Ci sono dei limiti oltre i quali, spingersi, significherebbe danneggiare quel che si difende a spada tratta. Uno di questi è l'accostare la "democrazia", come concetto, ad attività che, per loro natura, non sono naturalmente "democratiche" o anche, facendo perno sull'ignoranza telematica, far passare il concetto di "condivisione" con un significato che non ha. Sembra, in alcuni casi, di tornare alle spiegazioni di Carofiglio, che non ho molto apprezzato ne "La manomissione delle parole" e, infatti, il risultato finale del mio pensiero su questo ebook è pressoché similare. Chiariamo un concetto di base, non sono contro gli ebook che leggo spesso quando viaggio, non ho ancora una idea definitiva e lapidaria sul mondo dell'autopubblicazione. Quindi il mio giudizio è al netto di queste "convinzioni" che da tempo su Twitter e in alcuni gruppi di Facebook, nonché fra i vari blogger (ma questo sarà argomento del Diario di un mese di libri di Dicembre) è oggetto di animate discussioni.
Detto ciò, mi è dovuto precisare che questo ebook porta la data di edizione degli inizi del 2011, quindi parliamo di oramai due anni fa (tre ipotizzando che lo abbia scritto nel 2010) e da allora un po' di acqua sotto i ponti è passata.
Il "mestiere dello scrittore", sia su carta che sul digitale, non è affatto un mestiere "democratico", come sembra far intendere Sandrini che, in alcuni punti sembra nicchiare al nuovo ruolo della parola nel mondo dell'etere e della pubblicazione. Lo "scrivere" è esattamente l'opposto della democrazia, mettere -su carta virtuale o no- dei concetti, che sono propri dell'autore, prescinde dal pensiero di chi lo legge che non può intervenire nell'atto di scrittura cambiando in tempo reale quel che viene redatto.
Come diceva Segre ("Avviamento all'analisi del testo letterario", Einaudi, 1999) chi scrive confeziona un messaggio, per un destinatario che non conosce. E' chiaro che, più è bravo lo scrittore a rendere immagini al suo lettore e più l'immagine o il concetto verranno recepiti, da quest'ultimo, nella maniera più vicina alle intenzioni di colui che lo ha trascritto. Laddove l'autore decida di condividere un testo e di modificarlo secondo le indicazioni dei suoi lettori, il lavoro cessa di essere suo personale per diventare di una collettività e viene meno l'assegnazione della proprietà intellettuale (leggi: intesa come individuazione dell'ideatore dello scritto in maniera univoca). Pertanto, se si accetta questa impostazione, sostenere che l'arrivo degli ebook e degli scrittori che si autopubblicano corrisponderà ad una cultura più democratica, più diffusa e meno d'élite è decisamente errato. Può piacere il giocattolo del lettore e-reader, può essere divertente scaricare i primi ebook, ma poi, passata la novità, sempre di leggere si tratta e se il fortunato possessore del trabiccolo, trovava noioso leggere prima proverà la medesima sensazione anche nel formato digitale. Allora si studieranno, anzi sono già in distribuzione, nuove forme di ebook arricchiti (se volete dare un'occhiata al futuro che avanza vi consiglio E-Zagreb - sito -di Arturo Robertazzi che è la trasposizione digitale arricchita di Zagreb - recensione- in versione cartacea), in cui il prodotto finale non è la copia digitale di quel che sarebbe su carta ma diventa altro e, l'esperienza in cui l'immaginare attraverso il proprio bagaglio culturale fatti e luoghi descritti come avviene per l'esercizio di lettura classica, diventa non più necessaria perché l'ebook ha dentro una serie di informazioni che permettono al lettore di sbirciare sulla scrivania dell'autore e di vederne immagini video e pezzi che sono stati utili alle sue ricerche.
