domenica 13 settembre 2015

Julio Cortázar - Lucas, i suoi ospedali [Un tal Lucas]


Un certo Lucas è un libro di cui vi ho parlato lo scorso anno e mentre scorrazzavo allegramente per youtube avevo trovato questo video, che racchiude un po' una delle "anime" con cui è scritto. Nella feroce ironia con la quale Lucas riesce a rigirare le infermiere, c'è in fondo il nostro modo di rapportarci con gli altri. Per cui qui, in fondo, mentre sorrideremo, lo faremo anche prendendo in giro anche noi stessi.

Ho trovato estremamente affascinante quest'indagine sociologica sull'umanità fatta attraverso questo personaggio, Lucas, che percorre le virtù e i vizi umani senza farne parte anche se è perfettamente inserito nel contesto. 

Questo è un libro da leggere e, se state sorridendo alla fine del video, non riuscirete a trattenere la curiosità!
Buone letture e buona domenica,
Simona Scravaglieri





Il libro di cui si parla:

Un certo Lucas
Jiulio Cortázar
Sur Edizioni, ed. 2014 
Traduzione I. Carmignani
Prezzo 15,00€

venerdì 11 settembre 2015

"Jane Austen. I luoghi e gli amici", Costance Hill - Le ammiratrici del passato...



Il famoso scrittoio
Fonte: Un tè con Jane Austen


Come dicevo nel Diario relativo al mese scorso, questo libro mi è piaciuto ma non l'ho proprio tanto adorato. Mi è piaciuta la componente saggistica fatta alla vecchia maniera, un po' folkloristica, che mi ricorda tanto Paolina Leopardi e Marcel Schowb ma, con la figura di Jane Austen sotto osservazione, è risultato un tantinello più lezioso rispetto a quello che mi sarebbe piaciuto. E' un po' come quando Paolina Leopardi (sì è la sorella di colui dell'Infinito) si sofferma in un punto particolare del suo resoconto sulla vita di Mozart per sottolineare che il padre di lui era preoccupatissimo perché il figlio non aveva dietro le braghe turchine per un'esibizione a corte, vado a memoria, a Parigi. Ecco, il pensiero che il grande Maestro abbia potuto anche avere una preoccupazione del genere, che questa abbia potuto torturare pure suo padre che lo aveva portato nei salotti dei regnanti di mezza europa fin da piccolo, non lo nascondo, ancora oggi mi fa più che sorridere. 

Perché perdonare Paolina e aspettarsi di più da Costance? Forse perché Costance aveva già scritto saggi su altri personaggi storici, mentre Paolina si struggeva da Recanati per conoscere il grande artista che non vide mai, per visitare i luoghi ove era stato e sentire la sua musica. Costance invece ha più possibilità di movimento eppure sembra meno interessata alla Jane scrittrice che a ritrovare i segni delle sue storie. Quindi le storie in questo libro sono quelle che fanno la scrittrice e non l'opposto. Forse è proprio in questo che risiede il problema. E il forte entusiasmo avventuriero che permea tutto il resoconto si attiene alla questione "chi era Jane Austen" solo a momenti. Ma c' anche da dire che, per questo motivo, ovvero che stiamo parlando di una biografia concepita agli inizi del 1900 e che questa sia comunque in linea con lo standard e le abitudini biografiche del tempo, il voto a questo libro è comunque alto, ma nulla impedisce al mio personale gusto di vedere le sorelle Hill come due donne che avrebbero fatto arricciare il naso a Zia Jane. Ora, se volete avere fra le mani una biografia ragionata dell'autrice, non è sicuramente questo il libro; l'aggiunta al titolo del libro è chiara," I luoghi e gli amici", e infatti ci sono i luoghi, non tutti ma quasi, e qualche amico. Sicuramente l'aiuto del nipote di Jane Austen, J. E. Austen-Leigh, e della figlia di Fanny sono stati comunque decisivi.

Il viaggio parte proprio dalla casa natale di Jane Austen a Steventon e finisce all'ultimo luogo in cui ha vissuto l'illustre scrittrice ovvero  il Chawton Cottage, sempre nello Hampshire, che oggi, grazie anche alle sorelle Hill, è museo storico in cui viene conservato anche il famoso scrittoio dove Jane usava scrivere i suoi romanzi. Un aspetto particolarmente apprezzabile della Hill è il tempo che dedica a parlare delle vicissitudini austeniane per la pubblicazione dei suoi romanzi. Non è un mistero che all'epoca fossero mal visti i romanzi a firma femminile, eppure questo "impedimento", fece la fortuna della nostra autrice. Jane si è sempre dilettata nella scrittura, e nelle arti in genere, aveva avuto la fortuna di frequentare una scuola femminile, non troppo lontana da villaggio di origine, insieme a Cassandra - sorella con la quale c'era un attaccamento quasi morboso forse perché unite da destini simili- e in casa era d'uso mettere spesso in scena piccole romanze. In un'atmosfera così creativa la nostra eroina trova fra le sue sorelle e cugine, Cassandra principalmente, l'uditorio perfetto per quelle che, inizialmente, sono fantasticherie e che poi diverranno romanzi veri e propri.

Ma quando finalmente ci fu la possibilità di pubblicare, cominciarono a venire fuori i primi rifiuti, finchè "Elinor e Marianne", il futuro "Ragione e sentimento", viene accettato da un editore di Bath che però lo tiene nel cassetto finché, un intermediario non ne richiede indietro i diritti. Jane tra un rifiuto e uno stato di attesa, rielabora lo stile e poi caratterizza i suoi personaggi fino a regalarci quei capolavori che oggi possiamo leggere. E questo passaggio, anche se non è così marcato come faremmo noi oggi, viene trattato ampiamente da Costance. E', come dicevo, organizzato come un diario di viaggio, con tanto di piccole raffigurazioni dei luoghi (nitide, grazie Jo March!) e introdotto con le parole della Wolf che, come dicevo appunto nel diario, insieme alla cronologia delle opere e della vita della Hill, io avrei messo in fondo e non all'inizio: in parte perché non si parla della Hill (per la cronologia di opere e vita) in parte perché la Wolf acuta osservatrice ha, nei resoconti di Jane Austen, un piglio un po' troppo tagliente. Riesce a cogliere sicuramente le sfumature, ma punta su alcuni aspetti che secondo me, starebbero meglio sbiaditi non così marcati, giusto per lasciare al lettore i margini della scoperta. Pure lì, dobbiamo tenere conto dell'epoca in cui l'autrice scrive e della necessità di rimarcare l'importanza e la profondità della scrittura femminile, ciò non toglie che forse bisogna centellinare bene i pensieri di questa illustre scrittrice, almeno secondo me.

