi notare. Inizialmente sembrava non le andassi a genio. Forse un altro al mio posto avrebbe sospettato che lo facesse per attirare la mia attenzione, ma io no, io avevo semplicemente pensato che avrebbe preferito vedermi morto e non mi era neanche passato per la testa di chiedermi il perché. Era ostile, scontrosa, e ispida come un porcospino. Sono sicuro che aveva capito che così mi avrebbe fatto innamorare. Ne sono proprio sicuro. 
Dopo un po’ si era addolcita, e ogni volta che ci portava un’altra birra faceva una battutina. Alla fine, quando ero rimasto solo, non appena aveva un attimo veniva a sedersi al mio tavolo. Era scattato qualcosa. Si vedeva da come mi guardava, con lo sguardo un po’ obliquo, pensoso e remoto, e da come piegava la testa quando rifiutava una sigaretta da me e ne accendeva una delle sue. Pensavo di avere fatto colpo e di non potermi più esimere dall’accompagnarla a casa. 
Del resto, il modo in cui mi guardava lei non doveva essere nulla in confronto a come la stavo guardando io. Mi sembrava di averlo scritto in faccia. 
Una scena classica: eccomi lì, in un pub tradizionale irlandese, a fare il cascamorto. Ma anche se mi piace atteggiarmi a grande amatore, quando è ora di arrivare al dunque non mi vengono le parole e mi vanno a fuoco le orecchie. Così, mentre farfugliavo qualche frase inconsulta, Mary mi chiese se l’accompagnavo a casa. 
Rimanere lì seduto ad aspettare la chiusura si rivelò un’esperienza molto meno simpatica di quanto mi sarei immaginato. Fissavo imbarazzato la mia pinta di birra cercando di ignorare le risatine delle cameriere, mentre un grosso buttafuori protestante si sfilava la giacca e arrotolava le maniche della camicia per dare aria a una sfilza di tatuaggi dell’UVF. Mentre spazzava cercò di attaccare discorso, ma io avevo troppa paura di lasciarmi scappare qualche commento che gli avrebbe fatto capire che non ero un lealista protestante. Mi sforzai di far finta di niente e cercai di pensare a Sarah. Non ci riuscii. 
Credo fosse la prima vera notte di primavera e un dolce vento tiepido mi risollevò il morale quando finalmente uscimmo da quel pub. Ignorai il mio catorcio di macchina e proposi a Mary una passeggiata. 
Con quel suo abito mozzafiato e le calze velatissime, sembrava una vera dark lady . Non ero abituato a ragazze così ed ero un po’ in imbarazzo, ma poi, quando sorrise, non potei non ammettere che era proprio carina. Si mise a raccontarmi del suo lavoro, infervorata. Mi sforzavo di ascoltarla, ma continuavo a distrarmi mentre il vento giocava con i miei capelli. Ma mi faceva piacere che parlasse, mi piaceva il suono della sua voce. 
«Che lavoro fai?», mi domandò mentre attraversavamo Hope Street. 
Sorrisi. «Mah, varie cose. Al momento mi occupo di consulenza per il recupero crediti». Non ero stato granché sincero. 
«Interessante», commentò lei. 
Ecco cosa succede quando si mente. Se non ti credono ti vergogni di te, se lo fanno ti vergogni per loro. 
C’era un posto di blocco all’imbocco di Lisburn Road. Mentre passavamo, un poliziotto salutò Mary chiamandola per nome. Fui irritato. Ero ancora abbastanza cattolico e proletario perché la cosa non mi andasse giù. 
«Viene ogni tanto al pub», disse Mary dopo. Il suo tono di scusa dimostrava che doveva aver capito a cosa stavo pensando. Anche quello non mi andò giù. 