Detto questo, l'ebook non serve? Assolutamente si! E' comodo, ma non si compra perché gli ebook costano di meno - almeno i lettori forti, che non sono quelli che leggono 15 libri l'anno ma molti di più, non lo comprano per questo!-, ma per questioni di utilità e sopratutto per leggere quei prodotti nati solo per il digitale; Sandrini propone ad esempio 40K e io invece vi propongo Quintadicopertina. Ma se guardate la loro configurazione e offerta, fatta da persone che di digitale ne capiscono davvero e che si confrontano continuamente in un panorama senza confini territoriali ma internazionale, come solo la rete può essere, noterete che i prezzi e anche la tipologia di testo sono ben diversi, da quelli che, aspiranti scrittori in erba, propongono per l'acquisto del loro lavoro. E, a nulla serve l'invito alla "condivisione" che con magistrale gesto furbesco Sandrini associa al significato di "condivisione= rapporto fra autore e lettore" perché se per leggere un saggio, scritto, lavorato, sistemato e gestito da una casa editrice spendo 0,99€ non potrei comprare allo stesso prezzo e/o superiore un libro prodotto, come dice l'autore "artigialmente" (anche qui concetto deviato dal suo significato originale e adattato allo scrittore che si autopubblica) da uno che scrive e si autopubblica in maniera del tutto arbitraria e quindi nemmeno "democraticamente" passando per un vaglio di selezione. In più il processo di redazione, correzione, traduzione nonché impaginazione e pubblicazione richiedono competenze specialistiche come anche la commercializzazione. Molti autopubblicanti, chiamiamoli così, hanno in animo una storia, ma non si pongono il pensiero di domandarsi se questa sia una storia da condividere oppure no Carver diceva che negli anni aveva imparato a chiudere per mesi i suoi lavori per dimenticarli e rileggerli quando avevano smesso di "appartenergli" e Mozzi oggi molto spesso suggerisce di non scrivere un'idea subito ma di trascorrere più tempo a elaborarla e a documentarsi (perché un'idea scritta è difficile da modificare radicalmente nel caso in cui si rilevino errori ambientazione, storici o sulla conoscenza/coerenza dei personaggi e sopratutto di approccio e sviluppo del tema). "Condividere in rete" significa far girare storie concetti e cultura e non venderli - la rete è nata libera e quindi gratis -, e laddove si decida di farlo quello che Sandrini definisce "bene-libro che sostituisce il merce-libro", al momento della transazione di passaggio di soldi è e rimane una merce-libro. Se non lo si vende, allora si sta condividendo, se lo si vende, e quindi si fa merce delle parole, bisogna avere in mente un piano chiaro di commercializzazione del prodotto e del mercato cui è destinato e non pensare a caricare la quota sul primo acquisto che ti capita a tiro e magari poi lamentarsi che non ti leggono! E siccome di questi casi ne leggo tanti, mi rendo conto che non solo per me, la parola "artigianale" ha un altro significato!
Artigiano per me è colui che esegue un lavoro a "regola d'arte" e lo fa perché in un lungo periodo di tempo si è affiancato a chi, questo lavoro lo fa da anni, e solo dopo essersi impratichito e confrontato con il suo maestro, finalmente decide di operare. Questo fa sì che, nel periodo di assistentato, abbia acquisito tutte le conoscenze/competenze del caso e anche in queste situazioni, la specializzazione non sempre riguarda l'intero ambito in cui opera, ma solo una parte di questa. Per contro, il prodotto che viene dal sapiente fare artigiano è un prodotto di nicchia, e non democratico, sia nel prezzo che nella diffusione, per cui, anche in questo caso, non v'è nulla di democratico.