Primo libro acquistato da una casa editrice, JoMarch , che non conoscevo e che ho incontrato grazie a Librangolo Acuto con il supporto de La Leggivendola e che conosce anche Paola, sempre quella del "perchénonapriunblogcheaspettiamotuttidileggerti!". Anzi a dir la verità, credo di avere per casa anche "Nord e Sud" della Gaskell ma, tanto per andare sicuri, della stessa autrice ho comprato anche un altro libro, sempre al Salone del libro di Torino, che si intitola "Gli innamorati di Sylvia" di cui, se sopravvivo a questo Settembre, vi darò notizie al più presto. Sicuramente è un libro da leggere, piacevole e scorrevole, ha un bel team di traduzione che ha fatto un lavoro egregio e si vede dal fatto che l'ho iniziato nel tardo pomeriggio di una domenica un po' noiosa e l'ho finito la sera stessa.
Va sicuramente tenuto in considerazione da chi, come me, legge qualsiasi cosa riguardi zia Jane.

Buone letture,
Simona Scravaglieri

Jane Austen
I luoghi e gli amici.
Costance Hill con le illustrazioni di Ellen G. Hill
JoMarch, ed. 2013
Traduzione di Silvia Ogier, Mara Barbuni, Gabriella Parisi, Giuseppe Ierolli
Collana "Atlantide"
Prezzo 14,00€


Fonte: Letture sconclusionate

mercoledì 9 settembre 2015

[Dal libro che sto leggendo] In cerca di Transwonderland


Noo Saro-Wiwa
Fonte: CNTV English


Come vi avevo accennato nel Diario di un mese di libri di Agosto, sto leggendo questo bel libro da circa una settimana (non è così lungo, ma sto cercando di terminare Wallace e quindi non ho potuto dedicargli il tempo dovuto!). Come vi avevo detto, nella letteratura di genere, è un caso raro avere una scrittrice che riesce a raccontare le sue origini da un punto di vista che, in questo caso, è a metà fra Africa e occidente. E' un resoconto di viaggio. 

Noo, dopo la morte del padre non è più tornata in Nigeria eppure, dopo tanti anni e dopo aver visto tanti paesi come scrittrice di viaggi, decide di tornare alle sue origini non per dovere ma per curiosità. Ed è questo mondo che racconta e con la scusa del reportage di viaggio riesce a vedere i suoi connazionali sotto una luce che un tempo, bambina, non poteva soppesare e nemmeno apprezzare. Questo rientro in patria è anche l'occasione per riconoscersi in una cultura che da tempo ha rifiutato e questi passi di conoscenza ci permettono di fare lo stesso percorso.

Non è affatto facile leggere gli scritti del padre senza rimanerne particolarmente colpiti, ma Noo, vuoi perché è cresciuta in Inghilterra e vuoi perché attraversa una Nigeria diversa da quella che aveva visto da piccina, nei primi anni '90, riesce a renderci la strada sicuramente più semplice. L'unico modo per apprezzarla totalmente è spogliarsi dei preconcetti e delle sovrastrutture e intraprendere il viaggio con la stessa curiosità dell'autrice. Resterete senza acqua corrente e senza elettricità, ma non importa.

Giovedì 10 settembre Noo Saro-Wiwa sarà ospite al Festival della Letteratura di Mantova 

  • alle ore 9.00 Evento "Le pagine della cultura" in Piazza Leon Battista Alberti con Alberto Notarbartolo e Piero Zardo 
  • alle ore 17.00 Evento "Il ritorno" al Conservatorio di musica “Campiani”con Francesco Abate 

Se vi capita di essere nei paraggi, vi consiglio di andarla a sentire anche per me!
Buone letture,
Simona Scravaglieri