La strada in cui abitavo la colpì: c’erano così tante foglie, e così tanto verde. Le piacque persino il nome: Poetry Street. Non era sempre un buon segno quando a qualcuno piaceva quel nome, via della Poesia. Rimase affascinata dalla mia casa: tutti quelli che ci vengono pensano che io sia pieno di soldi. Osservò tutti i mobili e i quadri scelti da Sarah con il suo gusto impeccabile e questo fece sì che le piacessi ancora di più. Accarezzando gli scaffali della libreria, mi sorrise come se fossi un intellettuale. 
Preparai un litro di caffè: fu colpita anche da quello. 
«Che bella casa!», disse. 
Non sapevo se mi piaceva unicamente il suo visino o anche il resto, ma di certo me la sarei portata a letto. Mi sentivo solo quella sera, senza una donna. In realtà non era al sesso che pensavo, ma a una colazione a due, a una mano che mi accarezzasse la schiena nel buio, ai capelli di una donna sul cuscino. Mi mancavano i piccoli segni della presenza di una compagna. Mi mancavano le tracce di Sarah. 
«Sei in affitto o è tua?», mi chiese. 
Non so quale sia stata la mia espressione, ma di certo la mia reazione la fece rimanere male. Mary spalancò ancora di più gli occhi e le cominciarono a tremare le labbra. Non sopportavo la gente che faceva così: prima se ne uscivano con una frase del cavolo e poi, se mi accigliavo, mi guardavano come bambini spauriti. 
«Scusa», disse subito. «Era una domanda stupida». 
Non negai, ma mi resi conto che non potevo fare l’amore con lei. Ho una limitata esperienza in questo campo e quindi non so bene perché, ma faccio sempre fatica ad andare a letto con una donna quando mi rendo conto di non avere davanti soltanto un bel corpicino. Fare l’amore con una ragazza è stupendo, farlo con una persona invece è un po’ più complicato. Forse non andava neanche bene, ed era soltanto un segno di immaturità, ma forse dimostrava anche una certa sensibilità da parte mia. 
Mi alzai in piedi il più gentilmente possibile. Anche lei si alzò. Non c’era niente da dire e ben poco da fare. Non sapevo come dire che avevamo commesso un grosso errore. Mi avvicinai e lei si raddrizzò e sollevò il viso incerta. Forse pensava che stessi per baciarla. E in quel momento lo desiderai, ardentemente. 
«Devo andare», dichiarò cogliendomi di sorpresa. 
Il taxi ci mise venti minuti ad arrivare. Chiacchierammo un po’. Ero stranamente felice del fatto che avesse pensato che in fin dei conti non le piacevo e non avesse esitato a porre rimedio allo sbaglio commesso. Le dissi di Sarah e lei mi parlò del suo ragazzo, un poliziotto, a cui avrebbe telefonato non appena arrivata a casa. Le chiesi se era il ragazzo che aveva salutato per strada, ma quello era solo un amico. Mary però pensava che avrebbe potuto raccontare al suo ragazzo di averla vista con me e voleva correre ai ripari. 
«Mi dispiace», commentò. «Non è stata una buona idea». 
«Be’…», farfugliai io. 
«Di solito non faccio queste cose». 
«Neanch’io». 
«È la prima notte di primavera», sorrise. 
«Già». Poi se ne andò, lasciandomi in compagnia del mio caffè e di me stesso. Più o meno quel che aveva fatto Sarah. 
Ci sono delle notti in cui ti rendi conto di avere ormai trent’anni e la tua vita ti sembra ormai agli sgoccioli. E pensi che non riuscirai mai a concludere niente e che nessuno ti bacerà mai più.


