venerdì 30 marzo 2012

"Il formaggio e i vermi", Carlo Ginzburg - Storia del valore del *concetto* e della *parola*...insegnata dagli ultimi

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E' stata una battaglia rispolverata negli ultimi tempi e, in poco tempo, abbandonata. Non è una questione semplice da "cavalcare" perché il potere del linguaggio e del testo scritto  sono sempre stati complicati da raccontare con gli strumenti,  le parole, che ne sono  parte integrante. Innanzitutto è necessario tener presente che bisogna affrontare la questione da più punti di vista: quello di *colui che deve trasmettere un messaggio* e  quello *di chi recepisce*, il *valore oggettivo* o *quello soggettivo* che la summa dei vocaboli scelti e messi insieme in un concetto riescono a trasmettere nell'atto della comunicazione. Ce ne sono altri ma, in questa sede, non concorrono all'obiettivo di esporre il *peso* del libro in questione.

La parola ha un valore assoluto di per sè, ma contestualmente "l'insieme delle parole", "l'intonazione" con la quale si pronunciano e il "contesto" in cui vengono dette, nonché l'insieme del vocabolario che un individuo (che sceglie la loro combinazione per esprimersi) possiede, fanno assumere ai vocaboli sfumature molto differenti da quelli che possono essere i *valori* dei singoli vocaboli. Spieghiamo meglio il concetto: ne "La manomissione delle parole" (prima di correre a comprarlo leggete attentamente la recensione!!) Carofiglio spiega ciò che ho appena scritto con un esempio abbastanza semplice. Laddove l'individuo non riesce ad esprimere i propri stati d'animo, subentra la frustrazione e quando questa aumenta si arriva alla violenza; quindi la formazione, cessa di essere mera educazione fine a se stessa e diviene altro, ovvero non solo l'educazione alla civiltà delle masse ma soprattutto un mezzo per fornire alle persone gli strumenti utili per affrontare una civiltà fondata sul linguaggio e l'informazione, mezzi di comunicazione predominanti insieme ai numeri, sulla musica e sul linguaggio figurativo in qualsiasi forma quest'ultimo si presenti (pittura, scultura, arte, danza, etc...). Ma non è sempre stato così.
Torniamo indietro nei secoli scorrendo le lancette del tempo e andiamo nel periodo più oscuro dell'Europa, ma soprattutto italiano, ovvero il periodo del Concilio di Trento (iniziato nel 1545 e terminato con ritardi, rinvii e spostamenti di sede, sempre a Trento nel 1563) e della successiva azione di Controriforma della Chiesa Romana.

Nonostante si sia in piena epoca moderna e si sia usciti già da un po' dal periodo medievale le classi sono ben distinte. C'è l'aristocrazia, il clero e il popolo. L'Italia è divisa non solo politicamente (i Doria a Genova, i Medici a Firenze, gli Spagnoli nei regni di Napoli, Sicilia e Sardegna, gli Sforza a Milano, a Venezia la Serenissima e i grandi possedimenti papali che ospitano al loro interno gli Este a Ferrara e i Gonzaga a Mantova) ma anche linguisticamente ovvero, anche all'interno di uno stesso territorio possono sussistere volgari diversi, derivati non solo dalla lingua latina ma anche dal sottostrato della lingua dei popoli conquistati e il superstrato dei successivi conquistatori (che generano un linguaggio diverso nella loro combinazione nei secoli). Questo significa non solo difficoltà di capirsi, ma anche differenti modi di vedere e di affrontare la vita e diverse tradizioni. In questo stato di fatto, i popoli italiani hanno pochi fattori comuni fra loro; uno è la comune derivazione dall'antico impero di Roma e l'altro è la fede. 