La questione potrebbe essere risolta in maniera differente e forse meno opinabile, senza per questo arrivare ad estremi assurdi dove si definisce il ruolo dell'editore alla stregua di un PR e l'autore diventa una starlette che va per piazze e fiere. Ci sono due mondi separati, quelli di coloro che hanno fatto un certo tipo di carriera e di formazione o anche solo per caso che arrivano alla pubblicazione direttamente con una casa editrice, grande o piccola che sia non ci interessa, ma vanno anche per fiere e seguono la classica carriera letteraria immutata nei secoli. Quello che la casa editrice acquista è il prodotto non il personaggio a meno che non ci siano progetti differenti e particolareggiati solo per quel tema o solo per quell'autore. Ci sono anche quelli che, nonostante i rifiuti o le mancate risposte o per altri motivi, decidono di autopubblicarsi perché credono nella validità della propria opera. Non è detto che tutti gli appartenenti a questa categoria siano all'acqua di rose o dei novellini, ma rimane il fatto che non riescono ad accedere al circuito editoriale cui fortemente vorrebbero appartenere. Dire che scrivono in maniera disinteressata è come dire che Biancaneve è un saggio sui rapporti fra matrigna e figliastra. Anche loro, se arrivasse l'editore a dire "Ti pubblico", toglierebbero immediatamente i loro libri dalla distribuzione su piattaforme di autopubblicazione! La differenza fra ieri e oggi, ma questo Sandrini allora non lo poteva sapere, è che oggi grazie ai casi come "50 sfumature di grigio" si pensa che, qualora si vendano tanti libri arriverà l'editore a cercarli. In effetti non è propriamente così, l'appeal non prevede che io compri il libro e lo suggerisca perché ho visto chi l'ha scritto e siccome mi è simpatico e lo sbandiero ai quattro venti tutti lo leggeranno, acquistandolo per la stessa motivazione. Il passaparola è dato solamente dal libro stesso, dal suo contenuto, che diventa quasi oggetto di culto perché il suggerimento entusiasta vale più dello scrittore che si spoglia o che occhieggia come una quaglia in amore dalle pagine patinate delle riviste letterarie o similari. Quello della quaglia è un mestiere differente e lo scrittore ricopre un ruolo differente, altrimenti è merce di mercato al pari delle gomme della macchina che si comprano al supermercato. Quindi, essendo il prodotto che traina, dovrebbe essere scritto in maniera consona per la fetta di pubblico cui si rivolge, dovrebbe avere una trama adeguata e personaggi approfonditi come anche i contenuti. Non basta scrivere una bella storia per affascinare i propri lettori. In più bisognerebbe smettere di pensare che scrivere renda tutti scrittori, perché non è così. A fare lo scrittore è la selezione delle storie che si decide di condividere con il mondo. La conoscenza artigiana sta lì e si acquisisce con il confronto con chi fa questo lavoro giornalmente e purtroppo, per qualcuno, sono proprio gli editori a farlo. Quindi, ben vengano le nuove forme di pubblicazione ma solo se veramente i lavori sono selezionati e validi saranno un successo - ma la selezione deve comunque essere operata a monte dalle piattaforme di autopubblicazione che si devono dotare delle competenze e devono imparare a selezionare - come, d'altronde, succede anche nel circuito editoriale standard. Circuito editoriale dove, i cosiddetti "casi letterari" sono pecore nere in un mare di bianco che invece si ritaglia e conta su una fetta variabile di lettori affezionati o di curiosi. Se Einaudi, prendendo un esempio di casa editrice grande, pubblica 50 libri l'anno una casa editrice media ne pubblica 30 e una piccola da 9 a 12, prendendo un elenco degli editori operanti in Italia e moltiplicando i vari gruppi per il numero di pubblicazioni- in digitale e non- è presto spiegato perché il circuito non riesce ad inglobare altre novità. Sullo stesso ragionamento però è plausibile che alcune "eccellenze" siano state trascurate, per motivi commerciali o anche solo di linea editoriale, ma questo non significa che l'alto volume del pubblicato sia tutto eccelso, ma suggerisce che la percentuale del possibile "caso letterario" si riduca ancora di più in percentuale. Quindi che fare se si vuole diventare scrittori? Detta alla Carver vi risponderei dovete scrivere e confrontarvi con i lettori, ma non a pagamento selezionandoli in maniera ragionata senza ambire al tipico "fan". Una volta acquisita un'esperienza sul campo -e ce ne vuole di tempo- puntare a chi nel circuito editoriale già opera e solo allora decidere se veramente, quello che avete scritto vale la pena di essere pubblicato e a che prezzo. La rete è piena di agenzie che fanno questo genere di lavoro e nulla vieta di provarci, ma è chiaro che mandare un lavoro, il primo senza alcuna esperienza che vi abbia insegnato a selezionare quel che scrivete, vi espone alla cosiddetta figuraccia che potrebbe farvi depennare dalle liste delle possibili future letture, quindi un periodo di praticantato - di studio sulla scrittura e di lunghe letture, anche e sopratutto di saggi - dovrebbero precedere questo genere di invii.