Questo pezzo è tratto da:

Eureka Street
Robert McLiam Wilson
Fazi Editore, ed. 2009
Traduttore L. Olivieri
Collana "Tascabili"
Prezzo  12,00€

lunedì 28 settembre 2015

[Tic tac Toe] "Wool", Hug Howey - Quando una pulizia può cambiare il mondo...




Fonte: Mike Sudal
Pubblica di lunedì?? E non è il diario? No, non è il Diario ma ho pensato che, visto che le saghe sono sempre da tre libri in su, passare un mese intero a fare recensioni su queste storie non sarebbe produttivo per tutti e, d'altronde, non posso prendervi uno a uno, come faccio con gli amici, per raccontarvi che questa è una trilogia fantastica e quella magari è una sòla. Così ho deciso di iniziare a pubblicare una rubrica dedicata perché ognuno possa scegliere se leggerla o no. Tic tac Toe è il nome scelto da Massimo, l'amico che per primo - secondo me ogni tanto se ne pente - mi ha iniziata al mondo distopico e a Ballard. Da quel giorno ogni volta che mi capita un libro, che possa essere anche lontanamente riconducibile a loro, mi trasformo in una "piattola letteraria" che racconta e declina situazioni, condendole delle riflessioni in merito, a chiunque mi capiti a tiro. Quindi consolatevi di non essere miei vicini di casa! Il nome è quello del gioco del "Tris" che, come mi ricorda Wikipedia, era quello cui stava giocando il ragazzino hacker di War Games con il computer che controllava il sistema missilistico americano rischiando di innescare una guerra missilistica con la Russia. E' un film degli anni ottanta e fu, se ricordo bene, un vero successo. Tutto sommato ci sta bene, non credete?
Visto che nuova rubrica è, inizio con una trilogia bella, almeno speriamo che le porti fortuna.
Buone letture,
Simona
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Come vi avevo accennato nel Diario di Agosto, la trilogia del silo, è stata una vera rivelazione. Oggi parliamo del primo della serie ovvero Wool - la sequenza dei libri (cosa che ho scoperto che spesso è difficile trovare) è Wool, Shift e Dust-. Howey ha concepito inizialmente la serie in 9 libri, di cui 5 sono stati inizialmente autopubblicati. Il successo, dovuto ai riscontri sempre più entusiastici dei lettori, del suo lavoro è stato talmente eclatante che una casa editrice americana si è proposta di pubblicarli in maniera tradizionale (Simon & Shuster) e 20th Century Fox ha acquisito i diritti per poterne realizzare dei film. Lui comunque ha contrattato i propri diritti in maniera non convenzionale - forse solo per la distribuzione internazionale - tant'è che, nella versione Fabbri, questi sono intestati direttamente a lui.

Siamo in un tempo che non vi dirò ma posso dirvi che all'interno della trilogia ci muoveremo nell'arco di 500-600 anni. La terra è stata contaminata e gli uomini che sono sopravvissuti e che noi incontriamo in questo libro, sono gli eredi degli scampati al disastro. Vivono dentro un silo interrato - quello che vedete nella foto -, che ricorda lontanamente una versione aggiornata e corretta de "Il condominio" di Ballard, suddiviso in tre settori: amministrativo, tecnico informatico, meccanico. Ogni settore è autonomo, ha una sezione di coltivazione, scuola, ospedale, appartamenti e tutto il silo è collegato da un'unica scala a chiocciola che unisce gli oltre 144 piani che sotto terminano nelle miniere e sopra in una specie di struttura esterna, un bar panoramico, da dove si può guardare fuori quel che è rimasto del mondo, almeno fin dove si riesce a vedere. Chi non risiede nei piani alti può guardare  da appositi monitor distribuiti fra i piani nelle mense e nei luoghi di ritrovo. Appositi proiettori registrano e rimandano le immagini perché vengano mandate in onda 24h su 24. Per un'unica regola vige la pena di morte ed è il desiderio espresso di uscire. Chi lo ammette. e viene colto in flagrante o denunciato, rischia la pulitura ovvero di essere messo agli arresti, vestito per uscire dal silos in maniera permanente - la vestizione con una tutta adatta a farlo sopravvivere almeno per mezz'ora è un rito stabilito -. Nessuno è mai sopravvissuto però, come ultimo compito, al condannato, viene assegnato quello di pulire le lenti delle telecamere. E chissà perché, nonostante i condannati sappiano di andare verso morte certa, tutti, nessuno escluso lo fanno, anche chi non ci si sarebbe mai immaginato lo facesse. Tutti, tranne una. Juliette.