Rif. I libri del padre recensiti in questo blog:
La foresta di fiori

Prologo 

Le voci rimbombavano profonde, così forti che mi sono svegliata di soprassalto dal sonnellino di metà mattina. Ho aperto gli occhi su una folla di nigeriani, perlopiù uomini, assembrati vicino al banco informazioni, al centro dell’area partenze dell’aeroporto di Gatwick. Gesticolavano con rabbia. 
«Ci trattate come animali!» ha inveito un tipo contro il funzionario biondo dell’aeroporto, che ha incassato la raffica di parole con un sorrisetto passivo, vagamente sconcertato. «Siamo o non siamo esseri umani come voi?». Un guasto meccanico aveva causato un ritardo ancora imprecisato sul nostro volo per Lagos e ad alcuni passeggeri nigeriani –sempre pronti a subodorare un complotto –la cosa puzzava. Si sono raccolti in cerchio attorno a un passeggero che si era autonominato portavoce dei loro sospetti. Con la testa inclinata verso il mezzanino, questo oga predicava a gran voce contro la strategia adottata da Gatwick per umiliarci e la tirchieria della Virgin, che non metteva a disposizione un altro apparecchio. 
Altri sventolavano sotto il naso del personale al banco informazioni i buoni pasto ricevuti a titolo di rimborso, sbraitando in faccia agli impiegati che la scelta di Gatwick di non fornire notizie era deliberata. Protestavano e pontificavano, offrendo ciascuno la propria teoria sul perché tenessero a terra l’aereo. Gradualmente hanno trasformato la tranquillità dell’area partenze nel tumulto di una rabbiosa curva da stadio. 
Ma inviare la polizia armata a monitorare la situazione era una precauzione inutile. Avrei voluto dire a chiunque aveva preso quella decisione di non allarmarsi: a noi nigeriani piace urlare a squarciagola, sia che raccontiamo una barzelletta, preghiamo in chiesa o culliamo un bebè per farlo addormentare. Avrei anche voluto dirgli che non siamo fuori di testa –anni e anni di corruzione a livello politico ci hanno reso estremamente diffidenti nei confronti delle autorità –, ma non c’era nessuno con cui discuterne, così non ho potuto fare altro che starmene seduta a guardare mentre la reputazione del nostro paese sprofondava sempre di più agli occhi del mondo. 
Ad un certo punto sono passati due italiani, uno ha ridacchiato e battendosi le dita sulla fronte ha detto all’amico la parola «pazzi», per poi girarsi e rivolgere a quello spettacolo un ultimo sguardo di scherno. I viaggiatori inglesi, più controllati nel manifestare le loro emozioni, si stringevano nelle spalle sorridendo con gli occhi, mentre nel negozio di elettronica lì accanto due commessi con i capelli sparati chiacchieravano condannando a gesti il comportamento della folla. Un’ora dopo, la responsabile dell’ufficio informazioni ha acceso l’altoparlante per annunciare ai passeggeri nigeriani uno sconto del cinquanta percento sul volo di ritorno. 
«Ci scusiamo per il ritardo» ha esordito, ma le sue parole sono state soffocate dallo scontento della folla che ora reclamava a gran voce altri buoni pasto. Ha provato di nuovo, stavolta quasi gridando nel microfono. «Per favore, state calmi. Sto solo cercando di aiutarvi!». L’area partenze è stata percorsa da un sussulto di sorpresa. «Ci manca la disciplina» ha mormorato rivolta a me una signora nigeriana di una certa età, scuotendo il capo per la vergogna. Noi due, insieme alla maggioranza dei passeggeri diretti a Lagos rimasti in silenzio, ce ne stavamo in disparte a guardare, incerte se ridere o piangere. 
Essere nigeriani può trasformarsi nel più imbarazzante dei fardelli. Tremiamo alla vista di certi compatrioti votati a farci passare per una nazione di furfanti. I loro sforzi vengono ampiamente ripagati negli aeroporti, luoghi che per loro stessa natura garantiscono alla nostra nomea di gente turbolenta un’ampia diffusione su scala globale. Proprio per questo motivo temo da sempre gli aeroporti. Inoltre sono posti in cui, da nigeriana cresciuta in Inghilterra, mi trovo costretta a osservare come la mentalità europea cozzi con quella africana e mi sento divisa tra la lealtà e lo sdegno che provo per entrambe: avrei voluto prendere a schiaffi l’italiano che aveva frainteso il nostro comportamento crogiolandosi nel suo senso di superiorità; allo stesso tempo avrei voluto sotterrarmi per il chiasso prodotto dai nigeriani, paranoici e indisciplinati, incuranti delle norme civili britanniche. 
Ma l’imbarazzo e quel senso di straniamento culturale non erano affatto nuovi per me. Tutto ebbe inizio nel lontano 1983 quando, in una situazione analoga, la mia famiglia e altri trecento passeggeri imbufaliti della Nigeria Airways furono stipati su un pullman e trasportati come bestiame di seconda scelta fino a un albergo fuorimano di Brighton, in attesa che il volo fosse pronto. Ero troppo piccola per comprendere le circostanze che avevano causato quel ritardo, eppure ricordo con chiarezza viscerale le urla, il caos e un sentimento di vergogna nei confronti del mio paese. Da quel giorno il volo dall’Inghilterra alla Nigeria è sempre stato fonte di ansia per me, un viaggio che ripetevo solo perché costretta. Da adolescente, all’inizio delle vacanze estive, in pratica dovevo essere scortata a vista fin sull’aereo della Nigeria Airways, e questo non solo perché volevo evitare l’incubo dell’aeroporto, ma soprattutto perché non volevo raggiungere la destinazione finale. Dover trascorrere quei due mesi in patria, un posto dimenticato da Dio, così poco attraente con la sua predilezione per il frastuono e il disordine, equivaleva a una punizione. Volevo una vacanza vera, volevo correre su uno di quei gonfiabili a forma di banana nel mare delle Barbados o mangiare pizza sulla scalinata di piazza di Spagna, proprio come i miei compagni di scuola. Ma i miei genitori non avevano i soldi né la propensione per quel genere di cose. 
«Si va a casa» insistevano con la fermezza di chi non è così sciocco da sprecare viaggi esotici con dei ragazzini al seguito. Arrivava luglio e io, quasi ogni anno, facevo le valigie e mi preparavo a scontare la mia condanna in un paese dove l’unico «sviluppo» cui assistevo era il progredire delle crepe e delle ragnatele sui muri, e dove «crescita» significava semplicemente macchie di muffa più grosse sul soffitto. Sembrava che niente dovesse mai cambiare in meglio nella politica o nell’economia della Nigeria degli anni Ottanta. 
Atterravo in un aeroporto che non veniva ristrutturato da due decenni. L’aria umida e viscosa, smossa invano da sonnacchiosi ventilatori a soffitto, mi soffocava come un cuscino, dandomi un assaggio del disfacimento e dei disagi che mi attendevano. All’epoca, quando i voli internazionali erano considerati chic, molti genitori vestivano i bambini come se dovessero prendere parte a un gala. Le figliolette erano tutte pizzi e falpalà; i ragazzini sudavano l’anima in smoking e papillon, mentre alla dogana ladri armati (altrimenti noti come soldati governativi) rovistavano nei bagagli di ogni passeggero. Solo in Nigeria potevi vedere mitra, smoking, uniformi dell’esercito e abiti da sera tutti insieme in un aeroporto. Quel folle senso estetico riassumeva meglio di qualunque altra cosa la vanità e lo scadimento tipici del mio paese, e ciò mi deprimeva. Volevo fuggire. 
Volevo tornarmene nel posto che io chiamavo casa: il Surrey, così pieno di verde, un paradiso traboccante di Twix, cartoni animati in tv e cipressi di Leyland, lontano anni luce dalla calura e dal caos della Nigeria. Camminavo appena quando la mia famiglia si trasferì lì nel 1978. Eravamo in pieno boom petrolifero, la moneta nigeriana, il naira, godeva di un cambio quasi alla pari con la sterlina e per la nostra classe media era facile trapiantare il proprio stile di vita in Inghilterra. Con l’intento di farci frequentare scuole inglesi, mio padre sistemò la famiglia nel Regno Unito pur continuando a lavorare in Nigeria come imprenditore immobiliare, scrittore e uomo d’affari. Per mesi e mesi mia madre, nonostante la nostalgia di casa, si sobbarcava il ruolo di capofamiglia. Cucinava plantano e lottava con il riscaldamento centralizzato e le altre novità della vita inglese. Noi guardavamo il Muppet Show e, disobbedienti, scarabocchiavamo i muri, quando non eravamo impegnati a setacciare il frigo in cerca di merendine. 
Ma non era per i lussi di questa vita che mio padre aveva portato i figli in Inghilterra. Eravamo lì per ricevere un’istruzione ed era terrorizzato all’idea che ci rammollissimo, motivo per cui il soggiorno estivo in Nigeria a volte prevedeva quindici giorni di brutale acculturazione nel nostro villaggio. L’esperienza era di quelle che «formano il carattere»: eravamo costretti a vivere senza elettricità, acqua corrente e –la più terribile delle privazioni –senza tv. Era un gulag tropicale. Zie e zii senza un nome ci afferravano amorevolmente il viso affondando le dita come artigli e ci prendevano in giro perché non parlavamo bene la nostra lingua. «O bee kruawa?» ci chiedevano apposta, e sghignazzavano quando non rispondevamo. A cena ci nutrivano con piatti dal sapore intenso, come farina riso e zuppa di okro, che mangiavamo alla luce della lampade al kerosene e innaffiavamo con Coca-Cola a temperatura ambiente. Poi, quando era ora di andare a letto, toccava a noi fungere da pasto per un esercito di zanzare e pappataci, invisibile ma spaventosamente rumoroso. All'alba avevamo le braccia coperte da ponfi pruriginosi simili a fragole, solo più grossi, e le unghie nere per aver passato la notte a scorticarci la pelle sudata.

