mercoledì 1 giugno 2011

[Dal libro che sto leggendo] "Filosofia per dame"



Il disordine
Nel mio computer, il file che contiene questa voce si intitola "0804 Disordine DM". Vale a dire: l'articolo sul disordine scritto per Donna Moderna nell'aprile del 2008. Trovarlo, all'occorrenza, sarà facile, e qui conviene essere ordinati.
Ma, per esempio, rassettare la casa, sistemare gli abiti, è tutto una altro discorso. L'ordine non è piu' una questione di metodo, bensì di forza, di tempo a disposizione e di resistenza alla noia. L'ideale sarebbe avere dei collaboratori domestici infaticabili, e soprattutto i soldi per pagarli. Però non sempre è possibile, e in più ci può essere qualcuno, in genere minorenne, che rema contro, e mette tutto in disordine.
E' a questo punto che bisogna venire a patti. Si incominci con il politically correct: dopotutto, una casa disordinata è solo "diversamente ordinata". Poi si venga a una politica più sostanziosa: l'ordine è una costrizione borghese. Date queste premesse, si passi agli argomenti psicoanalitici: l'ordine è una ossessione edipica, paranoica, spesso chi è ordinato cerca di rimediare ad un mostruoso disordine interiore, chi è ordinato è pazzo. E via patteggiando.
A questo punto si potrà affermare con tranquillità che "disordinato è bello", e guardare con soddisfazione la tavola da sparecchiare. Come è espressiva! E non a caso: si è sempre parlato di "pittoresco disordine", mai di "pittoresco ordine". Non resta che l'ultimo passo. Ci si chieda quante cose abbiamo perso cercando di mettere in ordine, e quante invece non abbiamo perso non facendo alcun sforzo per riordinarle, lasciandole lì dove il caso (o una Ragione Superiore a noi ignota) le aveva messe.
Il gioco è fatto: il disordine è cosa bella e buona, sparecchiamo domani.

Filosofia per dame
Maurizio Ferraris
Guanda Editore, Ed. 2011
Collana "Piccola biblioteca Guanda"
Prezzo 13,00€


lunedì 30 maggio 2011

[Da non perdere in rete] Vi racconto una storia...




Questa è una storia e non so quanto sia aderente alla realtà, però l’idea che me ne sono fatta è così come ve la racconto.

In un paese non tanto lontano, almeno da me, c’è un luogo, anzi “il luogo”, che non c’è o che almeno nessuno vorrebbe che ci fosse. E' fatto di cemento e di rovine, nasconde almeno nelle parti più abbandonate povertà, solitudine e traffici illegali, e chi vi finisce quasi mai ne riesce a scappare. Quel che vede chi sta lì è una nazione, sempre pronta da indignarsi a comando e puntare il dito contro “il luogo” senza fare distinzioni. In un certo senso è peggio di dire abito a Scampia, perché forse lì qualcuno è ancora disposto a credere nel cambiamento, ma per “Il luogo” di cui qualcuno forse ricorda le ragioni fastose per il quale è stato edificato, non appena viene nominato lo si vorrebbe distruggere, ma poi, vuoi la burocrazia e vuoi le dimenticanze della nazione sempre troppo impegnata a fare altro, “il luogo”, continua a rimanere lì sbriciolandosi un pò giorno per giorno e rimanendo l’inferno per quei tanti che lo abitano. Se ti capita di morirci, non fai notizia come anche se lo vivi. E’ come una porta invisibile che una volta varcata con i tuoi effetti personali ti avviluppa nella sua nebbia immaginaria e nella quale chi ti vede da fuori vede pian pian sfumare la tua figura.