Discorso a parte merita la visione quantomai bislacca che qualcuno, un domani, decida di andarsi a comprare un ebook (senza supporto) in libreria. Se compro un oggetto virtuale, non mi schiodo per farmi chilometri e non mi serve a nulla il libraio competente, che Sandrini ipotizza che si possa distinguere per quanti titoli ha letto e di cui può parlare. Non ho bisogno che mi suggerisca qual è il miglior titolo per me, mi basta scaricare le anteprime e se non ci sono, non mi fido e non compro l'ebook a meno che non sia suggerito come buon prodotto da gente di cui mi fido particolarmente. Se vado in libreria compro un libro e se voglio un ebook, me lo compro in rete, così come oggi succede proprio con le tracce musicali (confronto che in questo libro ricorre spesso, la magia dell'ebook come il futuro del fenomeno case discografiche-Itunes altro confronto che non calza affatto perché i libri non si vendono a capitoli!).
Delle interviste inserite, nella 3° parte di questo Ebook due mi sono sembrate più pertinenti e sono quelle di Tombolini (Simplicissimus) e quella di Granieri (40K) che mi è sembrata particolarmente interessante e con una visione in prospettiva che, in parte, è già oggi realtà. Avevo comprato questo libro, perché ero veramente curiosa di capire come mai due amiche lo decantassero tanto e sopratutto di capire perché alcune parole sembrano per loro essere "chiave" più di quanto a me sembrino. E finalmente ho capito. L'elegiaco, il poetico, la visione romantica di colui che ama i libri, la democrazia etc etc, non sono altro che il risultato di un'abile tecnica narrativa (che se venisse utilizzata per raccontar storie invece che teorie, per il mio punto di vista, farebbe furore- altro che sfumature di grigio!) che io ho trovato descritta in un libro di formazione manageriale "Scoiattoli S.p.A Storie di noci e di leadership". Il concetto è abbastanza semplice, quando si propone un progetto ad una platea (consiglio di amministrazione o anche al dirigente che ha potere decisionale etc) invece di partire subissando l'interlocutore di informazioni numeri grafici e altro, per far sì di creare un'atmosfera che sia il più possibile propositiva, si deve partire a presentare il proprio lavoro in prospettiva, creandone un'immagine desiderabile, della serie "Immaginate come sarebbe bello se...". Tecnica che evidentemente ha funzionato, vedendo i giudizi che commentano l'ebook in questione.
Non arriva a costare un euro, quindi evidentemente il suo autore, almeno per la componente commerciale ha una competenza che a molti altri manca. A me invece ad un certo punto ha fatto venir voglia di comprare il libro di un editore di quelli definiti come cattivi.
A voi l'arduo giudizio e vi giro la domanda: secondo voi, la scrittura, è un'attività democratica?
Buone letture,
Simona Scravaglieri
Elogio degli E-book
Mauro Sandrini
Homeless Book, ed. 2011
Prezzo 0,89€ (Kindle Store)