Vi basti questo, non perché non voglia farlo, stavolta mi piacerebbe da morire lo confesso. Ma, per quanto mi riguarda, è già abbastanza a stuzzicare l'appetito di chiunque. E' decisamente appartenente al genere distopico, non solo per un aspetto ma per molti. Tutto però si dipana da un tema che è solo in parte caro alla distopia ed è la sociologia. Il silo in tutto e per tutto assomiglia a "Il condominio" di Ballard, la cui organizzazione statica è necessaria non solo per il suo funzionamento ma anche per contenere quelle che potrebbero essere le sacche di insurrezione. L'uomo  finché è occupato non ha tempo di pensare a quello che fanno o non fanno gli altri - causa scatenante nel Condominio in cui il luogo di riposo diventa anche il luogo di rivolta - e Howey lo ha studiato bene questo sistema perché ogni appartenente al silo è impegnato a turni e quindi una vita scandita da una ricorrenza di attività che impediscono qualsiasi momento di stasi.
Contestualmente il silo è organizzato anche nei tre grandi settori che lo compongono, ogni settore è indipendente nelle funzioni di base (alimentazione, servizi, appartamenti) ma dipende dagli altri per altre funzioni di base tipo acqua, luce, comunicazioni, gestione, posta. Quindi l'interdipendenza garantisce che possano sopravvivere solo in parte senza gli altri settori. L'ordine in cui vivono gli abitanti del silo è recente perché, come spiega Howey, ci sono comunque state le rivolte in passato e il sedarle ha comportato il reset della memoria collettiva, quindi anche chi è protagonista della storia raccontata in Wool ha una "memoria limitata" alle "leggende" riguardo il passato che riguarda i propri antenati.

L'ordine è tutto per il silo, regola la vita dei suoi occupanti e anche la morte. Nessuna donna può procreare senza aver vinto alla lotteria visto che vive con un impianto che le impedisce di farlo. Impianto che verrà rimosso solo dopo la vittoria e la lotteria si tiene solo dopo la condanna a morte di un abitante o la sua morte naturale. Questa contrapposizione è veramente interessante. Siamo abituati a sentire luoghi comuni in occasione di circostante luttuose come "La vita va comunque avanti" e qui ne troviamo una possibile declinazione pratica. Al dolore della perdita di uno si contrappone l'eccitazione di coloro che potrebbero essere candidati alla possibilità di riprodursi. Una contrapposizione drastica, lo ammetto, ma che fa parte di "quell'ordine stabilito" di cui sopra: da una parte c'è la necessità di garantire che il silo non sia sovraffollato e dall'altro permette una gestione dell'istruzione e successiva formazione delle giovani leve in funzione delle disponibilità di lavoro. Non c'è pensione e nemmeno riposo, chi viene a mancare deve essere sostituito e per questo le giovani leve affiancano chi ha esperienza e ne prendono il posto una volta che non ci sono più.