Per arrivare a questo luogo c’e’ uno svincolo di una strada, “La strada”. Una strada molto lunga e molto vecchia. E’ una strada che sta lì dai tempi dei romani almeno i tracciati su cui i tempi moderni hanno influito ora aggiungendo e ora togliendo passaggi. “La strada” non è solo lunga, ma attraversa o costeggia o tange i vari perimetri dei comuni che nel tempo si sono definiti partendo chissà da quali accampamenti iniziali. Se abiti in quei luoghi, “La strada” è una di quelle che almeno per un pezzetto percorrerai giornalmente e che quindi vivrai anche. Perché essa pullula di persone sia di giorno che di notte che vedi solo se guardi, che percorrono quella strada o ci vivono o lavorano ai bordi, ognuno apparentemente solitario, ma interconesso agli altri attraverso, appunto “La strada”.

Anche “I comuni” hanno lo stesso problema di "visibilità invisibile a comando" de “La strada” e de “Il luogo”, ma sanno di aver tanto da dire e non sempre sanno star zitti anche se, non sempre, anzi quasi mai le loro voci arrivano alla nazione.

C’e’ anche un gruppo di amici, ognuno assorto nelle proprie attività giornaliere, che si sono conosciuti nel tempo e che oggi adulti si riuniscono ad un tavolo. E a parte i soliti discorsi, sulla vita normale e sulle ultime novità, le partite di calcio e di basket, famiglia e figli, l’ultima volta che si sono riuniti hanno deciso di mettere su un progetto e hanno deciso di dar voce, come hanno sempre fatto nelle più svariate forme come documentari foto e articoli, a tutta la provincia compresi i comuni, la strada e il luogo. Si sono dati un tempo, 1.000 giorni, per vedere quale sia il responso di chi legge e non hanno deciso di raccontarci storie vecchie e famose, e magari a volte distorte, ma di macchiarsi della colpa più grande ovvero di raccontare e rappresentare la realtà com’e’ oggi e come non ci piacerebbe vederla. E non perchè sia brutta o bella, ma solo perchè smonterà probabilmente l’idea che di quei luoghi ci siamo fatti e anche perchè loro la vivono ogni giorno e quindi sono in grado di farci vedere anche la stagionalità che ne caratterizza le attività.

I colpevoli sono parecchi e hanno tutti un’arte particolare con la quale raccontare questi luoghi e hanno deciso di usarle tutte per questo progetto. “Il progetto” è un blog dove riuniranno tutte le loro storie e si chiama appunto (s)Caput mundi ed è visibile già da un mese a questo link:


Perchè leggerlo? Ci sono varie motivazioni, ma forse, almeno per il mio modo di vedere e di vivere, (anche se da lontano) le persone che vi scrivono, è per l’anima che ci mettono a descrivere questi luoghi che secondo l’immaginario collettivo sono posti di perdizione e pieni di camorristi e in fondo, invece, sono pieni di gente normale che nonostante tutto, vive e ama la terra dove è cresciuto anche se magari non ci abita più. Fondamentalmente non ci vuole tanto a far l’abitudine alla lettura di un blog, basta un mese, e diventa una piacevole abitudine e nel caso del gruppo di colpevoli in questione è sempre un modo per scoprire un luogo lontano che sulla carta tutti conoscono e nessuno ha visto a meno che non vi abitasse. E se nelle mie descrizioni non avete riconosciuto i luoghi, eccoli qui:
Il luogo è il villaggio Coppola
La strada è la Domiziana
I comuni sono quelli che compongono la provincia di Caserta.

(s)Caput Mundi è anche su FB:

Buona lettura,
Simona


domenica 29 maggio 2011

L'ha detto...Fedor Dostoevskij



Un essere che si abitua a tutto: è la migliore definizione che si possa dare dell'uomo.

Fedor Dostoevskij

venerdì 27 maggio 2011

"Un peso sul petto", Vittoria a. - Nonsense...