Questo pezzo è tratto da:

In cerca di Transwonderland
Noo Saro-Wiwa, ed. 2015
Traduzione Caterina Barboni
66THAND2ND
Collana "Bazar!
Prezzo 18,00€

lunedì 7 settembre 2015

Diario di un mese di libri... Agosto 2015

Fonte: Nano Press Donna



Libri comprati:
"Meravigliosa Chicago", Theodore Dreiser - Mattioli 1985
"Storia di uno scrittore di storie", Sherwood Anderson - Mattioli 1985

"Il vento di San Francisco", Howard Fast - Edizioni E/O
"Ricordami così", Bret Anthony Johnston - Einaudi Editore
"Maze Runner - Il labirinto", James Dashner - Fanucci Editore
"Maze Runner - La rivelazione", James Dashner - Fanucci Editore
"Maze Runner - La mutazione", James Dashner - Fanucci Editore
"L'ambasciata di Cambogia", Zadie Smith - Mondadori Editore (Usato)
"Il cielo resta quello", Francesco Leto - Frassinelli Editore (Usato )
"Dentro", Sandro Bonvissuto - Einaudi Editore (Usato)
"La donna in bianco", Wilkie Collins - Fazi Editore (Usato)
"La pietra di luna", Wilkie Collins - Garzanti Editore (Usato)
"Il grande Gorsky", Vesna Goldsworthy - Mondadori Editore (Usato)
"Il messia di Dune. Ciclo di Dune vol. 2", Frank Herbert - Fanucci Editore (Usato)
"La rifondazione di Dune. Ciclo di Dune vol. 6", Frank Herbert - Fanucci Editore (Usato)
"The eye  of minds", James Dashner - Doubleday Childrens
"The rule of thoughts", James Dashner - Doubleday Childrens
"The dead cure", James Dashner - Doubleday Childrens
"A spool of blue thread", Anne Tyler - Alfred A. Knopf
"City of fallen angels", Cassandra Clare - Walker Books Ltd


Libri regalati
"Quando le chitarre facevano l'amore", Lorenzo Mazzoni - Spartaco Editore

"In cerca di Transworderland. Il mio viaggio in Nigeria", Noo Saro-Wiwa - 66th  and 2nd Edizioni


Libri letti

"Wool", Hugh Howey - Fabbri Editori
"Shift", Hugh Howey - Fabbri Editori
"Dust", Hugh Howey - Fabbri Editori
"Una vita da lettore", Nik Hornby - Guanda Editore
"Jane Austen. I luoghi e gli amici", Costance Hill - Jo March Edizioni
"Infinite Jest", David Foster Wallace - Einaudi. Stile libero Big Edizioni (Non ultimato)
"In cerca di Transworderland. Il mio viaggio in Nigeria", Noo Saro-Wiwa - 66th  and 2nd Edizioni (Non ultimato)
"Quando le chitarre facevano l'amore", Lorenzo Mazzoni - Spartaco Editore
"Eureka Street", Robert McLiam Wilson - Fazi Editore (Non ultimato)



Spaventati eh? Tranquilli, i periodi delle offerte finiscono sempre troppo presto! In generale alla fine di Agosto c'è chi gira con lo sguardo vacuo, perché non riesce a rientrare mentalmente dalle vacanze, e chi, come me, saltella perché è proprio in questo momento che capitano delle occasioni imperdibili con gli sconti di fine stagione. Detta all'americana - vedi il "diario" del mese scorso - "I'm so Excided"!!!! 
Ahhhhh! Posso dire ufficialmente che a me quest'estate, che è stata pure lavorativa, è piaciuta da morire! Ho letto saghe che mi hanno fatto ripartire con ritmi di lettura che non avevo da tempo, che mi hanno intrattenuto con temi che mi sono piaciuti o, laddove non fossero come mi aspettavo, mi hanno dato l'opportunità di arrovellarmi sul "perché" non fossero completamente o totalmente di mio gradimento. In più, con le offerte, sono riuscita ad accaparrarmi un sacco di libri che è da un po' che cercavo.