1499, Venezia, viene pubblicato il primo libro stampato in Italia (per chi fosse curioso l'editore era Aldo Manuzio e il libro "Hypnerotomachia Poliphili" un romanzo allegorico con una commistione abbastanza ardua da tradurre fra volgare e latino). La macchina e la tecnica per la stampa era già arrivata precedentemente portata dai frati nella zona del territorio lombardo e qualcosa era già stata data alle stampe ma il 1499 segna una svolta per l'editoria e Venezia si configura come la capitale degli editori. Fino ad allora e subito dopo questa tecnica innovativa trova estrema difficoltà per decollare in maniera compatta. Tre tipi di forze si oppongono al suo sviluppo:
- gli intellettuali sono restii a lasciar andare i propri scritti, la diffusione che potrebbero avere, non solo aumenterebbe la notorietà ma anche anche l'esposizione del loro autore sia alla gloria che ai pericoli di condanna;
- la lingua, perché nonostante la seconda metà del 400 sia stata preparatoria alla stampa sfornando studiosi sia del greco e del latino, contestualmente, è stato dato al dialetto volgare un nuovo peso (è in questo periodo che nascono le prime grammatiche e i primi studi sull'impaginazione e, stupite, anche sul modo di scrivere graficamente perché questo fosse uniformato). E' in questo periodo, più di altri, che ci si domanda quale sia la lingua giusta per la stampa (stampare la divina commedia in dialetto milanese, o romano restituisce il medesimo effetto del volgare fiorentino degli inizi del '300? No!) perchè il primo input di una tecnica come questa è che il prodotto finale possa arrivare a molti e non che sia settorializzata;
- infine e non meno importante, la diffusione, porta cultura e la cultura porta alla ribellione. Quindi la chiesa, che ha sempre usato le leve della fede "ignorante", si trova a dover gestire una possibile catastrofe e lo fa, non solo con la reprimenda pura e semplice attraverso la messa all'indice dei testi giudicati eretici, ma eliminando direttamente i possibili casi "fuori le righe".

In queste maglie cade anche il protagonista della storia che qui è raccontata, Domenico Scandella detto il Menocchio, vissuto in piena epoca della Controriforma tra il 1532 e il 1600 nelle campagne del Friuli. Era un mugnaio e per lavoro aveva dovuto imparare a leggere e far di conto, ma attenzione imparare non significa studiare come noi lo intendiamo oggi. Quello si faceva nelle università o con adeguati precettori privati, che solitamente erano gli stessi intellettuali in voga che così venivano sponsorizzati nelle proprie arti. "Imparare" in questo periodo significa riconoscere lettere e numeri, non elaborare concetti autonomi. La parola, per la classe cui appartiene Menocchio, è un mezzo pratico per segnare quali merci si ha in magazzino e il numero per sapere quanta roba è entrata o uscita. Menocchio conosce anche qualche parola di latino, ma non abbastanza da padroneggiare la lingua che appartiene al clero e agli studiosi; ha ricoperto piccole cariche gestionali nel paese in cui vive e nel quale opera e possiede due mulini e detta fra noi non se la passa nemmeno tanto male, ma manca qualcosa ed è un tarlo che continua a scavare quel legno che si forma nella coscienza dei suoi compaesani e che integro permette loro di non domandarsi nulla ma solamente sopravvivere. Menocchio si interroga e anche tanto, sente che gli manca qualcosa. Perché siamo qui, dove stiamo andando, chi siamo rispetto a Dio e rispetto agli altri e soprattutto chi ha creato quest'ordine strano che permette a molti di essere servi dei pochi che campano come zecche sul lavoro della povera gente. Quindi questo tarlo poggia sulla realtà sopra citata, da una parte è politica e dall'altra è religiosa e anche un pochino filosofica. Tramite conoscenze, anch'esse "fuori dalle righe", quindi in incontri che potremmo dire "fortunati" (anche se ne hanno decretato non solo la sofferenza interiore ma anche e soprattutto la morte), Domenico scopre che i libri dicono molto più di quel che si pensi. Non sono solo prontuari di lavoro o raccolte di preghiere o di storie della Bibbia, i libri sono anche luoghi in cui trovare dei "punti di vista" e forse a suo pensiero qualche risposta. 

A Menocchio, però,  manca una cosa abbastanza importante; ha i libri e riconosce le parole ma non ha gli strumenti per metterle in connessione e mettere i concetti, che ne vengono fuori, a confronto con il proprio giudizio e con quello altrui per confrontare e capire sé stesso e se la direzione che sta prendendo può avere ulteriori declinazioni. Al tempo stesso, Ginzburg rimarca, che Domenico Scandella non riesce a prendere completamente un concetto valutandolo nella sua interezza ma si fissa solo su un'unica parola o sfumatura declinandola all'infinito e giungendo a conclusioni a volte tra loro contraddittorie. Una di queste in particolare, sarà motivo di condanna, sia della prima che della successiva (che ne sentenzia la morte): il rapporto fra uomo e Dio.