Immagine presa da qui

"Nonsense" è forse il termine più corretto per raccontare questo piacevolissimo libro. Nonsense perché "è quel che non è, nonostante non lo sia"! Andiamo per gradi.
La trama racconta delle vite di alcuni abitanti di Edimburgo e dintorni 5 donne e due uomini. Tutti hanno un grosso problema quello dell'insoddisfazione e di un passato non sempre felice. Vengono, tramite la descrizione di ogni personaggio, messi insieme i gradi dell'infelicità che non sono valori universali per tutti, ma appartengono anche nella realtà al vissuto di ognuno. C'e' un omicidio, poi un'altro ci sono anche un ispettore e due assistenti che indagano e c'e' Edimburgo che dall'alto dei suoi edifici datati e di notte un pò minacciosi che osserva la scena come uno spettatore davanti ad un film.

Perchè questo libro sia una "Nonsense" è dato da due ragioni, una delle quali è legata alla lettura del libro stesso e non ho alcuna intenzione di rivelarvela, l'altra è data dalla immensa maestria con la quale Vittoria a. (e' scritta così in copertina non c'e' errore!) ha trasformato tutti i suoi personaggi come protagonisti e quindi è come leggere circa 10 storie diverse che si intrecciano fra loro solo nel momento in cui qualcuno muore o è già morto. E' questo il bello di questo libro e l'interessante è il potersi muovere come uno spirito fra le strade di questa città entrando ora in un corpo e ora nell'altro attraversando questo noir non supinamente da classico lettore ma attivamente. La scelta coraggiosa di preferire una formula alquanto complicata di passare da un corpo ad un altro, senza che il lettore ne risenta, e facendogli conoscere tutti i dettagli di una vita attraverso azioni che si svolgono nella contemporaneità rende lo scritto non solo accattivante ma con un ritmo sempre teso alla scoperta del passo successivo. Non posso raccontarvi nel dettaglio, perché come avviene per ogni giallo, se lo facessi ne rovinerei il gusto della lettura, ma posso dirvi che si avvicina molto al testo recensito qualche tempo fa della Christie, anche se quest'ultima si poneva sempre come spirito narrante cosa che invece questo testo non necessita avere perché è completo così come è stato congegnato.


L'ho trovato grazie alla segnalazione di Giuseppe Foderaro e devo ammettere che questo testo è stata una vera e propria rivelazione. E' una lettura decisamente consigliata a chi vuole conoscere l'andamento della letteratura contemporanea, fuori da certi giri radical-culturali che saranno pure chic, ma che non hanno poi molto da offrire più che i soliti racconti sempre tutti uguali. Leggere Vittoria, come i tanti altri segnalati nel tag dei nuovi scrittori, significa conoscere un mondo diverso che non ha bisogno di etichette per sperimentare perché hanno contenuti e il talento per svolgerli al netto delle vuote correnti contemporanee.
Ringraziando Giù, come faccio di solito con tutti coloro che mi segnalano delle letture,per vari motivi, vi auguro buona lettura!




Un peso sul petto
Vittoria a.
Eclissi Editore, ed. 2011
Collana "I Dingo"
Prezzo 12,00
e se volete averlo subito senza girare troppo lo trovate qui: Eclissi Editore





mercoledì 25 maggio 2011

"Meno di zero", Bret Easton Ellis - Quando il titolo la dice già tutta...

Immagine presa da qui
Lo scorso Novembre avevo recensito "Imperial Bedrooms" il seguito di questo libro e quando mi è capitato di parlare di questo autore in qualche gruppo mi è stato fatto notare che, forse, il seguito non fosse adeguato rispetto al primo successo e che riprendere in mano dopo tanti anni certi argomenti poteva indurre facilmente chi non conosceva Easton Ellis in errore. Quindi, visto che sono effettivamente un'autolesionista, ho comperato non solo questo libro ma anche l'altro "capolavoro", a detta della critica, di questo autore che si chiama "American psycho".