I due di Mattioli 1985 erano in lista, ma non da molto tempo, ma riguardano qualcosa che a me interessa e hanno anche lo stesso traduttore Nicola Manuppelli. Sono titoli che ho trovato in giro su Facebook e potevo io, me medesima, lasciarli andare così? Assolutamente no! 
Quello di Sherwood Anderson"Storia di uno scrittore di storie" andrà a far parte di un percorso di lettura di incontri "casuali" che seguo da un paio di anni a questa parte (fosse l'unico!). Di solito i percorsi nascono collegando titoli comprati in tempi diversi e per
ragioni diverse, mentre, in questo caso, il percorso c'è già da tempo anche se non l'ho ancora trascritto nell'apposita sezione e i titoli stavolta li ho scelti in ragione del percorso (che stia diventando metodica? Non credo proprio!). Spero anche che questo titolo faccia luce su alcuni degli aspetti di Anderson e del mondo che lo circondava che ancora mi sfuggono visto anche che, a tutt'oggi, nonostante la citazione nella rubrica, del [Dal libro che sto leggendo],
del suo celebre "Winnesburg, Ohio" non sono ancora riuscita a recensirlo anche se  non rinuncio a consigliarlo a tutti quelli che mi capitano a tiro!
Strano ma vero anche il secondo titolo della stessa casa editrice, "Meravigliosa Chicago", nonostante nulla abbia a che vedere con il precedente, fa parte del medesimo percorso di lettura che poi, forse, un giorno vi racconterò.
"Il vento di San Francisco" e "Ricordami così" sono colpa del mio libraio spacciatore di fiducia di Grottaferrata (per chi fosse curioso è la Libreria Adeia). Se lui dice "sono da leggere", sono da leggere e non si discute! Recentemente ho anche scoperto che non spaccia libri solo a me ma anche a mia madre; pensavate che la malattia della lettura fosse solo mia?! Illusi! Comunque non è il mio unico spacciatore, ne frequento tanti di librai e sono tutti pericolosi, in particolare quelli indipendenti perché hanno il brutto vizio di leggerle i libri che vendono!

Raggruppiamo gli altri per generi altrimenti questo post non finirà mai. "Maze Runner" è una saga della Fanucci che quest'estate deve aver avuto parecchio successo visto che per trovarli ci ho messo un po': in pratica mancava ovunque il secondo volume (che poi perché il secondo solo non è dato sapersi!) che è appunto quello che manca tutt'ora anche a me. Problema risolto parzialmente con un ebook e, se mi piace, comprerò la ristampa altrimenti li troverete da Libraccio! Stesso luogo anzi sito (Libraccio) dove ho preso i libri che vedete con la dicitura "usato". Leto -"Il cielo resta quello"-e Bonvissuto - "Dentro"- li avrei comunque dovuti prendere, visto che sono stati ospiti di #nonsonosòle e li volevo leggere. Dopotutto l'impegno che ci hanno messo ad auto-sconsigliarsi non posso esimermi dal non seguire il loro consiglio!  Poi ci sono i due di Wilkie Collins di cui uno, "La donna in bianco", sono anni che me la ritrovo citata un po' ovunque (e ho anche l'ebook che ho preso a Dicembre 2012! Viva i diari online!) e quindi, visto che l'ultimo luogo in cui l'ho trovato citato è il libro di Hornby, chi sono io per esimermi? Una delle informazioni interessanti che Hornby riferisce nel suo "Una vita da lettore" è che nell'ultimo periodo della sua vita, Collins lavorava per un periodico il cui responsabile era Dickens. Dickens sapeva perfettamente quale successo avevano i pezzi di Collins che poi sarebbero andati a costituire i suoi romanzi più famosi ma, all'ultimo, aveva notato che l'autore sembrava temporeggiare sulla storia e si era offerto lui stesso di proseguirla per finirla.
Non sono riuscita a capire se l'aneddoto fosse verità o leggenda metropolitana ma l'ho trovato carino e quindi, visto che erano disponibili, me li sono accaparrati entrambi. Collins viene spesso definito come il "padre del poliziesco moderno" e quindi sono curiosa di immergermi nei misteri celati nei suoi romanzi. Entrambi sono dello stesso genere, quindi misteri, intrighi sparizioni e delitti saranno, fra un po', il mio pane per qualche tempo.