Dio e gli angeli, quando hanno fatto il mondo (già così si mina l'onnipotenza di Dio perché ha avuto bisogno degli angeli!) hanno lavorato come si fa il formaggio, ovvero la massa si raggrumata come il formaggio con il caglio e l'altissimo con gli angeli hanno lavorato come fanno i vermi. Di qui il nome del libro "Il formaggio e i vermi", la definizione fa un po' senso ma è perfettamente pertinente. Il formaggio cagliato in fondo non ha un sapore particolare, ma per diventare "caratteristico" ha bisogno di stagionatura o della creazione di quelle muffe che lo rendano piccante o dolce o che lo conservino cremoso all'interno. Quindi se Dio e gli angeli non avessero operato in siffatto modo, la terra sarebbe rimasta un ammasso vuoto.
Ma, dal punto di vista di chi giudica in quel periodo, il paragone Dio-vermi  non è una scelta felice. E torniamo all'incipit di questa recensione ovvero il *valore dell'informazione* che rappresenta soggettivamente per Scardella "la formazione del mondo e la sua caratterizzazione" si scontra con quella *accettata e asservita* degli inquisitori che non vogliono e forse non sono nemmeno in grado di analizzare il punto di vista, se non utilizzando cavilli lessicali che nulla hanno a che vedere con l'elaborazione del concetto, ma solo con la *giustificazione* dello stesso.

Menocchio finisce sotto inchiesta per denuncia. All'epoca la denuncia è un mezzo anche di regolazione di conti e non meno di eliminazione degli avversari o elusione dei controlli, e diciamocelo in questo, la natura umana contemporanea non è poi molto cambiata.
Ma nel caso di Scandella l'odio nei confronti del parroco del paese, viene anche supportato dalle dichiarazioni impaurite dei compaesani. Perché Domenico non si limita a pensarle queste cose, ma le vuole anche condividere, così ad uno dice che la confessione è un fatto privato che si deve imparare a gestire in maniera autonoma imparando la legge divina e che il clero non è altro che un mezzo di oppressione che fa leva con la religione per annientare e gestire le coscienze del popolo. Ad un altro invece dice che se l'uomo è creato da Dio come anche le cose della terra, in fondo, noi siamo una specie di ulteriore *elemento* di questo cosmo insieme con acqua, terra, fuoco e aria; che la nostra natura non può nascere cattiva e ad altri annuncia che, nel caso gli verrà richiesto, ne andrà a parlare con le più alte cariche che vorranno saperne di più denunciando la propria frustrazione di non incontrare nei propri compaesani possibilità di confronto. Quindi se ritorniamo e confrontiamo l'asserzione oggi valida per noi, che la frustrazione è frutto della mancanza di vocaboli, all'epoca del Menocchio la frustrazione è invece dovuta non solo alla scarsità delle informazioni (pertinente a quello che succede anche a noi che ne siamo soverchiati e abbiamo difficoltà a selezionare quelle veramente rilevanti) ma, anche, dalla difficoltà prima dell'elaborazione di concetti autonomi e poi del confronto e della verifica del proprio punto di vista. Quindi all'epoca non bastava possedere solo *i vocaboli*.

Quel che Domenico Scandella non sapeva, è che il *confronto* con le alte cariche che lo mettono sotto inchiesta non gli darà in alcun modo la possibilità di verifica. Perchè dall'altro lato del tavolo, ci sono persone che sono in possesso, almeno sulla carta, dei requisiti per poter "andare oltre" ma sono altresì asserviti alla *regola vigente* quindi il confronto è fra muti che *parlano* con i sordi e, in fondo, il giudizio è solo un pretesto, per l'eliminazione dell'eretico dal gruppo o per condanna o per prigionia, fattori che in modi diversi decretavano prima o poi la morte (la condanna per Menocchio è veramente dura, ovvero la segregazione prima in prigione e poi, fuori, con il vestire un abito che denunci le sue colpe e che quindi gli impedisce di aver rapporti con chicchessia).
Quindi se dal lato del condannato la *verifica* è sul *concetto*(ovvero Menocchio ha necessità di verificare quel che pensa di aver capito), dall'altro lato, punta l'obiettivo sulla *parola*: Dio->vermi, Fedele->autonomia nel credo, Clero-> mezzo di oppressione e sfruttamento  e via dicendo.