La trama di "Meno di zero" è presto detta Clay, giovane matricola universitaria nel New Hampshire, torna a casa per le vacanze natalizie a Los Angeles. A casa si fa per dire, è figlio di una coppia divorziata padre business-man con la mania delle mode e dei ritocchini estetici, madre annebbiata dall'alcool che non riesce a negare nemmeno al figlio e alle due sorelle, già avviati alla droga e l'alcool nonché allo shopping compulsivo di 11 e 13 anni, assolutamente nulla. Gli amici di Clay, che incontra durante queste prolungate vacanze, passano il tempo a saltare da un letto ad un altro, a scambiarsi dritte sulle nuove mode e i nuovi gruppi di cantanti e fra una chiacchiera annebbiata e una festa e qualche buco e numerosi bicchieri di vini e liquori, si fanno di Valium e di cocaina.
Quindi  le 185 pagine di questo libro sostanzialmente raccontano di questo e della storia inesistente fra il 18enne Clay e la sua amica Blair.

Premessa, questo libro fa parte della tesi finale del corso di "scrittura creativa" seguito dall'autore ai tempi dell'università. Quindi dire che questo testo è un esercizio di stile non è un'offesa ma realtà. E' un esercizio di stile, perché non c'e' trama ma solo un susseguirsi di eventi, raccontati sì con uno stile diverso, perché è un susseguirsi di "Lui dice che..." e "Io dico che..." come veramente fossimo in mezzo ad un gruppo di giovani. Nel caso specifico a me ricorda tanto quelle chiacchiere che si fanno fra ragazzine "Perché io l'ho guardato...e quando lui mi ha riguardato...io ho voltato lo sguardo...così facevo finta che non lo stavo guardando!". E se questo era l'obiettivo è stato perfettamente centrato, solo che a questo punto non regge che il medesimo stile sia seguito anche nel proseguio uscito a Novembre 2010 e tanto osannato da Fazio a "Che tempo che fa".
In più, parlando di costruzione proprio del testo c'e' anche qualcosa che non va, ovvero: il racconto si apre con Clay che dichiara di tornare a casa per 4 settimane per le vacanze di natale. Nelle ultime 50 pagine c'e' una piccola svista si descrive gli ultimi 5 giorni di Clay parlando di una uscita fatta con il suo amico Julian, poi nel paragrafo successivo (questo libro non ha capitoli!) viene chiaramente detto che Clay passa l'ultima settimana chiuso a casa e successivamente si fa sempre riferimento all'ultima settimana dicendo che Clay esce per delle feste. Quindi o i mesi di L.A. durano 3 settimane più del normale o qualche errore c'è!

Non conoscendo la critica dell'epoca ma conoscendo come ero io ai tempi che sembrano quelli sul finire anni '70 inizi anni '80 (all'epoca ero una bambina) non credo che nemmeno nell'adolescenza avrei apprezzato questo scritto. Principalmente perché è un esercizio di stile e quindi non ha trama, ma è solo una sequenza di situazioni. La descrizione a mò di cronaca non permette una motivazione nella scrittura e annulla anche quel piccolo gesto fatto dall'autore stesso di mostrare per un momento con chiarezza quel che vorrebbe descrivere, ovvero una gioventù ricca e annoiata che scivola lentamente verso la perdizione certa. Questo perchè nell'ansia di rendere vivide le scene che descrive perde l'approfondimento dei personaggi e per sottolineare quanto siano superficiali alla fin fine non li descrive per nulla.

E' uno i quei libri che non possono essere catalogati classici perché passa nella vita del lettore lasciando il nulla cosmico, sono quei testi che appena finiti già non te li ricordi più al pari di quei telefilm tutti uguali di cui ci si ricorda il nome ma mai la trama perché hanno fatto parte di un attimo della nostra vita e poi sono scomparsi nell'oblio eterno, non perché siamo sommersi o bombardati da nuovi scritti o nuovi telefilm, ma solo perché non avevano nulla da dirci.
Che dire, un libro decisamente inutile o riprendendo il titolo assegnatogli "Meno di zero"...chiaramente ripubblicato da Einaudi. 


Meno di zero
Bret Easton Ellis
Einaudi Editore,Ed, 1985 -  Ristampa del 1996
Collana "ET Scrittori"
Prezzo 10,00€




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