A questi libri si aggiungono Il Grande Gosrky che è veramente un libro bello, uno di quelli che leggi e da cui non ti aspetti fuochi artificiali, ma che si faccia amare. Lo avevo in ebook ma come tutti i titoli Mondadori, quando l'app ereader fa i capricci rischi di perdere tutto, preferisco avere il cartaceo per riuscire a finire di leggere il restante 70% del libro. La storia è molto bella, per la parte che ho letto io: Gosrky è un libraio di Chelsea che un giorno si vede inaspettatamente arrivare una richiesta stranissima da un nuovo cliente che sta ristrutturando la propria casa e vuole realizzare nell'appartamento la migliore biblioteca di Londra. E' disposto a pagare qualsiasi somma e Gorsky può finalmente realizzare il suo sogno di selezionare i titoli che per lui hanno un vero valore. Per quanto riguarda Zadie Smith il motivo non c'è, come non ce n'era per non averlo; è da quando è venuta a "Libri come" che ne sento parlare e vedo scrivere su di lei ma tutto quello che ho letto finora non mi ha mai convinta che fosse essenziale conoscerla. Vi farò comunque sapere.  
Libri che invece volevo sono quelli, sempre della Fanucci, di Frank Herbert - ciclo di Dune -. Anche di questi ho sentito spesso parlare e anche in questo caso il giudizio anche internazionale sembra unanime. Il ciclo di Dune è stato scritto fra il 1965 e il 1985 e consta di sei libri ai quali in anni più recenti sono stati aggiunti altri libri e i racconti legati alla saga. Sono libri di fantascienza, e pare che a questo ciclo si siano ispirati per il film di "Guerre stellari", il film relativo al primo libro della saga è stato realizzato nel 1984 e porta la firma di David Lync. I libri successivi al sesto portano la firma del figlio di Herbert, Brian e dello scrittore Kevin J. Anderson che per la stesura hanno fatto riferimento agli appunti di Frank scoperti dopo la sua morte nel 1985. Tra quelli che vedete in lista ci sono il 2° e il 6° della serie e, a giugno, ero riuscita a portare a casa il primo - "Dune"-. Sembra di collezionare le figurine, ma se è bello anche la metà della trilogia del silo, la fatica di reperirli sarà valsa la pena.

Per i libri in inglese non ci sono particolari motivazioni, sono titoli facili da leggere, sopratutto per me e quindi sono stati comprati in offerta su un sito straniero che non ha, stupite, le spese di spedizione e quindi ho ceduto alla tentazione fra i titoli che mi ero segnata guardando alcuni video. Sono prettamente libri per ragazzi e gli ultimi tre della lista fanno parte di una saga distopica. Di certo, e qui una persona in particolare sbufferà, questi libri hanno l'odore dei vecchi tascabili: odorano di carta riciclata e inchiostro di, non sempre, buona qualità... e io li adoro come amavo la coccoina!

Veniamo alle letture del mese. Trilogia del silo, è il primo gruppo di libri che ho letto la prima metà del mese: BELLISSIMA! Ma non solo bellissima, anche coinvolgente, accattivante, bella trama, belli i personaggi. Sono quei libri che, se non puoi leggere tutti di seguito, stai perennemente con l'ansia di sapere come va a finire quella situazione o cosa di altro verrà fuori. Ci sono tantissimi personaggi che si presentano alla bisogna, in momenti diversi. Ma sapete che vi dico? Ebbene, stanno benissimo così, non ne toglierei nemmeno uno, perché ricoprono bene i ruoli che sono chiamati ad impersonare. La storia che è stata autopubblicata da Howey, che di mestiere ha fatto prima il conciatetti e poi lo skipper, nel 2011. Constava di 9 libri di cui ne pubblicò 5 che ebbero così tanto successo da farlo contattare prima da una casa editrice che si offrì di pubblicare tutta l'opera e poi dalla 20th Century Fox per i diritti cinematografici. E hanno ragione da vendere la trilogia, apprezzata anche da Stephen King, ha un perfetto contesto che si incastra su una trama che si svolge lungo un periodo di 5-600 anni.
La distopia è predominate attraverso tutte le sue caratteristiche più famose del genere come ad esempio scenario del silo interrato in cui vivono uomini e donne che sono eredi degli scampati alla grande catastrofe di cui  si hanno pochi ricordi. Vivono in un mondo suddiviso 140 piani circa in cui l'attività prevalente caratterizza la vita e la scala sociale di chi vive in quelle zone. Un mondo che punisce i visionari che vorrebbero vedere se c'è ancora vita fuori dal silo ma che, all'interno di questo, preserva gli uomini come cavie da laboratorio. Andare fuori o rimanere?  Questo è il dilemma... In questo lavoro si ritrovano Ballard, Orwell, Orson Well e ci sono altri riferimenti famosi di cui tutt'ora non ho ben individuato lo scrittore di provenienza, ma potrei aggiornarvi non temete! Rimane il fatto che questi libri non sono spettacolari solo per la storia ma anche come oggetti. Rilegati come una volta con il bordi in tela, stampati benissimo con sovraccoperte serigrafate a rilievo, da quando li ho in casa, ogni tanto quando sono davanti alla libreria ci passo una mano sopra (sono irrimediabilmente malata, ma provateci voi a resistere!). Fabbri Editori ha fatto un ottimo lavoro! Qualora non la trovaste, la sequenza corretta è Wool, Shift e Dust.

Poi è stato il momento di "Una vita da lettore" di Nick Hornby. Come vi avevo accennato nel Diario di un mese... Luglio 2015, gli articoli per la rubrica del The biliever - per il quale Nik Hornby scrive per un certo periodo - sono parecchi e quindi sono stati pubblicati in inglese e tradotti in Italia da Guanda in due libri: "Una vita da lettore" e "Shakespeare scriveva per soldi". Come dicevo in un mio status su Goodreads, a volte credo che di Hornby mi piaccia di più leggerlo mentre parla di libri che mentre racconta le sue storie. Ho altri libri suoi, anche l'ultimo  - sempre Guanda - "Funny Girl" ma rimane lì, mi guarda in attesa che io sia in giornata buona. Nonostante mi sia sempre ripromessa di leggere "Una vita da lettore" già dopo aver letto l'altro, non è mai capitata l'occasione in passato, vuoi perché il libro era vicino ad uno più accattivante che non avevo letto oppure solo perché cercavo altro. E' una qualità o un difetto? Ma sicuramente è un "qualcosa" che divido anche con lui che è altrettanto sconclusionato. Tante dritte su libri ancora in circolazione ne ho trovate, tra cui proprio Collins la cui "riscoperta inglese" è datata 2003. Lo ha letto prima che venisse dato nuovamente alle stampe e ne è rimasto particolarmente incuriosito anche perché capitava dopo la lettura di "David Copperfield". Come me, anche se dichiarava di non voler per forza essere legato ai classici, anche lui vi si abbandona ogni tanto ma a differenza di quelli che "sanno quello che è da leggere", lui si "abbandona fra le pagine dickensiane"  che invece molti le leggono e a volte le subiscono solamente. Il piacere di farsi cullare in mondi passati, lontani e fantastici è una cosa che spesso dimentichiamo e che forse dovremmo riscoprire.