Ed è in questo e in un altro punto che l'approccio storico di Ginzburg un po' fallisce.
Questo libro non è solo il suo contenuto, ma anche il racconto di un *approccio metodologico* che, nel novecento avanzato (il libro è del 1976), cerca, nelle storie di uomini comuni, di raccontare la storia *vera* che non è solo al livello dei potenti ma anche in quello degli umili.
In questo modo di vedere la storia in maniera democratica bisogna però tener conto, come rimarca l'autore, che la documentazione ha invece un solo veicolo ovvero quello di chi ha i mezzi per studiare e teorizzare. Quindi il fatto storico non arriva a noi come una "informazione assoluta", ma solo come un *punto di vista* di una voce, quella del potere, e non di tutte. Menocchio non pensa a scrivere la propria autobiografia da lasciare ai posteri, è proiettato al presente e molto probabilmente nemmeno sa cos'è una autobiografia. Quel che sappiamo deriva da atti di giudizio o trascrizioni degli interrogatori,  comunicazioni tra prefetti o preti o deposizioni di testimoni più orientati a dichiararsi estranei che a comunicare quel che Menocchio ha realmente fatto o detto.
L'errore secondo me sta nel non rimarcare che la mancanza di Domenico Scardella nel non riuscire a comprendere un "concetto nella sua totalità" è pari, ma meno colpevole, di quella mancanza, da parte di chi giudica, di staccarsi dal significato delle singole parole (e quindi di *recezione dei concetti*) che solo in parte può essere giustificata con la necessità di sopprimere comunque qualsiasi comportamento eversivo. L'altra mancanza è l'elusione, forzata che dimostra il limite del metodo.

Quel che viene fuori è che Menocchio ha ben presente cosa muove l'uomo. L'uomo è fatto di carne, ossa e di spirito, ed è quest'ultimo che gli da la forza non solo di vivere, ovvero lo spirito è ciò che lo rende vivo ma contestualmente, nel momento in cui manca, l'uomo muore. Lo spirito è un concetto che esprime un'entità quasi autonoma che muove le fila della vitalità umana, che ci è stata donata da Dio, ma che con lui, al momento del rilascio e della generazione di una nuova vita, cessa di essere in relazione con il divino. Concetto che ricorda anche le affermazioni di Dante, ovvero che non è Dio che, in noi, regola le azioni buone e che condanna quelle cattive, ma che bene e male sono frutto della *libera scelta* ("libero arbitrio") dell'uomo che decide se vivere o no secondo i dettami della religione sperando nella salvezza dopo la morte. Ma a Menocchio manca un pezzo. Nella sua ricostruzione mentale della struttura *filosofica* dell'uomo non contempla "l'anima". E' un concetto che non solo non riesce a spiegarsi, ma che non riesce nemmeno a farsi spiegare da chi lo interroga e che nemmeno l'autore è in grado di dire se, alla fine, il Menocchio riesca o no a dare una forma a questo vocabolo "oscuro". Nel corso del libro vengono messi a fattor comune e per gradi tutta una serie di concetti, ricercati nei testi che potrebbe aver letto questo mugnaio intraprendente, ma l'ultima pagina del libro termina con un nulla di fatto. Menocchio muore, ma muore come vuole la sua convinzione, separandosi dallo spirito che lo aveva accompagnato dalla nascita. 
Quindi, alla fine, anche lo storico rimane un po' sommerso dalle fonti e termina il suo racconto fornendo il punto di vista degli inquisitori e non dell'inquisito almeno per quanto attiene l'anima. 