In questo ecosistema perfetto salta all'occhio anche la dedizione al riutilizzo e la limitazione delle comunicazioni elettroniche a favore di quelle cartacee. Ogni abitante guadagna dei crediti per le attività che svolge e ogni mail spedita costa quanto un telegramma. Di qui il ricorso alle comunicazioni postali con la conservazione di un bene poco riproducibile in settori non amministrativi: la carta. Potrebbe sembrare che io vi faccia notare solo dei particolari e, invece questi, messi tutti insieme, andranno a comporre un mega puzzle di una storia che, per la prima volta - almeno per me - apre ad una opportunità differente ovvero a costruire un panorama appartenente al genere distopico che nasce da una situazione sociologicamente simile a quella che noi viviamo giornalmente come avvenne per Ballard. Per far questo Howey, pur partendo da un ecosistema perfetto che si dichiara post-atomico, ma per sua stessa ammissione non sa cosa sia realmente accaduto in precedenza, subisce uno sconvolgimento dello status quo non a partire da un potere che tiranneggia, ma da un caso "politico" di cattiva gestione della giustizia. Quindi, strano a dirsi, ma tutto questo assomiglia più ad un thriller che ad un vero e classico distopico. E' questo molto probabilmente il segreto del suo successo, la tensione è sempre costante e crescente e i colpi di scena che si susseguono sono ben distribuiti durante la trama in maniera da evitare l'effetto "Dan Brown" - ovvero una trama articolatissima e un finale farlocco -. C'è anche da dire che l'ecosistema ricostruito del silo interrato è descritto in maniera verosimile e plausibile ed è anche per questo che è più facile muoversi per le scale che collegano questi 144 piani sbirciando nelle vite dei protagonisti. Per assurdo che possa sembrare la loro vita è molto simile a quella che facciamo noi (meno le code sul G.R.A:). Il complotto scatenante non è quindi una rivolta totale ad un sistema gerarchizzato, come detto ma scatena molto più di quello che, per questo motivo, i rivoltosi si aspettavano di ottenere - ecco perché è più ballardiano che riferibile ad un autore prettamente distopico -. La distopia è un "di cui" che, per essere completa ha bisogno di tutti i pezzi del puzzle e vi assicuro che alla fine di Dust avrete un panorama completo.

Come per i piccoli particolari che compongono i pezzi del genere distopico, anche le storie che si concatenano in questo libro, trattato in 5 macro capitoli che però sono collegati indissolubilmente fra loro dai vari personaggi che vengono a mano a mano presentati. Ce ne sono tanti, non ve lo nascondo, ma ad un certo punto della lettura si entra talmente tanto nella vita del silo che alla fine non ci si accorge più del numero anche perché di macro-area in macro-area vengono selezionati quelli che poi diverranno parte integrante dello svolgimento nei capitoli successivi della saga. Quindi quando pensate a questa trilogia fatelo come un insieme di puzzle diversi che messi tutti insieme restituiscono un grande disegno o una grande mappa.

Pur essendo una trilogia, i tre libri potrebbero anche essere fra loro non dipendenti, ognuno ha di fatto un inizio e una fine. Il collegamento è garantito ai rimandi fra macroaree e dalla visione d'insieme della mappa temporale della trama di cui ogni libro ne racconta una parte. L'effetto thriller è solo una delle componenti che garantiscono che alla fine non vi basterà leggere solo questo libro, ma vorrete capire come si evolve la storia, anche se, vi anticipo già, Howey vi spiazzerà con un inizio di Shift completamente inaspettato. Howey, a quanto pare va letto così, lasciando che mano a mano ci disveli la realtà che ha concepito, alzando volta per volta un pezzo della coperta che ci nasconde l'insieme. Non c'è verso di anticipare le sue mosse; anche quando la conseguenza è già preannunciata lo svolgimento coglie impreparati e sottende a conseguenze che non sempre sono anticipabili.

E' moderno, è veramente appassionate e ben tradotto. E' curato in ogni su punto e riesce anche ad essere in un certo senso completo. 
Credo che, attualmente, sia la migliore saga che io abbia mai letto - non ne ho lette tante lo so - e chi l'ha presa, più che altro incuriosito dalla mia frenesia di finirlo per vedere come andava a finire e dalle mie continue chiacchiere in materia,  ha ammesso che è veramente coinvolgente.
Preciso per i più riottosi che, questa, non è una saga per ragazzi, o meglio, non è scritta né con i toni e né con l'organizzazione delle tipiche saghe young adult. Potrebbe essere una vera sorpresa per voi!

Buone letture,
Simona Scravaglieri 


Wool
Hug Howey
Fabbri Editori, ed. 2013
Traduzione Giulio Lupieri
Prezzo 14,90


Fonte: LettureSconclusionate

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