Chiudendo questo ho aperto "Jane Austen. I luoghi e gli amici" di Costance Hill che ho finito in un pomeriggio (aperto alle 17:00 finito a mezzanotte dello stesso giorno). Libro molto bello anche se, io, l'introduzione l'avrei piazzata in fondo e non a cappello (la Wolf è un signor personaggio, metterla a cappello è un po' come parlare di un finale di libro prima che il giallo sia iniziato!). Siamo alla fine del 1800 e Costance Hills, che aveva già scritto altre biografie di scrittori famosi, decide di ripercorrere le strade di quella che, per la prima volta nella storia, viene definita "austerland" sulle tracce della famosa scrittrice con la sorella Helen Hills che è illustratrice. Chiariamo, io amo zia Jane l'ho scritto e anche sempre detto che la sua opera l'ho sempre adorata, ma, e c'è un grosso "ma", difficilmente amo quello che è correlato a quest'autrice. Il problema è che lo squittio tipico delle delle donne che sono emozionate di fronte ai loro idoli mal si accompagnano con la figura di una donna, zitella, che amava i suoi personaggi talmente tanto da caratterizzarli in maniera quasi maniacale. Non è che sia stata tutta farina del suo sacco, felice fu il rifiuto iniziale alla pubblicazione e la successiva non pubblicazione di Ragione e sentimento, che la fecero aspettare e poi rivedere a mente molto molto fredda (10-12 anni credo) i propri lavori prima della pubblicazione a sue spese, ma, fatto sta, che tutti questi impedimenti - così consoni a lei e alle sue storie peraltro - ci regalarono quei grandi capolavori di cui ci innamoriamo prima per "l'amor che ci sembra raccontato" e poi, rileggendoli, per la "lezione che ci viene suggerita". Di certo Jane non è una donna che richieda una sola lettura ma ha l'indubbia qualità di essere sempre attuale in qualsiasi età in cui la si legga. Ecco, ripercorrete Austerland è stato un tantinello strano, perché la figura delle due indagatrici che mi sovviene, pensando a quel che ho letto, cozza un po' con quella della donna oggetto di indagine. Così quella che doveva essere una biografia, in aderenza con lo stile del tempo, diventa più un romanzo-resoconto di una lunga gita fuori porta. Tantissimi riferimenti alle lettere risparmiate da Cassandra, relative ai carteggi fra lei e la sorella, vengono continuamente segnalati come anche parte dei personaggi dei libri di Jane. Ma, sicuramente, a me manca qualcosa. 

La sezione libri non finiti (che in questo caso non sono abbandonati bensì ancora in lettura!), vede "Infinite Jest" che è veramente bello, ma scritto talmente piccolo che ho odiato per ogni pagina Stile libero Big. Lo dico e lo riscrivo: vi odio! Per leggere questo libro e soprattutto le note e le note-delle-note mi sono letteralmente cecata. Ho dovuto rispolverare gli occhiali da vista che uso solo al pc! 
Comunque, il libro di Wallace è uno di quei lavori dove tutti hanno un'opinione, ma difficilmente si trova qualcuno che lo abbia letto. Lo avevo iniziato con un gruppo di lettura a cui avevo rotto le scatole dicendo che dovevo assolutamente togliermelo dal comodino; in effetti ce l'ho da anni e lo avevo iniziato circa dieci volte ma mi sono fermata sempre fra pagina 250 e pagina trecento. Ecco, ora una cosa ve la posso dire: Infinite Jest, comincia ad essere bello dopo pagina 300 e stupendo all'incirca fra pagina 450 e pagina 500. Grazie a Wallace, non ne so molto di più sulle droghe, ma sono stata, e vi assicuro è cose starci davvero, in una riunione di AA, ho visto gli effetti da privazione di droghe, alcool, sono stata sui campi a giocare a Escathon (speriamo sia scritto giusto non lo azzecco mai) e ho fatto un lungo giro in un luogo di profonda privazione. E' come essere austronauti galleggi in assenza di gravità: ecco, in questo caso, il mio luogo di privazione non ha riguardato un solo personaggio, ma ogni volta mi ha tolto qualcosa per farmi sentire che cosa si prova. Una volta una gamba, la testa, l'affetto, l'amicizia, il rapporto umano e via dicendo. Tutti gli stadi di privazione si concatenano con cause e effetti, non sempre evidenti di primo acchito ma con un po' di pazienza sono lì che ti fanno ciao ciao, dietro un mare di parole. Peeeeesante, starete pensando! Più che altro Wallace è particolarmente dispettoso e giocherellone tant'è che, nel bel mezzo di un complicatissimo discorso a pila atomica, ti piazza una bella nota che, molto spesso, si risolve un po' in un nulla di fatto e che poi ti costringe a tornare indietro a dove eri rimasto e ricominciare daccapo la scalata di parole che stavi facendo cercando di non vedere quel dannatissimo numeretto che continua a farti l'occhiolino. Però, ve lo ripeto, fino a 300 lo odierete ma proprio tanto. C'è una nota, la numero 24, che non ho mai apprezzato nelle mie undici riletture (ricomprendendo anche quella del 2015), e che credo non apprezzerò mai. 
Quando comunque ero tutta gasata dal fatto che ero proiettata verso la soluzione di questa mia dannata pendenza del non "aver-finito-di-leggere-infinite-jest" ne ho parlato con un amico, che solo per oggi sarà nominato il "fatone wallaciano" -in opposizione alla cara "fatina della letteratura"-, che mi ha detto che per apprezzarlo veramente, "Infinite Jest", va letto almeno tre volte. Ci ho messo un po' a ritrovare la mandibola che mi è caduta all'istante, ma oggi a tanti mesi dall'inizio, posso dire che "il fatone wallaciano" aveva dannatamente ragione: la prima lettura la fai e un po' la subisci per sapere dove va a parare, nella seconda saltano all'occhio cose che - nell'ansia di finire- non avevi notato, alla terza hai ben presente a cosa vai incontro e quindi sei molto più freddo e attento. Il fatone wallaciano sa il fatto suo... e speriamo che questo post non lo legga mai!