Ironicamente questo libro è metafora del peso della cultura e dei mezzi con i quali si devono affrontare i testi; Menocchio è la dimostrazione non solo che, nella massa asservita, ci sarà sempre chi andrà oltre la cortina creata per lasciarla nell'ignoranza e permetterne lo sfruttamento, ma denuncia anche la necessità primaria dell'uomo per la sua evoluzione, ovvero del confronto, necessario e indispensabile non sono per formarsi una coscienza ma anche un'identità. 
Per capirlo, sia il testo nella sua totalità che il caso raccontato nel particolare nelle sue sfumature, va letto con i mezzi della cultura e della comprensione (necessari oggi come ieri )  e quindi, non avere presente il contesto storico o quello culturale, difficilmente permetterebbe di capire la portata dell'evoluzione del pensiero menocchiano in un contesto così povero e il peso di questa sua ansia di de-strutturazione della realtà nei suoi elementi più piccoli per l'analisi e comprensione.

Questo non significa che non sia da leggere, anzi è un titolo consigliato almeno da me. Bastano pochi elementi come quelli citati e le numerose note o l'introduzione (che vi consiglio di leggere dopo aver letto il testo) per poter avere i mezzi per affrontare questo lavoro minuzioso di ricostruzione della vita di un uomo comune, del popolo. Va anche detto che la commistione di concetti che volta per volta si ricercano nelle dottrine protestanti o ortodosse, devono essere (e credo che siano così state intese dall'autore), prese al netto della religione che le ospita perchè proprio per il suo distacco dal credo; Menocchio stesso è "democratico" a suo modo, ovvero, ricerca quella che è la spiegazione del divino non nel credo altrui ma nell'elaborazione *primitivamente scientifica* dei concetti cristiani e laici e solo in un caso si accenna che possa aver avuto la possibilità di leggere o avere fra le mani un testo religioso al di fuori di quelli del credo cui appartiene ed è il Corano. Perché? Come avveniva ieri per le strade del Friuli o nelle aule dei tribunali, Menocchio ancora oggi, fra le pagine di questo libro, urla la propria *indipendenza di pensiero* e la propria voglia di *capire e far propria una visione* e credo che queste siano la più grande lezione che ci possa aver lasciato. E in questa sfumatura, l'autore di questo libricino è pienamente riuscito nel suo intento ovvero rendere *grande innovazione* ciò che è stato considerato al tempo *piccola sbavatura del sistema vigente*.
Buone letture,
Simona


p.s.: Come già detto nel [Dal libro che sto leggendo], questo testo è uno di quelli a scelta da leggere e portare all'esame di Storia Moderna. Lo avrei probabilmente acquistato autonomamente per la particolarità del titolo ma credo che, se non fosse stato per la necessità, difficilmente sarei arrivata a trovarlo nel mare dei titoli di saggistica legati alla storia.



Il formaggio e i vermi.
Il cosmo di un mugnaio del '500
Carlo Ginzburg
Einaudi Editore, ed 2009 (è un lavoro del 1976)
Collana "Piccola biblioteca Einaudi"
Prezzo 21,00€




mercoledì 28 marzo 2012

[Dal libro che sto leggendo] Un altro best seller e siamo rovinati

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Questo libro è da leggere e da tenere sul comodino sempre! Dovrebbe diventare come un bene rifugio nel momento in cui cala il nostro umore e lo stress si alza come lo spread...dovremmo sdraiarci a letto, aprire una pagina di questo testo, anche a caso, e leggere. Se ve lo state chiedendo, no, non è una campagna pubblicitaria è proprio convinzione personale. Difficilmente, dopo averlo letto, potrete sostenere il contrario, anzi farete come me, al primo che vi capita a tiro che è di umor nero infilerete questo testo sotto il naso sentenziando "Leggi!" in tono perentorio.
La recensione la trovate qui 
Buone letture,
Simona

Inverno
"Scusi, ha per caso Storia di una calimera?"Il ragazzino ossuto e ricciolino mi guarda con aria di sfida, freno il desiderio di strozzarlo e faccio un lungo respiro. E' il 24 dicembre e la libreria è un galeone del Seicento nel bel mezzo di una tempesta: onde enormi, marinai e mozzi che corrono da una parte all'altra della nave, bagnati e impauriti. Qualcuno cade fra i barili pieni di vivande che rotolano sul ponte, qualcuno è già sceso in cambusa a pregare.Persone ovunque che sbuffano se, dal momento in cui ti chiedono: "Scusi" al momento in cui consegni loro l'agognato libro, passano più d venti secondi, sgomitano per passare, si strappano dalle mani i libri, progettano tattiche per accamparsi l'ultimo gioco richiesto dal figlio.Nel bel mezzo della burrasca ci siamo noi librai, che rispondiamo con un sorriso, per la milionesima volta, che il pacchetto regalo lo fanno in cassa, che : "Sì, sono della libreria", del resto ho il cartellino al colo, stile San Bernardo, che certifica la mia appartenenza a questa tribù. Alla fine della giornata il sorriso si è trasformato in ghigno emiparetico che non riesco a togliere dalla faccia. Tutti colo che mi vedono per strada, nel tragitto che va dalla libreria alla stazione, pensano che sia strafatto o impazzito. A forza di sorridere la mascella mi fa talmente male che devo fare gli esercizi di distensione: apro la bocca più che posso e poi la chiudo in fretta, serro i denti e allungo le labbra stile Joker. Le persone che incrocio sul mio cammino mi guardano come se fossi fuori di testa, le mamme tirano a se i bambini e i vecchietti abbracciano le rispettive badanti.Durante l'orgia per gli acquisti qualcuno alza bandiera bianca, corre in bagno a rifugiarsi per qualche secondo, crecando di liberarsi dalla presa dei clienti che continuano a dire "Scusi, scusi, scusi...", "Arrivo subito, signore, sì, sì, sono subito da lei, la prego, devo assolutamente fare pipì!". Sei già fortunato se al bagno riesci ad arrivarci, perchè qua ti fanno dei placcaggi che neppure un campione del mondo sarebbe in grado di liberarsi.E' il periodo più caotico dell'anno. Tutti - azienda, distributori, case editrici e rifornitori - puntano sl Natale per far quadrare i conti. E arriva di tutto, in quantità tali che potremmo ricostruire tranquillamente la muraglia cinese (così, almeno, alcuni libri avrebbero uno scopo utile). Immancabili i volumi di autori come Bruno Vespa, o Forattini, che sono l'equivalente dei cinepanettoni dei Vanzina, poi c'e' L'allevi natalizio, la vera storia dell'ultima Miss Maglietta, l'ultimo di Oddifreddi, che oramai scrive un libro a settimana. Sappiamo tutto su Dio grazie a Mancuso e andiamo a cena a Roma, Parigi o Londra con Gesù e Augias. E se ci serve un'infusione di autostima possiamo ricorrere al best seller di Roberto Re, magari evitando le seghe mentali grazie a Giacobbe ( che nel frattempo ci ha fatto diventare belle, ricche e stronze). Insomma ce n'e' davvero per tutti i gusti.A Natale non c'e' spazio per finezze, ogni angolo della libreria è destinato alla vendita selvaggia: gadget, cartoline, bigliettini, libri su come fare l'albero di Natale, il presepe, il vestito da Babbo Natale, come imparare il bricolage, come ottenere una tavola perfetta, come fare in casa il pane, il formaggio, lo yogurt, le candele e creare simpatiche idee regalo con i tuoi rifiuti. Usare il découpage, anzi il feltro, forse è meglio imparare a fare il sapone con la liposuzione della tua vicina! Per non parlare dei libri di cucina, che vedono un'agguerritissima concorrenza fra la Clerici e la Parodi.Appena passato il periodo natalizio svaniranno le pile di libri di cucina e compariranno quelle delle diete: la dieta a zona, la dieta a zona in sei settimane, la nuova zona facile, come raggiungere la zona, in zona con la sosia, il bello della zona, è facile controllare il peso se sai come farlo, la nuova dieta low carb, la dieta ideale, la dieta disintossicante in 48 ore, la dieta perfetta, la dieta del limone, la dieta Skinny Bitch, la dieta furba, la dieta Scarsdale, pancia sexy con la dieta degli addominali (questa l'ho provata pure io) , la dieta senza dieta...E' come se a Natale diventassimo tutti un po' più stupidi. Non si può regalare, che so, un libro di damasio (Okay, forse faccio un poì troppo difficile), un saggio sull'alimentazione come Il dilemma dell'omnivoro o In difesa del cibo o, ancora, un Safran Foer.No! Bisogna spingere Dan Brown, Paolo Brosio, John Gary, la Argov o Moccia.Mi inumidisco le labbra, alla mia destra una vecchietta si sta avvicinando per chiedermi informazioni, un signore sta cercando di placcarmi a sinistra, sono accerchiato. er non parlare della signora con i due bambini, che mi indirizza uno sguardo supplicante."Forse vuoi Storia di una capinera"Dico fra i denti al ragazzino. Credo che la mia espressione non abbia più niente di umano ormai. La libreria è sottosopra, il telefono continua a squillare, il mare è sempre più agitato."Sono quasi sicuro che la professoressa ha detto Storia di una calimera""Quasi?"Potrei diventare un serial killer natalizio."Si... beh non ne sono proprio sicuro"Serro i denti."Non esiste un libro con il titolo che mi chiedi""Strano la mia prof non sbaglia mai. Ma lei ne è davvero sicuro?"Ho una contrazione alle mani, uno spasmo muscolare, trattengo il respiro, mi mordo la lingua."Sì, ne sono sicurissimo""Magari sento meglio la prof."