Noo Saro-Wiwa, cognome difficilmente dimenticabile perché figlia di quel giornalista che alla fine del 1900, e più precisamente nel 1995, fu giustiziato con altri otto uomini dall'allora vigente potere militare in Nigeria, senza una sentenza e nemmeno delle prove. Scrittore, giornalista e imprenditore. Io, che come al solito sembra che viva su Marte, ho conosciuto uno dei suoi libri quando ne parlò Saviano (se non ve lo ricordate, tranquilli la citazione è stata una meteora... poi s'è buttato sui russi che facevano più intellettuale); il titolo citato da Saviano era Sozaboy, ma quello che mi è rimasto probabilmente più impresso è La foresta dei fiori. Quest'ultimo, seppur con un titolo innocente, è un vero pugno nello stomaco. Il problema della convivenza, noi-loro-gli altri è che in fondo non ci conosciamo affatto. Siamo convinti di sapere tutto e siamo altrettanto convinti che chi viene in casa si debba adeguare, perché è casa nostra e non loro. Invece leggendo questi titoli o anche Mafiaafrica o Castel Volturno entrambi di Sergio Nazzaro, "Quell'africana che non parla neanche bene l'italiano" di Alberto Mossino o anche Marco Ehlardo con Terzo settore e soprattutto la figlia di Ken, Noo con questo bel libro pubblicato da 66tn and 2nd, la prospettiva cambia e di parecchio - sono brava e me o dico da sola! A memoria vi ho fatto un bel percorso di lettura tiè -. Quello che mi piace in particolar modo del libro "In cerca di Transworderland." è che unisce i due mondi. L'elenco non è stato fatto a caso ma è stato pensato. Se li leggete nella sequenza indicata avrete l'opportunità di leggere quello che vede un nigeriano scritto da uno che in Nigeria ha vissuto tutta la sua vita. I libri di Sergio, Alberto e di Marco vi raccontano la faccia della medaglia di quelli che arrivano qui e di come la loro cultura trasborda in Italia e infine arrivate a Noo avrete l'unione delle due culture: quella di una ragazza nata in Nigeria, cresciuta in Inghilterra con un padre che ci ha sempre tenuto a che conoscesse la vera anima nigeriana, quella non occidentalizzata ma martoriata da tutti i governi corrotti che si sono imposti nel tempo. 

Tanto per dire che noi non siamo molto diversi, ma che siamo poco concilianti con i difetti altrui che sono anche nostri, facciamo un bell'esempio. Proprio nel primo capitolo Noo parla dei suoi connazionali come di persone che per propria natura hanno un'opinione su tutto, che sono sempre pronti a lamentarsi e che ascoltano le lamentazioni altrui con la serenità del distacco. Qualche anno fa, leggevo Amos Oz, Contro il fanatismo, e indovinate un po'? Anche lui diceva che gli ebrei hanno un'opinione su tutto. Ora fate mente locale sulle pagine dei social italiani, immaginate il periodo dei mondiali, poi attaccateci il periodo delle elezioni e subito dopo i grandi fatti di cronaca,i disastri naturali e perché no, un bel conflitto che fa tanto guerra. Se siete obiettivi scoprirete che anche noi abbiamo un'opinione su tutto e in comune con ebrei e nigeriani abbiamo le lamentazioni e anche, nostro malgrado, un certo, limitato, grado di sopportazione di quelle altrui. Ma tutti Italiani, ebrei e nigeriani ci guardiamo con sospetto! Alt, non sto dicendo che siamo razzisti perché ci guardiamo tutti con diffidenza. Il razzismo è proprio un'altra cosa. Un modo per cominciare a conoscersi sarebbe anche cominciare a leggere scrittori che parlano di questi mondi diversi, manco tanto, e lontani e  scoprirsi a sorridere delle manie altrui che assomigliano in tutto e per tutto alle nostre. E il libro di Noo è un ottimo e valido motivo per farlo. Ne riparleremo quando lo avrò finito!

A chiudere la lista di sono "Quando le chitarre facevano l'amore" e "Eureka street". Anche in questo caso si tratta di libri non ancora finiti per dare la precedenza alle ultime 500 pagine di Wallace che vorrei chiudere. Il primo inizia con un viaggio nel lontano sudamerica di un investigatore italiano specializzato nella cattura di funzionari delle SS di medio livello per consegnarli al giudizio dei tribunali. In questo caso il calibro dell'uomo che si pensa di aver individuato è alto e quindi per catturarlo serve un intervento esterno che non scopra le carte degli enti governativi americani. Che c'entrano le chitarre? Ci sono, tranquilli, ma non vi dico il perché! Eureka street invece è la lettura selezionata da un gruppo di lettura cui partecipo ogni tanto. Un vero classico ma anche veramente scorrevole che devo assolutamente finire per il 21 settembre!

Ora sapete perché per me quest'estate lavorativa si è invece rivelata entusiasmante, sarà per i bei libri letti o per le occasioni comprate, che sia per le riflessioni e i temi, molto diversi tra loro, che sono venuti fuori; tutto ha fatto si che io mi sia veramente divertita a fare queste letture molto lontane l'una dall'altra. E voi che avete letto?
Onore al merito a voi, miei prodi, che siete arrivati sin qui vivi. Lo apprezzo veramente tanto e per ora vi rimando ai prossimi post. Con il Diario di un mese di libri ci si legge fra un mese!
Buone letture,
Simona Scravaglieri

domenica 6 settembre 2015

L'ha detto... Marco Tullio Cicerone

Fonte: Torino spiritualità

È necessario scegliere dopo aver giudicato e non giudicare dopo aver scelto. 
 Marco Tullio Cicerone
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