Il libro da cui è tratto questo pezzo è:


Un altro best seller e siamo rovinati
Diario semiserio di un libraio
Marino Buzzi
Ugo Mursia Editore, ed. 2011
Prezzo 9,90€

domenica 25 marzo 2012

Qua si parla di libri [VII puntata]: ESORDI DIGITALI... Sono io, la tua ...

Ma chi l'ha detto che parlare di libri è noioso? Ci sono un sacco di recensori che sanno essere non solo interessanti e pertinenti ma anche simpatici. Lui è Luca Celea Gabriele abita ad Anzio dichiara di stare ancora studiando, nello specifico se ho ben capito sta facendo un master, e scrive anche per PUBZINE una rivista dedicata all'editoria, al mondo dei libri e degli ebook con un approccio abbastanza interessante. 
Chiaramente, per me, rende di più in video, forse perché è lui che direttamente decide che dire e soprattutto stabilisce tempi e modi.
Mi è veramente piaciuto, e io lo propongo a voi...io l'ho scoperto da poco, ma l'adoro già!
Buone letture,
Simona




Il libro di cui si parla nel video è:

Io sono la tua aria
Antonio Romagnolo
Nessuna casa editrice (Selfpublishing di Amazon)
Versione libro prezzo 6,83€
Versione Ebook 0,99€


venerdì 23 marzo 2012

Oggi faccio festa....



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... e condivido con voi la mia gioia nel comunicarvi che, la qui presente (virtualmente) "lettrice sconclusionata", 
è diventata zia orgogliosa di Lorenzo 
e fa gli auguri a 
mamma Roberta e papà Stefano!
Chiaramente farò in modo che Lorenzo ami i libri quanto sua zia!:))) 
E non è una promessa ma una certezza!

Via auguro buone letture,
Simona



mercoledì 21 marzo 2012

[Dal libro che sto leggendo] Filologia e libertà

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Lo so! State già sbuffando dicendo che pizza un saggio... ma non è un saggio qualunque è uno scritto bene commentato meglio, accessibile a tutti e in alcuni punti irriverente.
Se dovessi dirvi perché leggerlo:
- descrive un arco temporale ampio non solo di scelte politiche e dogmatiche, ma anche di crisi di autodefinizione di un organo come la chiesa costretta a inserire, in tutti i concili successivi, espresso divieto all'analisi filologica da parte non solo di esperti di fama riconosciuta ma, anche, di quelli appartenenti al proprio lato della barricata, pena la scomunica
- perchè ci sono alcuni punti in cui vi ritroverete a sghignazzare e alcuni mi sono rimasti particolarmente impressi (visto che, questo, è un libro letto nell'estate del 2011) e a me è successo di ridere con il libro in mano in piazza, ad Anzio, mentre aspettavo amici. Chiaramente se la gente si volta e hai in mano le barzellette di Totti, magari comprende pure, ma se leggono "Filologia e libertà" sei praticamente marchiato/a a vita come "persona strana" che sghignazza sui libri.
Vi ho convinto? Se così non fosse sarà un piacere pubblicare una recensione adeguata a questo splendido libro,
buone letture a tutti,
Simona 

Prefazione


Questo libro, apparso dapprima nel 2008, ha suscitato alcune reazioni molto divertenti. Come può constatare chiunque abbia la pazienza di leggerlo, esso indica nel dogmatismo fideistico di qualunque tipo uno dei principali ostacoli alla indagine filologica che non intenda sottostare a vincoli inibitori di tipo confessionale. Perciò qui vengono più volte ricordate le disavventure non soltanto di Spinoza alle prese con la Sinagoga, ma anche degli "eretici degli eretici" delle varie chiese cristiane, e viene dato speciale rilievo nel capitolo esordiale della Storia della tradizione e critica del testo, dove Pasquali ricorda quei pastori protestanti che persero "il pane e l'ufficio", per aver voluto proseguire il loro lavoro critico sul cosiddetto "testo sacro".

Che i bienfaits di parte cattolica siano stati, in questo campo, nel corso dei secoli, molto più cospicui e numerosi di quelli degli altri, non è colpa dell'autore di questo libro. Il quale si è limitato a raccontare una vicenda che parte dalle oscurantistiche disposizioni tridentine e approva allo "sdoganamento" della pratica filologica da arte di Pio XII nel settembre del 1943 (!): non senza aver riservato spazio alla battaglia in pro della critica che fu condotta (e persa) da quei dotti cattolici avversi all'ignoranza oscurantistica che furono i "modernisti".

Orbene l'aspetto divertente delle recenti polemiche è che si sono risentiti soltanto i cattolici (o, meglio, alcuni di loro, di quelli che talvolta si investono del ruolo del crociato). Gli argomenti addotti odorano del più pure stile diatribico: non nascono dalla volontà di capire ma piuttosto dal proposito, caratteristico, per esempio, dei funesti talk-show televisivi, di "segnare il punto", di dire comunque qualcosa, di imbrogliare le carte perché così "qualcosa resta"...
Citiamo il più gagliardo: "Canfora pretende di applicare un'argomentazione di carattere logico e razionale a qualcosa che per sua natura è, quanto meno iuxta Romanae ecclesiae principia, metalogico e metarazionale". Mi è parsa davvero la più desiderabile delle repliche. Conferma infatti che dunque davvero il lavoro critico-testuale sui testi cosiddetti sacri (lavoro che, deve essere razionale!) fu bloccato per ragioni dogmatiche. Proprio la definizione de testi cosiddetti sacri come qualcosa che per sua natura "metalogico e metarazionale"deve restare al riparo dalla critica, costituisce conferma inattesa (oltre che rattristante). In verità, chi ha scritto in quel modo non si accorge di essere indietro rispetto alla pratica di serissimi studiosi cattolici che si applicano q queto genere di testi: i quali si sforzano di adoperare, nel loro lavoro, proprio quella critica  testuale i cui principi e presupposti non possono essere né metalogici  e né metarazionali (ammesso che questi termini abbiano un senso). L'altro genere di obiezione è perchè citare Trento? Domande quasi pazzesche, visto che il mio libricino intende raccontare  e documentare appunto tale faticosa e lenta evoluzione cattolica in direzione della critica.
Insomma la contatazione che è venuta alla luce, grazie a queste reazioni, è che esiste ancora un settore cattolico cui dà fastidio il semplice fatto che si racconti com'e' andata, e quali assurde posizioni dogmatiche si siano scontrate con l'inevitabile sviluppo della critica (nella fattispecie testuale). Dunque era utile scrivere questo piccolo libro e farlo conoscere a chi studia testi e a chi si accinge a farlo. E' perciò volentieri lo ripubblichiamo.


Maggio 2011

Luciano Canfora

Il libro da cui è tratto è:
Folologia e libertà
La più eversiva delle discipline. l'indipendenza di pensiero e il diritto alla verità
Luciano Canfora
Mondadori Editore, ed 2011
Collana "Oscar Saggi"
Prezzo9,50€


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